Kitabı oku: «Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 6», sayfa 13
A. 422
Lo spirito mite di Teodosio non fu mai acceso dall'ambizione di conquiste, o di gloria militare; ed il leggier rumore d'una guerra Persiana appena interruppe la tranquillità dell'Oriente. I motivi di questa guerra eran giusti ed onorevoli. Nell'ultimo anno del regno di Jesdegerde, supposto tutore di Teodosio, un Vescovo, che aspirava alla corona del martirio, distrusse uno de' tempj del Fuoco a Susa590. Fu vendicato lo zelo e l'ostinazione di lui sopra i suoi confratelli: i Magi eccitarono una crudel persecuzione; e l'intollerante zelo di Jesdegerde s'imitò dal suo figlio Vararane, o Baram, che poco dopo salì sul trono. Furono rigorosamente richiesti alcuni Cristiani fuggitivi, che si ritirarono alle frontiere Romane, e generosamente ricusati; e tal negativa, aggravata dalle dispute di commercio, tosto accese una guerra fra le rivali due Monarchie. I monti dell'Armenia e le pianure della Mesopotamia erano piene di armate nemiche; ma le operazioni di due successive campagne non produssero alcun decisivo o memorabil evento. S'ingaggiarono varj azzuffamenti, ed alcune città furono assediate con vario e dubbioso successo; e se a' Romani riuscì vano il tentativo di ricuperare il possesso da gran tempo perduto di Nisibi, i Persiani furon rispinti dalle mura d'una città della Mesopotamia, pel valore d'un Vescovo marziale, che adoprava le sue macchine da guerra in nome di S. Tommaso Apostolo. Pure si celebrarono con panegirici e feste le splendide vittorie, che l'incredibile celerità del messaggiero Palladio più volte annunziò al palazzo di Costantinopoli. Da questi panegirici591 gli Storici di quel tempo possono aver prese le loro straordinarie e forse favolose novelle, della superba disfida d'un eroe Persiano, che fu imbarazzato da' lacci, ed ucciso dalla spada del Goto Arcobindo; de' diecimila Immortali, che perirono nell'attacco del campo Romano; e de' centomila Arabi o Saraceni, che furono spinti da un panico terrore a gettarsi capovolti dentro l'Eufrate. Tali avvenimenti si possono trascurare, o non credere, ma non si può lasciare in oblivione la carità d'un Vescovo, Acacio d'Amida, il nome del quale avrebbe potuto fare onore al calendario de' Santi. Arditamente dichiarando, che i vasi d'oro e d'argento sono inutili ad un Dio, che non mangia nè beve, il generoso Prelato vendè l'argenteria della Chiesa d'Amida; ne impiegò il prezzo nella redenzione di settemila schiavi Persiani; provvide con amorosa liberalità ai loro bisogni; e li rimandò alla patria ad informare il loro Sovrano del vero spirito della religione ch'ei perseguitava. La pratica della beneficenza in mezzo alla guerra deve sempre contribuire a placar l'animosità delle combattenti nazioni; ed io son portato a persuadermi, che Acacio contribuisse alla restaurazion della pace. Nella conferenza, che fu tenuta su' confini de' due Imperi, i Romani ambasciatori avvilirono il personal carattere del loro Sovrano per un vano sforzo di magnificare l'estensione del suo potere; allorchè seriamente avvisarono i Persiani ad impedire, per mezzo d'un opportuno accomodamento, lo sdegno d'un Monarca, che non era per anche informato di quella distante guerra. Fu solennemente ratificata una tregua di cento anni; e quantunque le rivoluzioni dell'Armenia potessero minacciar la pubblica tranquillità, l'essenziali condizioni di questo trattato si rispettarono quasi per ottant'anni da' successori di Costantino e d'Artaserse.
A. 431-440
Da che s'incontrarono la prima volta le bandiere Romane e Partiche sulle rive dell'Eufrate, il Regno d'Armenia592 fu alternativamente oppresso da' suoi formidabili protettori; e nel corso di quest'istoria si son già riferiti più avvenimenti, che fecero piegar la bilancia della pace e della guerra. Un vergognoso trattato avea ceduto l'Armenia all'ambizione di Sapore; e parve che la bilancia dalla parte della Persia preponderasse. Ma la reale stirpe degli Arsaci mal volentieri si sottomise alla casa di Sassan; i turbolenti Nobili sostennero, o tradirono l'ereditaria loro indipendenza; e la nazione era sempre attaccata a' Principi Cristiani di Costantinopoli. Nel principio del quinto secolo l'Armenia fu divisa pel progresso della guerra e delle fazioni593; e tale non natural divisione precipitò la caduta di quell'antica Monarchia. Cosroe, vassallo Persiano, regnò sull'orientale e più estesa parte del paese; mentre la Provincia occidentale riconobbe la giurisdizione d'Arsace e la supremazia dell'Imperatore Arcadio. Dopo la morte d'Arsace i Romani soppressero il governo reale, ed imposero a' loro alleati la condizione di sudditi. Fu delegato il comando militare al Conte della frontiera Armena, si fabbricò e fortificò in una vantaggiosa situazione sopra un alto e fertile suolo la città di Teodosiopoli594 vicino alla sorgente dell'Eufrate; ed i territori dipendenti erano governati da cinque Satrapi, la dignità de' quali era distinta da un abito particolare di porpora e d'oro. I Nobili meno fortunati, che si dolevano della perdita del loro Re, ed invidiavano gli onori de' loro uguali, furono eccitati a trattare di pace e di perdono alla Corte Persiana; e tornando co' loro seguaci al palazzo d'Artaxata, riconobbero Cosroe per legittimo loro Sovrano. Circa trent'anni dopo, Artasire, nipote e successore di Cosroe, cadde in disgrazia degli altieri e capricciosi Nobili dell'Armenia, i quali concordemente richiesero un Governatore Persiano in luogo d'un indegno Re. La risposta dell'Arcivescovo Isacco, di cui premurosamente ricercaron l'autorità, esprime il carattere d'un Popolo superstizioso. Ei deplorò i manifesti ed inescusabili vizi d'Artasire; e dichiarò, che non avrebbe dubitato d'accusarlo al tribunale d'un Imperatore cristiano, che avrebbe punito il peccatore senza distruggerlo. «Il nostro Re (continuò Isacco) è troppo addetto a' piaceri licenziosi, ma egli è stato purificato nelle sante acque del Battesimo. Egli ama le donne, ma non adora il fuoco o gli elementi. Può meritare la taccia di libidinoso, ma è un indubitato cattolico, ed è pura la sua fede, quantunque ne sian dissoluti i costumi. Io non acconsentirò mai ad abbandonar le mie pecore alla rabbia de' lupi divoratori; e voi presto vi pentirete del temerario cambio, che fate, fra le infermità d'un credente, e le speciose virtù d'un pagano»595. Inaspriti dalla fermezza d'Isacco i faziosi Nobili accusarono sì il Re che l'Arcivescovo, come segreti aderenti dell'Imperatore; ed assurdamente fecero festa della condanna che, dopo una parzial processura, fu solennemente pronunziata da Baram istesso. I discendenti d'Arsace furono spogliati della dignità reale596, che avevan goduta più di cinquecento sessant'anni597; e gli Stati dell'infelice Artasire, sotto il nuovo e significante nome di Persarmenia, furon ridotti a Provincia. Questa usurpazione risvegliò la gelosia del governo Romano; ma tosto si terminarono le nascenti dispute mediante una amichevole, sebben disugual, divisione dell'antico regno d'Armenia; ed il territoriale acquisto, che Augusto avrebbe disprezzato, apportò qualche lustro al decadente Impero di Teodosio il Giovane.
CAPITOLO XXXIII
Morte d'Onorio. Valentiniano III Imperatore dell'Occidente. Amministrazione di Placidia, sua madre. Ezio, e Bonifazio. Conquista dell'Affrica fatta da' Vandali
Durante un lungo e disonorevole regno di ventotto anni, Onorio, Imperatore dell'Occidente, fu separato dall'amicizia del suo fratello, e di poi del nipote, che regnarono nell'Oriente; e Costantinopoli rimirò con apparente indifferenza e segreta gioia le calamità di Roma. Le strane avventure di Placidia appoco appoco rinnovarono, e fomentarono l'unione de' due Imperi. La figlia del Gran Teodosio era stata prigioniera e Regina de' Goti: essa perdè un affezionato marito; fu tratta in catene dall'insultante di lui assassino; gustò il piacere della vendetta; e fu cambiata nel trattato di pace per seicentomila misure di grano. Dopo il suo ritorno dalla Spagna in Italia, Placidia provò una nuova persecuzione in seno alla sua famiglia. Essa era contraria ad un matrimonio, ch'era stato stipulato senza il suo consenso; ed il prode Costanzo ricevè come un nobile premio delle vittorie, che avea riportate contro i tiranni, dalla mano d'Onorio medesimo, la ripugnante destra della vedova d'Adolfo. Ma terminò lo sua resistenza con la ceremonia delle nozze, nè Placidia ricusò di divenir madre d'Onoria e di Valentiniano III, e d'assumere ed esercitare un assoluto dominio sull'animo del grato di lei marito. Questo generoso soldato, che aveva fin allora diviso il suo tempo fra' piaceri sociali, ed il militar servizio, apprese nuove lezioni d'ambizione e d'avarizia: egli estorse il titolo d'Augusto; ed il servo d'Onorio fu associato all'Impero dell'Occidente. La morte di Costanzo, nel settimo mese del suo regno, invece di diminuire parve che accrescesse il poter di Placidia; e l'indecente famigliarità598 del fratello, che non era forse che un effetto di puerile affezione, universalmente attribuivasi ad un amore incestuoso. Ad un tratto, per causa d'alcuni bassi intrighi d'un maestro di casa e d'una nutrice, quest'eccessiva tenerezza si convertì in una irreconciliabil contesa: i contrasti dell'Imperatore e della sorella non restarono lungamente nascosti dentro le mura del Palazzo; e siccome i soldati Gotici erano aderenti alla loro Regina, la città di Ravenna fu agitata da sanguinosi e pericolosi tumulti, che non poterono acquietarsi, che mediante il volontario o forzato ritiro di Placidia e de' suoi figli. I reali esuli sbarcarono a Costantinopoli, poco dopo il matrimonio di Teodosio, e nel tempo delle feste per le vittorie Persiane. Furono essi trattati con affetto e magnificenza; ma siccome si erano rigettate dalla Corte Orientale le statue dell'Imperator Costanzo, non poteva decentemente accordarsi alla vedova di esso il titolo d'Augusta. Pochi mesi dopo l'arrivo di Placidia, un celere messaggio annunziò la morte d'Onorio, in conseguenza d'un'idropisia; ma non ne fu divulgato l'importante segreto, finattantochè non furono dati gli ordini necessari per la marcia d'un grosso corpo di truppe verso le coste marittime della Dalmazia. Le botteghe e le porte di Costantinopoli restarono chiuse per sette giorni: e la morte d'un Principe straniero, che non poteva essere nè stimato nè desiderato, si celebrò con alte ed affettate dimostrazioni di pubblico lutto.
A. 423-425
Mentre i Ministri di Costantinopoli deliberavano, il trono vacante d'Onorio fu usurpato dall'ambizione di uno straniero. Giovanni era il nome del ribelle; occupava esso il confidenziale ufizio di Primicerio, o sia di principal Segretario; e l'Istoria ha attribuito al suo carattere più virtù di quelle, che si possano facilmente conciliare con la violazione del dovere più sacro. Incoraggiato Giovanni dalla sommission dell'Italia, e dalla speranza d'una confederazione con gli Unni, osò d'insultare con un'ambasceria la maestà dell'Imperatore Orientale; ma quando seppe, che i suoi agenti erano stati banditi, carcerati, e finalmente cacciati via con la dovuta ignominia, si preparò a sostenere con le armi l'ingiustizia delle sue pretensioni. In tale occasione il nipote del Gran Teodosio avrebbe dovuto marciare in persona; ma i medici facilmente dissuasero il giovane Imperatore da un sì temerario e pericoloso disegno; e la condotta della spedizione d'Italia fu prudentemente affidata ad Ardaburio ed al suo figlio Aspar, che avevano già segnalato il loro valore contro i Persiani. Fu risoluto, che Ardaburio s'imbarcasse coll'infanteria, mentre Aspar, alla testa della cavalleria, conduceva Placidia e Valentiniano suo figlio, lungo le coste dell'Adriatico. La marcia della cavalleria fu eseguita con tale attiva diligenza, che sorprese, senza resistenza, l'importante città d'Aquileia, quando le speranze d'Aspar rimasero inaspettatamente confuse dalla notizia, che una tempesta avea disperso la flotta Imperiale, e che suo padre con due sole galere, era stato preso e condotto schiavo nel porto di Ravenna. Questo accidente, d'altronde, per quanto potesse parer disgraziato, facilitò la conquista dell'Italia. Ardaburio si servì, o piuttosto abusò della cortese libertà, che gli era permesso di godere, per ravvivare fra le truppe un sentimento di fedeltà e di gratitudine; ed appena la cospirazione fu giunta alla sua maturità, invitò, per mezzo di segreti avvisi, e sollecitò l'avvicinamento d'Aspar. Un pastore, che la popolare credulità trasformò in un angelo, guidò la cavalleria orientale per mezzo d'un segreto, e per quanto si credeva, impraticabil sentiero attraverso i pantani del Po: le porte di Ravenna, dopo una breve resistenza, s'aprirono; ed il tiranno senza difesa fu abbandonato alla mercè, o piuttosto alla crudeltà dei conquistatori. Gli fu prima tagliata la mano destra; e dopo essere stato esposto sopra un asino alla pubblica derisione, Giovanni fu decapitato nel Circo d'Aquileia. L'Imperatore Teodosio, quando ricevè le nuove della vittoria, interruppe le corse de' cavalli; e cantando, nel tempo che camminava per le strade, un opportuno salmo, condusse il suo Popolo dall'Ippodromo alla Chiesa, dove consumò il resto del giorno in grata devozione599.
A. 425-435
In una Monarchia, che secondo i varj esempi, avuti precedentemente, potea risguardarsi com'elettiva, o come ereditaria, o come patrimoniale, era impossibile che fossero chiaramente definiti gl'intricati diritti di femminile e collateral successione600; e Teodosio, per gius di consanguineità o di conquista, poteva regnar solo come legittimo Imperator de Romani. Forse per un momento restarono abbagliati i suoi occhi dal prospetto d'un illimitato dominio: ma l'indolente sua natura appoco appoco acquietossi a' dettami della sana politica. Si contentò di possedere l'Oriente, e saviamente abbandonò la faticosa impresa di fare una distante e dubbiosa guerra contro i Barbari di là dalle alpi; o d'assicurarsi dell'ubbidienza degl'Italiani e degl'Affricani, gli animi de' quali erano alienati dall'irreconciliabile differenza d'interesse e di linguaggio. Teodosio invece d'ascoltar la voce dell'ambizione, risolvè d'imitare la moderazione dell'avo, e di collocare Valentiniano suo cugino sul trono dell'Occidente. Il real fanciullo fu distinto a Costantinopoli col titolo di Nobilissimo: avanti la sua partenza da Tessalonica fu promosso al grado ed alla dignità di Cesare; e dopo la conquista dell'Italia, il patrizio Elione coll'autorità di Teodosio ed in presenza del Senato, salutò Valentiniano III col nome d'Augusto, e solennemente l'adornò del diadema e della porpora Imperiale601. Col consenso delle tre donne, che governavano il Mondo Romano, il figlio di Placidia contrasse gli sponsali con Eudossia, figlia di Teodosio e d'Atenaide, e tostochè furono essi giunti alla pubertà, quest'onorevol legame ebbe il pieno suo effetto. Nel tempo stesso fu distaccato l'Illirico occidentale dagli Stati d'Italia, e ceduto al trono di Costantinopoli602, forse come una compensazione delle spese della guerra. L'Imperatore dell'Oriente acquistò l'utile dominio della ricca e marittima provincia della Dalmazia, e la pericolosa sovranità della Pannonia e del Norico, ch'era stata più di venti anni ripiena e devastata da una promiscua folla di Unni, di Ostrogoti, di Vandali e di Bavari. Teodosio e Valentiniano continuarono a rispettare le obbligazioni della pubblica e domestica loro alleanza; ma l'unità del Governo Romano definitivamente fu sciolta. Con una positiva dichiarazione, la validità di tutte le leggi fu limitata in futuro agli Stati di quello, che particolarmente le avesse fatte; qualora non credesse proprio di comunicarla sottoscritte di sua mano per essere approvate dal suo indipendente collega603.
A. 428-450
Quando Valentiniano ricevè il titolo d'Augusto, non avea più di sei anni: e la sua lunga minorità fa affidata alla tutelar cura d'una madre, che avrebbe potuto avere un femminile diritto alla successione dell'Impero Occidentale. Placidia invidiò, ma non potè uguagliare la riputazione e le virtù della moglie e della sorella di Teodosio, l'elegante genio d'Eudossia, la savia e felice politica di Pulcheria. La madre di Valentiniano era gelosa del potere, ch'essa era incapace di esercitare604: regnò venticinque anni in nome del figlio; ed il carattere di quell'indegno Imperatore appoco appoco diede valore al sospetto, che Placidia avesse snervato la sua gioventù per mezzo d'una dissoluta educazione, ed a bello studio divertito la sua attenzione da ogni virile ed onorevole impresa. Nella decadenza dello spirito militare, furono comandati gli eserciti da due Generali, Ezio605 e Bonifazio606, che possono meritamente chiamarsi gli ultimi de' Romani. L'unione loro avrebbe potuto sostenere un cadente Impero; la loro discordia fu l'immediata e fatal causa della perdita dell'Affrica. L'invasione e la sconfitta d'Attila hanno fatta immortale la fama d'Ezio; e quantunque il tempo abbia tirato un velo sopra le imprese del suo rivale, la difesa di Marsiglia, e la liberazione dell'Affrica attestano i militari talenti del Conte Bonifazio. Nel campo di battaglia, ne' particolari incontri, ne' combattimenti a corpo a corpo, egli era sempre il terrore de' Barbari. Il Clero, ed in ispecie Agostino suo amico, erano edificati dalla cristiana pietà, che una volta l'avea tentato a ritirarsi dal Mondo; il Popolo applaudiva la sua irreprensibile integrità; l'esercito ne temeva l'uguale ed inesorabil giustizia, che può dimostrarsi in un esempio assai singolare. Ad un uomo di campagna, che si era doluto della colpevole famigliarità fra la propria moglie ed un soldato Goto, fu ordinato di portarsi al suo tribunale il giorno seguente: la sera il Conte, che s'era diligentemente informato del tempo e del luogo del congresso, montò a cavallo, fece dieci miglia di cammino, sorprese la colpevole coppia, punì coll'immediata morte il soldato, e quietò i lamenti del marito con presentargli, la mattina dopo, la testa dell'adultero. L'abilità d'Ezio e di Bonifazio avrebbe potuto essere utilmente impiegata contro i pubblici nemici in separati ed importanti comandi; ma l'esperienza della passata loro condotta avrebbe dovuto decidere il real favore e la fiducia dell'Imperatrice Placidia. Nell'infelice occasione dell'esilio e dell'angustie di essa, il solo Bonifazio avea sostenuto la sua causa con intrepida fedeltà; e le truppe ed i tesori dell'Affrica essenzialmente avevan contribuito ad estinguere la ribellione. L'istessa ribellione, al contrario, s'era sostenuta dallo zelo e dall'attività d'Ezio, che condusse un'armata di sessantamila Unni dal Danubio a' confini dell'Italia, in servizio dell'Usurpatore. L'inopportuna morte di Giovanni lo costrinse ad accettare un vantaggioso trattato; ma sempre continuò, quantunque suddito e soldato di Valentiniano, a tenere una segreta e forse perfida corrispondenza co' Barbari suoi alleati, la ritirata de' quali erasi comprata con liberali doni, e con più liberali promesse. Ma Ezio aveva un vantaggio di singolare importanza nel regno d'una donna: egli era presente: assediava con artificiosa ed assidua adulazione il palazzo di Ravenna; cuopriva gli oscuri suoi disegni con la maschera della lealtà e dell'amicizia; e finalmente ingannò la sua Signora, quanto l'assente di lui rivale con una sottile cospirazione, che ad una debole donna, e ad un bravo soldato non poteva facilmente cadere in pensiero. Segretamente persuase Placidia607 di richiamar Bonifazio dal governo dell'Affrica; e segretamente avvisò Bonifazio di disubbidire all'Imperiale chiamata: all'uno rappresentò quell'ordine come una sentenza di morte; all'altra espose il rifiuto come un segno di ribellione; e quando il credulo e non sospettoso Conte ebbe armato la Provincia in sua difesa, Ezio applaudì la sua sagacità nell'aver preveduta la rivolta, che aveva eccitato la propria perfidia. Un moderato esame de' veri motivi di Bonifazio avrebbe restituito un servo fedele al suo dovere ed alla Repubblica; ma le arti d'Ezio continuavano sempre a tradire, ed a fomentare l'incendio, ed il Conte fu costretto dalla persecuzione ad abbracciare i più disperati consigli. Il buon successo, con cui evitò o rispinse i primi attacchi, non poteva inspirargli una vana speranza di potere, alla testa di alcuni sparsi e disordinati Affricani, opporsi alle forze regolate dell'Occidente, comandate da un rivale, di cui egli non poteva disprezzare il militare carattere. Dopo qualche dubbiezza, che fu l'ultimo contrasto della prudenza e della fedeltà, Bonifazio spedì un fedele amico alla Corte o piuttosto al campo di Gonderico Re de' Vandali, con la proposizione d'una stretta alleanza, e coll'offerta d'un vantaggioso e perpetuo stabilimento.
A. 428
Dopo la ritirata de' Goti, l'autorità d'Onorio si era precariamente ristabilita nella Spagna; eccettuata solamente la Provincia della Galizia dove gli Svevi ed i Vandali avevan fortificato i lor campi in mutua discordia, ed in ostile indipendenza. I Vandali prevalsero; ed i loro nemici erano assediati ne' colli Nervasi fra Leone ed Oviedo; allorchè l'approssimarsi del Conte Asterio costrinse, o piuttosto provocò i vittoriosi Barbari a trasferir la scena della guerra nella pianura della Betica. Il rapido progresso de' Vandali tosto richiese una più efficace opposizione; ed il Generale Cestino marciò contro di loro con un numeroso esercito di Romani e di Goti. Vinto Castino in battaglia da un nemico inferiore di forze, fuggì vergognosamente a Tarragona; e questa memorabil disfatta, ch'è stata rappresentata come la pena della temeraria sua presunzione608, ne fu poi probabilmente l'effetto. Siviglia e Cartagena divennero il premio, o piuttosto la preda de' feroci conquistatori; ed i vascelli, ch'essi trovarono nel porto di Cartagena, facilmente li poterono trasportare alle isole di Maiorca, e di Minorca, dove i fuggitivi Spagnuoli avevano inutilmente nascosto, come in un sicuro asilo, le loro famiglie e sostanze. L'esperienza della navigazione, e forse il prospetto dell'Affrica incoraggiò i Vandali ad accettare l'invito, che riceverono dal Conte Bonifazio; e la morte di Gonderico non servì che a fomentare e ad animare l'audace impresa. In luogo d'un Principe, che non fu insigne per alcuna superiore abilità nè di spirito nè di corpo, acquistarono il terribile Genserico609, suo fratello bastardo; nome, che nella distruzione del Romano Impero ha meritato un posto uguale a quelli di Attila e d'Alarico. Il Re de' Vandali vien descritto di statura mediocre, e zoppo di un piede per causa d'un accidental caduta, ch'ei fece da cavallo. Il tardo e cauto suo discorso rare volte dichiarava i profondi disegni dell'animo suo: ei sdegnava d'imitare il lusso del vinto; ma secondava le più forti passioni dell'ira, e della vendetta. L'ambizione di Genserico era senza limiti e senza scrupoli; ed il guerriero sapeva destramente impiegare le segrete macchine della politica per trarre a sè quegli alleati, che potevano favorire i suoi successi, o spargere fra' suoi nemici i semi dell'odio e della contesa. Quasi nel momento della sua partenza fu informato, che Ermanrico, Re degli Svevi, aveva osato di saccheggiare il territorio della Spagna, che egli aveva risoluto d'abbandonare. Non soffrendo l'insulto, Genserico perseguitò la precipitosa ritirata degli Svevi fino a Merida; gettò il Re e la sua armata nel fiume Anas, e tranquillamente tornò al lido del mare ad imbarcar le vittoriose sue truppe. I vascelli, che trasportarono i Vandali sul moderno stretto di Gibilterra, canale di sole dodici miglia di larghezza, furon somministrati dagli Spagnuoli, che ansiosamente bramavano la loro partenza, e dal Generale Affricano, che aveva implorato il formidabile loro aiuto610.
A. 429
La nostra fantasia, da tanto tempo assuefatta ad esagerare ed a moltiplicare i marziali sciami de' Barbari, che parevano scaturire dal Settentrione, sarà probabilmente sorpresa dal numero de' soldati, che Genserico passò la rivista sulle coste della Mauritania. I Vandali, che in venti anni avean penetrato dall'Elba al monte Atlante, erano uniti sotto il comando del guerriero lor Re; ed ei regnava con uguale autorità sopra gli Alani, che nel termine della vita umana eran passati dal freddo della Scizia all'eccessivo caldo del clima Affricano. Le speranze dell'ardita impresa avevano eccitato molti bravi avventurieri della nazione Gotica, e più Provinciali furon tentati dalla disperazione a riacquistare le sostanze loro con quegli stessi mezzi, che avevan cagionato la loro rovina. Pure questa varia moltitudine non ascendeva che a cinquantamila uomini effettivi; e quantunque Genserico artificiosamente magnificasse l'apparente sua forza con eleggere ottanta Chiliarchi, o Comandanti di mille soldati, il fallace aumento de' vecchi, de' fanciulli, e degli schiavi avrebbe appena fatto crescere la sua armata fino al numero d'ottantamila persone611. Ma la sua destrezza, ed i malcontenti dell'Affrica tosto aumentarono le forze de' Vandali, mediante l'aggiunta di numerosi ed attivi alleati. Le parti della Mauritania, che confinano col gran deserto e col mare Atlantico, erano piene d'una feroce ed intrattabile razza di uomini, l'indole selvaggia de' quali s'era inasprita piuttosto, che mitigata dal timore che aveano delle armi Romane. I vagabondi Mori612 a misura che appoco appoco ardivano d'accostarsi al lido del mare ed al campo de' Vandali, dovettero risguardar con terrore e sorpresa l'abito, l'armatura, il marziale orgoglio e la disciplina degli incogniti stranieri, ch'erano sbarcati sulla lor costa; e le belle carnagioni degli occhi-azzurri guerrieri della Germania facevano un contrasto ben singolare col bruno o olivastro colore, che nasce dalla vicinanza della Zona torrida. Poscia che furono in qualche modo superate le prime difficoltà, che nascevano dalla vicendevole ignoranza de' respettivi loro linguaggi, i Mori, senza riguardo ad alcuna futura conseguenza, fecero alleanza co' nemici di Roma; ed uscì da' boschi, e dalle valli del Monte Atlante una folla di nudi selvaggi per saziare la loro vendetta contro i civilizzati tiranni, che gli avevano ingiustamente scacciati dalla nativa sovranità del paese.
La persecuzione de' Donatisti613 fu un caso non meno favorevole a' disegni di Genserico. Diciassette anni prima ch'egli sbarcasse nell'Affrica fu tenuta per ordine de' Magistrati una pubblica conferenza a Cartagine. I Cattolici tenevano per fermo, che dopo le invincibili ragioni, ch'essi avevano addotte, dovesse l'ostinazione degli Scismatici essere inescusabile e volontaria; e l'Imperatore Onorio fu persuaso ad infliggere le più rigorose pene ad una fazione, che aveva tanto tempo abusato della sua pazienza e clemenza. Trecento Vescovi614 con molte migliaia d'inferiori cherici furono strappati dalle lor chiese, spogliati delle ecclesiastiche possessioni, rilegati nelle isole, e proscritti dalle leggi, se ardivano di star nascosti nelle Province dell'Affrica. Le numerose loro congregazioni, sì nelle città che in campagna, furon private de' diritti di cittadinanza, e dell'esercizio del Culto religioso. Fu curiosamente determinata una scala regolare di pene, da dieci fino a dugento libbre d'argento, secondo le distinzioni del grado e delle facoltà, per punire il delitto di chi assisteva ad una conventicola scismatica; e se la pena era stata pagata cinque volte, senza vincer l'ostinazione del trasgressore, il suo futuro gastigo si rimetteva alla discrezione della Corte Imperiale615. Per mezzo di questi rigori, che ottennero la più calda approvazione di S. Agostino616, un gran numero di Donatisti si riconciliò con la Chiesa Cattolica; ma i fanatici, che tuttavia perseverarono nella lor opposizione, furono spinti alla pazzia ed alla disperazione; la divisa campagna era piena di tumulti e di stragi; le truppe armate de' Circoncellioni dirigevano il loro furore a vicenda o contro se stessi o contro i loro nemici; ed il calendario de' martiri ebbe da ambe le parti un considerabile aumento617. In queste circostanze Genserico, Cristiano, ma nemico della comunione ortodossa, comparve a' Donatisti come un potente liberatore, dal quale potevano essi ragionevolmente aspettare la revocazione degli odiosi ed oppressivi editti degl'Imperatori Romani618. Si facilitò la conquista dell'Affrica dall'attivo zelo e dal segreto favore d'una domestica fazione; i capricciosi oltraggi contro le chiese ed il clero, de' quali sono accusati i Vandali, possono con ragione imputarsi al fanatismo dei loro alleati; e forse lo spirito d'intolleranza che disonorò il trionfo del Cristianesimo, contribuì alla perdita della più importante Provincia dell'Occidente619.
A. 430
La Corte ed il Popolo rimasero sorpresi alla strana notizia che un virtuoso Eroe, dopo tanti favori e tanti servigi, avea rinunziato alla sua fedeltà, ed invitato i Barbari a distruggere la Provincia confidata al suo governo. Gli amici di Bonifazio, che sempre credevano si potesse scusare la sua colpevol condotta con qualche onorevol motivo, sollecitarono, nell'assenza di Ezio, una libera conferenza col Conte dell'Affrica; e Dario, ufiziale di gran distinzione, fu eletto per quell'importante ambasceria620. Nel primo loro congresso a Cartagine furono vicendevolmente spiegate le immaginarie provocazioni; si produssero e si paragonaron fra loro le opposte lettere d'Ezio; e facilmente restò scoperta la frode. Placidia e Bonifazio si dolsero del loro fatal errore; ed il Conte ebbe sufficiente magnanimità da confidare nel perdono della sua Sovrana, od esporre la sua testa al futuro sdegno di lei. Il suo pentimento fu fervente e sincero; ma tosto conobbe che non era più in suo potere di restaurar l'edifizio, che egli aveva scosso da' fondamenti. Cartagine e le guarnigioni Romane tornarono, insieme col lor Generale, all'ubbidienza di Valentiniano; ma il resto dell'Affrica restò tuttavia diviso dalla guerra e dalla fazione; e l'inesorabil Re de' Vandali, sdegnando qualunque termine d'accomodamento, fieramente ricusò di lasciare il possesso della sua preda. Il corpo de' Veterani, che marciarono sotto gli ordini di Bonifazio, e le leve di truppe Provinciali fatte precipitosamente, furono rotte con notabile perdita: il vittorioso Barbaro insultava l'aperta campagna; e Cartagine, Cirta, ed Ippona Regia furono le sole città che parvero restare a galla nella generale inondazione.