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Kitabı oku: «Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 12», sayfa 5

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CAPITOLO LXI

I Francesi e i Veneziani si dividono fra loro l'Impero. Cinque Imperatori latini delle Case di Fiandra e di Courtenai. Loro guerre contro i Bulgari e i Greci. Debolezza e povertà dell'Impero latino. Costantinopoli ripresa dai Greci. Conseguenza generale delle Crociate.

Dopo la morte de' Principi legittimi di Bisanzo, i Francesi e i Veneziani credettero abbastanza giustificati e la loro causa, e i prosperi successi ottenuti, per ripartirsi anticipatamente fra loro le province del greco Impero110. Mediante un Trattato, accordaronsi a nominare dodici Elettori, sei per nazione, e a riconoscere Imperator d'Oriente quell'individuo che accoglierebbe in sè un maggior numero di suffragi. Stipularono inoltre i confederati che accadendo parità nel numero de' voti, la sorte deciderebbe fra i due candidati; e concedettero a quello che sarebbe eletto, i titoli e le prerogative de' precedenti Imperatori, i due palagi di Blacherna e di Bucoleone, e la quarta parte di tutti i possedimenti che la monarchia de' Greci formavano. Le tre altre parti divise in due porzioni eguali, vennero tenute da banda per essere divise fra i Veneziani e i Baroni francesi. Fu risoluto che tutti i feudatarj, dai quali, per una distinzione d'onore venne eccettuato il Doge, presterebbero al nuovo Sovrano, omaggio di fedeltà e giuramento di servigio militare, come a Capo supremo dell'Impero; che quella fra le due nazioni cui toccherebbe la sorte di dare all'Oriente un Imperatore, cederebbe all'altra la nomina del Patriarca; che per ultimo tutti i Pellegrini, comunque impazienti fossero di visitar Terra Santa, dovessero consagrare anche un anno a conquistare e difendere le province del greco Impero. Appena impadronitisi di Bisanzo i Latini, un tale Trattato confermarono e misero ad effetto, divenuta prima e più rilevante fra le loro cure l'elezione di un Imperatore. Tutti ecclesiastici erano i sei Elettori francesi: l'Abate di Loces, l'Arcivescovo eletto di Acri in Palestina, e i Vescovi di Soissons, di Troyes, di Halberstadt e di Betlemme; l'ultimo de' quali Prelati gli uffizj di Legato del Papa adempiea. Rispettabili per sapere e per santità del loro carattere, tanto più idonei a tale scelta mostravansi che su di essi non poteva cadere. Fra i primarj ministri dello Stato, vennero creati i sei Elettori Veneti, onde le illustri famiglie de' Querini e de' Contarini, s'inorgogliscono tuttavia di trovare in quell'Assemblea i nomi de' loro antenati. Radunatisi nella cappella del palagio i dodici Elettori, procedettero alla elezione, dopo avere invocato solennemente lo Spirito Santo. Ragioni di rispetto e di gratitudine unirono primieramente i voti di tutti i congregati a favore del Doge. Autore egli stesso di quell'impresa, per tali azioni erasi segnalato, che, a malgrado degli anni e della cecità, poteano renderlo ammirazione ed invidia de' più giovani cavalieri. Ma il Dandolo non mai abbastanza per virtù cittadine lodato, e disdegnando tutto ciò che a personale ambizione si riferiva, fu pago dell'onor de' suffragi, che degno il promulgavano di regnare. I suoi concittadini, e fors'anche i suoi amici si opposero eglino stessi a questa nomina111, facendo coll'eloquenza della verità, manifesti i danni che alla libertà di Venezia e alla causa comune doveano temersi dall'incompatibile collegamento della prima magistratura della Repubblica, e della Sovranità dell'Oriente. L'esclusione del Doge lasciò libero il campo a Bonifazio ed a Baldovino. I meriti di questi due candidati si contrabbilanciavano scambievolmente, ma tanto sovrastavano a quello degli altri, che a questi due cedettero rispettosamente le loro pretensioni. Maturità di anni, splendida rinomanza, l'opinione più generale de' Pellegrini, il voto dei Greci, stavano soprattutto pel Marchese di Monferrato; nè mi è sì agevole il credere che i piccioli possedimenti di questo Principe, posti a piedi dell'Alpi112, dessero inquietudine alla Repubblica di Venezia padrona del mare. Ma il Conte di Fiandra, in età di trentadue anni, valoroso, pio e casto, Capo d'un popolo ricco e bellicoso, discendente da Carlomagno, cugino del Re di Francia, contava fra i suoi Pari, Baroni e Prelati, che avrebbero mal tollerato di sottomettersi all'Impero di uno straniero. Questi Baroni, il Doge, e a capo d'essi il Marchese di Monferrato, stavansi alla porta della cappella, aspettando la risoluzione degli Elettori. Venne finalmente a nome de' suoi colleghi annunziandolo il Vescovo di Soissons. «Voi avete giurato, disse egli, obbedire al Principe che avremmo scelto. Per l'unanimità de' nostri suffragi, Baldovino Conte di Fiandra e di Hainaut, è vostro Sovrano ed Imperator d'Oriente». Il nuovo Monarca venne salutato fra romorose acclamazioni, che la gioia de' Latini e la tremante adulazione de' Greci per tutta la città ripeterono. Primo fu Bonifazio a baciar la mano al rivale e ad innalzarlo sul proprio scudo. Baldovino fu trasportato nella Cattedrale ove solennemente calzò i coturni di porpora. Tre settimane dopo l'elezione, il Legato del Papa che gli uffizj di Patriarca adempiea, lo coronò; ma prestamente s'impadronì del coro di S. Sofia il Clero veneziano, che fu sollecito a porre sul trono ecclesiastico Tommaso Morosini, nè trascurò alcuna diligenza per mantenere alla sua nazione gli onori e i benefizj della Chiesa greca113. Non indugiò il successore di Costantino a far noto per messi, questo memorabile cambiamento politico alla Palestina, alla Francia, a Roma. Le porte di Costantinopoli, le catene del porto vennero, per suo ordine, trasportate in Palestina come trofei114, e dalle Assise di Gerusalemme tolse le leggi e gli statuti, che meglio ad una colonia francese e ad una conquista d'Oriente addicevansi. Sollecitò indi per lettere tutti i Francesi, perchè venissero ad ingrossare questa colonia, a popolare una capitale vasta e magnifica, a coltivare un suolo fertile, e preparato dalla natura a dar largo guiderdone di lor fatiche al Sacerdote e al soldato. Mandò anche congratulazioni al Pontefice di Roma per la sua autorità ristaurata, nell'Oriente, eccitandolo ad estinguere lo scisma dei Greci colla sua presenza medesima ad un generale Concilio, e implorandone l'indulgenza e l'appostolica assoluzione per que' Pellegrini che agli ordini del Capo della Chiesa aveano contravvenuto115. Accorgimento e dignitosi modi la risposta d'Innocenzo contraddistinsero; attribuendo ai vizj degli uomini la sovversione dell'Impero d'Oriente, adorava in ordine a ciò i decreti della Providenza. «I conquistatori, egli dicea, saranno o assoluti o condannati giusta la condotta che terranno in appresso, e la validità del loro parteggiamento è cosa che dal giudizio di S. Pietro dipende». Non dimenticò nel medesimo tempo di prescriver loro, siccome il più sacro de' doveri, quello di mantenere subordinati e tributarj i Greci ai Latini, i Magistrati al Clero, il Clero al Pontefice.

Nel ripartimento delle province dell'Impero116, la porzione che toccò ai Veneziani trovossi più considerabile di quella dell'Imperatore latino. Ei non possedea che un quarto della conquista. Riserbatasi Venezia una grossa metà del rimanente, l'altra metà tra i venturieri di Francia e di Lombardia venne distribuita. Il venerabile Dandolo, acclamato despota della Romania, fu, giusta l'uso de' Greci, fregiato de' calzaretti di porpora. Ei terminò il corso della sua lunga e gloriosa vita a Costantinopoli; e benchè le prerogative di lui non passassero ai suoi successori, questi ne conservarono nullameno i titoli fino alla metà del secolo decimoquarto, ed aggiugneano l'altro singolarissimo, di Signori di un quarto e mezzo dell'Impero Romano117. Il Doge, schiavo dello Stato, rade volte ottenea la permissione di allontanarsi dalla sede del Governo; ma ne tenea vece in Grecia un Bailo o reggente, insignito d'inappellabile giurisdizione sulla colonia de' Veneziani. Degli otto rioni di Costantinopoli, tre appartenevano a questa colonia; il cui tribunale independente, era composto di sei giudici, quattro cancellieri, due ciamberlani, due avvocati fiscali e un contestabile. Una lunga esperienza sul commercio d'Oriente, gli avea fatti accorti sì, che meglio degli altri poteano provvedere ai loro interessi nel ripartimento; pur commisero una imprudenza nell'accettare il governo e la difesa d'Andrinopoli. Ad ogni modo la saggia politica di questi trafficanti, pensò ad assicurarsi una catena di città, di isole e di fattorie, lungo la costa marittima, che dai dintorni di Ragusi fino all'Ellesponto e al Bosforo si estendea. I dispendiosi lavori che a mantenere tali conquiste volevansi, avendo impoverito il veneto erario, abbiurarono le antiche massime del lor governo, adattandosi ad un feudale sistema, e concedendo, contenti di un semplice omaggio, ai Nobili118 il possedimento di que' paesi, che questi imprendeano a conquistare, o a difendere. In cotal guisa, la famiglia di Sanuto divenne padrona del Ducato di Nasso, che tenea la massima parte dell'Arcipelago. Mediante uno sborso di diecimila marchi, la Repubblica comperò dal Marchese di Monferrato, la fertile isola di Creta, o Candia, e le rovine di cento città119. Ma i meschini concepimenti di un'orgogliosa aristocrazia120, non permisero trar grande profitto da tali acquisti; onde i più giudiziosi fra i Senatori dichiararono non per possedute terre, ma per l'Impero del mare il tesoro di S. Marco impinguarsi. Sulla metà da ripartirsi fra i venturieri, il Marchese di Monferrato, fuor d'ogni dubbio, alla maggior ricompensa aveva dritto. Oltre alla cedutagli isola di Creta, per un riguardo al trono da cui fu escluso, gli fu conferito il titolo di Re e assegnate le province al di là dell'Ellesponto; ma fe' un saggio cambio di questa difficile e lontana conquista, col regno di Tessalonica o di Macedonia, distante dodici giornate dalla capitale, e dagli Stati del Re d'Ungheria, cognato del Marchese, e vicino quanto bastava, perchè questi all'uopo ne potesse sperare soccorsi. Il suo passaggio per le province che dovè traversare, fu in mezzo a continue acclamazioni o sincere, o simulate de' Greci; e l'antica e vera Grecia ricevette di nuovo un conquistatore latino121, che con aria d'indifferenza questa classica terra calcò. Degnando appena d'un guardo le bellezze della valle di Tempe, pose molta cautela addentrandosi nelle gole delle Termopile, occupò Tebe, Atene ed Argo, città al medesimo sconosciute, e prese d'assalto Corinto e Napoli122, che aveano tentato resistergli. Or la sorte, ora la scelta e successivi baratti, regolarono i premj degli altri pellegrini. Accecati dal giubilo del riportato trionfo, usarono immoderatamente del lor potere, sulla vita e le ricchezze d'un grande numero d'uomini. Dopo una recapitolazione esatta di tutte le province da ripartirsi, pesarono con avara bilancia le rendite di ciascuna di esse, la situazione più o men vantaggiosa, i modi più o meno abbondanti che queste offerivano, per alimentare uomini e cavalli sul loro suolo. Fin agli antichi smembramenti del Romano Impero, le pretensioni dei vincitori si estesero; nelle immaginarie lor divisioni, il Nilo e l'Eufrate si trovavan compresi, e giubilava il guerriero che nella sua parte di premio, la reggia del Sultano d'Iconium annoverava123. Non m'arresterò in questo luogo ad enumerare i nuovi fregi genealogici, e i possedimenti di ciascun cavaliere; mi basti il dire, che i Conti di Blois e di S. Paolo, il ducato di Nicea e la signoria di Demotica ottennero124; i principali feudi alle cariche di Contestabile, di Ciamberlano, di Coppiere e di Mastro di casa, andarono uniti. Il nostro Storico, Goffredo di Villehardouin, acquistò un ricco dominio sulle rive dell'Ebro, accoppiando gli uffizj di Maresciallo di Sciampagna e di Romania. Ciascun Barone a capo de' suoi cavalieri ed arcieri, si trasferì a prender possesso della sua parte di premio; nè grande resistenza la maggior parte di loro trovarono sulle prime: ma da siffatta dispersione derivò, che le generali forze scemarono; e ognuno s'immagina quanti litigi dovettero sorgere in tale stato di cose, e fra uomini che riconoscevano per primitiva legge il successo dell'armi. Tre mesi dopo la conquista di Costantinopoli, già l'Imperatore e il Re di Tessalonica, marciavano un contra l'altro; però l'autorità del Doge, i consigli del Maresciallo, la coraggiosa fermezza de' Pari a pacificarli pervennero125.

A. D. 1204 ec.

Due fuggiaschi che avevano occupato il trono di Costantinopoli, assumeano tuttavia il titolo di Imperadori, e que' che furono lor sudditi poteano cedere ad un moto di compassione verso l'antico Alessio, o ardere del desiderio di vendicarsi sopra l'ambizioso Murzuflo. Vincoli di famiglia, comune interesse, eguali delitti, e il merito di aver tolta la vita ai nemici del suo rivale, persuasero il secondo usurpatore a cercare di collegarsi col primo. Murzuflo si trasferì nel campo di Alessio, ove carezzevolmente e con onori fu ricevuto: ma gli scellerati, incapaci di sentire amicizia, hanno torto se si fidano in coloro che ad essi somigliano. Dopo averlo fatto arrestare in un bagno e privare degli occhi, Alessio si guadagnò le truppe di costui, se ne appropiò i tesori; poi fattolo scacciare dal campo, Murzuflo errò, qua e là, oggetto di scherno e d'orrore a coloro che, più di Alessio, aveano diritto di odiare e di punir l'assassino dell'imperatore Isacco, e del figliuolo d'Isacco. Straziato dalla tema e dai rimorsi, tentava rifuggirsi in Asia, allorchè i Latini di Costantinopoli lo sorpresero, ed instituito un pubblico giudizio, ad ignominiosa morte il dannarono. I giudici dopo avere esitato, nella scelta del supplizio, tra la mannaia, la ruota, e il palo, fecero collocare Murzuflo126 sulla cima di una colonna di marmo bianco, alta cenquarantasette piedi, e detta la Colonna di Teodosio (A. D. 1204-1222)127. Dall'alto di questa, fu precipitato capo volto a basso, e il cranio ne rimase infranto alla presenza di numerosissimo popolo assembrato nel Foro del Tauro che vedea con maraviglia in questo singolare spettacolo la spiegazione e il compimento di un'antica profezia128. Men tragico fu il destino di Alessio: il Marchese lo inviò in dono al Re de' Romani in Italia. Condannato a perpetua prigionia, l'usurpatore venne trasferito da una Fortezza dell'Alpi in un monastero dell'Asia, senza guadagnare molto nel cambio. Ma prima della caduta di Costantinopoli Alessio avea conceduta la sua figlia in isposa ad un giovane eroe che riedificò e tenne il trono de' principi greci129. Teodoro Lascaris, segnalato erasi per valore nei due assedj di Bisanzo. Dopo la fuga di Murzuflo, ed essendo già i Latini padroni della città, si offerse per Imperatore ai soldati ed al popolo, offerta che in tal momento poteva essere un atto di virtù, e certamente fu grande prova in lui di coraggio. Se nello stesso tempo gli fosse stato lecito infondere un'anima a quelle vili turbe, avrebbero calpestato sotto i lor piedi gli stranieri che lor sovrastavano; ma codardi i Greci nella disperazione, il soccorso di lui ricusarono, onde Teodoro fu costretto ripararsi nella Natolia, per respirare ivi un'aura d'independenza, libero dal vedere e dal paventare i conquistatori della sua patria. Sotto il titolo di despota, poscia d'Imperatore, unì a' suoi stendardi il piccolo numero d'uomini coraggiosi che il disprezzo della vita facea tuttavia forti contro la schiavitù; e riguardando come legittimo ogni atto che alla salvezza pubblica potesse giovare, non ebbe scrupolo d'invocare l'alleanza del Sultano de' Turchi. Posta in Nicea Teodoro la sua residenza, Prusa, Filadelfia, Smirne ed Efeso apersero le porte al loro liberatore. Le vittorie, e persin le sconfitte in forza e rinomanza lo accrebbero, e successore di Costantino, ne serbò quella parte d'Impero, che dal Meandro ai sobborghi di Nicomedia e in appresso a quelli di Costantinopoli si estendea. Anche l'erede legittimo de' Comneni, figlio del virtuoso Manuele, e pronipote del feroce Andronico, possedeva in lontana provincia una debole parte di questo impero: nomavasi Alessio, e il soprannome datogli di Grande probabilmente più alla sua statura che alle sue imprese si riferiva. I principi della dinastia, degli Angeli, senza aombrarsi della sua origine, lo aveano nominato governatore o duca di Trebisonda130: la sua nascita gli ispirava ambizione, la caduta dell'Impero gli fruttò independenza. Senza cambiare di titolo, regnò tranquillamente sulla costa del Mar Nero da Sinope sino al Fasi. Il figlio che a lui succedè, e del quale ignorasi il nome, è conosciuto soltanto come vassallo del Sultano che egli seguiva con dugento lancie alla guerra; ma il titolo di Duca di Trebisonda in questi due Comneni durò, e unicamente Alessio, pronipote del primo d'essi, spinto da orgoglio e da gelosia assunse il titolo d'Imperatore. Anche nella parte occidentale dell'Impero, Michele, bastardo della dinastia degli Angeli, e prima delle sconfitte, riguardato, or come ostaggio, or come soldato, or come ribelle, salvò dal naufragio un terzo frammento di greca dominazione. Fuggito dal campo di Bonifazio, ottenne in isposa la figlia del governator di Durazzo, e per tali nozze il possedimento di questa importante città: preso il titolo di despota, fondò un principato possente nell'Epiro, nell'Etolia, nella Tessaglia, sempre famosa per gli uomini bellicosi che la popolarono. Que' Greci che offersero servigio ai Latini, divenuti novelli loro sovrani, si videro disprezzati da questi superbi principi, ed esclusi131 da tutti gli onori civili e militari, come uomini sol nati per obbedire e tremare. Offesi questi d'un sì aspro trattamento, si accinsero a provare cogli effetti di un'operosa inimicizia, quanto l'amicizia loro poteva essere utile a chi li vilipese. Finalmente l'avversità aveva loro inspirato coraggio: onde tutti i cittadini chiari per sapere o virtù, per nascita o valore, abbandonarono Costantinopoli, riparandosi ai governi independenti di Trebisonda, d'Epiro o di Nicea. Non si cita che un solo patrizio che abbia meritato l'encomio, se luogo ad encomio pur v'era, di affezione e fedeltà verso i Franchi. I popoli delle città e delle campagne si sarebbero forse accostumati ad una moderata e regolar servitù. Forse alcuni anni di pace e d'industria avrebbero fatto dimenticare ad essi la guerra e i suoi passeggieri disastri. Ma la tirannide del sistema feudale allontanando le soavità della pace, distruggea il frutto delle fatiche de' sudditi; e comunque un'amministrazione semplice e savie leggi, somministrassero agl'Imperadori latini di Costantinopoli, se avessero avuto l'accorgimento di ben prevalersene, ogni agevolezza a proteggere i proprj sudditi; in questo momento stava sul trono un principe titolare, Capo e spesse volte schiavo de' suoi indocili confederati. La spada de' Baroni arbitrava di tutti i feudi dell'Impero incominciando dall'intero reame, e venendo fino all'infimo fra' castelli. La costoro ignoranza, le discordie, la povertà ne estendevano la tirannide ai più rimoti villaggi. Il poter temporale de' preti, e l'odio fanatico de' soldati in un medesimo tempo i Greci opprimea; e il linguaggio e la religione diversa erano siccome un cancello che per sempre separava i vinti dai vincitori. Sintantochè i Crociati rimasero uniti nella capitale, la ricordanza delle loro vittorie, e il terrore dell'armi loro tennero cheto il soggiogato paese; ma col disunirsi, il segreto della propria debolezza derivata da scarso numero, e dalla poca lor disciplina svelarono; alcune rotte che per imprudenza si procacciarono li diedero a divedere non invincibili. A proporzione di tema sminuita l'odio afforzavasi ne' Greci, che ben presto passarono dalle lamentele alle cospirazioni; onde un anno di servaggio non era ancora per essi compiuto, quando implorarono, ossia accettarono con fiducia il soccorso di un Barbaro, la cui possanza già aveano provata, della gratitudine del quale non dubitavano132.

A. D. 1205

Calo-Giovanni o Giovannizio, Capo ribelle dei Valacchi o de' Bulgari, fu tra i più solleciti a congratularsi, mediante un'ambasceria coi Latini. Il titolo reale da lui assunto, e la santa bandiera dal Pontefice romano inviatagli, sembravano francheggiarlo a riguardarsi come fratello de' nuovi imperatori di Costantinopoli, oltrechè, siccome lor complice nel sovvertimento del greco Impero, credeva a buon diritto potersi noverare fra i loro amici. Qual si fu la sorpresa di Giovannizio in udendo che il Conte di Fiandra, imitando il fastoso orgoglio de' successori di Costantino, ne avea rimandati gli ambasciadori, superbamente annunziandogli essere solo dovere d'un ribelle il venire con fronte china a toccare i gradini del soglio per meritarsi il perdono? Se il Re de' Bulgari non avesse ascoltate che le voci del proprio risentimento, il sangue unicamente potea lavar questo oltraggio; ma una più prudente politica egli adoprò133; pago per allora di star guatando i progressi del mal umore de' Greci, ai quali intanto diede a conoscere quanta pietà in lui destassero le loro sventure, e come ei fosse propenso a secondare colla persona, e con tutte le forze del regno, i primi tentativi che per essi farebbersi a ricuperare la libertà. L'odio di nazione dilatò la congiura, e ad un tempo il secreto e la fedeltà de' congiurati fe' più sicuri. Benchè però i Greci ardessero d'impazienza di conficcare i loro pugnali nel seno de' vincitori, aspettarono accortamente che Enrico fratello del nuovo Cesare avesse condotto al di là dell'Ellesponto il fior delle truppe. Le città e i villaggi della Tracia, per la più parte, mostraronsi pronti a puntino al momento ed al segnal convenuti; perlocchè i Latini, privi d'arme e di sospetti, si videro d'improvviso in preda alla spietata e codarda vendetta de' loro schiavi. Da Demotica, ove questa scena di strage ebbe principio, alcune navi del Conte di S. Paolo cercarono in Andrinopoli ripararsi: ma già l'infuriata plebaglia ne avea scacciati, o immolati, i Francesi ed i Veneziani. Quelle guernigioni latine che pervennero a guadagnarsi una ritirata, sulla strada maestra della capitale incontraronsi; ma quanto alle Fortezze isolate che ai ribelli tuttavia resistevano, un presidio non sapea la sorte dell'altro, e tutti quella del lor Sovrano ignoravano. La fama ingrandita dallo spavento, portò ben presto a Costantinopoli le notizie della ribellione dei Greci, e del rapido avvicinamento del Re dei Bulgari. Giovannizio avea aggiunto alle sue truppe un corpo di quattordicimila Comani, tolti dalla Scizia, i quali beveano, dicesi, il sangue de' lor prigionieri, e sugli altari delle loro divinità i Cristiani sagrificavano134.

Atterrito l'Imperatore, spedì un corriere per richiamare il fratello suo Enrico; e se Baldovino avesse aspettato il ritorno di questo principe valoroso, che dovea condurgli un soccorso di ventimila Armeni, sarebbesi veduto in istato di assalire il Re de' Bulgari con eguaglianza di numero, e superiorità assoluta di armi e di disciplina. Ma lo spirito di cavalleria non sapendo per anco discernere dalla viltà la prudenza, l'Imperatore mosse al campo, scortato da soli cenquaranta cavalieri, e dal lor seguito ordinario di arcieri e sergenti. Dopo inutili rimostranze, il Maresciallo finalmente obbedì al comando di condurre l'antiguardo in sulla strada di Andrinopoli; il Conte di Blois conducea il corpo di battaglia, al retroguardo il vecchio Doge si stava. Accorsi da ogni banda sotto le bandiere di questo piccolo esercito i fuggitivi Latini, s'imprese tosto l'assedio di Andrinopoli, e tali erano le pie intenzioni de' Crociati, che durante la Settimana Santa, davano opera a devastar foraggiando la campagna, e a fabbricar macchine intese alla distruzione di un popolo di Cristiani. Ma ben tosto interruppeli la cavalleria leggiera de' Comani, venuta arditamente a scaramucciare quasi sul confine delle disordinate lor linee. Il Maresciallo pubblicò un bando che avvertiva la cavalleria di trovarsi pronta per montare a cavallo, e ordinarsi in battaglia al primo suono di tromba, minacciando pena di morte a chiunque si fosse distolto dai compagni per inseguire il nemico. Primo a disobbedire ad una provvisione tanto sensata il Conte di Blois, fu cagione colla sua imprudenza della perdita dell'Imperatore. Al primo impeto de' Latini, essendosi i Comani, a guisa di Parti o di Tartari, dati alla fuga, dopo una corsa di due leghe, voltaron fronte congiuntamente, e avvilupparono i pesanti squadroni francesi nel momento che stremi dal correre e cavalli e cavalieri, non aveano questi alcuna abilità di difendersi. Ucciso il Conte sul campo di battaglia, prigioniero l'Imperatore rimase; e il loro valor personale, per cui l'un d'essi disdegnò di fuggire, l'altro di ceder vilmente mal compensarono l'ignoranza, o la trascuratezza che diedero a divedere degli obblighi imposti ai generali d'esercito135.

A. D. 1205

Superbo della riportata vittoria e dell'illustre prigioniero che traeva seco, il Bulgaro si avanzò per soccorrere Andrinopoli e a compiere la sconfitta dei Latini; de' quali sarebbe stata inevitabile la distruzione, se il maresciallo di Romania non avesse data prova di quel tranquillo coraggio e di quel militare intendimento, rari in tutti i secoli, ma più ancora straordinarj in quella età, ove più dall'istinto che dalla scienza, le guerre eran condotte. Il Villehardouin limitatosi a manifestare i proprj timori, e il cordoglio che lo premea, al suo fedele e prode amico, il Doge di Venezia, inspirò per tutto il campo quella fiducia, in cui sola riduceasi la speranza della salvezza. Dopo essersi per un intero giorno mantenuto nella pericolosa situazione che fra la città e il nemico esercito lo collocava, il Maresciallo levò il campo di notte tempo, e senza veruno strepito, operando per tre continui giorni una ritratta cotanto ingegnosa, che Senofonte e i suoi diecimila eroi sarebbero stati costretti ad ammirarla; instancabile nel correre dal retroguardo all'antiguardo, quivi sostenea l'impeto de' nemici, ivi fermava l'imprudente correre de' suoi fuggitivi. Per ogni dove i Comani affrontavano, una linea d'insuperabili lancie si parava contr'essi. Nel terzo dì finalmente, e dopo essere state così tribolate, le truppe latine scorsero il mare, la solitaria città di Rodosto136 e i compagni che dalle coste dell'Asia giugnevano. Abbracciatisi, piansero insieme, e l'armi loro e i lor consigli riunirono. Il Conte Enrico assunse a nome del fratello, il governo d'un impero ancor nell'infanzia, nondimeno a caducità pervenuto137. I Comani mal resistendo all'ardor della state si ritirarono; ma sull'istante del pericolo, settemila Latini, infedeli al loro giuramento e ai fratelli, abbandonarono la capitale: alcune vittorie di poco momento mal compensavano la perdita di cento cavalieri periti nelle pianure di Rusio. La sola Costantinopoli, e due o tre Fortezze sulle coste di Europa e di Asia, all'Imperator rimanevano. Il Re de' Bulgari, invincibile come inesorabile, evitò con modi rispettosi di condiscendere alle istanze del Pontefice che pregava il nuovo proselito a restituire ai desolati Latini la pace e il loro Sovrano. «La liberazione di Baldovino, rispondea Giovannizio, non è più in potere degli uomini. Di fatto questo principe era morto nel suo carcere, e l'ignoranza indi e la credulità, molti diversi racconti sul genere di questa morte han divulgati. Coloro che di storie tragiche si dilettano, crederanno di buon grado che il casto prigioniero fe' vani gli amorosi voti della Regina de' Bulgari; che tale rifiuto alle calunnie della femmina, e alla gelosia di un selvaggio lo avventurò; che mani e piedi gli venner troncati; che il rimanente di quel sanguinoso corpo fu gettato fra gli scheletri de' cavalli e dei cani, e respirò per tre giorni, sintanto che gli uccelli da preda venissero a divorarlo138. Vent'anni dopo, in una foresta de' Paesi Bassi, un romito si volle far credere il conte Baldovino, imperator di Costantinopoli, e sovrano legittimo della Fiandra; narrò a quel popolo, egualmente propenso alla ribellione e alla credulità, le circostanze straordinarie della sua fuga, le sue avventure e la sua penitenza. Cedendo per un istante ad una persuasione cara al loro cuore, i Fiamminghi credettero rivedere il Sovrano che pianto avevano per lungo tempo. Ma la Corte di Francia, dopo brevi indagini, scoperse l'impostore che fu ad ignominiosa morte dannato. Pur non sì di leggieri i popoli della Fiandra abbandonarono una illusione che gli allettava: onde i più gravi storici di questo paese danno colpa alla Contessa Giovanna di avere sagrificata all'ambizione la vita di un genitore infelice139.

A. D. 1216

Tutte le nazioni venute a civiltà ammettono, durante la guerra, un accordo pel cambio, o pel riscatto dei prigionieri. Di questi protraendosi la cattività, non è un mistero il loro destino, e giusta il loro grado, onorevolmente, o del certo umanamente, vengon trattati; ma le leggi della guerra il selvaggio principe dei Bulgari non conoscea; ed essendo difficile il portar lo sguardo ne' silenziosi nascondigli delle sue prigioni, volse un intero anno prima che i Latini fossero certi della morte di Baldovino, e che Enrico acconsentisse ad assumere il titolo d'Imperatore. Cotal moderazione, siccome esempio di rara e inimitabile virtù, applaudirono i Greci, che ambiziosi, perfidi ed incostanti, pronti ognora mostravansi ad abbracciare, o anticipar l'occasione di una sede vacante, in tempo che quasi tutte le monarchie dell'Europa aveano riconosciute, o confermate le leggi di successione, veri mallevadori della sicurezza de' popoli e de' monarchi. Morti a mano a mano, o ritiratisi gli eroi della Crociata, Enrico rimase presso che solo, gravato dal peso di far la guerra e di difender l'Impero. Già il rispettabile Dandolo, carico d'anni e di gloria, giaceva nel sepolcro; il Marchese di Monferrato tornava lentamente dalla sua guerra nel Peloponneso per vendicar Baldovino e proteggere Tessalonica. Nell'abboccamento che questi ebbe coll'Imperatore, vennero accomodati alcuni vani dispareri intorno l'omaggio e i servigi feudali; indi scambievole stima e comune pericolo avendoli in salda lega congiunti, questo nodo vie più fermarono le nozze di Enrico colla figlia di Bonifazio; ma non andò guari che Enrico dovette piangere la morte del suocero e dell'amico. Seguendo il consiglio di alcuni Greci rimasti fedeli, il marchese di Monferrato operò con buon successo un'ardimentosa scorreria nelle montagne di Rodope. Al solo suo avvicinarsi, i Bulgari si diedero a fuga, non mancando però, giusta il loro uso, di riordinarsi per rendergli funesta la ritirata. Il guerriero intrepido, appena seppe essere assalito il suo retroguardo, montò a cavallo, e corse colla lancia in resta incontro al nemico, avendo persino a sdegno di ripararsi il corpo colla sua armadura; ma in mezzo al tentativo imprudente, un dardo a morte il ferì: onde i Barbari fuggitivi ne portarono la testa a Calo-Giovanni, siccome trofeo di una vittoria, il merito della quale non avevano avuto. Nel punto di questo fatale avvenimento cade la penna di mano, e gli accenti mancano al generoso Villehardouin140. Se egli continuò ancora a sostenere l'uffizio di maresciallo della Romania, le successive imprese di lui alla posterità sono ignote141. I pregi d'Enrico non erano inferiori all'arduità del momento in cui prese le redini dell'Impero. All'assedio di Costantinopoli, al di là dell'Ellesponto, acquistata erasi la rinomanza di prode cavaliere e di abile generale. Alla intrepidezza del fratello univa la prudenza e la mansuetudine, virtù che all'impetuoso Baldovino non furono gran che famigliari. Nella duplice guerra contra i Greci dell'Asia e i Bulgari dell'Europa, sempre mostrossi il primo in arcione, o sulle navi, nè mai trascurando alcuna di quelle cautele che assicurar potevano la vittoria, spesse volte coll'esempio della sua intrepidezza a secondarlo e a salvar l'Impero gli scoraggiati Latini animò. Nondimeno al successivo miglior esito delle cose, meno gli sforzi d'Enrico, e i soccorsi d'uomini e di danaro spediti dalla Francia contribuirono, che non gli orrori, gli atti crudeli e la morte del nemico il più formidabile dei Latini. Coll'implorare siccome liberatore Calo-Giovanni, i Greci speravano che costui le lor leggi e la lor libertà avrebbe protette; ma ebbero ben tosto l'infausta occasione di accorgersi, fin dove la ferocia di un Barbaro pervenisse, e di abborrire il selvaggio conquistatore, che del proprio disegno di spopolare la Tracia, di spianare le città, di trapiantarne gli abitanti al di là del Danubio omai non faceva un mistero. E già parecchie città, parecchi villaggi della Tracia deserti erano; già in luogo di Filippopoli un cumulo sol di rovine scorgevasi. Gli abitanti di Andrinopoli e di Demotica, primi autori della ribellione un egual destino aspettavansi. Innalzatosi fino al trono di Enrico un grido di dolore e di pentimento, ebb'ei la grandezza d'animo di aggiugnere al perdono la sua confidenza ne' popoli supplichevoli. Non potendo nell'istante raccogliere sotto i proprj stendardi più di quattrocento cavalieri seguìti dai loro arcieri, e sergenti, con questo sì tenue corpo di esercito, cercò e rispinse il Capo dei Bulgari che, oltre alla sua fanteria, a quarantamila uomini di cavalleria comandava. Ben s'avvide in tal circostanza Enrico, qual sia la differenza tra l'avere favorevoli, o contrarj gli abitanti inermi del paese che teatro è della guerra. Salvò dalla distruzione le città che tuttavia rimanevano, costringendo il barbaro Giovannizio ad abbandonare, sconfitto e coperto di obbrobrio la preda; l'assedio di Tessalonica fu l'ultima fra le calamità che questo principe fece sentire alla Grecia e che egli stesso sentì. Nel più folto della notte, essendo stato assassinato entro la sua tenda, il Generale, o fors'anche l'uccisore medesimo che lo trovò immerso nel proprio sangue, attribuì questa morte alla lancia di S. Demetrio, nè fuvvi generalmente nel campo chi nol credesse142. Dopo molte riportate vittorie, il saggio Enrico conchiuse un onorevole Trattato di pace col successore di Giovannizio, e coi principi di Nicea e d'Epiro. Coll'abbandonare le sue pretensioni sopra alcuni incerti confini, assicurò a sè medesimo e ai suoi feudatarj il possedimento di un vasto reame che duratogli per dieci anni, lasciò godere all'impero questo intervallo di pace e di prosperità. Alieno dalla troppo severa politica di Baldovino e di Bonifazio, gli uffizj militari e civili senza timore ai Greci fidava; condotta generosa, che divenuta era ancor necessaria, perchè i principi di Epiro e di Nicea aveano appresa l'arte di sedurre i Latini e di mettere in opera la mercenaria loro prodezza. Si mostrò sollecito Enrico di porre insieme d'accordo i suoi sudditi, e di compensarne i meriti, non tenendo conto di paese, o di lingua; solamente mostrò minor cura della riconciliazione delle due Chiese, che cosa pressochè impossibile gli sembrava. Pelagio, Legato del Pontefice, che un fasto addicevole ad un sovrano fra le mura di Bisanzo ostentava, oltre all'avere abolito il culto greco, pretendeva a tutto rigore il pagamento delle decime da chicchessia, una chiara professione di fede intorno alla processione dello Spirito Santo, una cieca obbedienza ai comandamenti del Papa. In tutti i tempi, la parte più debole si è trovata costretta a rimostrare i doveri della propria coscienza, ad implorare i diritti della tolleranza. «I nostri corpi, diceano i Greci, sian pur di Cesare, ma le anime nostre appartengono a Dio». La fermezza dell'Imperatore pose un riparo alla persecuzione143. Laonde, se pur è vero che ei morì di veleno dai Greci apprestatogli, tal prova d'ingratitudine e di stoltezza, è fatalmente atta ad ispirarne trista opinione sul genere umano. Il valore di Enrico potea dirsi virtù comune, in cui diecimila cavalieri gli erano pari. Ma in un secolo di superstizione, un coraggio ben più straordinario diè a divedere, quello di opporsi all'orgoglio e all'avarizia del clero. Osò, nella cattedrale di S. Sofia, collocare il suo trono alla destra del trono del Patriarca, il quale atto riguardato a Roma, come colpevole presunzione, gli procacciò agre censure da Papa Innocenzo III. Con un salutare editto, primo esempio delle leggi che le mani morte riguardano, l'Imperatore Enrico proibì la vendita de' feudi; perchè molti Latini, impazienti di ritornare in Europa, abbandonavano i fondi loro alla Chiesa, che con danaro contante, e con indulgenze ne pagava il prezzo. Questi terreni divenendo sacri, e immediatamente fatti immuni dal militare servigio, una colonia di soldati sarebbesi ben tosto trasformata in una corporazione di preti144.

110.V. l'originale del Trattato di parteggiamento nella Cronaca di Andrea Dandolo, p. 328-330, e la elezione che ne conseguì, nel Villehardouin (n. 136-140), le Osservazioni del Ducange e il primo libro della Storia di Costantinopoli sotto l'impero de' Francesi.
111.Dopo aver parlato di un Elettore francese che avea dato il suo voto al Doge, Andrea Dandolo parente dello stesso Doge ne trova ragionevole l'esclusione. Quidam venetorum, fidelis et nobilis senex usus oratione satis probabili, etc., Orazione che gli scrittori moderni dal Biondi al Le Beau hanno accomodata ciascuno a lor fantasia.
112.Niceta, p. 384, vano e ignorante, quanto un Greco di que' tempi doveva esserlo, indica il Marchese di Monferrato come Capo di una potenza maritima λαμπαρδιαν δε οικεισθαι παραλιον, abitava (o governava) la Lombardia marittima. Forse lo ha indotto in errore il tema bisantino della Lombardia situata sulle coste della Calabria.
113.I Veneziani pretesero che il Morosini si obbligasse con giuramento a non ammettere nel capitolo di S. Sofia, cui spettava il diritto delle elezioni, altri individui fuor de' Veneziani, e di quelli inoltre che avessero abitato dieci anni in Venezia. Ma ingelosito il Clero della prerogativa che questi arrogavansi, il Papa non la confermò, onde fra sei patriarchi Latini che ebbe Costantinopoli, solamente il primo e l'ultimo furono Veneziani.
114.Niceta p. 383.
115.Le lettere d'Innocenzo III somministrano ricchi materiali alla Storia delle istituzioni civili ecclesiastiche dell'impero Latino di Costantinopoli. La più importante di tali lettere (delle quali Stefano Baluzio ha pubblicata la raccolta in due volumi in folio) trovasi nell'opera, Gesta script. rer. ital., Muratori, t. III, part. I, c. 94-105.
116.Nel Trattato di parteggiamento hanno alterati quasi tutti i nomi proprj. Non sarebbero difficili le correzioni, e una buona Carta corrispondente all'ultimo secolo dell'Impero di Bisanzo sarebbe di grande soccorso alla geografia; ma sfortunatamente d'Anville più non vive.
117.Il loro stile d'intitolarsi era Dominus quartae partis et dimidiae imperii romani, e così continuarono fino all'anno 1356, in cui Giovanni Dolfino fu eletto Doge (Sanut., p. 430-641). Quanto al governo di Costantinopoli, V. Ducange, Hist. C. P. 1-37.
118.Il Ducange (Hist. C. P. 11, 6) ha enumerate le conquiste fatte dalla Repubblica o dai Nobili veneziani, le isole di Candia, di Corfù, Cefalonia, Zante, Nasso, Paro, Melos, Andros, Micone, Siro, Ceos e Lemno.
119.Bonifazio vendè l'isola di Candia ai 12 agosto dell'anno 1204. V. la transazione in Sanuto p. 533; ma non so comprendere come quest'Isola fosse il patrimonio della madre di Bonifazio, o come questa madre esser potesse la figlia d'un Imperatore di nome Alessio.
120.Nel 1212, il Doge Pietro Zani inviò nell'isola di Candia una colonia tolta dai differenti rioni di Venezia: ma i nativi Candiotti, per la salvatichezza de' lor costumi, e per le frequenti ribellioni, poteano essere paragonati ai Corsi sotto il dominio de' Genovesi; e allorchè io metto in paragone i racconti del Belon, e quelli del Tournefort, non ravviso molte differenze tra la Candia de' Veneziani, e la Candia de' Turchi.
121.Il Villehardouin (n. 159, 160, 173-177) e Niceta (p. 387-394) raccontano la spedizione del Marchese Bonifazio in Grecia. Il secondo ha potuto essere informato di queste particolarità dal suo fratello Michele, arcivescovo di Atene, che ei ne dipinge siccome un eloquente oratore, un uomo di Stato abilissimo, e soprattutto siccome un santo. Dai manoscritti di Niceta, che trovansi nella biblioteca bodleana, avrebbero potuto ritrarsi l'elogio che egli fa di Atene, e la descrizione di Tempe (Fabricius, Bibl. graec., t. VI, p. 405), cose che sarebbero state degne delle indagini del sig. Harris.
122.Napoli di Romania, o Nauplia, l'antico porto di Argo è tuttavia una Fortezza assai rilevante; giace sopra una penisola circondata di scogli, e gode di un ottimo porto. V. i viaggi di Chandler nella Grecia, p. 227.
123.Ho mitigata l'espressione di Niceta che si studia di ampliare colle sue tinte la presunzione de' Franchi (V. de rebus post. C. P. expugnatam 375-384).
124.Questa città, bagnata dall'Ebro, distante sei miglia da Andrinopoli, a motivo del suo doppio muro ottenne da' Greci il nome di Didymoteicos, cambiato a poco a poco in quelli di Dimot o Demotica. Ho preferito il nome moderno di Demotica. Fu l'ultima città abitata da Carlo XII soggiornando in Turchia.
125.Il Villehardouin con tuono di franchezza e di libertà ne dà conto de' litigi di questi due Principi (n. 146-158). Lo Storico greco (p. 387) non defrauda di lodi il merito e la fama del Maresciallo μεγα παρα Λατινον δυναμενου στρατευμσσι, molto potente fra gli eserciti latini: in ciò dissimile da certi moderni eroi, le imprese de' quali, sol pe' loro comentarj son conosciute.
126.V. la morte di Murzuflo in Niceta (pag. 393), Villehardouin (n. 141-145-163) e Gunther (cap 20, 21). Nè il Maresciallo, nè il frate mostrano la menoma compassione sulla sorte di questo usurpatore o ribelle, benchè condannato ad un supplizio di un genere più nuovo ancora de' suoi delitti.
127.La colonna d'Arcadio, che ne' bassi rilievi raffigura la vittoria di lui, o quella del padre del medesimo Teodosio, vedesi tuttavia a Costantinopoli. Viene descritta, colle sue proporzioni, nelle opere del Gillio (Topograph. IV, 7), dal Banduri (l. I, antiquit. C. P. p. 507 ec.), e dal Tournefort (Viaggio in Levante t. II, lett. 12, p. 231).
128.La ridicola novella del Gunther intorno la columna fatidica non merita che le si porga attenzione. Ella è però straordinaria cosa, che cinquant'anni prima della conquista de' Latini, il poeta Tzetze (Chiliad., IX, 277) abbia raccontato il sogno di una matrona, la quale avea veduto un esercito nel Foro, e un uom seduto sulla cima della colonna che battea le mani una contro l'altra e metteva un forte grido.
129.Il Ducange (Fam. byzant.) ha esaminate, e con accuratezza descritte le dinastie di Nicea, di Trebisonda e d'Epiro, delle quali Niceta vide i primordj, senza però concepirne grandi speranze.
130.Eccetto alcuni fatti contenuti in Pachimero e Niceforo Gregoras, che noi citeremo in appresso, gli Storici bisantini, non si degnano far parola dell'impero di Trebisonda, o del principato de' Lazi. Nè manco i Latini ne parlano, se non se ne' romanzi de' secoli XIV, XV. Nondimeno l'instancabile Ducange ha scoperto a tale proposito (Fam. byzant. p. 192) due passi autentici negli scritti di Vincenzo di Beauvais (l. XXXI, c. 144) e del protonotario Ogier. (V. Wadding, A. D. 1279 n. 4).
131.Niceta fa un ritratto de' Francesi-Latini, ove scorgesi per ogni dove l'impronta dell'astio e del pregiudizio ουδεν των αλλων εθνων εις Αρεος εργα παρασυμβεβλησθαι ηνειχοντο αλλ’ουδε τις των χαριτων η των μουσων παρα τοις βαρβαροις τουτοις επεξενιζετο, και παρα τουτο οιμαι την φυσιν ησαν ανημεροι, και τον χολον ειχον του λογου προτρεχοντα. Non tolleravano che alcun'altra nazione concorresse con essi alle imprese marziali; ma niuna della Grazie o delle Muse aveva ospizio da quei Barbari, ed inoltre erano, io credo, crudeli per natura, e aveano una bile che preveniva il discorso.
132.Qui incomincio a valermi con fiducia e libertà degli otto libri della Hist. C. P. (sotto l'Impero de' Francesi) composti dal Ducange come supplimento alla storia del Villehardouin, i quali comunque scritti in barbaro stile, hanno tutto il merito che all'opere classiche e originali appartiene.
133.Nella risposta che Giovannizio fece al Pontefice, possono vedersi le rimostranze e le querele di questo principe (Gesta In. III, c. 108-109). I Romani amavano Giovannizio, e come il figliuol prodigo lo riguardavano.
134.I Comani erano un'orda di Tartari o Turcomanni che, nel duodecimo o nel tredicesimo secolo, accampavano sulle frontiere della Moldavia. Trovavansi fra essi un grande numero di Pagani ed alcuni Maomettani. Luigi, Re d'Ungheria, nel 1370, convertì l'intera tribù al Cristianesimo.
135.Niceta, sia per odio, sia per ignoranza, accagiona di questa rotta la viltà del Doge (p. 383); ma il Villehardouin chiama a parte della propria gloria il suo venerabile amico, qui viels home ère et gote ne vecit, mais mult ere sages et preus et vigueros (n. 193).
136.La Geografia esatta e il testo originale del Villehardouin (n. 194), mettono Rodosto lontano tre giornate (Trois journées) da Andrinopoli. Ma il Vigenere, nella sua versione, ha sostituito goffamente tre ore; abbaglio che il Ducange non ha corretto ed ha tratti in grossolani equivoci molti moderni, i nomi de' quali mi piace il tacere.
137.Il Villehardouin e Niceta (p. 386-416) raccontano il regno e la morte di Baldovino; il Ducange supplisce alle loro ommissioni nelle Osservazioni, e sul finire del suo primo libro.
138.Dopo avere allontanate tutte le circostanze sospette e improbabili possiamo trar prove pella morte di Baldovino, I. Dall'opinione de' Baroni che non ne dubitavano (Villehardouin n. 230). II. Dall'affermazione di Giovannizio o Calo-Giovanni che si scusa sul non avere posto in libertà l'imperatore, quia debitum carnis exsolverat cum carcere teneretur (Gesta Innocentii III, c. 109).
139.Vedasi come raccontino la storia di questo impostore gli scrittori francesi e fiamminghi, nel Ducange (Hist. C. P. III, 9), e le ridicole favole avutesi per vere dai monaci di S. Albano, in Mattia Paris (His. maj., p. 271-272).
140.Villehardouin (n. 257). Trista conclusione che a me pur duole il citare. Noi perdiamo ad un tempo l'originale della storia di Villehardouin, e i preziosi comentarj del Ducange. Le due lettere di Enrico al Papa Innocenzo III portano qualche schiarimento alle ultime pagine del nostro Autore (Gesta, c. 106, 107).
141.Il Maresciallo viveva ancora nel 1212; ma è probabile che ei sia morto poco dopo, nè mai tornato in Francia (Ducange, Osservazioni sopra Villehardouin p. 238). Il feudo di Messinopoli, conferitogli da Bonifazio, era l'antica Maximianopolis, fiorente fra le città della Tracia ai giorni di Amiano Marcellino (n. 141).
142.Il servigio della Chiesa di questo S. Avvocato di Tessalonica era fatto dai Canonici del santo Sepolcro. Essa era famosa per un olio santo che continuamente vi distillava e operava portenti (Ducange, Hist. de Const. II, 4).
143.Acropolita, c. 17, racconta la persecuzione del Legato, e la tolleranza usata da Enrico (come egli la chiama) κλυδωνα κατεστορεσε, sedò la procella.
144.V. il regno di Enrico in Ducange (Hist. di C. P. l. I, c. 35-41, l. XI, c. 1-12) che sapeva dalle lettere dei Papi trar grande profitto per la sua Storia. Le Beau (Hist. du Bas-Empire, t. 21, p. 120-122), ha trovate, forse nel Doutremens, alcune leggi di Enrico sul servigio de' feudi e sulle prerogative imperiali.
Yaş sınırı:
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Litres'teki yayın tarihi:
28 eylül 2017
Hacim:
540 s. 1 illüstrasyon
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