Kitabı oku: «Le avventure di Cipollino / Приключения Чиполлино. Книга для чтения на итальянском языке»
Иллюстрации С. И. Ващенок
© Maria Ferretti Rodari and Paola Rodari, Italy, 1980
© Edizioni EL S.r.l., Trieste, Italy, 2008
© И. Г. Константинова, упражнения, комментарии, словарь, 2013
© КАРО, 2013
Предисловие
Героев этой книги замечательный итальянский сказочник Джанни Родари придумал вместе с художником Раулем Вердини в 1950 году для итальянского детского журнала «Пионер».
Уже на следующий год сказка появилась на книжном прилавке под названием «Роман о Чиполлино», а в 1957 году вышла с некоторыми изменениями под другим, более верным названием, которое стало со временем известным всему миру, – «Приключения Чиполлино».
Знаменитая сказка Джанни Родари была переведена на русский язык Златой Потаповой, а редактировал ее работу выдающийся поэт и переводчик Самуил Яковлевич Маршак.
Переводили эту сказку и на многие другие языки – на французский, немецкий, китайский, японский, польский, болгарский, румынский, венгерский, сербский, хорватский, украинский, армянский, грузинский, литовский, латвийский, эстонский, монгольский, кабардино-балкарский, македонский, якутский, чешский, словацкий…
В Советском Союзе по этой сказке был снят полнометражный мультипликационный фильм, ставилось много различных спекта-клей. В Польше «Чиполлино» шел и на сцене кукольного театра, а в Японии книжку читали с продолжением по школьному радио.
Нет сомнения, что «Приключения Чиполлино» теперь доставят удовольствие всем, кто изучает итальянский язык.
Capitolo I
Schiaccia un piede Cipollone
Cipollino era figlio di Cipollone e aveva sette fratelli: Cipolletto, Cipollotto, Cipolluccio e così di seguito, tutti nomi adatti ad una famiglia di cipolle. Gente per bene1, bisogna dirlo subito, però piuttosto sfortunata.
Cosa volete, quando si nasce cipolle, le lacrime sono di casa.
Cipollone ed i suoi figli abitavano in una baracca di legno, poco più grande di una cassetta di quelle che si vedono dall'ortolano. I ricchi che capitavano da quelle parti torcevano il naso disgustati.
– Mamma mia, che puzzo di cipolla, – dicevano, e ordinavano al cocchiere di frustare i cavalli.
Una volta doveva passare di là anche il Governatore, il Principe Limone. I dignitari di corte erano molto preoccupati.
– Che cosa dirà Sua Altezza quanto sentirà questo odor di poveri?
– Si potrebbe profumarli, – suggerì il Gran Ciambellano.
Una dozzina di Limoncini furono subito spediti laggiù a profumare i poveri. Per l'occasione avevano lasciato a casa le spade e i fucili e si erano caricati sulle spalle grossi bidoni pieni di acqua di Colonia, di profumo alla violetta, e di essenza di rose di Bulgaria, la più fina che ci sia.
Cipollone, i suoi figli e i suoi parenti furono fatti uscire dalle baracche, allineati contro i muri e spruzzati dalla testa ai piedi fin che furono fradici, tanto che Cipollino si prese un raffreddore.
A un tratto si udì suonare la tromba e arrivò il Governatore in persona, con i Limoni e Limoncini del seguito. Il Principe Limone era tutto vestito di giallo, compreso il berretto, e in cima al berretto aveva un campanello d'oro. I Limoni di corte avevano il campanello d'argento, e i Limoncini di bassa forza un campanello di bronzo. Tutti insieme facevano un magnifico concerto e la gente correva a vedere gridando:
– Arriva la banda!
Ma non era la banda musicale.
Cipollone e Cipollino si erano messi proprio in prima fila, così si pigliavano nella schiena e negli stinchi gli spintoni e i calci di quelli che stavano dietro. Il povero vecchio cominciò a protestare:
– Indietro! Indietro!
Il Principe Limone lo sentì e pigliò cappello. Si fermò davanti a lui, piantandosi per bene sulle gambette storte e lo redarguì severamente:
– Che avete da gridare «indietro, indietro?» Vi dispiace forse che i miei fedeli sudditi si facciano avanti per applaudirmi?
Altezza, – gli bisbigliò nell'orecchio il Gran Ciambellano, – quest'uomo mi sembra un pericoloso sovversivo, sarà bene tenerlo d'occhio2.
Subito una guardia cominciò a tener d'occhio Cipollone con un cannocchiale speciale che si adoperava per sorvegliare i sovversivi, e ogni guardia ne aveva uno.
Il povero Cipollone diventò tutto verde3 dalla tremarella.
– Maestà, – si provò a dire, – mi spingono!
– E fanno bene! – tuonò il Principe Limone. – Fanno benissimo!
Il Gran Ciambellano, allora, si rivolse alla folla e fece questo discorso:
– Amatissimi sudditi, Sua Altezza vi ringrazia per il vostro affetto e per le vostre spinte. Spingete, cittadini, spingete più forte!
– Ma vi cascheranno addosso! – si provò a dire Cipollino.
Subito una guardia cominciò a tener d'occhio anche lui col suo cannocchiale, ragion per cui Cipollino pensò bene di svignarsela, infilandosi tra le gambe dei presenti.
I quali, sulle prime, non spingevano tanto, per non farsi male ma il Gran Ciambellano distribuì certe occhiatacce che la folla cominciò a ondeggiare peggio dell'acqua in un mastello. E spinsero tanto che Cipollone andò a finire4 dritto dritto sui piedi del Principe Limone. Sua Altezza vide in pieno giorno tutte le stelle del firmamento, senza l'aiuto dell'astronomo di corte. Dieci Limoncini di bassa forza balzarono come un solo Limoncino addosso al malcapitato Cipollone e gli misero le manette.
– Cipollino! Cipollino! – gridava il vecchio mentre lo portavano via.
Cipollino in quel momento era lontano, ma la folla attorno a lui sapeva già tutto; anzi, come succede in questi casi, ne sapeva anche di più.
– Per fortuna che l'hanno arrestato: voleva pugnalare Sua Altezza!
– Ma cosa dite, aveva una mitragliatrice nel taschino!
– Nel taschino? Suvvia, questo non è possibile.
– E non avete sentito i colpi?
I colpi, in realtà, erano quelli dei mortaretti che scoppiavano in onore del Principe Limone, ma la gente si spaventò tanto che si mise a scappare da tutte le parti.
Cipollino avrebbe voluto dire a quella gente che il suo babbo, nel taschino, aveva solamente una cicca di sigaro toscano, ma poi pensò che non lo avrebbero neanche ascoltato. Povero Cipollino! Gli pareva di non vederci tanto bene dall'occhio destro: invece era una lagrimuccia che voleva uscire a tutti i costi.
– Stupida! – esclamò Cipollino, stringendo i denti per farsi coraggio5.
La lagrimuccia, spaventatissima, fece dietro-front e non si fece più vedere.
* * *
In breve: Cipollone fu condannato a stare in prigione per tutta la vita, anzi, fin dopo morto, perché nelle prigioni del Principe Limone c'era anche il cimitero.
Cipollino lo andò a trovare e lo abbracciò:
– Povero babbo! Vi hanno messo in carcere come un malfattore, insieme ai peggiori banditi!
– Figlio mio, togliti quest'idea dalla testa, – gli disse il babbo affettuosamente. – In prigione c'è fior di galantuomini.
– E cos'hanno fatto di male?
– Niente. Proprio per questo sono in prigione. Al Principe Limone non piace la gente per bene.
Cipollino riflettè un momento e gli parve d'aver capito.
– Allora è un onore stare in prigione?
– Certe volte sì. Le prigioni sono fatte per chi ruba e per chi ammazza, ma da quando comanda il Principe Limone chi ruba e ammazza sta alla sua corte e in prigione ci vanno i buoni cittadini.
– Io voglio diventare un buon cittadino, – decise Cipollino, – ma in prigione non ci voglio finire6. Anzi, verrò qui e vi libererò tutti quanti.
In quel momento un Limonaccio di guardia avvertì che la conversazione era finita.
– Cipollino, – disse il povero condannato, – tu adesso sei grande e puoi badare ai fatti tuoi7. Alla mamma e ai tuoi fratellini ci penserà lo zio Cipolla. Io desidero che tu prenda la tua roba e te ne vada per il mondo a imparare.
– Ma io non ho libri, e non ho soldi per comperarli.
– Non importa. Studierai una materia sola: i bricconi. Quando ne troverai uno, fermati a studiarlo per bene.
– E poi che cosa farò?
– Ti verrà in mente al momento giusto.
– Andiamo, andiamo, – fece il Limonaccio, – basta con le chiacchiere. E tu, moccioso, tienti lontano se non vuoi finire in gattabuia anche tu.
Cipollino aveva pronta una risposta pepata sulla punta della lingua8, ma capì che non valeva la pena di farsi arrestare prima ancora di mettersi al lavoro.
Abbracciò il babbo e scappò via.
Il giorno stesso afidò la mamma e i fratellini allo zio Cipolla, un buon uomo un po' più fortunato degli altri, perché aveva addirittura un posto di portinaio; e con un fagottello infilato su un bastone, si mise in cammino9.
Prese la prima strada che gli capitò davanti, ma doveva essere – come vedrete – la strada giusta. Dopo un paio d'ore di cammino si trovò all'ingresso di un paesino di campagna, senza nemmeno il nome scritto sulla prima casa. Anzi, la prima casa non era nemmeno una casa, ma una specie di canile che sarebbe bastato a malapena10 per un can bassotto. Nel finestrino si vedeva la faccia di un vecchietto con la barba rossiccia, che guardava fuori tristemente e sembrava molto occupato a lamentarsi dei casi suoi.
Rispondete alle domande:
1. Chi era Cipollino?
2. Quanti fratelli aveva Cipollino e come si chiamavano?
3. Che cosa non piaceva ai ricchi quando capitavano vicino alla baracca di Cipollone?
4. Perché Cipollino prese il raffreddore?
5. Come era vestito il Principe Limone?
6. Perché fu arrestato Cipollone?
7. Cosa diceva la gente sull’arresto di Cipollone?
8. Cipollone fu condannato a…?
9. Perchè Cipollone fu condannato a stare in prigione anche fin dopo morto?
10. Chi c’era alla corte del Principe Limone?
11. Dove si trovò Cipollino dopo un paio d’ore di cammino?
Capitolo II
Come fu che il sor Zucchina
– Quell’uomo, – domandò Cipollino, – che cosa vi è saltato in testa di rinchiudervi là dentro? Io, poi, vorrei sapere come farete a uscire.
– Oh, buongiorno, – rispose gentilmente il vecchietto – io vi inviterei volentieri, giovanotto, e vi offrirei un bicchiere di birra. Ma qui dentro in due non ci si sta, e poi a pensarci bene11 non ho nemmeno il bicchiere di birra.
– Per me fa lo stesso, – disse Cipollino, – non ho sete. La vostra casa è tutta qui?
– Sì – rispose il vecchietto, che si chiamava sor12 Zucchina, – è un po' piccola, ma fin che non tira vento va abbastanza bene.
Il sor Zucchina aveva appena finito il giorno prima di costruirsi la sua casetta. Dovete sapere che fin da ragazzo egli si era fissato in testa13 di avere una casa di sua proprietà, e ogni anno metteva da parte un mattone.
Però c'era un guaio, e cioè che il sor Zucchina non sapeva l'aritmetica, e così ogni tanto pregava Mastro Uvetta, il ciabattino, di fargli il conto dei mattoni.
– Vediamo un po' – diceva Mastro Uvetta, grattandosi la testa con la lesina, – sei per sette quarantadue… abbasso il nove… insomma, sono diciassette.
– E bastano per fare una casa?
– Io direi di no.
– E allora?
– E allora che vuoi da me? Se non bastano per fare una casa, farai una panchina.
– Ma io non ho bisogno di una panchina. Ci sono già quelle dei giardini pubblici, e quando sono occupate posso benissimo stare in piedi.
Mastro Uvetta si diede una grattatina alla testa con la lesina, prima dietro l'orecchio destro, poi dietro l'orecchio sinistro, infine rientrò nella sua bottega.
Il sor Zucchina decise di lavorare di più e di mangiare di meno, così che risparmiava tre mattoni all'anno, e qualche anno perfino cinque in una volta14.
Diventò secco come uno zolfanello, ma la pila dei mattoni cresceva.
La gente diceva:
– Guardate Zucchina, sembra che i suoi mattoni se li tiri fuori dalla pancia. Ogni volta che il mucchio cresce di un mattone, Zucchina diminuisce di un chilo.
Quando Zucchina si sentì vecchio, andò a chiamare di nuovo Mastro Uvetta e gli disse così:
– Per favore, venite a farmi il conto dei mattoni.
Mastro Uvetta prese la lesina per grattarsi la testa, diede una occhiata al mucchio e sentenziò:
– Sei per sette quarantadue… abbasso il nove… insomma, sono centodiciotto.
– Basteranno per fare la casa?
– Io dico di no.
– E allora?
– Che vuoi da me? Farai un pollaio.
– Ma io non ho galline da metterci.
– Mettici un gatto: i gatti sono utili perché pigliano i topi.
– E' vero, ma io non ho un gatto, e a pensarci bene mi mancano anche i topi.
– Non so cosa dirti, – sbuffò Mastro Uvetta, grattandosi furiosamente la testa con la lesina, – centodiciotto sono centodiciotto, è giusto?
– Se lo dite voi che avete studiato l'aritmetica, sarà certamente così. Il sor Zucchina sospirò, poi sospirò ancora una volta; infine, visto che a sospirare i mattoni non aumentavano di numero, decise di cominciare senz'altro la costruzione.
– Farò una casa piccola piccola, – pensava lavorando, – non ho mica bisogno di un palazzo, tanto sono piccolo anch'io. E se i mattoni sono pochi, adopererò qualche foglio di carta.
Il sor Zucchina lavorava adagio adagio, per paura di consumare troppo presto i mattoni. Li metteva uno sull'altro con delicatezza, come se fossero stati di vetro. Li conosceva tanto bene, i suoi mattoni!
– Ecco, – diceva prendendone uno e accarezzandolo affettuosamente, – questo è il mattone che risparmiai dieci anni fa per Natale. Lo andai a comperare al mercato con il soldi del cappone: il cappone lo mangerò quando sarà finita la casa.
A ogni mattone tirava un sospiro lungo lungo. Ma quando ebbe consumato tutti i mattoni, gli restavano ancora molti sospiri, e la casa era venuta uguale a una colombaia.
– Se io fossi un colombo, – pensava il povero Zucchina, – ci starei comodissimo.
Invece quando fece per entrare, battè un ginocchio sul tetto e minacciò di far crollare tutta la baracca.
– Invecchiando divento sbadato: devo fare più attenzione15. Si inginocchiò davanti alla porta e così carponi e ginocchioni, strisciando e sospirando, entrò nella sua casina. Una volta dentro, ricominciarono i guai: se si alzava faceva crollare il tetto; lungo disteso non si poteva mettere, perché la casa era troppo corta; di traverso non si poteva sdraiare perché la casa era troppo stretta. E i piedi? Bisognava tirare dentro anche i piedi16, altrimenti in caso di pioggia si sarebbero bagnati.
– A quel che vedo, – concluse Zucchina, – non mi resta che mettermi seduto.
E così fece. Si mise seduto e sospirò.
Se ne stava lì in mezzo alla casetta, sospirando con circospezione, e la sua faccia, nel finestrino, sembrava il ritratto della malinconia.
– Come vi sentite? – domandò Mastro Uvetta che era uscito sulla porta della bottega a curiosare.
– Bene, grazie, – rispose gentilmente Zucchina.
– Non vi va un po' stretta sulle spalle?
– No, ho preso bene le mie misure.
Mastro Uvetta si grattò la testa, secondo il solito, e borbottò qualcosa, ma non si potè capire cosa. Intanto, da tutte le parti la gente veniva a vedere la casetta di Zucchina. Venne anche una schiera di monelli e il più piccolo saltò sul tetto della casina, e cominciò a ballare il girotondo:
Nella casa del sor Zucchina
la mano destra sta in cucina
la mano sinistra sta in cantina,
le gambe in camera da letto
e la testa esce dal tetto.
– Per carità, ragazzi, – si raccomandava Zucchina, – fate piano altrimenti17 mi crolla la casa. E' tanto delicata.
Per rabbonirli si cavò di tasca tre o quattro bei confetti rossi e verdi che ci stavano chissà da quanti anni e li offerse ai ragazzi: i quali si tuffarono strillando sulla mano e si azzuffarono per spartirsi il bottino.
Da quel giorno Zucchina, appena gli cresceva in tasca qualche spicciolo, comprava dei confetti e li metteva sul davanzale della finestra per i bambini, come si mettono le briciole per i passeri. Così se li fece amici.
Qualche volta li lasciava entrare a turno18 nella casetta e lui stava fuori a guardare che non facessero disastri.
* * *
Zucchina stava appunto raccontando a Cipollino tutte queste cose, quando una nuvola di polvere si levò in fondo al villaggio e subito si sentì uno sbattere precipitoso di porte e di finestre. Si vide la moglie di Mastro Uvetta abbassare con gran furia la saracinesca. La gente si tappava in casa come se stesse per scoppiare il ciclone. Perfino le galline, i gatti ed i cani si diedero a scappare di qua e di là in cerca di un rifugio.
Cipollino non fece in tempo a informarsi di quel che stava succedendo: la nuvola di polvere, con un frastuono orribile, aveva già attraversato il villaggio e si fermò proprio davanti alla casetta del sor Zucchina.
Tra la polvere comparve una carrozza tirata da quattro cavalli, che poi erano piuttosto quattro cetrioli, perché in quel paese, come avrete già capito, erano tutti imparentati con qualche verdura. Dalla carrozza balzò a terra un personaggio imponente, vestito di verde, con una faccia rossa e tondto come un pomodoro troppo maturo che pareva sul punto di scoppiare19.
Quel personaggio era difatti il Cavalier Pomodoro, Gran Maggiordomo e Amministratore del Castello delle Contesse del Ciliegio. Cipollino pensò che doveva essere un poco di buono, se tutti scappavano a vederlo arrivare, e ad ogni buon conto si tirò in disparte20.
Per intanto però il Cavalier Pomodoro non faceva nulla di terribile. Cosa faceva? Fissava il sor Zucchina, lo fissava e lo fissava, crollando la testa minacciosamente, senza dire una parola.
Il povero sor Zucchina avrebbe voluto sprofondare, lui e la sua casetta.
Il sudore gli scendeva a ruscelli dalla fronte e gli entrava in bocca21, ma lui non aveva nemmeno il coraggio di alzare una mano per asciugarselo e lo mandava giù: era salato ed amaro.
Il sor Zucchina chiuse gli occhi e pensò: «Ecco, Pomodoro non c'è più. Io e la mia casetta siamo un marinaio e la sua barchetta in mezzo all'Oceano Pacifico, e l'acqua del mare è azzurra e calma e ci culla dolcemente. O come ci culla dolcemente, di qua e di là… di qua e di là…»
Macché Oceano Pacifico, macché Oceano Atlantico era il Cavalier Pomodoro che, afferrato il cucuzzolo del tetto, lo scrollava di qua e di là con tutta la sua forza, facendone cadere i tegoli.
Il sor Zucchina riaprì gli occhi, mentre Pomodoro lanciava un ruggito spaventoso, che fece chiudere le finestre del villaggio anche più strette di prima: e chi aveva dato un solo giro di chiave alla porta22 ne diede subito un secondo.
– Ladrone! – gridava Pomodoro – Brigante! Tu hai costruito un palazzo sul terreno che appartiene alle Contesse del Ciliegio e pensi di passarci il resto dei tuoi giorni, oziando e ridendo alle spalle delle due povere vecchie! Ma te la farò vedere le signore, vedove e orfane di padre e di madre.
– Eccellenza! – pregava Zucchina. – Vi assicuro che il permesso di costruirmi qui la mia casetta mi è stato dato dal signor Conte Ciliegione!
– Il Conte Ciliegione è morto da trent'anni, pace al suo nocciolo. La terra è delle Contesse, e tu mi farai il piacere di andartene su due piedi. Del resto te lo dirà l'avvocato. Avvocato! Avvocato!
Il sor Pisello, che era l'avvocato del paese, doveva essere stato tutto il tempo dietro la porta, pronto alla chiamata, perché schizzò fuori proprio come un pisello dal suo baccello. Ogni volta che Pomodoro scendeva al villaggio chiamava sempre l'avvocato per farsi dar ragione.
– Eccomi, Eccellenza! Ai Vostri ordini, – biascicò Pisello, inchinandosi.
Ma era così piccolo che l'inchino non si vide: per paura di sembrare maleducato il sor Pisello fece addirittura una capriola23, e andò a finire a gambe all'aria24.
– Dite a quest'uomo che se ne deve andare subito, in nome della legge. E fate sapere a tutti quanti25 che le Contesse del Ciliegio hanno intenzione di mettere in questo canile un feroce mastino per tenere a bada26 i monelli, che da qualche tempo si dimostrano poco rispettosi.
– Ecco, io, veramente… – cominciò a farfugliare il sor Pisello, diventando sempre più verde per la paura.
– Che veramente e non veramente: siete avvocato sì o no?
– Sissignore, Eccellenza Illustrissima: mi sono laureato in diritto civile, penale e penoso all'Università di Salamanca.
– Basta così, allora. Se siete avvocato, ho ragione io. Potete andare.
– Sissignore, signor Cavaliere. – E il sor Pisello, senza farselo ripetere, scomparve più svelto della coda di un topo.
– Hai sentito che cos'ha detto l'avvocato? – domandò Pomodoro al sor Zucchina.
– L'avvocato non ha detto proprio niente.
– E osi anche rispondere, prepotentaccio?
– Eccellenza, io non ho aperto bocca, – balbettò Zucchina.
– Chi ha parlato, allora?
Pomodoro si guardò in giro minacciosamente.
– Birbante! Briccone! – disse ancora la voce.
– Chi ha parlato? Sarà stato certo quel poco di buono di Mastro Uvetta, – concluse Pomodoro, e direttosi verso la bottega del ciabattino picchiò con la sua mazza sulla saracinesca, dicendo:
– Lo so, lo so, Mastro Uvetta, che nella vostra bottega si fanno discorsi proibiti contro di me e contro le nobili Contesse del Ciliegio. Non avete alcun rispetto per quelle due poverine, vedove, orfane di padre e di madre e senza neanche uno zio. Ma verrà anche la vostra volta.27 E allora vedremo chi riderà.
– Verrà anche la tua volta, Pomodoro, e allora scoppierai, – disse di nuovo la voce.
E il padrone della voce, ossia Cipollino, si avvicinò con le mani in tasca al terribile Cavaliere, il quale non sospettò nemmeno per un minuto che fosse stato quel ragazzotto a dirgli il fatto suo.
– Di dove sbuchi tu? Perché non sei al lavoro?
– Io non lavoro, – disse Cipollino, – io studio.
– E che cosa studi? Dove sono i libri?
– Studio i furfanti, Eccellenza. Giusto adesso me n'è capitato uno sotto il naso, e non voglio perdere l'occasione di studiarlo per vedere com'è fatto.
– Un furfante? Qui tutti dal più al meno sono furfanti. Ma se ne hai trovato uno che non conosco, fammelo vedere.
– Certo, Eccellenza, – rispose Cipollino, strizzandogli l'occhio. Affondò ancora di più la mano nella tasca sinistra e ne trasse uno specchietto che adoperava per andare a caccia di allodole. Andò a mettersi davanti al muso di Pomodoro e gli ficcò lo specchio sotto il naso.
– Eccolo, Eccellenza: se lo guardi con comodo.
Pomodoro guardò con curiosità nello specchio. Chissà cosa credeva di vederci! Naturalmente, invece, ci vide la sua faccia, rossa di fuoco, con gli occhietti piccoli, con la bocca cattiva.
Finalmente capì che Cipollino lo stava prendendo per il naso:28 allora divenne addirittura furibondo. Lo afferrò per i capelli a due mani e cominciò a tirare.
– Ahi! Ahi! – strillava Cipollino, senza perdere l'allegria. – Troppa forza per un furfante solo: Vostra Eccellenza vale addirittura un battaglione di furfanti.
– Ti farò vedere io,29 – strillava Pomodoro. E tirò così forte che una ciocca di capelli gli restò in mano.
E capitò quello che doveva capitare, trattandosi dei capelli di Cipollino.
Che è, che non è, ad un tratto il feroce Cavaliere si sentì un tremendo pizzicore agli occhi e cominciò a piangere a ruscelli. Le lacrime gli scorrevano giù per le guance a sette a sette30. La strada fu subito bagnata come se fosse passato lo spazzino con la pompa.
«Questa non mi era mai capitata!» – rifletteva stralunatoPomodoro.
Infatti, siccome non aveva cuore, non gli era mai capitato di piangere, e poi non aveva mai sbucciato le cipolle. Il fenomeno gli parve così strano che balzò sul calesse, frustò il cavallo e scappò via a gran velocità.31 Mentre fuggiva, però si voltò indietro a gridare:
– Zucchina, sei avvisato… E tu, piccolo malandrino, pagherai salate queste lagrime.32
Cipollino si buttò per terra a ridere e il sor Zucchina si asciugava il sudore.
Una dopo l'altra le porte e le finestre si spalancavano, tranne quella del sor Pisello. Mastro Uvetta rialzò la saracinesca e venne fuori grattandosi la testa con entusiasmo:
– Per tutto lo spago dell'universo! – esclamava, – Ecco uno capace di far piangere33 il Cavalier Pomodoro. Di dove vieni, ragazzo?
E Cipollino dovette raccontare a tutti la sua storia, che voi conoscete già.