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Kitabı oku: «Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 12», sayfa 10

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A. D. 1204-1458

Dopo alcuni secoli che i Greci erano stati dimenticati, l'invasione dei Latini non li ridestò che per sottometterli a nuovi disastri. Durante due secoli e mezzo che trascorsero fra la prima e l'ultima conquista di Costantinopoli, una moltitudine di tirannetti si disputò la venerabile greca contrada. Le sue antiche città erano in preda a tutti i mali delle guerre civili e straniere, senza che i vantaggi almeno del genio e della libertà li confortasse; a tal che, se la servitù è da preferirsi all'anarchia, la Grecia non dee dolersi di riposare sotto il giogo degli Ottomani. Non mi accingerò presentemente a tessere l'oscura storia delle diverse dinastie che successivamente sorsero e caddero sul continente e nell'isola, ma un senso di gratitudine verso il primitivo soggiorno delle Muse e della filosofia dee far sì che ciascun istrutto leggitore prenda parte al destino di Atene254. Nel parteggiamento dell'Impero, il principato di Atene e di Tebe era stato dato in ricompensa ad Ottone De la Roche, nobile guerriero della Borgogna255, che governò col titolo di Gran Duca256, al qual titolo i Latini attribuivano un particolare significato, e i Greci una ridicola origine che fino ai giorni di Costantino ascendea257. Il ridetto Ottone seguiva gli stendardi del Marchese di Monferrato; e il figlio e due pronipoti del medesimo conservarono tranquillamente il vasto patrimonio, che o per un miracolo di buona condotta, o per fortuna era stato acquistato dal Capo di lor famiglia258, sino al momento in cui l'erede di tale famiglia contrasse tai nozze, che senza distoglierlo dalle mani de' Francesi lo trasportarono nel ramo primogenito della Casa di Brienne. Gualtieri di Brienne, nato da questo maritaggio, e succeduto alla madre nel ducato d'Atene, prese al suo servigio alcuni mercenarj Catalani, che presentati di feudi dal Gran Duca, lo fecero padrone di più di trenta castelli, spettanti dianzi a diversi Nobili, o vassalli del principato d'Atene, o che solamente vi confinavano. Avvertito Gualtieri dell'avvicinamento e delle intenzioni della Grande Compagnia adunò settecento cavalieri, seimila sergenti, e circa ottomila uomini di fanteria, a capo delle quali truppe corse incontro al nemico sino alle rive del Cefiso in Beozia. Comunque le forze dei Catalani non sommassero che a tremila cinquecento uomini a cavallo, e a quattromila fanti, la buona disciplina e l'astuzia lor tenea luogo di numero; laonde avendo essi innondati artifizialmente i dintorni del proprio campo, e il Gran Duca, seguìto dai suoi cavalieri essendosi innoltrato senza timore, nè cautela nel mezzo di quella valle, i cavalli affondarono nella melma, e la maggior parte della francese cavalleria fu tagliata a pezzi. Scacciati della Grecia i Francesi, e la famiglia di Gualtieri, il figlio di lui, di nome parimente Gualtieri, Duca titolare d'Atene, tiranno di Firenze e Contestabile di Francia, ne' campi di Poitiers perdè la vita. I vittoriosi Catalani, scompartitisi fra loro l'Attica e la Beozia, sposaron le vedove e le figlie de' vinti, e per quattordici anni la Grande Compagnia fece tremare tutta la Grecia. Ma dilacerata da intestine discordie, si vide alla necessità di riconoscere un Sovrano nel Capo della famiglia di Aragona; per lo che sino alla fine del secolo XIV, i Re di Sicilia arbitrarono sopra Atene, siccome governo, o appannaggio spettante ai loro dominj. Dopo de' Francesi e de' Catalani, la famiglia Acciaiuoli, plebea a Firenze, possente a Napoli, sovrana in Grecia, fondò la terza dinastia e abbellì di nuovi edifizj Atene, divenuta capitale d'un regno, che comprendeva Tebe, Argo, Corinto, Delfo e una porzione della Tessaglia. Ma questo governo disparve per l'armi vincitrici di Maometto II, che fece strozzare l'ultimo Gran Duca, e allevarne i figli nella disciplina e religione del Serraglio.

Benchè oggidì non rimanga che l'ombra di Atene259, cotesta città contiene tuttavia otto o diecimila abitanti. I tre quarti son Greci di lingua e di religione; il rimanente Turchi, che contraendo vincoli di consuetudine co' primi hanno alquanto mansuefatto l'orgoglio e la gravità nazionale. L'olivo, dono di Minerva, verdeggia tuttavia nelle campagne dell'Attica, e il mele del monte Imeto, nulla ha perduto del suo squisito profumo260. Ma il commercio ivi languisce, e sta affatto nelle mani degli stranieri: la coltura di quello sterile territorio è abbandonata agli erranti Valacchi. Ciò nullameno gli Ateniesi si contraddistinguono tuttavia per acume e vivacità d'ingegno, ma son tai vantaggi, che, se non li regola, o coltiva lo studio, se il sentimento della libertà non li nobilita, tralignano in una vil propensione all'inganno; quindi è che gli abitanti di que' dintorni hanno adottato il proverbio. «Dio ne liberi dagli Ebrei di Tessalonica, dai Turchi di Negroponte, dai Greci di Atene.» Di fatto questo scaltrito popolo ha evitata la tirannide dei Pascià, mediante un espediente, che mitigandone la schiavitù, ha fatto maggiore l'obbrobrio della nazione. Verso la metà dello scorso secolo, gli Ateniesi scelsero per loro protettore il Kislar-Agà, ossia Capo degli eunuchi negri del Serraglio; e a questo schiavo di Etiopia, che gode di molta confidenza presso il Gran Signore, porgono un annuale tributo di trentamila scudi. Il Vevoda, luogotenente del Kislar-Agà, che per mantenersi nella sua carica, debbe esservi confermato ogni anno dal suo superiore, ha il diritto di gettare un'imposta d'altri cinque, o seimila scudi che sono per lui; e tale è l'accorta politica degli Ateniesi, che arrivano quasi sempre a far punire, o rimovere un Governatore contro del quale abbiano motivi di querelarsi. Nelle particolari loro contese prendono per giudice l'Arcivescovo, il più ricco di tutti i prelati della Chiesa greca, che gode una rendita di circa mille lire sterline. Evvi inoltre un tribunale di otto geronti, ossia vecchi scelti negli otto rioni della città. Le famiglie nobili non possono provare autenticamente una nobiltà più antica di tre secoli, ma i primarj fra essi distinguonsi ostentando portamento grave, la lor berretta foderata di pellicia, e il pomposo nome di Arconti. Coloro che si dilettano di trovare per ogni dove le antitesi, ne vogliono dar a credere che l'odierno gergo degli Ateniesi sia il più barbaro di tutti i settanta dialetti greci corrotti261. Avvi per vero dire esagerazione in ciò; ma non sarebbe cosa sì facile, nella patria di Platone e di Demostene, il trovare un leggitore degli ammirabili componimenti di questi sommi uomini, o forse neppure una copia di questi scritti medesimi. Gli Ateniesi calpestano con insultante indifferenza le gloriose rovine dell'Antichità, giunti a tal grado d'invilimento che li rende perfino incapaci di ammirare la sublimità delle menti de' loro predecessori262.

CAPITOLO LXIII

Guerre civili e rovine dell'Impero greco. Regni di Andronico il Vecchio, di Andronico il Giovane, e di Giovanni Paleologo. Reggenza, sommossa, regno e rinunzia di Giovanni Cantacuzeno. Fondazione di una colonia genovese a Pera e a Galata. Guerre de' Coloni contro l'Impero e la città di Costantinopoli.

A. D. 1282-1320

Il lungo regno di Andronico il Vecchio263 non è memorabile che per le dispute della Chiesa greca, per l'invasione de' Catalani, per l'aumento della grandezza ottomana. Benchè questo Principe sia stato celebrato come il sovrano più dotto e virtuoso del proprio secolo, la sua scienza e virtù non contribuirono nè a far lui più perfetto, nè a rendere più felice la società. Schiavo di assurdissime superstizioni, sempre trovandosi in mezzo a nemici, or reali, or fantastici, la sua immaginazione non era meno ferita dal timore delle fiamme dell'inferno,264 che da quello de' Turchi o de' Catalani. Fu sotto il regno di Paleologo che la elezione di un patriarca riguardavasi come il più serio affar dello Stato. I Capi della Chiesa greca erano frati ambiziosi e fanatici, spregevoli e funesti egualmente pei lor vizj e per le loro virtù, per la loro ignoranza e per la loro dottrina. I rigorosi precetti del Patriarca Atanasio265 mossero a sdegno il popolo e il clero, perchè fu udito intimare ai peccatori la necessità di bere sino al fondo il calice della penitenza, e sopra di lui spargeasi la ridicola novelletta dell'asino sacrilego, che egli punì per averlo trovato mangiando una lattuga nell'orto d'un chiostro. Scacciato il Patriarca dalla sua cattedra per calmare le pubbliche grida, compose prima di ritirarsi due scritti di un tenore affatto contraddittorio, perchè l'un d'essi, che era il suo testamento pubblico, spirava soltanto rassegnazione e carità: l'altro, codicillo particolare, lanciava tremendi anatemi sugli autori della sua disgrazia, escludendoli per sempre dalla comunione della Santissima Trinità, de' Santi e degli Angeli; il quale ultimo scritto, rinchiuso entro una pentola di terra, egli fece depositare sull'alto di un pilastro della cupola di S. Sofia, sperando che tal suo decreto, venendo un giorno alla luce, lo vendicasse. Di fatto, dopo quattro anni, alcuni fanciulli arrampicandosi sopra scale da architetti per cercar nidi di colombi, il fatale segreto scopersero; onde Andronico che si trovava compreso nella scomunica, tremò sull'orlo dell'abisso perfidamente scavato sotto i suoi passi. Fatto immediatamente assembrare un sinodo di vescovi a fine di discutere questo punto importante, venne unanimemente riprovato quell'impeto di stizza che avea suggerito il clandestino anatema al Prelato; ma poichè la forza di un anatema non poteva essere sciolta che da chi l'avea pronunziato, e un Patriarca rimosso dalla sua sede non godea la facoltà di concedere una tale assoluzione, si giudicò non esservi potenza sulla terra che potesse togliere il suo valore a quella sentenza. Venne costretto l'autor del disordine a manifestare qualche debole contrassegno di aver perdonato, e di essere pentito di quell'atto del proprio sdegno; ma non quindi tranquilla la coscienza dell'Imperatore, il debole principe non desiderava, men d'Atanasio medesimo, di veder riascendere il soglio patriarcale a quel solo Prelato che gli poteva restituire la pace. Nel mezzo di una notte, un frate dopo avere urtato aspramente contro la porta della stanza ove l'Imperatore dormiva, gli annunziò una rivelazione di peste, fame, tremuoto e innondazione. Atterrito Andronico, balza dal letto, passa il rimanente della notte in preghiere, e intanto sentì o gli parve sentir tremare la terra. Immantinente, seguìto da un corteggio di Vescovi, si trasferì alla celletta di Atanasio, e questo Santo, per opera di cui era il messaggio che aveva empiuto di spavento l'Imperatore, dopo essersi fatto convenevolmente pregare, acconsentì di assolvere il Principe e di ritornare al governo della Chiesa di Costantinopoli; ma invece che le passate disgrazie ne avessero ammollito l'animo, l'indole sua era divenuta ancor più aspra nella solitudine, onde il pastore si fece nuovamente abborrire dalla sua greggia. I nemici di lui idearono e misero ad effetto un metodo singolar di vendetta. Levato di notte tempo lo strato che stava a piedi della sua cattedra, tornarono indi a metterlo a suo luogo, coll'aggiunta di un disegno in caricatura che rappresentava il Sovrano colla briglia in bocca, e Atanasio che tenendo le redini, conducea la docile bestia a' piè dell'altare. Scoperti gli autori dell'insulto vennero puniti, ma non colla morte; laonde il Patriarca sdegnato perchè gli parea troppo mite la pena, cercò una seconda volta la sua celletta, e Andronico aperse gli occhi per un istante, ma tornò poi a chiuderli sotto il successor di Atanasio.

Se nel durare d'un regno di cinquant'anni non sono accadute bisogne più rilevanti di questa or raccontata, non posso almeno dolermi della scarsezza di materiali, allorchè riduco in poche pagine gli enormi volumi in foglio di Pachimero266, di Cantacuzeno267 e di Niceforo Gregoras268, autori della prolissa e languida Storia di que' giorni. Il nome di Giovanni Cantacuzeno, e le circostanze, fra le quali questo Principe si trovò, son fatte certamente per chiamare sugli scritti del medesimo una viva curiosità. Ma ne' suoi Comentarj che comprendono un intervallo di quarant'anni dalla ribellione d'Andronico il Giovine, fino al momento in cui rassegnò egli stesso l'impero, si è dovuto osservare essere egli, non men di Cesare e di Mosè, l'attor principale delle scene che imprende a descrivere; e per altra parte nella sua eloquente opera cercheremmo invano la sincerità d'un eroe, o d'un penitente. Benchè ritirato in un chiostro, e lontano dai vizj e dalle passioni del secolo, egli ne ha offerto meno una confessione che una apologia della vita di un ambizioso politico. Anzichè dipingere i caratteri e i divisamenti de' suoi personaggi, ne presenta soltanto agli sguardi, una superficie speciosa e sfumata degli avvenimenti, colorita dalle lodi che dispensa a sè medesimo e a suoi partigiani. I motivi di questa gente son sempre puri, i fini, legittimi; se cospirano, se ribellano, nol fanno mai con mire di interesse, le violenze o commesse, o tollerate da essi sono atti lodevoli, son naturali conseguenze della ragione e della virtù.

A. D. 1320

Ad imitazione del primo fra i Paleologhi, Andronico il Vecchio collegò agli onori della porpora il proprio figlio Michele; riguardato, dalla età di diciotto anni fino alla sua morte immatura (intervallo di cinque lustri) come secondo Imperatore de' Greci269. Condottiero degli eserciti nè diede ai nemici inquietudine, nè gelosie alla Corte: incapace di colpevoli desiderj, non calcolò mai gli anni della vita del padre, nè questo padre o ne' vizj, o nelle virtù del figlio trovò motivi di pentirsi d'averlo innalzato. Il figlio di Michele portava il nome dell'avolo Andronico, che per questa circostanza lo avea preso di buon'ora in grandissimo affetto; e lo spirito e l'avvenenza del giovinetto accrebbero la tenerezza del vecchio, venuto nella speranza che i suoi voti delusi nel primo suo discendente, sarebbero nel secondo compiuti. Questo nipote adunque fu educato nella reggia, come erede dell'Impero e favorito dell'Imperatore, e ne' giuramenti e nelle acclamazioni del popolo, i nomi del padre e del figlio e del pronipote formavano un'augusta Trinità. Ma tale immatura grandezza ben presto corruppe Andronico, il quale con puerile impazienza considerava il doppio ostacolo che poneasi, e potea opporsi per lungo tempo, agli slanci della sua ambizione. Non che la sete di ottenere gloria, o di potere adoperarsi alla felicità de' suoi popoli, questa sua impazienza movesse; perchè la ricchezza e l'impunità delle azioni erano agli occhi di lui le più preziose prerogative di cui godesse un Monarca. Laonde incominciò a farsi conoscere qual era colla domanda di alcune fertili e ricche isole, ove poter condurre la sua vita in seno alla independenza e ai piaceri; diede indi motivi di scontento all'Imperatore pe' clamorosi disordini che, grazie alle sregolatezze del medesimo, turbavano la Capitale. Avendo egli preso ad imprestito dai Genovesi di Pera quelle somme di danaro che la parsimonia dell'avo gli ricusava, intantochè questi debiti gli avean giovato ad assicurarsi una fazione di partigiani, erano cresciuti a tale che solamente una rivoluzione pagar li poteva. Una donna avvenente e di chiari natali, ma pe' suoi costumi vera cortigiana, avea fornite le prime lezioni d'amore al giovine Andronico, e venuto questi in sospetto che ella ricevesse di notte tempo un rivale, pose in agguato dinanzi alla casa della medesima le proprie guardie, che trapassarono colle lor frecce un estranio mentre passava per quella strada; estranio che fu riconosciuto da lì a poco essere il principe Manuele, il quale più non si riebbe, ed infine morì per gli effetti di quella ferita. Otto giorni dopo tal morte, Michele la cui salute era andata declinando continuamente, morì deplorando la perdita d'un figlio, il traviamento dell'altro270. Benchè l'intenzione del giovine Andronico nella morte del fratello non fosse concorsa, ei non dovea riguardar meno, e in questa e in quella del padre gli effetti della sua viziosa condotta; onde gli uomini capaci di meditare e sentire videro con profondo dolore come il ridetto Principe, anzichè manifestare tristezza o rimorsi, dissimulava a fatica la gioia per trovarsi libero da due competitori. Tai funesti avvenimenti, e altri disordini che accaddero ancora, distolsero a grado a grado dal nipote l'animo dell'avolo che dopo avere sperimentati vani i consigli e i rimproveri, trasportò sopra un terzo figlio del defunto Michele le sue speranze ed affezioni271; cambiamento politico che venne annunziato col chiamare il popolo a dar nuovo giuramento di fedeltà al Sovrano, ed al successore al trono che questi disegnerebbe. Al mal umore manifestato dall'escluso si unirono nuove colpe, per le quali, tornando sempre indarno i rimproveri, all'ignominia di un processo pubblico si vide esposto. Ma quando stava per profferirsi la sentenza, che forse avrebbe condannato il colpevole a condurre il rimanente de' suoi giorni rinchiuso in un carcere, o in un monastero, l'Imperatore ricevè la notizia che i partigiani armati del nipote, tutti i cortili del palagio tenevano. Allora acconsentì a cambiare il solenne giudizio in un Trattato di riconciliazione, la qual vittoria incoraggiò a nuove colpe il giovane Andronico e i suoi amici.

Ciò nullostante la Capitale, il Clero e il Senato parteggiando tuttavia pel vecchio Imperatore o almeno pel suo governo, i turbolenti non poteano fondare le loro speranze di trionfare e di rovesciare il trono che sopra la fuga e il soccorso degli stranieri. Il Gran Domestico, Giovanni Cantacuzeno era l'anima della colpevole impresa. Dal punto che egli abbandonò fuggendo Costantinopoli, incominciano i suoi Comentarj e gli atti che lo danno a conoscere. Il suo amore verso la patria, è egli solo che il lodi; quanto poi allo zelo e alla destrezza di cui diè prova a favore del suo protetto, anche uno Storico della parte contraria gli rende giustizia. Il giovine Andronico adunque fuggito dalla Capitale col pretesto di andare alla caccia, spiegò, giunto ad Andrinopoli lo stendardo della ribellione, ed ebbe in breve sotto di sè un esercito di cinquantamila uomini, che, per sentimento di dovere o di onore, contra i Barbari non avrebbero prese l'armi. Una forza sì ragguardevole era quanto bastava per salvar l'Impero, o per imporgli la legge; ma dominando la discordia ne' consigli de' ribellanti, procedeano lenti ed incerti, intanto che la Corte di Costantinopoli con sorde pratiche e negoziati le costoro fazioni impacciava. Laonde avvenne che i due Andronici durarono sette anni protraendo, sospendendo, rinovando le disastrose loro contestazioni. Con un primo Trattato si spartirono fra loro gli avanzi dell'impero, rimanendo Costantinopoli, Tessalonica e le isole al vecchio Andronico, e divenendo il Giovine indipendente Sovrano di quasi tutta la Tracia, da Filippi fino alle pertenenze di Bisanzo. Mediante un secondo Trattato (A. D. 1325) il giovine Andronico si assicurò l'immediata incoronazione, il pagamento di quanto era dovuto al suo esercito, un parteggiamento eguale di rendite e di potere coll'avo. Colla sorpresa di Costantinopoli e colla ritirata definitiva del vecchio Andronico terminando la terza guerra civile, il giovine vincitore tenne solo l'Impero. La ragione di tali lentezze può trovarsi esaminando il carattere degli uomini e l'indole del secolo. Allorchè l'erede del trono fe' palesi i primi torti che avea ricevuti e i timori concetti, i popoli lo ascoltarono con sollecitudine e gli fecero plauso. I messi del giovine ribelle notificarono per ogni dove che il nuovo Sovrano avrebbe aumentati gli stipendj delle milizie e alleggeriti di una parte di tasse i suoi sudditi; nè si badò, come queste due promesse si distruggessero l'una coll'altra. Tutti gli abbagli commessi durante un regno di quarant'anni apparvero buone ragioni per una sommossa: e la nuova generazione vedea con dispetto protraersi all'infinito il regno d'un Principe, le cui massime e i favoriti a un altro secolo apparteneano, e la vecchiezza del quale non inspirava rispetto, perchè mancò d'energia la sua gioventù. Di fatto le pubbliche tasse fruttandogli una rendita di cinquecentomila libbre d'oro, e facendolo il più ricco di tutti i Principi cristiani, egli non era stato capace di mettere in armi tremila uomini a cavallo e trenta galee per impedire i progressi e i devastamenti de' Turchi; laonde il suo nipote Andronico soleva esclamare272. «Oh! come è diversa la mia condizione da quella del figlio di Filippo! Alessandro si dolea che suo padre non gli lascerebbe nulla da conquistare; quanto a me, il mio avo non mi lascerà nulla da perdere.» Ma i Greci ben tosto s'avvidero non essere la guerra civile un buon rimedio ai mali che li premevano, nè trovarsi nel giovane da lor prediletto le qualità necessarie a divenire il salvatore di un Impero che declinava. Alla prima sconfitta che questi soffersero, la fazione de' suoi incominciò a sciogliersi per la spensieratezza del condottiero, per le discordie che insorsero fra i partigiani, e per le pratiche della vecchia Corte che seppe indurre i mal contenti a far diffalte o a tradire la causa de' ribelli. Andronico il Giovane lasciatosi vincere dai rimorsi, già stanco degli affari, ingannato fors'anche dalle negoziazioni, o più avido di piaceri che di possanza, calò a patti sì fattamente che l'ottenuta facoltà di mantenere mille cani da caccia, mille falchi, e mille cacciatori, bastò a disarmare la sua ambizione, come a coprir d'obbrobrio il suo nome.

Consideriamo ora la catastrofe di questo intreccio sì avviluppato, e lo stato definitivo de' principali personaggi273. Andronico l'avo trascorse tutta la vecchiezza in mezzo alle civili discordie; i variati eventi della guerra, o de' Trattati lo diminuirono a mano a mano e di potere e di fama, sino alla fatal notte in cui il giovine Andronico s'impadronì, senza trovar resistenza, della città e della reggia. Il Comandante in capo disdegnando gli avvisi che sull'imminente pericolo gli venivano dati, dormiva tranquillamente sul proprio letto abbandonandosi ad una sicurezza figlia dell'ignoranza, intanto che il debol Monarca, non mai sgombro l'animo d'inquietudini, stavasi in mezzo alle sue turbe di paggi e d'ecclesiastici. Non andò guari che i suoi terrori prendendo un fondamento reale, si udirono per ogni intorno le acclamazioni che gridavano il nome e la vittoria dal giovine Andronico. Prostrato a' piedi di una immagine della Madonna, inviò umilmente messi per consegnare lo scettro al vincitore e chiedergli in dono la vita. Convenevole e rispettosa fu la risposta di questo: egli s'incaricava, dicea, del governo per arrendersi ai voti del popolo; ma non quindi il suo avo rimarrebbe privo della propria dignità e supremazia. Il vincitore gli lasciava il suo palagio, assegnandogli ventiquattromila piastre d'oro, la metà della qual somma l'imperiale erario avrebbe fornita, l'altra metà si leverebbe dalle pesche di Costantinopoli. Ma spogliato Andronico del potere, cadde ben presto in dimenticanza e in dispregio. Il silenzio del suo palagio non era più interrotto che dalle bestie domestiche e dai polli del vicinato che i cortili solitarj ne ingombravano impunemente. Il suo assegnamento fu ridotto a diecimila piastre d'oro274 che a stento gli venivan pagate. Ad aggravarne i patimenti si aggiunse l'indebolimento della vista. Ciascun giorno, diveniva più rigorosa la sua prigionia; e nel tempo di un'assenza e di una infermità del suo nipote, i barbari carcerieri con minaccia di morte il costrinsero a dimettere la porpora per abbracciare l'abito e la professione monastica. Il frate Antonio (che l'infelice assunse un tal nome) avea bensì rinunziato alle vanità del Mondo, ma si trovò alla necessità di chiedere che la sua rozza lana da frate fosse foderata di pelliccia per difendersi dai rigori del verno: il vino gli era proibito dal confessore, l'acqua dal medico; onde fu obbligato a non usar d'altra bevanda fuor del sorbetto d'Egitto; e l'antico Imperator de' Romani, non senza fatica giunse a procurarsi tre o quattro piastre d'oro per provvedere a sì modesti bisogni. Se poi è vero che di questo poco danaro egli si valse ad alleviare i mali d'un amico che si trovava in angustie anche maggiori, un tal sagrifizio non è privo di merito agli occhi della religione e della umanità. Quattro anni dopo la sua rinunzia, Andronico, ossia frate Antonio, spirò nella sua celletta in età di settantaquattro anni, e quanto gli poterono promettere gli ultimi discorsi dell'adulazione si stette in una corona più splendida di quella che in questo corrotto Mondo aveva portata275.

A. D. 1332

Il regno di Andronico il Giovane non fu nè più glorioso, nè più fortunato di quello dell'avo276. Non godè che per pochi istanti, e misti di amarezza, i frutti della sua ambizione. Spogliatosi nell'ascendere il trono, di quanto dell'antica popolarità rimanevagli, allora i difetti dell'indole sua si scorsero più chiaramente. I lamenti del pubblico contro di lui lo costrinsero a guerreggiare in persona i Turchi; nè nell'istante del pericolo difettava già di coraggio; ma dalla sua spedizione non riportò miglior trofeo di una ferita, e gli Ottomani vincitori consolidarono vie più la loro monarchia. Giunti all'estremo i disordini della amministrazione civile, la sprezzante negligenza con cui Andronico riguardava le consuetudini della nazione, lo trasse ad introdurre riforme nel modo di vestire del paese, cosa che i Greci deplorarono, come funesto sintomo dello scadimento dell'Impero. Gli stravizj della gioventù gli avevano affrettata l'età de' malori; onde riavutosi appena, fosse per opera della natura, o de' medici, o d'un miracolo della Beata Vergine, da una pericolosissima infermità, morì quasi d'improvviso giunto al quarantacinquesimo anno della sua vita. Ebbe due mogli, alemanna l'una, italiana l'altra, perchè i progressi de' Latini, così nell'arti come nella guerra, aveano mitigati i pregiudizj della Corte di Bisanzo. La prima di queste, conosciuta nella sua patria col nome d'Agnese, e con quello d'Irene in Grecia, era figlia del Duca di Brunswick. Il padre della medesima,277 picciolo Sovrano278 d'un paese povero e selvaggio del Nort dell'Alemagna279, traeva qualche rendita dalla sue mine d'argento280, benchè i Greci ne abbiano esaltata la famiglia, come la più antica e la più nobile fra le schiatte teutoniche281. Morta Irene non lasciando prole, Andronico sposò Giovanna sorella del Conte di Savoia282, negata, per maritarla ad un Imperator greco, al Re di Francia283. Il Conte, onorando in sua sorella il titolo d'Imperatrice, la fe' accompagnare da numeroso seguito di nobili donzelle e di cavalieri: fu rigenerata e coronata nella chiesa di S. Sofia col nome più ortodosso di Anna. In occasione di tali nozze, i Greci e gl'Italiani si disputarono ne' tornei, e con giostre militari, il premio della destrezza e del valore.

A. D. 1341-1391

L'Imperatrice Anna di Savoia sopravvisse al marito. Giovanni Paleologo, erede del trono in età di nove anni, ebbe per protettore della sua infanzia il più illustre e il più virtuoso fra i Greci. La sincera e tenera amicizia che il padre del giovinetto conservò mai sempre a Cantacuzeno fa onore del pari al Principe ed al ministro. Erano presso che eguali per nobiltà di nascita il padrone ed il suddito284. Nato lo scambievole loro affetto fra' comuni passatempi della giovinezza, i pregi d'un animo ingentilito da colta educazione privata teneano nel suddito vece del nuovo lustro che dalla porpora il Principe ricevea. Noi abbiam veduto Cantacuzeno sottrare il giovine Imperatore alla vendetta dell'avo, e dopo sei anni di guerra civile, ricondurlo trionfante al palazzo imperiale di Costantinopoli. Sotto il regno d'Andronico il Giovane, il Gran Domestico governò l'Imperatore e l'Impero; ricuperò l'Isola di Lesbo, e il principato di Etolia; gli stessi nemici di Cantacuzeno son ridotti a confessare che in mezzo ai depredatori delle pubbliche sostanze, egli solo si conservò moderato e riguardoso. Osservando di fatto che egli spontaneo ne dà a conoscere lo stato di sue ricchezze,285 vi è luogo a presumere che ei le abbia ricevute per eredità, non aumentate per via di rapine. Per vero dire, egli non ispecifica lo stato della sua cassa, il valore dei suoi vasellami ed arredi. Nondimeno dopo il dono volontario ch'ei fece di dugento vasi d'argento, dopo tutti quelli ch'ei mise in deposito presso gli amici, dopo quel molto che i nemici gli tolsero, i suoi tesori confiscati bastarono ad allestire una flotta di settanta galee. Cantacuzeno non ne offre una minuta descrizione de' suoi dominj; ma i granai del medesimo racchiudevano immensa copia di orzo e di frumento; e regolando i calcoli colla pratica dell'antica agricoltura, le mille paia di buoi adoperati alla coltivazione de' suoi terreni indicavano almeno sessantaduemila cinquecento acri di terreno dissodato286. I pascoli di Cantacuzeno manteneano mille cinquecento cavalli, dugento cammelli, trecento muli, cinquecento asini, cinquemila buoi, cinquantamila porci e settantamila pecore287. Una sì immensa ricchezza rurale dee parerne sorprendente ne' giorni dello scadimento dell'Impero, e massimamente nella Tracia, provincia devastata a mano a mano da tutte le fazioni. Il favore del Sovrano superò ancora la ricchezza del suddito, perchè in alcuni momenti di famigliarità, e durante la malattia di Andronico, questi mostrò il desiderio di toglier di mezzo la distanza che li separava, pregando il suo amico ad accettare il diadema e la porpora. Il Gran Domestico ebbe virtù bastante per resistere ad una offerta così seducente; almeno egli lo afferma nella sua Storia. L'ultimo testamento di Andronico il Giovane nominò Cantacuzeno tutore del figlio e Reggente dell'Impero.

A. D. 1341

Se in compenso de' prestati servigi, il Reggente avesse ottenuta una giusta retribuzione di gratitudine e di docilità, la purezza del suo zelo per gl'interessi del pupillo non si sarebbe forse smentita288. Cinquecento scelti soldati difendevano la persona del giovine Imperatore e la reggia; vennero celebrate con decoro le esequie del defunto Andronico; la tranquillità della Capitale ne annunciava la sommessione; cinquecento lettere inviate nelle province entro il primo mese che seguì la morte del Monarca, le fecero istrutte delle ultime volontà del medesimo. Ma questa felice prospettiva di una tranquilla minorità fu distrutta dall'ambizione del Gran Duca o ammiraglio Apocauco, la cui perfidia vien dipinta sotto le più odievoli forme dall'augusto Storico che confessa la propria imprudenza nell'avere innalzato Apocauco alla dignità di Gran Duca, a malgrado dell'opinione contraria del defunto Sovrano che avea più acume di lui. Audace e scaltro, prodigo e dominato dalla cupidigia, l'Ammiraglio faceva obbedire i proprj vizj alle mire della sua ambizione, il proprio ingegno alla rovina della sua patria. Fatto orgoglioso dal comando di una Fortezza, e dall'altro degli eserciti navali di tutto l'Impero, Apocauco congiurava contro il proprio benefattore, largheggiandogli nel medesimo tempo di assicurazioni di affetto e di fedeltà. Vendute a costui tutte le matrone della Corte dell'Imperatrice, ogni divisamento del medesimo secondavano. Essendo pertanto riescito far sì che Anna di Savoia ridomandasse la tutela del proprio figlio, quest'atto ebbe colore di materna sollecitudine; giacchè l'esempio del primo Paleologo ne instruiva i posteri a tutto paventare dalla perfidia di un tutore. Il patriarca Giovanni d'Apri, vecchio vanaglorioso, debole e attorniato da una turba di congiunti indigenti, mise in campo una antica lettera di Andronico, colla quale «l'Imperatore legava alle sue pietose cure il Principe e il popolo. Il destino del suo predecessore Arsenio lo persuadeva a prevenire il delitto di un usurpatore, anzichè vedersi alla necessità di punirlo». Lo stesso Apocauco non potè starsi dal sorridere sul buon successo delle proprie arti adulatrici in veggendo il Vescovo di Bisanzo sfoggiare con pompa eguale a quella del romano Pontefice, e gli stessi temporali diritti pretendere289. Fra questi tre personaggi, d'indole e stato così diversi, una segreta lega si strinse; e restituita al Senato un'ombra di autorità, col nome di libertà il popolo fu adescato. Questa possente confederazione assalì il Gran Domestico, per vie obblique da prima, indi con forza aperta. Si disputò sulle prerogative del medesimo; i consigli di lui venivano respinti, gli amici perseguitati, e più d'una volta corse rischio di vita in mezzo della Capitale, e a capo ancor degli eserciti. Mentre lo tenea lontano da Costantinopoli il servigio dello Stato fu accusato di tradimento, chiarito nemico dell'Impero e della Chiesa greca, egli e i suoi partigiani consagrati alla spada della giustizia, alla vendetta del popolo, alle potenze infernali. Confiscatine i beni, confinata in una prigione la madre di lui innoltrata negli anni, egli si vide dalla violenza e dalla ingiustizia costretto a commettere quel delitto di cui veniva accusato290. Nulla avvi nella precedente condotta di Cantacuzeno che ne dia motivo per giudicarlo reo di aver premeditato alcun disegno colpevole; e se qualche cosa potesse renderlo sospetto, sarebbe soltanto l'ostentazione da esso posta nel reiterare le proteste della sua innocenza, e gli encomj che egli non risparmiava alla sublime purezza di sua virtù. Sintanto che l'Imperatrice e il Patriarca serbarono seco lui le apparenze dell'amicizia, egli sollecitò per più riprese la permissione di abbandonare la reggenza e di ritirarsi in un monastero. Allorchè un bando lo promulgò pubblico nemico, la prima risoluzione di Cantacuzeno era stata quella di correre ai piedi del Principe, e offrire senza querelarsi, o resistere il suo capo alla scure; solamente con ripugnanza si fece infine ad ascoltare la voce della ragione, e a meditare che essendo proprio dovere il salvare la sua famiglia e gli amici, non potea riuscire in questo senza impugnar l'armi e assumere il titolo di Sovrano.

254.V. la Storia del laborioso Ducange, e l'accurata tabella delle dinastie francesi; ove trovansi raccolti i trentacinque passi della stessa Storia che citano i Duchi d'Atene.
255.Il Villehardouin in due luoghi, fa menzione onorevole di Ottone De la Roche (n. 151-235), e nel primo d'essi il Ducange aggiugne tutto quanto si è potuto sapere intorno alla persona e alla famiglia di questo Duca d'Atene.
256.Da questi Principi latini del secolo XIV il Boccaccio, il Chaucer, il Shakespeare, hanno tolto il loro Teseo, Duca di Atene. Un secolo ignorante attribuisce ai tempi i più remoti la propria lingua e i proprj costumi.
257.Non in diversa guisa Costantino ha dato un Re alla Sicilia, alla Russia un magnus dapifer dell'Impero, a Tebe il primicerius. Il Ducange (ad Niceph. Gregor., l. VII, c. 5) parla di queste assurde favole col disprezzo che ad esse è dovuto. I Latini chiamavano per corruzione il signor di Tebe Megas Kurios, o Gran Sire.
258.Quodam miraculo, dice Alberico. Fu forse per merito di Michele il Coniate, Arcivescovo, che avea difesa Atene contro il tiranno Leone Sguro (Niceta, in Balduino). Michele era fratello dello storico Niceta, e il suo elogio di Atene conservasi ancor manoscritto nella Biblioteca Bodleana (Fabr., Bibl. graec. t. VI, p. 405).
259.Questi cenni intorno alla moderna Atene sono tolti dallo Spon (Viaggio in Grecia, t. II, p. 79-190), dal Wheeler (Viaggio in Grecia, p. 337-414), dallo Stuart (Antichità d'Atene, passim), dal Chandler (Viaggio in Grecia, p. 23-172). Il primo di questi viaggiatori visitò la Grecia nell'anno 1676, il secondo nel 1765; e il volgere di più d'un secolo non avea su questo tranquillo teatro operato alcun cambiamento.
260.Gli Antichi, o almeno gli Ateniesi credevano che tutte le Api del Mondo venissero dal monte Imeto, e che il mangiar mele e il fregarsi d'olio erano cose bastanti a conservar la salute e a prolungare la vita (Geoponica, l. XV, c. 7, p. 1089-1094, edizione di Niclas).
261.Il Ducange (Gloss. graec. praef. pag. VIII) cita per suo testo Teodosio Zigomalas, moderno gramatico. Nondimeno lo Spon (t. II, p. 194) e il Wheeler (p. 355), che possono aversi per giudici competenti, portano sul dialetto dell'Attica un'opinione più favorevole.
262.Non possiamo per altro tacciarli di avere corrotto il nome di Atene, che chiamano anche Atini. Dalle voci εις της Αθηνην, noi abbiamo formata la barbara denominazione Setine.
263.Andronico che ha pronunziate tante invettive contro la parzialità degli Storici (Niceforo Gregoras, l. 1, c. 1), preparò egli medesimo le nostre scuse se or ci prendiamo qualche libertà nel parlare di lui: gli è però vero che le censure del greco Principe andavano a ferire la calunnia, anzichè l'adulazione.
264.Il timore dell'inferno, vale a dire di un luogo di castigo per le colpe, deve essere in ognuno, ed era anche in Andronico. (Nota di N. N.)
265.Circa l'anatema trovato nel nido de' colombi V. Pachimero (l. IX, cap. 24). Questo scrittore racconta tutta la storia di Atanasio (l. VIII, c. 13-16-20-24; l. X, c. 27-29-31-36; l. XI, c. 1-3-5, 6; l. XIII; c. 8-10-20-35), e ove Pachimero finisce, continua Niceforo Gregoras (l. VI, 5-7; l. VII, c. 1-9), che comprende nel suo racconto la seconda ritirata di questo nuovo Grisostomo.
266.Pachimero in sette libri di trecento settantasette pagine in folio, narra la Storia de' trentasei primi anni del regno di Andronico il Vecchio, e ne dà cognizione delle date col non omettere le novellette o le menzogne correnti alla giornata (A. D. 1308). La morte o le afflizioni gli impedirono di continuare.
267.Dopo un intervallo di due anni, contati dall'istante ove l'opera di Pachimero finisce, Cantacuzeno prende la penna, e il suo primo libro (c. 6-59, p. 9-150) contiene il racconto delle guerre civili, e degli otto ultimi anni del regno di Andronico il Vecchio. Il presidente Cousin, che ha tradotta questa Storia è pur l'autore della leggiadra comparazione tra Cantacuzeno, Mosè e Cesare.
268.Niceforo Gregoras racconta in compendio il regno e tutta la vita di Andronico il Vecchio (l. VI, cap. 1; l. X, c. 1, p. 96-291). Di tal parte di Storia si duol Cantacuzeno, il quale vi trova una falsa e maligna interpretazione della propria condotta.
269.Fu coronato nel giorno 21 maggio 1295; morì ai 12 ottobre 1320 (Ducange, Fam. byzant. p. 239). Il fratello di lui Teodoro, erede, per un secondo maritaggio, del marchesato di Monferrato, abbracciò la religione e i costumi de' Latini (ότι και γνωμη και πιστει και σχηματι, και γενειων κουρα και πασιν αθεσιν Λατινος ην ακραιφνης, era Latino puro, e nelle massime, e nella fede, e nell'abito, e nell'uso di sbarbarsi le guancie, Niceforo Gregoras, l. IX, c. 1), e fondò una dinastia di Principi italiani che si estinse nel 1353 (Ducange, Fam. byzant., p. 249-253).
270.Noi sappiamo da Niceforo Gregoras (lib. VIII, c. 1) questo tragico avvenimento. Cantacuzeno nasconde con molto riguardo i vizj del giovine Andronico, de' quali fu testimonio, e probabilmente anche complice (l. I, c. 1 ec.).
271.Andronico voleva eleggersi in successore Michele Cattaro, figlio non legittimo di Costantino suo secondogenito. Niceforo Gregoras (l. VIII, c. 3) e Cantacuzeno (l. I, c. 1 e 2) narrano entrambi il divisamento di escludere dal trono il giovane Andronico.
272.V. Niceforo Gregoras (l. VIII, cap. 6). Andronico il Giovane si lamentava perchè gli era dovuta, da quattro anni e quattro mesi, una somma di trecencinquantamila bisantini d'oro per le spese della sua casa (Cantacuzeno, l. I, c. 48). Nondimeno sarebbe stato pronto a rimettere questo debito, semprechè gli fosse stato permesso di mettere a contribuzione gli appaltatori delle pubbliche rendite.
273.Mi sono attenuto alla Cronologia di Niceforo perchè esattissima. È cosa provata che Cantacuzeno ha commessi sbagli nelle date, fin delle cose operate da lui, ovvero che il suo testo è stato alterato dall'ignoranza de' copisti.
274.Ho cercato di conciliare le ventiquattromila piastre di Cantacuzeno (l. II, c. 1) colle diecimila di Niceforo Gregoras (l. IX, c. 2). Il primo voleva nascondere, l'altro procurava di esagerare le calamità del vecchio Imperatore.
275.V. Niceforo Gregoras (lib. IX, 6, 7; 8-10-14; l. X, c. 1). Questo Storico partecipò alla prosperità del suo benefattore, lo seguì nel ritiro. «Un uomo che segue il suo padrone fino al talamo ferale, o nel monastero, non dovrebbe essere con leggerezza qualificato, siccome uom mercenario, e prostitutore d'elogi».
276.Cantacuzeno (l. II, c. 1-40, p. 191-339) e Niceforo Gregoras (l. IX, c. 7; l. XI, c. 11, pag. 262-371) hanno scritta la Storia del regno d'Andronico il Giovane incominciando dalla rinunzia dell'avo.
277.Agnese, o Irene era figlia del Duca Enrico il Maraviglioso, Capo della Casa di Brunswick, e quanto discendente del famoso Enrico il Lione, duca di Sassonia e di Baviera, e vincitore degli Slavi della costa del Baltico. Erale fratello quell'Enrico che due viaggi in Oriente fecero soprannomare il Greco; ma questi due viaggi essendo accaduti dopo il matrimonio della sorella, io non so, nè come Andronico pensasse a cercarsi una moglie in questo angolo dell'Alemagna, nè quai ragioni ei s'abbia avute per formare un tal parentado (Rimius, Mémoires de la maison de Brunswick, p. 126-137).
278.Enrico il Maraviglioso fu ceppo del ramo di Grubenhagen, estinto nell'anno 1596 (Rimius, p. 287). Egli abitava il castello di Wolfenbuttel, possessore solamente di un sesto degli allodj di Brunswick e di Luneburgo che la famiglia de' Guelfi avea salvati dalla confiscazione de' grandi feudi. Gli spessi parteggiamenti tra fratelli aveano pressochè annichilate le Case de' Principi di Alemagna, quando finalmente i diritti di primogenitura vennero a gradi a gradi a toglier di mezzo la legge delle divisioni, giusta, ma perniciosa. Il principato di Grubenhagen, uno degli ultimi avanzi della foresta Ercinia, è un paese sterile, pieno di boschi e di montagne (Geografia di Busching, vol. 6).
279.Il regale Autore delle Memorie di Brandeburgo ne fa conoscere, quanto il Nort dell'Alemagna, anche ne' tempi più moderni, meritasse l'epiteto di povero e di barbaro (Saggio sui costumi ec.). Nell'anno 1306 alcune bande di schiatta veneda che abitavano la foresta di Luneburgo avevano la costumanza di seppellir vivi i vecchi e gli infermi (Rimius, pag. 137).
280.Sol con qualche restrizione, anche riferendosi al suo secolo, può ammettersi l'asserzione di Tacito che vuole l'Alemagna affatto priva di preziosi metalli (Germania, c. 5; Annal. 11, 20). Seconda lo Spener (Hist. Germaniae pragmatica, t. I, p. 351), Argentifodinae in Hercyniis montibus imperante Othone magno (A. D. 968) primum apertae, largam etiam opes augendi dederunt copiam. Ma Rimio (p. 258, 259) porta solamente all'anno 1016 la scoperta delle mine d'argento di Grubenhagen o dello Hartz Superiore, che vennero scavate nel secolo XIV, e che rendono tuttavia considerabili somme alla Casa di Brunswick.
281.Cantacuzeno le rendè una onorevolissima testimonianza ην δ’εκ Τερμανων αυτη θυγατηρ δουκος ντι μπρουζουικ, era di Germania questa moglie del Duca di Brunzuic. (I Greci moderni si valgono del ντ invece del δ e del μπ invece del β, e il tutto farà in italiano di Brunzuic), του παρ’ αντοις επιφανεστατου, και λαμπροτητι παντας τους όμοφυλους ύπερβαλλοντος του γενους, gloriosissimo fra loro, e che per merito superava tutti i suoi nazionali. Encomio giusto e lusinghiero per un Inglese.
282.Anna o Giovanna, era una delle quattro figlie del grande Amedeo, venutagli da un secondo maritaggio, e zia paterna del principe che gli succedè, Odoardo Conte di Savoja (Tavole di Anderson, p. 650. V. Cantacuzeno, l. 1, c. 40-42).
283.Questo Re, sempre che il fatto sia vero, debbe essere stato Carlo il Bello, che nello spazio di cinque anni prese tre mogli (1321-1326; Anderson pag. 628). Anna di Savoia fu ricevuta in Costantinopoli nel mese di febbraio dell'anno 1326.
284.La nobile stirpe dei Cantacuzeni, illustre fin dopo l'undecimo secolo negli annali di Bisanzo, traeva origine dai Paladini di Francia, gli eroi di que' romanzi che vennero tradotti e letti dai Greci nel secolo decimoterzo (Ducange, Fam. byzant. p. 258).
285.V. Cantacuzeno, l. III, c. 24-30-36.
286.Saserno nelle Gallie, e Columella nell'Italia, o nella Spagna calcolano due paia di buoi, due conduttori, e sei giornalieri per ogni dugento iugeri (125 acri inglesi) di terra da lavoro, e aggiungono tre uomini di più, se il terreno è coperto di macchie (Columella, De re rustica, l. II, cap. 13, p. 441, ediz. di Gessner).
287.Nel tradurre questa specifica, il presidente Cousin ha commessi tre errori palpabili ed essenziali. 1. Omesso mille paia di buoi da lavoro, 2. traduce πεντακοσι αι προς δισχιλιαις, cinquantaduemila, mille e cinquecento. 3. Confonde miriadi con chiliadi, in guisa che i porci di Cantacuzeno non sarebbero stati più di cinquemila. Fidatevi alle traduzioni!
288.V. la Reggenza e il regno di Giovanni Cantacuzeno, e la guerra civile cui diede origine, nella Storia scritta da lui medesimo (l. III, c. 1-100, p. 348-700), e parimente nella Storia di Niceforo Gregoras (lib. XII, c. 1, l. XV, c. 9, p. 353-482).
289.Calzò scarpe, ossia coturni rossi, coprì il capo di una mitra d'oro e di seta, sottoscrisse le sue lettere con inchiostro verde, chiese per la nuova Roma tutti i privilegi che Costantino avea conceduti all'antica (Cantacuzeno, lib. III, c. 36, Nicef. Greg. l. XIV, c. 3).
290.Niceforo Gregoras (l. XII, c. 5) attesta l'innocenza e le virtù di Cantacuzeno, gli obbrobriosi vizj e il delitto di Apocauco; nè dissimula i motivi d'inimicizia personale e religiosa verso del primo: νον δε δια κακιαν αλλων, αιτιος ό πραοτατος της των αλων οδοξον ειναι ωθορας, ora per la malvagità degli altri quest'uomo mansuetissimo parve colpevole della strage di tutti.
Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
28 eylül 2017
Hacim:
540 s. 1 illüstrasyon
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