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Kitabı oku: «Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 12», sayfa 15

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CAPITOLO LXV

Innalzamento di Timur, o Tamerlano al trono di Samarcanda. Sue conquiste nella Persia, nella Georgia, nella Tartaria, nella Russia, nell'India, nella Sorìa e nella Natolia. Sue guerre contra i Turchi. Sconfitta e cattività di Baiazetto. Morte di Timur. Guerra civile de' figli di Baiazetto. Restaurazione della Monarchia de' Turchi sotto Maometto I. Costantinopoli assediata da Amurat II.

Il primo voto dell'ambizioso Timur si fu quello di conquistare e domar l'Universo; l'altro, poichè aveva sortita un'anima generosa, di vivere nella ricordanza e nella stima de' posteri. I segretarj di questo Principe raccolsero accuratamente tutte le Transazioni civili e militari del suo regno389; racconto autentico che fu poi riveduto da uomini ottimamente istrutti di ciascuna particolarità. Si è creduto e si crede generalmente nella famiglia e nell'Impero di Timur che questo Monarca abbia composto egli stesso i Comentarj390 della sua vita e le Instituzioni391 del suo Governo392; ma non furono queste cure che contribuissero a tramandare sino a noi la rinomanza di Timur; perchè tai preziosi monumenti scritti in lingua mongulla o persiana, rimasero sconosciuti all'Universo, o almeno all'Europa. Ma le nazioni da lui soggiogate usarono contr'esso una impotente e spregevol vendetta, per cui l'ignoranza ha ripetute lungo tempo le invenzioni della calunnia393 che ne adulterò i natali, il carattere, la persona, e fino il nome, trasformato in quello di Tamerlano394; benchè non sarebbe per esso che un diritto maggiore alla stima generale, se fosse in realtà passato dall'aratro al trono, e lo zoppicar di una gamba non avrebbe potuto apporsegli a taccia, a meno che non avesse avuta la debolezza di vergognarsi di una infermità naturale, o fors'anche onorevole.

I Mongulli religiosamente affezionati alla famiglia di Gengis, ravvisavano, senza dubbio, un suddito ribelle in Timur, benchè dalla nobile tribù di Berlass ei scendesse. Carasar Nevian, quinto nella linea ascendente di questo guerriero, era stato Visir nel nuovo regno della Transossiana acquistato da Zagatai, e risalendo per alcune altre generazioni il ramo di Timur, almeno per parte di donne395, si congiunge al ceppo imperiale396. Egli ebbe vita nel villaggio di Sebsar, posto quaranta miglia ad ostro di Samarcanda, e parte del fertile territorio di Cas, antico dominio de' suoi maggiori; e comandava un Toman di diecimila uomini a cavallo397. Il caso lo fe' nascere398 in uno di que' momenti di anarchia, che annunziano la caduta delle dinastie asiatiche, ed offrono novelli campi all'ardimentosa ambizione. Estinta essendo la famiglia de' Kan di Zagatai, gli Emiri aspiravano alla independenza, e le lor dissensioni vennero solamente sospese dalla conquista e dalla tirannide dei Kan di Kasgar, che, sostenuti da un esercito di Geti o di Calmucchi399, avevano invasa la Transossiana. Toccava i dodici anni Timur quando incominciò la milizia (A. D. 1361-1370); di venticinque, imprese la liberazione della sua patria. Gli sguardi e i voti de' popoli si volsero verso un eroe che soffriva per la lor causa, e i primarj ufiziali civili e militari aveano giurato sulla salute delle loro anime, di sostenerlo a rischio delle proprie sostanze e vite; ma, giunto l'istante del pericolo, tremarono e si tennero silenziosi. Dopo averli aspettati invano per sette giorni sulle colline di Samarcanda, si ritrasse con sessanta uomini della sua cavalleria nel Deserto. Raggiunto nel fuggire da un corpo di mille Geti, si volse a respingerli, e fe' di essi inaudita strage, per cui dovettero esclamare: «Timur è un uomo maraviglioso; Dio e la fortuna sono con lui». Ma questa sanguinosa impresa ridusse il suo picciolo drappello a soli dieci uomini, sminuito ancora dalla fuga di tre Carizmj. Trascorse, con questi sette compagni, e soli quattro cavalli e colla moglie, il Deserto, indi, rinchiuso in tetro carcere, vi rimase sessantadue giorni, sintanto che il suo coraggio e i rimorsi del suo oppressore nel liberarono. Dopo avere attraversata a nuoto la larga e rapida corrente del Gihoon, o Osso, condusse per molti mesi, sulle frontiere dei vicini Stati, la vita errante di un esule e d'un proscritto; ma l'avversità gli contribuì al più grande splendore di fama; perchè egli apprese a discernere fra i compagni della sua fortuna coloro che per amore di lui gli erano affezionati, e a valersi dell'ingegno, o del carattere degli uomini in vantaggio loro e proprio soprattutto. Rientrato nella sua patria Timur, gli si unirono a mano a mano diverse fazioni di confederati che l'aveano cercato con ansietà nel Deserto. Non posso ristarmi dall'offerire in questo luogo, senza privarla della sua ingenua semplicità, la narrazione di uno di questi felici incontri, occorso a Timur, allorquando lo chiesero in loro Duce tre Capi seguìti da settanta uomini a cavallo. «Allorchè, egli dice, volsero gli occhi sopra di me, non potevano capire in sè medesimi dalla gioia, e scesero giù dai lor cavalli, e vennero e s'inginocchiarono dinanzi a me e baciarono le mie staffe. Smontai anch'io da cavallo e me li strinsi fra le braccia l'un dopo l'altro, e misi il mio turbante sulla testa del primo Capo, e passai attorno ai lombi del secondo un cinturino tempestato di gemme e lavorato in oro, e vestii del mio abito il terzo; ed essi piangevano e piangeva ancor io; e l'ora della preghiera era giunta, e pregammo insieme. E noi rimontammo sui nostri cavalli e venimmo alla mia abitazione; e adunai il mio popolo, e feci un convito». Le più valorose tribù non tardarono ad unirsi a queste fedeli bande, che Timur guidò contro un nemico superiore di numero. Varj furono gli avvenimenti di cotal guerra, ma finalmente dalla Transossiana respinti vennero i Geti. Molto già avea operato Timur per la sua gloria; ma molto ancora gli rimaneva a compire; di molta destrezza eragli d'uopo; molto sangue doveva esser versato prima ch'ei costringesse quei suoi eguali a considerarlo come padrone. Per riguardi alla nascita e al potere dell'emiro Hussein, della cui sorella inoltre era tenero consorte Timur, si vide questi costretto a riconoscerlo per collega, comunque fosse un uomo indegno e vizioso. Spesso turbata dalla gelosia questa Lega, ne' frequenti litigi che nacquero, Timur ebbe sempre l'accorgimento di far ricadere sul rivale i rimproveri di perfidia e di ingiustizia. Finalmente dopo una sconfitta, che fu l'ultima per Timur, alcuni amici del medesimo, la sagacità de' quali li trasse a disobbedire il lor Capo per non disobbedirlo più mai, uccisero Hussein. I suffragi unanimi di una Dieta (A. D. 1370), o Corultai, conferirono al vincitore, in età di trentaquattro anni400, l'imperiale comando; ma ostentò rispetto verso la Casa di Gengis, e intanto che l'emiro Timur regnava sul Zagatai e l'Oriente, un Kan titolare serviva, come semplice ufiziale, negli eserciti del proprio servo. Un fertile reame, lungo e largo cinquecento miglia, avrebbe potuto soddisfare l'ambizione di un suddito: ma Timur aspirava al trono del Mondo, e prima della sua morte avea aggiunte ventisei corone a quella del Zagatai. Senza diffondermi sulle vittorie di trentacinque azioni campali, o seguitare Timur nelle sue continue corse sul continente dell'Asia, racconterò in succinto le sue conquiste. I, in Persia; II, in Tartaria; III, nell'India401; d'onde procederò al racconto più rilevante, della guerra che contro i Turchi sostenne.

I. La giurisprudenza de' conquistatori somministra abbondantemente motivi di sicurezza, d'indispensabil vendetta, di gloria, di zelo, di diritto e di convenienza a tutte le guerre che imprendono. Non appena Timur avea unito la Carizmia e il Candahar al suo patrimonio del Zagatai, volse i suoi pensieri ai regni dell'Yran, o della Persia. La vasta contrada che dall'Osso al Tigri si estende, non riconosceva più alcun Sovrano legittimo dopo la morte di Abusaid, ultimo discendente del grande Holagoù. Essendo da quarant'anni esuli da questo paese la giustizia e la pace, parea che Timur, coll'invaderlo, esaudisse i voti di un popolo oppresso. I piccioli tiranni che tribolavan la Persia, e che, collegati, avrebbero potuto difendersi, combattettero disgiuntamente, e soggiacquero tutti, senz'altra differenza ne' loro destini, fuor quella che potè derivare dalla prontezza loro nel sottomettersi, o dalla pertinacia nel resistere. Ibraim, Principe di Sirvan, o d'Albania, baciando i gradini del trono imperiale, offerse al Sovrano donativi di seta, di cavalli e di arredi, e secondo l'uso de' Tartari, erano nove capi di ciascun genere. Osservò uno spettatore non essere che otto gli schiavi. «Sono io il nono», rispose Ibraim che già erasi apparecchiato a siffatta censura; la quale adulazione Timur compensò d'un sorriso402. Sa-Mansur, Principe del Fars, o della Persia, così propriamente detta, il men potente fra i nemici di Timur, fu quegli che si mostrò il più formidabile, in una battaglia datasi sotto le mura di Siray; disordinò con tre o quattromila soldati il Cul, o corpo di battaglia, di trentamila uomini di cavalleria, in mezzo al quale Timur combatteva in persona. Ridotto Mansur a non avere attorno di sè che quattordici, o quindici guardie, rimanea fermo come scoglio, benchè ricevesse due colpi di scimitarra sull'elmo403. Riunitisi finalmente i Mongulli, fecero cadere ai lor piedi il capo del tremendo Mansur; e il vincitore die' a divedere quale spavento una popolazione sì intrepida gl'incutesse, col farne sterminar tutt'i maschi. Da Sirai innoltratesi fino al golfo Persico le truppe di Timur, la città di Ormuz404 die' a divedere la sua opulenza e la sua debolezza ad un tempo, coll'obbligarsi a pagare un tributo annuale di seicentomila dinar d'oro. Bagdad non era più la città della pace e il soggiorno del Califfo; ma la più luminosa fra le conquiste operate da Holagoù, doveva eccitare l'ambizione del successore. Dalle foci dell'Eufrate e del Tigri fino alla loro sorgente, tutt'i paesi innaffiati da questi due fiumi si sottomisero al vincitore. Entrato in Edessa, punì i sacrileghi Turcomani per una pecora nera che alla carovana della Mecca avean tolta. I Cristiani dalla Georgia disfidavano ancora fra i lor dirupi le armi e la legge de' Maomettani. Ma ottenuto, con tre successive spedizioni, l'onor di Gazi, o Santo guerriero, si fece nel Principe di Teflis un amico e un proselito.

A. D. 1370-1383

II. L'invasione del Turkestan, o della Tartaria orientale potè riguardarsi come una vendetta legittima. L'impunità de' Geti trafiggea l'orgoglio di Timur, che varcato il Gihoon, soggiogò il regno di Kasgar e penetrò sette volte nel cuore del lor paese. Il campo più lontano di Timur, distò due mesi, ossia quattrocento ottanta leghe a greco da Samarcanda, e i suoi Emiri, dopo attraversato l'Irtis, scolpirono nelle foreste della Siberia un rozzo monumento delle loro imprese. La conquista del Kipsak405, o della Tartaria occidentale, ebbe per duplice scopo il soccorso degli oppressi, e la punizione degl'ingrati. Toctamis, Principe esule dai suoi Stati, aveva ottenuto protezione e asilo nella Corte di Timur, il quale rimandò sdegnosamente gli Ambasciatori di Auruss-Kan, Principe nemico di Toctamis; e fattili inseguire in quel medesimo giorno dagli eserciti del Zagatai, e vittorioso, rimise il suo protetto nell'Impero settentrionale dei Mongulli; ma dopo dieci anni di regno, il nuovo Kan, dimentico dei servigi e della possanza del suo benefattore, non vide più in esso che l'usurpatore dei sacri diritti della Casa di Gengis. Penetrato in Persia per le gole di Derbent, e condottiero di novantamila uomini a cavallo e di tutte le forze del Kipzak, della Bulgaria, della Circassia o della Russia, passò il Gihoon, arse i palagi di Timur, e lo costrinse, in mezzo al verno, a difendere Samarcanda e sè stesso. Dopo alcuni mansueti rimproveri, cui venne appresso una luminosa vittoria, Timur si risolvè alla vendetta. Invase due volte il Kipzak a levante e a ponente del Caspio e del Volga, con forze sì sterminate, che il fronte del suo esercito occupava uno spazio di tredici miglia. Per cinque mesi di cammino, questo esercito trovò appena orme d'uomo lungo la strada, e dovette più volte dipendere dalle contingibilità della caccia per vivere. Finalmente questo, e l'esercito di Toctamis si scontrarono; il tradimento del portastendardi del Kipsak, che rovesciò la bandiera in mezzo all'azione, diede ai Zagatai la vittoria, e Toctamis (così si esprimono le Instituzioni) abbandonò la tribù di Tusi al vento della desolazione406. Rifuggitosi presso il Gran Duca di Lituania, ritornò ancora sulle rive del Volga, e dopo quindici battaglie date ad un rivale, che già la massima parte degli Stati aveagli presa, nei deserti della Siberia perì. Fin nelle province tributarie della Russia inseguillo Timur, e fece prigioniere un Duca della Casa regnante in mezzo alle rovine della sua Capitale; la vanità e l'ignoranza orientale possono aver di leggieri confusa Yeletz colla Capitale del russo Impero. L'avvicinar de' Tartari empiè di spavento la città di Mosca; nè questa avrebbe opposta vigorosa resistenza, poichè i Russi poneano tutte le loro speranze in una immagine miracolosa della Vergine, cui diedero merito della ritirata o volontaria, o accidentale del conquistatore. La prudenza e l'ambizione del pari lo richiamavano ad ostro; nulla eravi più che raccogliere in quello stremato paese, e già i soldati mongulli ivano carichi di preziose pellicce, di tele d'Antiochia407, di verghe d'oro e d'argento408. Giunto allo rive del Don o Tanai, ricevè colà l'umile deputazione dei Consoli e dei mercatanti d'Egitto409, di Venezia, di Genova, di Catalogna e di Biscaglia, che trafficavano con Tana, o Azoph, città situata alla foce del fiume; i quali gli offersero donativi, ne ammirarono la magnificenza, e nella parola di lui si affidarono. Ma un formidabile esercito venne dopo la pacifica visita di un Emiro, che aveva esaminato accuratamente la situazione e la ricchezza de' magazzini; indi i Tartari ridussero in cenere la città. Quanto ai Musulmani, si contentarono, dopo averli spogliati, di rimandarli; ma tutti que' Cristiani che nelle loro navi non si erano rifuggiti, vennero condannati a morte o schiavitù410. Un impeto di vendetta trasse Timur ad ardere la città di Astrakan e Siray, monumenti di una nascente civiltà. In questa spedizione si gloriò d'aver penetrato in un paese, ove regna il giorno perpetuo, straordinario fenomeno, in grazia del quale i dottori maomettani, crederono poterlo dispensare dalla preghiera vespertina411.

A. D. 1398-1399

Allorchè Timur propose ai suoi Principi ed Emiri la conquista dell'India, o dell'Indostan412, un bisbiglio di scontento si udì; «e i fiumi! sclamarono; e le montagne! e i deserti! e i soldati armati di tutto punto! e gli elefanti che distruggono gli uomini!». Ma la collera dell'Imperatore era cosa da temersi più di tutti questi pericoli; e la sua mente di una natura superiore gli facea comprendere la facilità di una spedizione che ad essi parea sì tremenda. I suoi messi segreti lo aveano ragguagliato della debolezza e dell'anarchia dell'Indostan, della ribellione dei Subà nelle province, e dell'infanzia perpetua del Sultano Mamud, da tutti sprezzato fin entro il suo Harem di Dely. L'esercito dei Mongulli marciò in tre ordini, al qual proposito Timur si compiace, osservando che i suoi novantadue squadroni, ciascun composto di mille uomini a cavallo, corrispondevano ai novantadue nomi, o attributi del Profeta Maometto. Fra il Gihoon e l'Indo, varcarono una di quelle catene di monti che i Geografi arabi chiamano le Cinture di pietra della Terra. I masnadieri che le abitavano furono vinti e sterminati, ma molto numero d'uomini e di cavalli perì in mezzo alle nevi; e l'Imperatore stesso dovè farsi calare in un precipizio sopra un sedile pensile, raccomandato a corde che aveano cento cinquanta cubiti di lunghezza, e prima ch'ei fosse al fondo, dovette per cinque volte ripetersi una così rischiosa fazione. Varcato l'Indo ad Attok, attraversò successivamente e seguendo l'orme di Alessandro il Pungiab, ossia le Cinque Riviere413 che mettono foce nella primaria corrente. Da Attok a Dely non si contano che cinquecento miglia per la via ordinaria; ma i due conquistatori se ne distolsero verso scilocco, e Timur il fece per raggiugnere il suo pronipote che tornava dopo avere, per ordine di lui, conquistata Multan. L'Eroe macedone, arrestatosi sulla riva orientale dell'Ifasi all'ingresso del Deserto, versò qualche lagrima, ma il Mongul procedendo innanzi, ridusse la Fortezza di Batnir, e a capo del suo esercito si mostrò alle porte di Dely, città vasta e fiorente, e da re maomettani, volgean tre secoli, posseduta. L'assedio di questa e soprattutto della Rocca un lungo indugio avrebbe portato; ma Timur, nascondendo le sue forze, adescò a scendere nella pianura il sultano Mamud, cui seguivano il suo Visir, diecimila corazzieri, quarantamila guardie e centoventi elefanti, le cui difese erano, si dice, armate di lame taglienti e venefiche. Timur si abbassò a munirsi di alcune cautele contro cotesti mostri, o piuttosto contro il terrore che inspiravano alle sue truppe. Fatti accendere diversi fuochi e scavare una fossa, ordinò si ergesse una trincea di scudi e punte di ferro; ma l'evento dimostrò ai Mongulli quanto risibile fosse la loro tema; e appena questi mal destri animali furon fugati, la specie inferiore, gl'Indiani, sparve senza combattere. Timur fece il suo trionfale ingresso nella Capitale dell'Indostan, ove ammirata l'architettura della grande moschea, manifestò il disegno di fabbricarne una simile; ma l'ordine, o la permissione di un saccheggio e di una strage generale contaminò le feste della vittoria. Risolvè poscia di purificare i suoi soldati nel sangue degl'idolatri, o gentili, che superavano di numero i Musulmani nella proporzione di dieci a uno; e per mandare ad effetto questa pia brama, portatosi a greco di Dely, passò il Gange, diede molte battaglie per terra e per mare, innoltrandosi fino alla famosa roccia di Cupela, che sotto forma di giovenca, sembra vomitare quel fiume, la cui sorgente scaturisce dalle montagne del Tibet414. Indi tornò addietro costeggiando i monti a tramontana; la qual rapida corsa di un solo anno non potea giustificare la tema stravagante mostratasi dagli Emiri che i climi australi facessero tralignare i lor figli sino a divenire una schiatta d'Indù.

A. D. 1400

Standosi sulle rive del Gange, Timur seppe dai suoi celeri messaggeri le turbolenze insorte sui confini della Georgia e della Natolia, la ribellione dei Cristiani, gli ambiziosi disegni del Sultano Baiazetto. Nè una età di sessantatre anni, nè innumerabili fatiche, aveano alterato in esso il vigor del corpo, o dell'animo; tornato a Samarcanda, e goduti alcuni mesi di riposo nel suo palagio, annunziò una nuova spedizione di sette anni ne' paesi occidentali dell'Asia415. I soldati che fecero seco lui le guerre dell'India ebbero la scelta di rimanersi alle proprie case o di seguire il lor Principe. Ma tutte le truppe delle province e de' regni della Persia ricevettero l'ordine di unirsi ad Ispahan, e di aspettare ivi l'arrivo dell'Imperatore. Si fece primieramente ad assalire i Cristiani della Georgia, difesi dalle loro rupi, dalle loro Fortezze, e dal rigore del verno; ma la perseveranza di Timur superando tutti gli ostacoli, i ribelli si sottomisero al tributo, ovvero alle leggi del Corano. Entrambe le religioni poterono inorgoglirsi di proprj martiri; ma meglio s'addicea questo titolo ai prigionieri cristiani, perchè fra il morire e l'abbiurare avevano scelta. Scendendo dalle montagne, l'Imperatore diede udienza ai primi Ambasciadori di Baiazetto, e incominciò quella vicenda di rimproveri e minacce, che a mano a mano s'inasprì per due anni, sinchè in aperta guerra scoppiasse. Due confinanti ambiziosi e rivali mancano rade volte di pretesto per venire all'armi un contro l'altro. Le conquiste de' Mongulli e degli Ottomani, si toccano nelle vicinanze di Erzerum e dell'Eufrate; nè Trattati, nè un lungo possedimento aveano determinati quegli incerti confini. Ognuno de' due Sovrani potea rampognar l'altro, averne invaso il territorio, o minacciati i vassalli, o protetti i ribelli; e ribelli in loro sentenza erano tutti que' Principi fuggitivi, de' quali usurpavano i regni, perseguendone inoltre accanitamente la vita e la libertà. Però l'opposizione d'interessi fra questi due Principi era anche meno malaugurosa dell'eguaglianza delle loro indoli. Nel corso della vittoria, Timur non voleva soffrire eguali; Baiazetto non voleva riconoscere alcun superiore. La prima lettera scritta dall'Imperatore Mongul416 al Sultano de' Turchi, tutt'altro che conciliatrice, dovea moverlo a furore, perchè ostentava in essa disprezzo e per la famiglia, e per la nazione di Baiazetto417. «Non sai tu che la maggior parte dell'Asia conquistata dalle nostre armi obbedisce alle nostre leggi? che si stendono da un mare all'altro le nostre invincibili forze? che i potentati della terra stanno rispettosamente schierati dinanzi alla nostra Porta, e che noi abbiamo costretta la stessa fortuna a vegliare alla prosperità del nostro Impero? Sopra di che fondi la tua insolenza e il tuo delirio? Tu hai vinte alcune battaglie nelle foreste della Natolia; meschini trofei! Hai riportata qualche vittoria sui Cristiani d'Europa, perchè la tua spada era benedetta dall'Appostolo di Dio; e ringrazia l'obbedienza che hai mostrata ai precetti del Corano guerreggiando gl'Infedeli, se non ci siamo portati a distruggere il tuo paese, frontiera e baloardo del Mondo musulmano. Fa senno fin che ne hai tempo; medita, pentiti, e allontana il fulmine della nostra vendetta che ti sta ancora sospeso sul capo. Non sei che una formica; perchè ti avvisi di provocar gli elefanti? Infelice! li schiacceranno sotto i lor piedi». La risposta di Baiazetto spirava l'indignazione d'un uomo profondamente trafitto da uno sprezzo al quale non poteva mai essere stato avvezzo. Dopo avere chiamato Timur masnadiero, ladrone del Deserto, viene recapitolando le vittorie di lui cotanto vantate nell'Iran, nel Turan, nell'Indie; poi s'adopera a provargli che solo per l'arti della perfidia, o per la dappocaggine de' suoi avversarj, ha trionfato. «I tuoi eserciti sono innumerabili; voglio crederlo; ma osi tu mettere a confronto le frecce de' tuoi Tartari che non sanno se non fuggire, colle sciabole de' miei intrepidi e non mai vinti giannizzeri? Sì, difenderò sempre i Principi che hanno implorata la mia protezione, vienli a cercare sotto le mie tende. Le città di Erzerum e di Arzingano mi appartengono; e se non mi pagano esattamente il tributo, verrò a farmi scontare il mio credito sotto le mura di Tauride e di Sultania». L'eccesso della collera trasportò Baiazetto a dettare un'ingiuria che feriva più di fronte Timur. «S'io fuggo dinanzi a te, possano le mie mogli venire allontanate dal mio letto con tre divorzj! Ma se tu non hai il coraggio di aspettarmi sullo spianato, che tu non riveda le tue mogli, se non se dopo che avranno per tre volte soddisfatte le brame di uno straniero»418. Presso i Turchi, una ingiuria di fatto, o di parole, diviene offesa imperdonabile, se ai misteri dello Harem si riferisce419; quindi il risentimento personale invelenì la querela politica dei due Monarchi. Ciò nullameno, la prima spedizione di Timur si limitò a distruggere la Fortezza di Sivas, o di Sebaste, situata sulla frontiera della Natolia; e quattromila Armeni sepolti vivi per avere adempiuto con valore e fedeltà il proprio dovere l'imprudenza del Principe ottomano espiarono. Sembrava che Timur, come buon Musulmano, usasse tuttavia un tal quale rispetto alla pia impresa di Baiazetto, il quale in allora interteneasi bloccando Costantinopoli: onde pago d'avergli dato un primo saggio, contro l'Egitto e la Sorìa volgea l'armi. Narrasi che gli Orientali e lo stesso Timur chiamassero Baiazetto Kaissar di Rum ossia Cesare dei Romani, titolo che si potea quasi legittimamente, o in via di breve anticipazione attribuire ad un Principe il quale possedea le province de' successori di Costantino e minacciava la lor Capitale420.

La repubblica militare dei Mammalucchi regnava tuttavia nell'Egitto e nella Sorìa; ma la dinastia de' Turchi era stata scacciata dalla dinastia de' Circassi421; e Barkok lor favorito, passò una prima volta dalla schiavitù, una seconda volta dal carcere, al trono. In mezzo alla ribellione e alla discordia sfidò le minacce del Sovrano Mongul, mantenne una corrispondenza co' suoi nemici, e fece arrestarne gli ambasciatori. L'altro aspettò pazientemente la morte di Barkok, per vendicarsi poi sul debole Faragio che ne era figlio e successore. A respingere questa invasione si assembrarono in Aleppo gli Emiri della Sorìa422, che ogni loro fiducia fondavano sulla disciplina e la rinomanza de' Mammalucchi, sulla buona tempera delle loro lancie e delle loro spade fabbricate coll'acciaio miglior di Damasco, sulla forza delle loro città cinte di muri, sulla popolazione composta di sessantamila villaggi. Anzichè sostenere un assedio, credettero miglior partito aprire le porte e distendersi sulla pianura. Ma la forza di queste genti non era corroborata dall'unione e dalle virtù, sicchè alcuni de' più potenti Emiri sedotti da Timur aveano abbandonati, o traditi i più fedeli de' lor compagni. Il fronte dell'esercito di Timur vedeasi munito da una linea di elefanti, che portavano torri piene d'arcieri e di fuoco greco. Le rapide fazioni della cavalleria di Timur avendo accresciuto oltre ogni dire lo scompiglio e il terrore de' suoi nemici, questi si addossavano gli uni agli altri, a talchè vennero affogati o trucidati a migliaia sull'ingresso della maggiore strada di Aleppo; ed i Mongulli entrando nella città mescolati coi fuggitivi, i vili, o corrotti difensori di quella insuperabile Rocca, la rendettero dopo avere opposta una debolissima resistenza. Fra i supplichevoli e i prigionieri, i Dottori della Legge ottennero un maggior riguardo da Timur che gli ammise al pericoloso onore di un parlamento423. Benchè zelante musulmano, il Principe de' Mongulli avea imparato nelle scuole della Persia a rispettare la memoria di Alì e di Hosein, e a riguardare i popoli della Sorìa, siccome nemici giurati del pronipote di Maometto. A questi Dottori egli fece una interrogazione capziosa, che i casisti di Bocara, di Samarcanda e di Herat non erano buoni a risolvere. Chi sono, lor chiese egli, i veri martiri? «I soldati uccisi dalla mia banda, o quelli che muoiono nelle file dei miei nemici?» Ma uno di que' Cadì seppe accortamente sciogliere la quistione, o per meglio dire chiuder la bocca all'interrogatore, col rispondere valendosi delle espressioni di Maometto medesimo: «essere l'intenzione che forma i martiri, e i Musulmani d'entrambe le parti potersi del pari meritar questo, se per la gloria di Dio hanno combattuto». La successione legittima del Califfo sembrava un punto più difficile da decidersi, e Timur irritato dalla franchezza di un dottore che, atteso il suo stato attuale, si mostrava troppo sincero, esclamò: «Tu non sei men falso di quelli di Damasco: Moavìa non era che un usurpatore, Yesid un tiranno; Alì solo è il vero successore di Maometto». Una prudente interpretazione, avendone calmato lo sdegno, passò ad argomenti di conversazione più famigliari: «Quanti anni avete voi?» diss'egli al Cadì – «Cinquant'anni.» – «Il mio primogenito sarebbe della vostra età. Voi mi vedete, continuò Timur; io non sono che un misero mortale, zoppo e decrepito; nondimeno ha piaciuto all'Altissimo di scegliermi per soggiogare i regni d'Iran, di Turan, e delle Indie. Non son già io un uomo feroce. Iddio m'è testimonio che nelle mie differenti guerre, io non sono mai stato l'aggressore; e che i miei nemici sono eglino stessi gli autori delle loro calamità». Ma durante questo tranquillo colloquio, il sangue scorreva a fiumi per le strade di Aleppo, e si udivano da ogni banda grida di madri, di fanciulli, e di vergini che veniano prostituite. Certamente il ricco bottino abbandonato ai soldati era un grande incentivo alla loro avidità; ma la crudeltà de' medesimi, avea un fondamento nel comando assoluto, che ricevettero dall'Imperatore, di presentargli un certo numero di teste, le quali, giusta il solito, fece accuratamente disporre in colonne e piramidi. I Mongulli trascorsero la notte celebrando con allegrezza la riportata vittoria, mentre que' Musulmani che rimaneano, la passarono nelle catene e fra i pianti. Io non seguirò ora il cammino del devastatore di Aleppo fino a Damasco, ove gli eserciti di Egitto vigorosamente lo assalirono, e pressochè affatto lo misero in rotta. L'atto ch'ei fece di ritirarsi, fu attribuito ad angustia estrema cui fosse pervenuto, e giudicato effetto della disperazione; già un nipote di Timur era passato nelle file nemiche; già i popoli della Sorìa si allegravano della vittoria, allorchè una ribellione de' Mammalucchi costrinse il Sultano di Damasco a rifuggirsi precipitosamente; e con obbrobrio, nel suo palagio del Cairo. Benchè abbandonati dal loro Sovrano, gli abitanti di Damasco sì valorosamente difesero le proprie mura, che Timur offeriva di liberare questa città dall'assedio, purchè i cittadini acconsentissero a pagare un riscatto con varj donativi, tutti regolati colla proporzione del numero nove che già si additò. Ma appena, sotto la fede di una tregua, gli fu permesso introdursi nella città, violò perfidamente il Trattato, esigendo una contribuzione di dieci milioni in oro, ed incoraggiando i suoi soldati a castigare i popoli della Sorìa come discendenti di coloro che aveano eseguita, o approvata la morte del pronipote del Profeta; nè eccettuò dall'eccidio generale fuorchè una famiglia che avea data onorevole sepoltura alla testa di Hosein, e una colonia di operai, o artigiani che trasportò a Samarcanda (A. D. 1279). Dopo un'esistenza di sette secoli, la città di Damasco fu ridotta in cenere per lo zelo religioso di un Tartaro che davasi vanto di vendicare il sangue di un Arabo. Le perdite e i disagi di questa guerra costrinsero Timur ad abbandonare l'idea di conquistare l'Egitto e la Palestina; ma rivolgendosi all'Eufrate, consegnò alle fiamme la città di Aleppo, e autenticò la pietà de' motivi che a tale atto il condussero col concedere libertà e ricompensa a duemila Alìdi che divisavano di visitare la tomba del figlio suo. Mi sono diffuso su queste particolarità che giovano a far conoscere il carattere personale di cotesto Eroe de' Mongulli; ma racconterò brevemente424 che egli innalzò una piramide di novantamila teste sulle rovine di Bagdad, e che dopo avere devastata nuovamente la Georgia (A. D. 1401), sulle rive dell'Arasse accampò, facendo ivi nota la sua risoluzione di movere l'armi contra l'Imperatore ottomano. Conoscendo egli di quanto momento una tal guerra si fosse, radunò per essa le forze di tutte le sue province; onde ottocentomila uomini diedero ai registri militari il lor nome425; e l'ordine dato per cinque o diecimila cavalli, indica piuttosto il grado e gli attributi dei Capi che il numero effettivo de' soldati426. I Mongulli aveano acquistate immense ricchezze nel saccheggio della Sorìa, ma la distribuzione de' loro stipendj arretrati di sette anni, gli affezionò con più certezza ai loro stendardi.

389.Questi Giornali vennero comunicati a Serefeddino, o Scerefeddin-Alì, che compose in lingua persiana la Storia di Timur-Bek, tradotta in francese dal sig. Petis de la Croix, Parigi 1722, in quattro volumi in 12; autore che ho preso per mia guida, seguendolo fedelmente. Si mostra esattissimo nella geografia e nella cronologia, e merita confidenza ne' raccontati fatti, benchè talvolta con un linguaggio da schiavo encomj la fortuna e le virtù del suo eroe. Può scorgersi dalle Instituzioni di Timur, quanto questo Principe fosse sollecito di procurarsi cognizioni e nel proprio paese, e dagli stranieri (Instit. de Timur, p. 215-217, 349, 351).
390.Questi Comentarj non sono ancor conosciuti in Europa, ma il signor White ne fa sperare la traduzione per cura del suo amico, Maggiore Davy, che ha letto in Asia questo racconto fedele e minuto delle cose attenenti ad un'epoca rilevante e feconda d'avvenimenti.
391.Non so se l'originale di queste Instituzioni, scritte in lingua turca o mongulla, rimanga tuttavia. Il Maggiore Davy, col soccorso del signor White professore di lingua araba, ha pubblicata in Oxfort nel 1783 in 4, la traduzione persiana, unendovi una traduzione inglese, e un prezioso indice. Quest'opera è stata da poco in qua tradotta in francese (Parigi 1787) dal signor Langlès, versatissimo nelle antichità dell'Oriente, che vi ha aggiunta una vita di Timur e varie note di molto pregio.
392.Shaw Allum, il presente Mogol, legge, apprezza, ma non può imitare le Instituzioni del suo illustre antenato: il traduttore inglese crede giustificata l'autenticità delle medesime dalle prove inserite nell'opera; ma per chi formasse alcuni sospetti di frode o finzione, la lettera del Maggiore Davy non sarebbe atta a distruggerli. Gli Orientali non hanno mai coltivata l'arte della critica. La protezione di un Principe non è men lucrosa di quella di un libraio, nè può riguardarsi come cosa incredibile che un Persiano fosse stato il vero autore dell'Opera, e avesse rinunziato all'onore di comparir tale per aumentare il prezzo e il valore della medesima.
393.Trovasi l'originale delle favole raccontate intorno a Timur nella seguente opera assai apprezzata per pomposa eleganza di stile: Ahmedis Arabsiadae (Ahmed-Ebn-Arabshà) vitae et rerum gestarum Timuri, arabice et latine. Edidit Samuel Henricus Manger. Franequerae, 1768, 2 t. in 4. In questo autore nativo della Sorìa si ravvisa un nemico sempre malevolo, e spesse volte ignorante: i titoli stessi de' suoi capitoli portano l'impronta dell'astio; tai sono i seguenti. In qual modo il malvagio; in qual modo l'empio; in qual modo la vipera ec. Il copioso articolo Timur, inserito nella Biblioteca Orientale, offre un miscuglio di opinioni, perchè il d'Herbelot ha tolti indifferentemente i suoi materiali (p. 887-888) da Kondemir, da Eb-Sciunà, e da Lebtarik.
394.Demir o Timur, significa in lingua turca ferro; e Beg è la denominazione di un gran signore, o di un principe. Il cambiamento di una lettera o di un accento produce il vocabolo leng o zoppo, e gli Europei, per corruzione, hanno confuso i due vocaboli nell'unico Tamerlano.
395.Dopo avere raccontate alcune ridicole favole, Arabshà è costretto a riconoscere Timur-Lenc, siccome un discendente di Gengis per mulieres, aggiugnendo con mal umore laqueos Satanae (part. I, c. 1, p. 25). La testimonianza di Abulgazi-kan (part. 2, c. 5; part. 5, c. 4) è chiara, irrefragabile e decisiva.
396.Giusta una genealogia, il quarto antenato in linea ascendente di Gengis e il nono di Timur erano due fratelli; i quali convennero che la posterità del primogenito succederebbe alla dignità di Kan, e che i discendenti del più giovine sosterrebbero le cariche di ministri e di generali; tradizione che servì almeno a giustificare le prime imprese dell'ambizioso Timur (Instituzioni, p. 24-25, compilate dai fragmenti manoscritti della Storia di Timur).
397.V. la Prefazione di Serefeddino e la Geografia di Abulfeda (Chorasmiae ec., Descriptio, pag. 60, 61) nel secondo volume di Hudson.
398.V. al proposito della nascita di Timur e dell'avviso che intorno ad essi portarono gli Astrologi, il Dottor Hyde (Synt. Dissert., t. II, pag. 466). Nacque l'anno di Grazia 1336, 9 aprile, 11°, 57', P. M. lat. 36. Non so se abbiano avverata al giusto la grande congiunzion de' pianeti, da cui Timur, come altri conquistatori, hanno tratto il soprannome di Shach-Keran, o Padrone delle Congiunzioni (Bibl. orient. pag. 878).
399.Le Instituzioni di Timur danno assai impropriamente ai sudditi del Kan di Kasgar il nome di Uzbeg, o Uzbek; nome che perteneva ad un'altra popolazione di Tartari dimorante in una diversa contrada (Abulgazi, part. V, cap. 5, part. VII, c. 5). Se fossi ben sicuro che questo equivoco di nome si trovasse anche nell'originale turco, non esiterei da inferirne che le Instituzioni furono composte un secolo dopo la morte di Timur, e successivamente alla migrazione degli Uzbek nella Transossiana.
400.Il primo libro di Serefeddino è consacrato alla vita privata del suo eroe; e lo stesso Timur, ovvero il suo segretario, si diffonde con compiacenza (Instit., p. 3-77) sulle tredici spedizioni che fanno maggiore onore al merito personale di questo Principe, merito personale che traluce anche in mezzo ai racconti di Arabshà (part. 1, c. 1-12).
401.Il secondo e il terzo Libro di Serefeddino narrano le conquiste della Persia, della Tartaria, e dell'India; parimente Arabshà (c. 13-35). V. anche il prezioso Indice delle Instituzioni.
402.Abulgazi-kan commemora la venerazione che hanno i Tartari pel misterioso numero 9, e divide per questa sola ragione in nove parti la sua Storia Genealogica.
403.Arabshà (parte I, c. 28, pag. 183) racconta che il codardo Timur fuggì nella sua tenda; che per non essere inseguito da Mansur si travestì da donna. Chi sa che per un vizio contrario, Serefeddino non abbia esagerato il valor del suo eroe. (V. l. III, c. 25).
404.L'Istoria di Ormuz somiglia assai a quella di Tiro. La vecchia città situata sul Continente, fu distrutta dai Tartari e venne fabbricata la nuova in un'isola sterile e priva di acqua dolce. I Re di Ormuz arricchiti dal commercio dell'India e dalla pesca delle perle, possedevano vasto territorio in Persia e in Arabia; tributarj indi de' Sultani di Kerman, e oppressi sotto la tirannide de' lor Visiri, ne furono nell'anno 1505 liberati, per cadere sotto nuova tirannide, dai Portoghesi. V. Marco Polo (l. I, c. 15-16, fol. 7, 8), Abulfeda (Geogr., Tab. XI, p. 261, 262), una Cronaca originale di Ormuz nella Storia della Persia di Stephen (p. 376-416) ovvero in Texeira; e gl'Itinerarj inseriti nel primo volume di Ramusio, o Lodovico Bartema (1503, fol. 167), di Andrea Corsali (1517, fol. 202, 203) e di Odoardo Barbessa (1516, fol. 315-318).
405.Arabshà avea viaggiato nel Kipsak e acquistate grandi conoscenze della geografia e delle vicissitudini di quel paese settentrionale (parte I, c. 45-49).
406.Instit. di Timur, pag. 123-125. Il White, l'editore, si lagna del racconto sterile e superficiale di Serefeddino (l. III, c. 12, 13, 14), che ignorava i disegni di Timur e i veri motivi che lo guidavano nelle sue azioni.
407.È cosa più facile il persuadersi delle pellicce di Russia, che delle verghe d'oro e d'argento; ma inoltre, Antiochia non è mai stata famosa per le sue tele, e in quel tempo era già rovinata. Penso piuttosto che queste tele di manifattura europea, vi fossero state portate per la strada di Novogorod, e forse da alcuni mercanti delle città anseatiche.
408.Il signor Levesque (Hist. de Russie, l. II, pag. 247; Vie de Timur, p. 64-67, pubblicata prima della traduzione francese delle Instituzioni) ha corretti gli errori di Serefeddino e contrassegnati i veri limiti delle conquiste di Timur, o Tamerlano. Sono superflui i suoi argomenti; e gli Annali di Russia bastano per provare che Mosca stata presa sei anni prima di quest'epoca da Toctamis, si sottrasse all'armi d'un più formidabile conquistatore.
409.Il viaggio di Barbaro a Tana seguito nel 1436, dopo che la città era stata rifabbricata, cita un Console egiziano del Gran Cairo (Ramusio, t. II, folio 92).
410.Trovasi la relazione del saccheggio di Azoph in Serefeddino (l. III, c. 55), e più minutamente ancor lo descrive l'autore di una Cronaca italiana (Andrea de Redusiis de Quero, in Chron. Tarvisiano, in Muratori, Script. rer. italic., t. XIV, pag. 802-805). Egli avea conversato co' Miani, due fratelli veneziani, uno de' quali era stato delegato al campo di Timur, e l'altro avea perduti ad Azoph i suoi tre figli e dodicimila ducati.
411.Serefeddino dice semplicemente (l. III, cap. 13) che poteva appena discernersi un intervallo fra la sera e il mattino. Può facilmente risolversi questo problema, nella latitudine di Mosca posta al 56.°, col soccorso di un'aurora boreale e di un lungo crepuscolo: ma una giornata solare di quaranta giorni (Kondemiro, presso d'Herbelot, p. 880) ci restringerebbe a tutto rigore nel Cerchio polare.
412.Circa la guerra dell'India, V. le (Instit. p. 129-139), il quarto libro di Serefeddino, e la Storia di Ferista in Dow, (vol. II, pag. 1-20) che offre idee generali sugli affari dell'Indostan.
413.L'impareggiabile Carta dell'Indostan delineata dal Maggior Rennel, ha per la prima volta stabilito, con verità ed esattezza, la situazione e il corso del Pungiab, ossia de' cinque rami orientali dell'Indo; e la Memoria Critica dello stesso geografo spiega con discernimento e chiarezza la spedizione di Alessandro, e l'altra di Timur.
414.I due grandi fiumi, il Gange e il Burampooter, traggono la loro sorgente nel Tibet dai fianchi opposti della catena delle stesse montagne, alla distanza di milledugento miglia l'uno dall'altro, e dopo un corso tortuoso di duemila miglia si congiungono presso al golfo del Bengala. Tale però si è il capriccio della fama, che il Burampooter sol di recente è stato scoperto, e il Gange, da un gran numero di secoli è famoso nella Storia antica e moderna. Cupela, ove Timur riportò l'ultima sua vittoria, debb'essere situata presso Loldong lontano mille cento miglia da Calcuta. Gl'Inglesi vi accamparono nel 1774 (Memoria di Rennel, pag. 7-59-90, 91-99).
415.V. le Instituzioni (p. 141) sino alla fine del primo libro, e Serefeddino (l. V, c. 1-16) fino all'arrivo di Timur nella Sorìa.
416.Noi abbiamo tre diverse copie di queste lettere minacciose, nelle Instituzioni (p. 147), in Serefeddino (l. V, c. 14) e in Arabzà (t. II, c. 19, p. 183-201), le quali s'accordano più nella sostanza che nello stile. Vi è apparenza che sieno state tradotte, con più o meno libertà, dal turco in lingua araba e in lingua persiana.
417.L'Emiro Mongul dà a sè medesimo e a' suoi compatriotti il nome di Turchi, e avvilisce Baiazetto e la sua nazione valendosi del nome meno onorevole di Turcomani. Però io non comprendo in qual maniera gli Ottomani potessero trarre origine da un piloto turcomano. Questi pastori si trovavano, avuta considerazione al loro soggiorno, ben lungi dal mare e da ogni affare marittimo.
418.Giusta il Corano (c. 2, pag. 27, e i Discorsi di Sale, p. 134) un Musulmano che avesse ripudiato tre volte la moglie, cioè ripetuta per tre volte la formola del divorzio, non poteva ripigliarla se prima un altro non la sposava e ripudiava nuovamente. Una tal cerimonia è assai umiliante di per sè stessa, senza il bisogno di aggiugnere che il primo marito dovea per obbligo star presente allorchè il secondo godea della moglie ripudiata dall'altro (Stato dell'Impero Ottomano, Richauld, l. II, c. 21).
419.Arabshà attribuisce particolarmente ai Turchi il dilicato riguardo, comune a tutti gli Orientali, di non parlare mai in pubblico delle lor donne; ed è quasi da maravigliarsi che Calcocondila abbia avuta qualche conoscenza e sul pregiudizio de' Turchi, e sulla natura dell'insulto.
420.Circa allo stile de' Mongulli, V. le Instituzioni (p. 131-147), quanto ai Persiani, si consulti la Biblioteca orientale (p. 882); non trovo per altro nè che gli Ottomani abbiano assunto il titolo di Cesari, nè che gli Arabi lo abbiano mai dato ai medesimi.
421.V. i regni di Barkok e di Faragio nel De Guignes (t. IV, l. 22), che ha tolto dai testi di Abul-Mahasen, di Ebn-Sciunà e di Aintabi, alcuni fatti da noi aggiunti ai nostri materiali.
422.Intorno a questi fatti recenti ed interni, possiamo fidarci ad Arabshà, benchè in altre occasioni si mostri molto parziale (t. I, cap. 64-68; t. II, c. 1-14). Timur dovea certamente comparire odioso ad un uomo nato in Sorìa; ma la notorietà de' fatti era tale, che avrebbe obbligato questo scrittore a rispettare se non il suo nemico, la verità. Le invettive ch'ei move contro Timur servono a temperare la ributtante adulazione di Serefeddino.
423.Sembra che Arabshà abbia copiate queste curiose conversazioni (t. I, c. 68, p. 625-645) dal Cadì o storico Ebn-Sunà, uno de' principali attori; ma come potea questi viver settantacinque anni dopo le narrate cose? (d'Herbelot p. 772)
424.Serefeddino (l. V, c. 29-43) e Arabshà (t. II, c. 15-18) narrano le spedizioni e le conquiste di Timur nell'intervallo tra la guerra di Sorìa e l'ottomana.
425.Questo numero di ottocentomila è tolto da Arabshà, o piuttosto da Ebn-Sunà (ex rationario Timuri) che fonda i suoi racconti sulla testimonianza di un ufiziale carizmio (t. I, cap. 68, p. 617); ed è cosa meritevole di osservazione che Franza, Storico greco, non aggiugne a questo computo più di ventimila uomini. Il Poggio ne conta un milione; un altro contemporaneo latino (Chron. Tarvisianum, V. Muratori, t. IX, p. 800) ne conta un milione centomila; e un soldato alemanno che trovavasi alla battaglia di Angora, attesta il prodigioso numero di un milione seicentomila (Leunclavius, ad Calcocond., l. III, p. 82). Timur, nelle sue Instituzioni, non si è degnato calcolare nè le sue truppe, nè i suoi sudditi, nè le sue rendite.
426.Il Gran Mogol per vanità, e a profitto de' suoi ufiziali, lasciava immensi vôti negli specchi de' suoi eserciti. Il Sere di Bernier, Penge-Hazari, era comandante di cinquemila cavalli che si riducevano a cinquecento (Voyages, tom. I, p. 288, 289).
Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
28 eylül 2017
Hacim:
540 s. 1 illüstrasyon
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