Kitabı oku: «Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 10», sayfa 6
A. D. 661-668
I persecutori di Maometto usurparono l'eredità de' suoi figli, e i difensori della idolatria si fecero Capi supremi della sua religione e del suo impero. Violenta ed ostinata fu l'opposizione d'Abu-Sophian, tarda e forzata la conversione; ma dall'ambizione e dall'interesse fu rassodato nella fede che aveva abbracciata; servì, combattè, e forse credette veramente, e da' nuovi meriti della famiglia d'Ommiyah fu cancellata la memoria de' torti della sua prisca ignoranza. Moawiyah, figlio d'Abu-Sophian e della crudele Henda, sin dalla prima gioventù era stato fregiato dell'incarico, o del titolo di segretario del Profeta. Essendogli stato conferito dal saggio Omar il governo della Siria, amministrò per più di quarant'anni quella rilevante provincia, sia come agente subordinato, o come Capo supremo, senza rinunciare alla fama di prode e di liberale, e soprattutto amò quella di umano e di moderato. Dalla gratitudine il popolo fu vincolato al suo benefattore, e i Musulmani vittoriosi s'arricchirono delle spoglie di Cipro e di Rodi: dal sacro dovere di perseguitare i sicari d'Othmano pigliò pretesto la sua ambizione per operare. Espose nella moschea di Damasco la camicia sanguinente del martire: l'Emir deplorò la disgrazia del suo alleato, e sessantamila Siri giurarono di rimanergli fedeli, e di vendicare Othmano. Amrou vincitore dell'Egitto, che valeva esso solo per un esercito, fu primo a salutare il novello monarca, e divolgò quel pericoloso segreto, potersi creare i Califfi arabi anche fuori della città del Profeta196. Lo scaltrito Moawiyah deluse la prodezza del rivale, e, morto Alì, negoziò l'abdicazione del figlio Hassan, che aveva un animo superiore, o forse inferiore, ad un impero mondano, e a cui non increbbe posporre il palagio di Cufa ad un'umile celletta presso la tomba dell'avo. Finalmente il cangiamento d'un impero elettivo in monarchia ereditaria satisfece gli ambiziosi desiderii del Califfo. Qualche mormorìo di libertà o di fanatismo indicò la ripugnanza degli Arabi, e da quattro cittadini di Medina fu negato il giuramento di fedeltà: ma seppe Moawiyah dirigere i suoi disegni con vigore e destrezza, e il suo figlio Yezid, quantunque d'indole debole e di costumi dissoluti, fu gridato comandante de' fedeli, e successore dell'appostolo di Dio.
A. D. 680
Si narra della beneficenza d'un figlio d'Alì il fatto seguente. Uno schiavo servendo la tavola lasciò cadere sopra il padrone una scodella piena di brodo bollente: allora si gettò a' suoi piedi, e per sottrarsi al gastigo ripetè quel passo del Corano, che dice: «il paradiso è per coloro che san dominare la propria collera. – Io non sono in collera. – E per quelli che perdonano le offese. – Io perdono l'offesa che m'hai fatto. – E per quelli che rendono bene per male. – Io ti dono la libertà e quattrocento pezze d'argento.» Hosein, fratel minore di Hassan, con tutta la pietà di questo avea pure ereditato in parte il coraggio del padre; militò decorosamente contro i cristiani nell'assedio di Costantinopoli. Aggiugneva la primogenitura della stirpe di Hashem al sacro carattere di nipote dell'appostolo: potea sostenere le sue pretensioni contro Yezid, tiranno di Damasco, di cui spregiava i vizi, e non degnava riconoscere i titoli. Fu trasmessa in secreto da Cufa a Medina una lista di cenquarantamila Musulmani, che si dichiaravano parteggiatori della sua causa, e prometteano di pigliar l'armi come tosto ei comparisse su le sponde dell'Eufrate. Senza badare a' consigli degli amici più saggi, deliberò d'affidare la propria persona e la famiglia in balìa d'un popolo perfido. Attraversò il deserto dell'Arabia con numeroso seguito di donne e di fanciulli sbigottiti; ma quando fu presso alle frontiere dell'Irak, la solitudine del paese, e le apparenze che vide d'inimicizia gl'inspirarono molta diffidenza, e gli diedero motivo di temere o la diffalta, o la ruina de' suoi partigiani. Fondati erano i timori; Obeidollah, governatore di Cufa, avea soffocate le prime scintille d'insurrezione, e Hosein fu accerchiato, nella pianura di Kerbela, da cinquemila cavalli, che precisero la sua comunicazione colla città e col fiume. Poteva ancora riparare in una Fortezza del deserto, che aveva affrontato le forze di Cesare e di Cosroe, e sperare nella fedeltà della tribù di Tai, che armato avrebbe diecimila guerrieri in sua difesa. In una conferenza che egli ebbe col Capo della soldatesca nemica, domandò che gli fosse permesso di ritornare a Medina, o d'essere collocato in una delle guarnigioni di frontiera che si tenevano contro i Turchi, o finalmente d'essere condotto sano e salvo davanti Yezid; ma gli ordini del Califfo, o del suo Luogo-tenente, erano rigorosi, e assoluti, onde fu risposto ad Hosein che dovea sottomettersi, come prigioniero e colpevole, al comandante de' fedeli, ovveramente aspettarsi la pena della ribellione. «Pensate forse di sgomentarmi, replicò egli, minacciandomi la morte»? Passò dunque la notte seguente nell'apparecchiarsi, con una rassegnazione tranquilla e solenne, alla sua sorte. Consolò sua sorella Fatima che piangea la rovina della sua famiglia. «Non dobbiamo porre fiducia in altro che in Dio, le disse: in cielo e in terra tutto dee perire e ritornare al suo Creatore: mio fratello, mio padre, mia madre erano meglio di me, e la morte del Profeta dee servire d'esempio a tutti». Sollecitò gli amici a porsi in salvo con pronta fuga, i quali con voce unanime ricusarono d'abbandonare l'amato padrone, o di sopravvivergli; ed egli ne rafforzò il coraggio con fervida orazione, e colla promessa del paradiso. Nella mattina di quel giorno funesto, Hosein salì a cavallo, prese in una mano la spada, il Corano nell'altra: i generosi martiri della sua causa erano solo in numero di trentadue cavalieri, e di quaranta fanti; ma fortificato avevano i fianchi e il tergo colle corde delle lor tende, e s'erano muniti con una fossa profonda piena di fascine accese all'usanza degli Arabi. Si avanzarono mal volentieri i nemici, e un de' loro Capi, che disertò con trenta soldati, venne a dividere con Hosein le angosce d'una morte inevitabile. Nelle mischie corpo a corpo, o ne' singolari conflitti, la disperazione rendette invincibili i Fatimiti; ma la moltitudine che gli accerchiava li coperse d'un nembo di dardi: cavalli ed uomini caddero successivamente uccisi: le due parti assentirono una tregua d'un istante per l'ora della preghiera, e in fine terminò la battaglia colla morte dell'ultimo compagno di Hosein. Solo egli allora, rifinito dalla fatica, e piagato, si assise all'ingresso della sua tenda. Mentre stava bevendo poche stille d'acqua per rinfrescarsi, fu colto da un dardo in bocca: e rimasero uccisi fra le sue braccia il figlio e il nipote, giovanetti di rara avvenenza. Sollevò al cielo le mani coperte di sangue, e orò pe' viventi e pe' morti. Escì sua sorella della tenda in un accesso di disperazione, scongiurando il generale de' Cufiani perchè non lasciasse svenare Hosein in sua presenza: e i più arditi fra i suoi guerrieri retrocessero da ogni lato all'arrivo dell'eroe moribondo, che offriva il collo al lor ferro. Lo spietato Shamer, nome abbominato da' fedeli, li rimbrottò di viltà, e il nepote di Maometto cadde trafitto da trentatre colpi di lancia e di sciabola. Ne calpestarono i Barbari il corpo, e portarono la testa al castello di Cufa, ove l'inumano Obeidollah gli percosse colla canna la bocca. «Ahi! esclamò un vecchio Musulmano, su quelle labbra ho veduto le labbra dell'appostolo di Dio». Dopo tanti secoli, e in un clima sì diverso, una scena sì tragica dee movere a pietà il più freddo lettore197. Quanto a' Persiani, ricorrendo la festa di questo martire, celebrata ogni anno quando visitar sogliono in pellegrinaggio la sua tomba, s'abbandonano a tutta la frenesia del dolore e dello sdegno198.
Allora che le sorelle e i figli d'Alì carichi di catene furono tratti appiè del trono di Damasco, era stimolato il Califfo a estirpare una razza amata dal popolo, da lui offesa talmente da non isperare riconciliazione giammai; ma piacque a Yezid l'attenersi a più miti consigli, e quella sventurata famiglia fu rimandata in modo onorevole a Medina, perchè mescesse le sue lagrime a quello de' parenti. La gloria del martirio vinse il diritto di primogenitura; laonde i dodici Imani199, o pontefici, della religione persiana sono Alì, Hassan, Hosein e i discendenti di questo sino alla nona generazione. Senz'armi, senza tesori, senza sudditi, ottennero successivamente la venerazione del popolo, e suscitarono la gelosia dei Califfi. I devoti della lor Setta continuano a visitarne le tombe sia alla Mecca o a Medina, su le rive dell'Eufrate o nella provincia del Khorasan. Soventi volte il nome loro ha dato pretesto di sedizione o di guerra civile; ma quegli augusti santi ebbero in dispregio le vanità del Mondo, si sottomisero al volere di Dio e all'ingiustizia degli uomini, e consacrarono l'innocente vita allo studio e alla pratica della religione. Il duodecimo ed ultimo degl'Imani, distinto dal soprannome di Mahadi, o Guida, visse più solitario, e fu ancora più religioso de' predecessori. Celossi in una spelonca presso Bagdad, nè si sa l'epoca e il luogo della sua morte: dicesi da' devoti alla sua memoria che non morì, e che comparirà prima del giorno del Giudizio a distruggere la tirannide di Dejal o Anticristo200. Nello spazio di due o tre secoli era cresciuta la posterità di Abbas, zio di Maometto, sino a trentatremila persone201: può nella proporzione stessa essersi moltiplicata la razza d'Alì: superiore al primario e al più gran principe era l'ultimo individuo di quella famiglia, e i più insigni di loro avevansi per più perfetti degli angeli; ma la disgrazia della lor situazione, e la vastità dell'impero Musulmano aprivano una larga strada agli astuti o audaci impostori, che cercavano di acquistarsi un diritto con qualche preteso vincolo di parentela con quel santo legnaggio. Questo titolo vago ed equivoco ha consacrato lo scettro degli Almohadi in Ispagna, in Affrica, de' Fatimiti in Egitto ed in Siria202, de' Soldani dell'Yemen e de' Soffì della Persia203. Era pericoloso consiglio sotto il lor regno il contestarne la nascita; Moez, uno de' Califfi fatimiti, a cui si faceva una dimanda imprudente, rispose cavando la scimitarra: «Questa è la mia genealogia:» e gettando una manciata di monete d'oro a' soldati: «questa è la mia famiglia e i miei figli.» I veri o supposti discendenti di Maometto e d'Alì, tanto principi che dottori, nobili, mercadanti, mendichi, sono onorati co' titoli di Sheiks, di Sheriffi o d'Emiri. Nell'impero Ottomano si distinguono dagli altri per un turbante verde: hanno pensione dall'erario imperiale, non sono giudicati che dal loro Capo, e per quanto esser possano umiliati dalla fortuna, o dall'indole loro, sostengono sempre con fasto il titolo de' lor natali. Una famiglia di trecento persone, posterità pura e ortodossa del Califfo Hassan, s'è mantenuta senza macchia, e senza sospetto, nelle sante città della Mecca e di Medina, e con tutte le rivoluzioni di dodici secoli ha sempre avuta la custodia del tempio, e la sovranità nella patria degli avi suoi. Basterebbe la gloria o il merito di Maometto a nobilitare una razza di plebei, e il sangue sì antico de' Coreishiti vince la maestà d'assai più recente degli altri re della Terra204.
I talenti di Maometto son degni certamente dei nostri elogi, ma troppo si sono ammirati per avventura i trionfi che ottennero. È cosa da stupir tanto, se una folla di proseliti abbiano abbracciato la dottrina, e partecipato alle passioni d'un eloquente fanatico? Dal tempo degli appostoli sino a quello della riforma, tutti gli eresiarchi impiegarono le stesse arti di seduzione con pari successo. È dunque incredibile che un privato afferrasse la spada e lo scettro, soggiogasse i suoi concittadini, e colle sue armi vittoriose fondasse una monarchia? Nelle rivoluzioni delle dinastie dell'oriente, cento usurpatori da una bassa condizione si elevarono in alto, han vinto maggiori ostacoli, fatto più vasti conquisti, posseduto più ampli imperi. Sapea Maometto predicare del pari e combattere, e queste in apparenza opposte qualità, insieme accoppiate, ne accrescevano la gloria, e contribuivano al suo trionfo. Le varie armi della forza e della persuasione, del fanatismo e del timore, continuamente operando l'une coll'altre, ruppero infine tutte le barriere davanti alla invincibile loro potenza. La sua voce chiamava gli Arabi alla libertà e alla vittoria, alla guerra e alle rapine, al godimento, in questo Mondo e nell'altro, de' piaceri più gradevoli ad essi: le privazioni che impose erano necessarie a stabilire la riputazione del Profeta, e ad esercitare l'obbedienza del popolo; e la sua dottrina troppo ragionevole205 della unità e delle perfezioni di Dio, era la sola cosa che opporsi potesse a' suoi progressi. Non conviene fare le maraviglie che abbia introdotta, ma bensì che abbia renduta stabile la sua religione. Volsero dodici secoli, e i popoli d'una parte dell'India e dell'Affrica, e tutti i sudditi Turchi dell'impero Ottomano hanno conservata la purezza della dottrina da lui predicata a Medina e alla Mecca. Se tornassero nel Vaticano i santi appostoli Pietro e Paolo206 forse domanderebbero il nome della Divinità che si adora in quel tempio magnifico con tante cerimonie misteriose: meno sarebbero sorpresi dal culto d'Oxford o di Ginevra, ma sarebbero sempre astretti ad imparare il catechismo della Chiesa, e a studiare i lunghi commenti pubblicati sugli scritti loro e sulle parole del lor Maestro; ma la moschea di Santa Sofia rappresenta, peraltro con più magnificenza e maggiori proporzioni, l'umile tabernacolo innalzato a Medina per mano di Maometto. Tutti i Musulmani hanno resistito ad ogni tentativo d'avvilire gli oggetti della fede e divozion loro adattandoli a' sensi e all'immaginazione dell'uomo. «Credo in un solo Dio, e Maometto è il suo appostolo:» questa è la loro semplicissima e immutabile profession di fede. Non mai degradarono207 con alcun simulacro l'immagine intellettiva della Divinità; non mai gli onori tributati al Profeta eccedettero quelli meritati dalle umane virtù; e i precetti sempre vivi nel cuore dei suoi discepoli, hanno tenuta la gratitudine fra i confini della ragione e della religione. È bensì vero, che i Settari d'Alì hanno consacrata la memoria del loro campione, di sua moglie e de' figli: e pretendono taluni de' dottori persiani che l'Essenza divina siasi incarnata nella persona degl'Imani: ma da tutti i Sonniti si condanna come empietà questa superstizione, che finì di premunire il popolo dal culto de' Santi e de' Martiri. Le quistioni metafisiche su gli attributi di Dio, e su la libertà dell'uomo, furono dibattute nelle scuole de' Musulmani come in quelle de' Cristiani; ma presso i primi non accesero giammai le passioni della moltitudine, nè mai turbarono la quiete dello Stato. Forse nella separazione, o nell'unione, degli uffici sacerdotali e de' regii conviene cercare la cagione di questa notabile differenza. Era interesse de' Califfi, successori del Profeta e comandanti de' fedeli, reprimere e disanimare ogni novità religiosa: l'Ordine del clero, e la sua ambizione temporale o spirituale, son cose affatto sconosciute pe' Musulmani, e i sapienti della legge sono le guide della lor coscienza e gli oracoli della fede. Dal mare Atlantico al Gange, il Corano è tenuto pel codice fondamentale, non solo di teologia, ma di giurisprudenza civile e criminale, e l'infallibile ed immutabile sanzione della volontà di Dio mantiene le leggi regolatrici delle azioni e della proprietà degli uomini. Questa servitù religiosa ha qualche svantaggio in pratica: bene spesso l'ignorante legislatore de' Musulmani fu traviato da' pregiudizi propri e da quelli del suo paese, e le istituzioni fatte pel deserto dell'Arabia, ponno mal convenire, in molti casi, alla ricchezza e alla popolazione d'Ispahan e di Costantinopoli. Allora il Cadì si pone rispettosamente il libro sacro sul capo, e lo interpreta nella maniera più conforme alle massime dell'equità, ed ai costumi o alla politica del tempo.
Quando per fine si tratta d'esaminare quanto abbia fatto la dottrina di Maometto a danno, o a pro della sua patria, e i Cristiani e gli Ebrei più violenti, o più superstiziosi, concederanno sicuramente, che se quel Profeta attribuissi una falsa missione, nol fece che per introdurre una dottrina salutare; e solamente meno perfetta della loro. Piamente pose per cardine della sua religione la verità e la santità delle rivelazioni di Mosè e di Gesù Cristo, le virtù loro, i lor miracoli. Disparvero gl'idoli dell'Arabia in faccia al trono di Dio; fu espiato il sangue delle vittime umane coll'orazione, col digiuno, colla elemosina, lodevoli o per lo meno innocenti artificii della divozione, e Maometto dipinse i premii e le pene dell'altra vita sotto le immagini più adatte all'intelligenza d'un popolo ignorante e carnale. Era forse inetto a dettare un sistema sminuzzato di morale e di politica che acconcio fosse pe' suoi compatriotti; ma insinuava ne' fedeli uno spirito di carità e d'amore; raccomandava la pratica delle virtù sociali, e colle leggi, come co' precetti, reprimeva l'ardore della vendetta, e ostava alla oppressione degli orfani e delle vedove. La fede e l'obbedienza ricongiunsero le tribù disunite, e il valore, vanamente gittato sino a quel tempo in litigi domestici, energicamente si volse contro un estero nemico. Se meno forte fosse stato l'impulso, libera nell'interno l'Arabia, e formidabile al di fuori avrebbe potuto fiorire sotto una lunga serie di sovrani nativi del suo paese. Colla dilatazione e colla rapidità de' conquisti venne a perdere la sua sovranità; disperse furono in oriente e in occidente le sue colonie, e si mischiò il sangue degli Arabi con quello de' loro proseliti o de' prigionieri. Dopo il regno de' tre primi Califfi, fu trasportato il trono da Medina alla valle di Damasco e su le sponde del Tigri: da un'empia guerra violate furono le due città sante; si curvò l'Arabia sotto il giogo d'un suddito, forse d'uno straniero; e i Beduini del deserto, rinvenuti dalle speranze chimeriche da cui erano affascinati di dominare al di fuori, si restrinsero all'antica e solitaria loro independenza208.
CAPITOLO LI
Conquisto della Persia, della Siria, dell'Egitto, dell'Affrica e della Spagna, fatto dagli Arabi o Saraceni. Impero de' Califfi o successori di Maometto. Situazione de' Cristiani sotto quel governo.
A. D. 632
La rivoluzione dell'Arabia non avea cangiata l'indole dagli Arabi; la morte di Maometto fu segnale d'independenza, e sin dalle fondamenta crollò l'edifizio ancora mal fermo del suo potere e della sua religione. Solo un drappello fedele e poco numeroso, formato da' suoi primi discepoli, ne aveva intesa la voce eloquente, e divise con lui le angustie; con lui erano scampati dalla persecuzion della Mecca, o raccolti i fuggiaschi entro le mura di Medina. Que' milioni di uomini, che poi salutarono Maometto per loro Profeta e re, erano stati domati dalle sue armi, o sedotti dai suoi trionfi. L'idea semplicissima d'un solo Dio inaccessibile a' sensi, difficilmente entrava nel capo dei politeisti, e que' Cristiani o Giudei che s'erano dati all'Islamismo sdegnavano il giogo d'un legislatore mortale già lor contemporaneo. Le abitudini di fede e di ubbidienza non erano ben radicate, e fra i nuovi convertiti buon numero si dolea d'aver posposta la veneranda antichità della legge di Mosè, i riti e misteri della Chiesa cattolica, o gl'idoli, i sagrifici e le feste piacevoli del paganesimo professato dagli antenati. Non ancora un sistema d'unione e di subordinazione aveva acquetato il tumulto degli interessi e le liti ereditarie delle tribù Arabe; i Barbari non potevano sottomettersi alle leggi, anche più dolci e salutari, quando comprimevano le passioni loro o ne violavano i costumi. S'erano essi acconciati con repugnanza ai comandamenti religiosi del Corano, all'astinenza totale dal vino, al digiuno del Ramadan, e alle cinque orazioni quotidiane; e sotto altro nome non ravvisavano, nelle elemosine e nelle decime che si esigevano per l'erario di Medina, altro che un tributo perpetuo e ignominioso. L'esempio di Maometto avea destato uno spirito di fanatismo, e d'impostura, e lui vivente aveano molti de' suoi rivali osato imitarne il costume e affrontarne l'autorità. Il primo Califfo, co' suoi fuorusciti ed ausiliari, si vide ristretto alle città della Mecca, di Medina e di Tayef, e sembra che i Coreishiti avrebbero rimessi gl'idoli della Caaba, s'egli non ne avesse affrenata la leggerezza con questo rimbrotto: «Uomini della Mecca, diss'egli, sarete voi stati gli ultimi ad abbracciare l'Islamismo, e i primi ad abbandonarlo?» Dopo aver esortati i Musulmani a confidare nell'aiuto di Dio e del suo appostolo, risolvette Abubeker di prevenire con un vigoroso assalto la congiunzion de' ribelli. Ritirò le mogli e i figli nelle caverne e ne' monti: sotto undici bandiere marciarono i suoi guerrieri, sparsero il terrore delle lor armi per ogni dove, e da questa comparsa di nerbo militare ravvivò e rassodò la fedeltà de' credenti. Le tribù incostanti si sottomisero con umile pentimento all'orazione, al digiuno, all'elemosina, e dopo qualche buon esito, e qualche esempio di severità, i più arditi appostati si prostrarono davanti la spada del Signore e quella di Caled. Nella fertile provincia di Yemanah209, tra il mar Rosso e il golfo Persico, in una città inferiore a Medina, un Capo possente, di nome Moseilama, s'era vantato Profeta, e la tribù d'Hanifa aveva ascoltato le sue prediche. Queste attirarono presso lui una profetessa: non si degnarono que' due favoriti del cielo d'osservare la decenza delle parole e delle azioni, e passarono più giorni in un commercio mistico ed amoroso210. Una sentenza oscura del Corano di Moseilama è giunta sino a noi211, e nell'orgoglio inspiratogli dalla sua missione, degnò proporre a Maometto la divisione della Terra. Questi gli rispose con dispregio; ma i rapidi avanzamenti di Moseilama diedero grande apprensione al successor dell'appostolo. Quarantamila Musulmani raccolti sotto il vessillo di Caled esposero la loro religione alla sorte d'una battaglia decisiva. In un primo fatto d'armi furono respinti colla perdita di mille e dugento uomini; ma mercè dell'abilità e perseveranza del lor generale finirono col vincere, vendicarono la prima sconfitta col sangue di diecimila infedeli, e uno schiavo Etiope trafisse Moseilama colla chiaverina che ferì mortalmente lo zio di Maometto. Non andò guari che il vigore e la disciplina della monarchia nascente conculcarono i ribelli dell'Arabia, privi di Capi, o d'una causa comune che raccozzar li potesse, e così tutta la nazione s'attaccò di bel nuovo, e più saldamente che mai, alla religione del Corano. Prestamente dall'ambizione de' Califfi fu aperto il campo da esercitare il turbolento valore de' Saraceni; tutto il grosso delle milizie maomettane si raunò in una guerra santa, i cui successi ed ostacoli ne crebbero del pari l'entusiasmo e il coraggio.
Vedendo i rapidi conquisti de' Saraceni, s'inclina a credere che i primi Califfi comandarono personalmente gli eserciti de' fedeli, e cercarono nelle prime file la corona del martirio. Abubeker212, Omar213 e Othmano214 dimostrato avevano in fatti un gran coraggio nel tempo della persecuzione e delle guerre del Profeta, e dalla sicurezza che avevano essi d'ottenere il paradiso avranno imparato a non curare i piaceri, e i pericoli di questo Mondo. Ma erano vecchi, o avanzati in età, quando ascesero il trono, e s'avvisarono che le cure interne della religione e della giustizia fossero i primi doveri d'un sovrano. Trattone l'assedio di Gerusalemme, fatto in persona da Omar, i lor più lunghi viaggi furono le frequenti peregrinazioni che facevano da Medina alla Mecca. Le notizie di vittoria li trovavano a pregare, o a predicare tranquillamente dinanzi alla tomba del Profeta. L'austerità e frugalità della vita erano effetto sia di virtù, sia d'abitudine, e la lor orgogliosa semplicità insultava la vana magnificenza de' re della Terra. Quando Abubeker cominciò ad esercitare la carica di Califfo, ingiunse ad Ayesha sua figlia di fare un inventario esatto del suo patrimonio, acciocchè si vedesse se diverrebbe ricco o povero al servigio dello Stato. Credè di poter chiedere per suo stipendio tre pezze d'oro, e il conveniente mantenimento d'un cammello e d'uno schiavo nero. Nel venerdì d'ogni settimana soleva distribuire quanto gli rimaneva d'averi propri, e del danaro pubblico, primamente a' Musulmani più virtuosi, poscia a' più indigenti. Alla sua morte, un vestito grossolano e cinque pezze d'oro componevano tutta la sua ricchezza: furono rimesse al suo successore che fu tanto modesto da dire sospirando, lui disperare di assomigliarsi mai ad un modello sì mirabile. Nondimeno non furono minori delle virtù d'Abubeker l'astinenza e l'umiltà d'Omar: cibavasi di pane d'orzo e di datteri, non beveva che acqua, predicava vestito d'un abito forato in dodici luoghi; e un satrapo di Persia, che venne a fare omaggio al vincitore, lo trovò addormentato fra i mendichi su i gradini della moschea di Medina. L'economia è la fonte della liberalità, e l'aumento delle rendite permise ad Omar di fondare premii durevoli per li servigi passati e presenti. Senza curarsi del suo personale mantenimento, assegnò ad Abbas, zio del Profeta, un'entrata di venticinquemila dramme o pezze d'argento; fu la maggiore di tutte; se ne promisero cinquemila ogni anno a ciascheduno de' vecchi guerrieri ch'erano stati alla battaglia di Beder, e l'ultimo compagno di Maometto fu ricompensato con un trattamento annuo di tremila dramme. Mille ne decretò a' veterani che aveano combattuto contro i Greci e i Persiani nella prima battaglia, e regolò gli altri soldi in ragion decrescente sino a cinquanta pezze, secondo il merito e l'anzianità dei soldati. Sotto il regno di lui e del suo predecessore, i vincitori dell'oriente si manifestarono zelanti servi di Dio e della nazione: erano consacrati i danari pubblici alle spese della pace e della guerra. Saggiamente accoppiate, la giustizia e la generosità serbarono la disciplina de' Saraceni, e, per una sorte assai rara, collegarono la speditezza e l'energia alle massime d'eguaglianza e di frugalità d'un governo repubblicano. Il coraggio eroico d'Alì215, la saviezza specchiata di Moawiyah216, accesero l'emulazione ne' sudditi, e i saggi, che s'erano istruiti nelle discordie civili, furono più profittevolmente impiegati a propagare la fede e l'impero del Profeta. Ma ben tosto datisi all'inerzia e alle vanità della reggia di Damasco, i principi della casa d'Ommiyah parvero ad un tempo scemi de' talenti politici, e delle virtù esemplari217. Nondimeno si recavano di continuo al piè del loro trono le spoglie di nazioni ad essi sconosciute, e debbe attribuirsi l'incremento costante della potenza degli Arabi piuttosto al coraggio della nazione, che al merito de' suoi Capi. Certamente convien valutare per molto ne' trionfi loro la debolezza de' nemici. Era nato per avventura Maometto ne' giorni in cui estremo era il digradamento e la confusione fra i Persiani, i Romani, e i Barbari dell'Europa. L'impero di Traiano, o quello pure di Costantino o di Carlomagno, avrebbe respinto que' Saraceni seminudi, e il torrente del fanatismo si sarebbe disperso e dileguato nelle arene deserte dell'Arabia.
Al tempo delle vittorie della repubblica Romana, avea sempre avuto cura il senato di unire in una sola guerra tutte le sue forze e i suoi artificii politici, e di abbattere totalmente il primo nemico prima di provocare un secondo. Fosse magnanimità o entusiasmo, sdegnarono i Califfi arabi queste massime timorose: con ugual vigore, e con pari fortuna invasero i demani de' successori d'Augusto, non che quelli de' successori d'Artaserse, e le due monarchie rivali divennero in un punto stesso la preda d'un nemico, che da tanto tempo solevano dispregiare. In tutti i dieci anni del regno d'Omar sottomisero i Saraceni trentaseimila città o castella: demolirono quattromila chiese o templi di miscredenti, ed alzarono mille e quattrocento moschee per l'esercizio del culto di Maometto. Un secolo dopo la sua fuga dalla Mecca, i suoi successori davano la legge dalle frontiere dell'India all'oceano Atlantico; 1. alla Persia, 2. alla Sorìa, 3. all'Egitto, 4. all'Affrica, 5. alla Spagna. Io m'atterrò a questa partizion generale nel racconto di tanti memorandi conquisti: narrerò brevemente quelli che si riferiscono alle contrade più remote, e meno ragguardevoli dell'oriente: sarò più prolisso per quelle che erano porzioni dell'impero Romano. Ma per ottenere qualche scusa all'imperfezione di questa parte della mia Opera, deggio a buon dritto lagnarmi della cecità, e della insufficienza delle guide, a cui sono stato ridotto. I Greci, tanto verbosi nella controversia, pochissima cura posero nel celebrare i trionfi de' lor nemici218. Il primo secolo dell'Islamismo fu epoca d'ignoranza, e allora quando sulla fine di quel secolo furono scritti i primi annali de' Musulmani, non si fece in gran parte che seguire la tradizione219. Fra le tante opere della letteratura Araba e della Persiana220, i nostri interpreti scelsero gli abbozzi imperfetti che riguardavano un periodo più moderno221. Gli Asiatici sono ignari dell'arte e dello spirito della Storia222; ignorano le leggi della critica: quelle tra le lor opere che ebbero maggior fama, manchevoli d'ogni filosofia e del menomo sentimento di libertà, ponno compararsi alle cronache pubblicate a que' giorni da' Monaci. La Biblioteca Orientale, di cui andiam debitori ad un Francese223, istruirebbe il più dotto Muftì dell'oriente, e forse gli Arabi non troverebbero in un solo de' loro storici un racconto delle glorie patrie più chiaro ed esteso di quello, che siamo per esporre.
A. D. 632
I. Nell'anno primo del regno del primo Califfo, Caled, suo Luogo-tenente, Spada di Dio, e flagello degl'infedeli, s'inoltrò sino alle sponde dell'Eufrate, e sommise le città d'Anbar e di Hira. Una tribù d'Arabi sedentari s'era collocata su la frontiera del deserto, all'occidente delle ruine di Babilonia, e in Hira risedeva una stirpe di re che abbracciato avevano il cristianesimo, e che da più di sei secoli regnavano all'ombra del trono della Persia224. Da Caled fu sconfitto e morto l'ultimo de' principi Mondari; il suo figlio prigioniero fu mandato a Medina; i suoi Nobili piegarono le ginocchia davanti al successor di Maometto: fu sedotto il popolo dall'esempio e dalle vittorie de' suoi concittadini, e per primo frutto di sue conquiste ricevette il Califfo un annuo tributo di settantamila monete di oro. Sbalorditi rimasero i vincitori, e i loro storici ancora, da questo primo lampo di futura grandezza. «Nell'anno stesso, scrive Elmacin, diede Caled molte grandi battaglie: fece immensa strage d'infedeli, e un'innumerevole quantità di spoglie preziosissime cadde in balìa de' vittoriosi Musulmani»225. Ma all'invitto Caled sorvenne ben presto l'impegno della guerra di Sorìa: capitani meno operosi e meno avveduti diressero l'invasione della frontiera di Persia. Respinti furono con gran perdita i Saraceni al passo dell'Eufrate: è bensì vero che punirono l'insolenza de' Magi, ma fu poi ridotto il rimanente del loro esercito a vagare qua e là nel deserto di Babilonia.