Kitabı oku: «Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 6», sayfa 16
Per quanto possiam rilevare dall'incerta ed oscura geografia di Prisco, pare che questa Capitale fosse collocata fra il Danubio, il Tibisco ed i Colli Carpazi nelle pianure dell'Ungheria superiore, e più probabilmente nelle vicinanze di Giasberin, d'Agria, o di Tokai688. Nel suo principio non poteva essere, che un campo accidentale, che mediante la lunga e frequente residenza d'Attila era divenuto appoco appoco un grosso villaggio, atto a ricevere la sua Corte, le truppe che lo seguitavano, e la varia moltitudine degli oziosi o attivi schiavi e domestici689. I bagni eretti da Onegesio erano il solo edifizio di pietra; se n'erano trasportati i materiali dalla Pannonia, e poichè il vicino paese era privo anche di grosso legname può supporsi, che le minori abitazioni del villaggio reale fossero formate di paglia, di terra o di grossa tela. Le case di legno dei più illustri fra gli Unni erano costrutte ed ornate con rozza magnificenza secondo il grado, le sostanze, o il gusto dei proprietarj. Sembra, che fossero disposte con qualche specie di ordine o di simetria, ed ogni luogo diveniva più onorevole a misura che più era vicino alla persona del Sovrano. Il Palazzo d'Attila, che avanzava tutte le altre case dei suoi Stati, era tutto fabbricato di legno, ed occupava un ampio spazio di terreno. L'esterno recinto chiudevasi da un'alta muraglia o palizzata di tavole piane squadrate, intersecata da alte torri fatte più per ornamento che per difesa. Questa muraglia, che pare circondasse il declive d'un colle, conteneva una gran quantità di edifizi di legno adattati all'uso della Corte. Era assegnata una casa a parte a ciascheduna delle numerose mogli d'Attila; ed invece del rigoroso ritiro imposto dalla gelosia Asiatica, esse ammettevano gentilmente gli Ambasciatori Romani alla lor presenza, alla loro tavola, ed anche alla libertà di un innocente abbracciamento. Quando Massimino presentò i suoi doni a Cerca, Regina principale, egli ammirò la singolare architettura della sua abitazione, l'altezza delle rotonde colonne, la grossezza e bellezza del legname, che era con arte lavorato o tornito o lustrato o inciso; e l'attento di lui occhio fu capace di scoprire qualche gusto negli ornamenti, o qualche regolarità nelle proporzioni. Dopo aver passato le guardie, che stavano avanti la porta, gli Ambasciatori furono introdotti nell'appartamento privato di Cerca. La Moglie d'Attila ricevè la lor visita, sedendo o piuttosto coricata sopra un morbido letto; il pavimento era coperto di un tappeto; i famigliari formavano un cerchio attorno la Regina; e le sue damigelle assise in terra s'impiegavano a lavorare i ricami di vari colori, che adornavano gli abiti dei guerrieri Barbari. Gli Unni erano ambiziosi di far pompa di quelle ricchezze, che erano il frutto e la prova delle loro vittorie; i finimenti dei loro cavalli, le loro spade e fino le scarpe loro erano guarnite d'oro e di pietre preziose, e le loro tavole erano profusamente coperte di piatti, di bicchieri e di vasi d'oro e d'argento, che eran opere di Greci artefici. Il solo Monarca aveva il sublime orgoglio di star sempre attaccato alla semplicità dei suoi maggiori Sciti690. Le vesti d'Attila, le sue armi ed i finimenti del suo cavallo erano semplici, senz'ornamenti e d'un solo colore. La tavola reale non ammetteva che piatti e bicchieri di legno; ei non mangiava che carne; ed il Conquistatore del Settentrione mai non gustò il lusso del pane.
Quando Attila diede udienza la prima volta ai Romani Ambasciatori sulle rive del Danubio, la sua tenda era circondata da una formidabile guardia. Il Monarca stesso era assiso sopra una sedia di legno. L'aria minacciante, gli sdegnosi gesti ed il tuono impaziente di esso rendettero attonito il costante Massimino; ma Vigilio avea più ragion di tremare, mentre chiaramente intese la minaccia, che se Attila non avesse rispettato il diritto delle genti, avrebbe fatto affiggere il bugiardo interprete ad una croce, abbandonando il suo corpo agli avoltoi. Il Barbaro condiscese a produrre un'esatta nota per dimostrare l'audace falsità di Vigilio, che aveva asserito non potersi trovare più di diciassette disertori. Ma egli arrogantemente dichiarò, che temeva solo la vergogna di combattere coi fuggitivi suoi schiavi; mentre disprezzava i loro impotenti sforzi a difendere le Province, che Teodosio aveva affidato alle loro armi: «Poichè qual fortezza (proseguì Attila) qual città in tutta l'estensione del Romano Impero può sperare d'esser sicura ed inespugnabile, se a noi piaccia di toglierla dalla terra?» Licenziò nonostante l'interprete, che tornò a Costantinopoli con la sua perentoria domanda d'una più compita restituzione e d'un'ambasceria più splendida. Appoco appoco si calmò la sua collera, ed il domestico suo contento in un matrimonio, che celebrò per istrada con la figlia d'Eslam, potè forse contribuire a mitigare la nativa fierezza del suo naturale. Si solennizzò l'ingresso di Attila nel regal villaggio con una ceremonia ben singolare. Una numerosa truppa di donne si fece incontro all'Eroe ed al Sovrano loro. Esse andavano avanti di lui disposte in lunghe regolari file: gli spazi fra queste file erano occupati da bianchi veli di lino fino che le donne tenevano da ambe le parti con le mani alte, e che formavano un baldacchino per un coro di fanciulle, che cantavano inni e canzoni in lingua Scita. La moglie d'Onegesio, suo favorito, con un seguito di donne salutò Attila alla porta della propria casa, sulla strada, che conduceva al palazzo; e gli presentò secondo l'uso del paese il suo rispettoso omaggio, invitandolo a gustare il vino ed il cibo ch'ella aveva preparato pel ricevimento di lui. Appena il Monarca ebbe accettato l'ospitale suo dono, i domestici della medesima alzarono una piccola tavola d'argento ad una conveniente altezza, stando egli sempre a cavallo; ed Attila dopo d'aver toccato colle sue labbra il bicchiere, salutò di nuovo la moglie d'Onegesio, e continuò il suo viaggio. Nel tempo della sua residenza nella Capitale dell'Impero il Re degli Unni non consumava le ore nella segreta oziosità d'un serraglio, e sapeva conservare la sublime sua dignità senza nascondersi alla pubblica vista. Frequentemente adunava il Consiglio, e dava udienza agli Ambasciatori delle nazioni: ed il suo Popolo poteva appellare al supremo Tribunale, su cui stava in certi determinati tempi, e secondo l'Oriental costume avanti la porta principale del suo palazzo di legno. I Romani sì dell'Oriente che dell'Occidente furono due volte invitati a' banchetti, nei quali Attila trattava i Principi e Nobili della Scizia. Massimino ed i suoi colleghi furono fermati sulla soglia per fare una devota libazione alla salute e prosperità del Re degli Unni; e dopo tal ceremonia vennero condotti ai rispettivi lor posti in una spaziosa sala. Nel mezzo di essa innalzavansi sopra vari gradini la tavola ed il letto reale, coperto di tappeti e di fina biancheria i od erano ammessi a parte del semplice o famigliar pranzo d'Attila un figlio, uno zio, o forse un Re favorito. Erano disposte per ordine da una parte e dall'altra due fila di piccole tavole, ciascheduna delle quali conteneva tre o quattro convitati; la destra stimavasi la più onorevole; ma i Romani confessano ingenuamente, che essi furono posti dalla sinistra; e che Beric, incognito Capitano probabilmente di stirpe Gotica, precedeva i rappresentanti di Teodosio e di Valentiniano. Il Barbaro Monarca riceveva dal suo coppiere un bicchiere pieno di vino, e cortesemente beveva alla salute del più distinto fra' convitati, che si alzava in piedi, ed esprimeva nell'istessa guisa i fedeli e rispettosi suoi voti. Questa ceremonia si faceva successivamente a tutte o almeno alle più illustri persone dell'adunanza, e vi si doveva impiegare un tempo considerabile, poichè si ripeteva tre volte ad ogni portata, che ponevasi in tavola. Restò però il vino anche dopo che erano levati i cibi; e gli Unni continuarono a soddisfare la loro intemperanza per lungo tempo dopo che i sobri e decenti Ambasciatori dei due Imperi s'erano ritirati dal notturno convito. Ma prima di ritirarsi ebbero una singolare occasione d'osservare i costumi della nazione nei suoi divertimenti conviviali. Stavano davanti al letto d'Attila due Sciti, e recitavano i versi che avevan composti per celebrare il valore e le vittorie di esso. Si fece nella sala un profondo silenzio; l'attenzione dei convitati venne richiamata dalla vocale armonia, che rammentava e perpetuava la memoria delle proprie lor geste. Dagli occhi dei guerrieri usciva un marziale ardore, che li dimostrava impazienti della battaglia; e le lagrime dei vecchi esprimevano la generosa loro disperazione di non poter più essere a parte del pericolo e della gloria del campo691. A questo trattenimento, che potrebbe risguardarsi come una scuola di valor militare, successe una farsa, che abbassava la dignità della natura umana. Un buffone Moro ed uno Scita eccitavano a vicenda il brio dei rozzi spettatori con la deforme loro figura, co' ridicoli abiti, coi gesti caricati, con gli assurdi discorsi e con lo strano non intelligibil mescuglio delle lingue Latina, Gotica ed Unna; e la sala risuonava di alti e licenziosi scrosci di risa. In mezzo a questo smoderato fracasso il solo Attila senza mutar positura mantenne la sua costante ed inflessibile gravità, che non lasciò mai, fuori che nell'entrare d'Irnac, che era il più piccolo dei suoi figli: abbracciò egli il fanciullo con un sorriso di tenerezza paterna, lo prese gentilmente per le gote, e dimostrò una parziale affezione, che veniva giustificata dalla sicurezza, datagli da' suoi Profeti, che Irnac sarebbe stato il futuro sostegno della famiglia e dell'Impero di esso. Due giorni dopo gli Ambasciatori ebbero un secondo invito, ed ebbero motivo di lodare la cortesia ugualmente che l'ospitalità d'Attila. Il Re degli Unni ebbe un lungo e famigliare discorso con Massimino; ma la sua civiltà fu interrotta da crude espressioni e da superbi rimproveri; e fu mosso da un motivo d'interesse a sostenere con indecente zelo le private pretensioni di Costanzo suo segretario. «L'Imperatore (disse Attila) gli ha da gran tempo promesso una ricca moglie; Costanzo non dev'esser deluso; nè un Imperator Romano dovrebbe meritare il nome di bugiardo». Il terzo giorno, gli Ambasciatori furono licenziati; fu accordata la libertà di vari schiavi, per un moderato riscatto, alle premurose loro preghiere; ed oltre i presenti reali fu loro permesso d'accettare da ciascheduno de' nobili Sciti l'onorevole ed utile dono d'un cavallo. Massimino tornò per la medesima strada a Costantinopoli; e quantunque si trovasse impegnato accidentalmente in una disputa con Beric, nuovo Ambasciatore d'Attila, si lusingava d'aver contribuito, mediante il laborioso suo viaggio, a confermar la pace e l'alleanza delle due nazioni692.
Ma il Romano Ambasciatore non sapeva il disegno del tradimento, che si era coperto sotto la maschera della pubblica fede. La sorpresa e la gioia d'Edecone allorchè osservava lo splendor di Costantinopoli, avea incoraggito l'interpetre Vigilio a procurargli un segreto abboccamento coll'Eunuco Crisafio693, che governava l'Imperatore e l'Impero. Dopo qualche preliminare discorso, ed un vicendevole giuramento di segretezza, l'Eunuco, che secondo i propri sentimenti o la propria esperienza non avea concepito alcuna sublime idea della virtù ministeriale, si avventurò a proporre la morte d'Attila, come un importante servigio, per cui Edecone avrebbe potuto meritare una gran parte della ricchezza e del lusso che egli ammirava. L'Ambasciatore degli Unni diede orecchio alla seducente offerta; e dichiarò con apparente zelo, che esso aveva il potere e la facilità d'eseguire la sanguinosa impresa: ne fu comunicato il disegno al Maestro degli Ufizi, e Teodosio acconsentì all'assassinamento dell'invincibile suo nemico. Ma svanì questa perfida cospirazione per la dissimulazione o pel pentimento d'Edecone, e quantunque potesse esagerare l'interna sua ripugnanza pel tradimento, ch'egli pareva approvare, destramente si procurò il merito d'una opportuna e volontaria confessione. Ora se vogliamo esaminar l'ambasceria di Massimino e la condotta d'Attila, dobbiamo applaudire a quel Barbaro, che rispettò le leggi dell'ospitalità, e generosamente trattò e lasciò libero il Ministro d'un Principe, che avea cospirato contro la sua vita. Ma comparirà sempre più straordinaria la temerità di Vigilio, che consapevole del suo delitto e pericolo, tornò al campo reale in compagnia del proprio figlio, e portando seco una pesante borsa d'oro, somministratagli dall'Eunuco favorito per soddisfare le richieste d'Edecone, e corrompere la fedeltà delle guardie. L'interprete fu subito preso, e tratto al Tribunale d'Attila, dove asserì la sua innocenza con apparente fermezza, finattantochè la minaccia d'uccidere immediatamente il suo figlio, gli trasse di bocca una sincera confessione del colpevol fatto. Sotto nome di riscatto o di confiscazione, il rapace Re degli Unni accettò dugento libbre d'oro per la vita d'un traditore, ch'egli sdegnava di punire. Diresse il suo giusto risentimento contro un oggetto più nobile. Furono immediatamente spediti a Costantinopoli Eslao ed Oreste, suoi Ambasciatori, con una perentoria istruzione, che era molto più sicuro per essi l'eseguire, che il non osservarla. Entrarono arditamente alla presenza Imperiale con la fatal borsa appesa al collo d'Oreste, il quale interrogò l'Eunuco Crisafio, che stava vicino al trono, se riconosceva la prova della sua colpa. Ma l'ufizio del rimprovero era riserbato alla superior dignità d'Eslao suo collega, che gravemente s'indirizzò all'Imperatore dell'Oriente con queste parole. «Teodosio è figlio d'un illustre e rispettabile padre: Attila parimente è disceso da una nobile stirpe, ed ha sostenuto, con le proprie azioni, la dignità che ereditò dal suo genitore Mundzuk. Ma Teodosio ha perduto i suoi paterni onori, ed acconsentendo a pagar tributo, si è abbassato alla condizion d'uno schiavo. Egli è dunque giusto, che veneri quell'uomo, che la fortuna ed il merito hanno posto sopra di lui, invece di tentare come un malvagio schiavo di cospirare furtivamente contro il suo Signore». Il figlio d'Arcadio, il quale solo era assuefatto alla voce dell'adulazione, udì con sorpresa il severo linguaggio della verità: arrossì e tremò; nè osò di negare direttamente la testa di Crisafio, che Eslao ed Oreste avevan ordine di domandare. Fu subito spedita una solenne Ambasceria, munita di pieno potere e di magnifici doni, per calmare la collera d'Attila; e fu secondato il suo orgoglio con la scelta di Nomio e d'Anatolio, due Ministri di grado Consolare o Patrizio, l'uno dei quali era gran Tesoriere e l'altro era Generale degli eserciti dell'Oriente. Egli condiscese ad incontrar questi Ambasciatori sulle rive del fiume Drence; e quantunque a principio affettasse un sostenuto e superbo contegno, l'ira di esso appoco appoco fu ammollita dalla loro eloquenza e liberalità. Si contentò di perdonare all'Imperatore, all'Eunuco ed all'interpetre; s'obbligò con giuramento ad osservare le condizioni della pace; rilasciò un gran numero di schiavi; abbandonò al loro destino i fuggitivi e i disertori; e cedè un vasto territorio al mezzodì del Danubio, che egli avea già spogliato di ricchezze e di abitatori. Ma si comprò questo trattato ad un prezzo, che avrebbe potuto sostenere una vigorosa e felice guerra; ed i sudditi di Teodosio furon costretti a redimere la vita d'un indegno favorito per mezzo di opprimenti imposizioni, che essi avrebbero più volentieri pagate per la sua morte694.
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L'Imperator Teodosio non sopravvisse lungamente alla più umiliante circostanza d'una vita priva di gloria. Andando a cavallo a caccia nelle vicinanze di Costantinopoli, fu tratto dal suo cavallo nel fiume Lico; nella caduta restò offesa la spina del dorso; e pochi giorni dopo spirò nel cinquantesimo anno della sua età, e quarantesimo terzo del regno695. Pulcheria, di lui sorella, all'autorità della quale si era opposta sì negli affari civili che negli Ecclesiastici la perniciosa influenza degli Eunuchi, fu di comun consenso proclamata Imperatrice dell'Oriente, ed i Romani si sottoposero per la prima volta all'Impero d'una donna. Appena fu Pulcheria salita sul trono, che soddisfece il pubblico risentimento con un atto di popolar giustizia. L'Eunuco Crisafio, senz'alcuna legal forma di giudizio, fu decapitato avanti le porte della città: e le immense ricchezze, che dal rapace favorito s'erano accumulate, non servirono che ad affrettare e giustificare la sua punizione696. In mezzo alle generali acclamazioni del clero e del popolo, l'Imperatrice non dimenticò il pregiudizio ed il danno, a cui era esposto il suo sesso, e saviamente risolvè d'impedire ogni susurro con la scelta d'un collega, che sempre rispettasse il superior grado e la verginal castità della sua moglie. Essa sposò Marciano, Senatore di circa sessant'anni, ed il marito, solo di nome, di Pulcheria, fu solennemente investito della porpora Imperiale. Il solo zelo, da lui dimostrato per la fede Ortodossa, che fu stabilita nel Concilio di Calcedonia, avrebbe potuto inspirare la grata eloquenza dei Cattolici. Ma la condotta di Marciano nella vita privata, e di poi sul trono, può sostenere una più ragionevol credenza, che egli era atto a restaurare ed invigorire un Impero, che s'era quasi disciolto per la successiva debolezza di due Monarchi ereditari. Esso era nato nella Tracia, ed educato nella professione delle armi; ma la gioventù di Marciano era stata duramente esercitata dalla povertà e dalla disgrazia, mentre l'unica sua ricchezza, quando arrivò a Costantinopoli la prima volta, consisteva in dugento monete d'oro, che aveva prese in prestito da un amico. Passò diciannove anni al domestico e militar servizio d'Aspar e d'Ardaburio, suo figlio; seguitò quei potenti Generali nella guerra Persiana ed Affricana; ed ottenne per loro mezzo l'onorevole posto di Tribuno e di Senatore. La sua dolce disposizione e gli utili suoi talenti, senza eccitare la gelosia dei suoi Signori, procurarono a Marciano la stima ed il favore di essi; egli aveva veduto e forse provato gli abusi d'una oppressiva e venale amministrazione; ed il proprio suo esempio diede peso ed energia alle leggi, che ei promulgò per la riforma dei costumi697.
CAPITOLO XXXV
Attila invade la Gallia. È rispinto da Ezio, e da' Visigoti. Invade, ed abbandona l'Italia. Morte d'Attila, di Ezio, e di Valentiniano III
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Marciano era di opinione, che fosse da evitarsi la guerra, finattantochè si poteva mantenere una sicura, ed onorevole pace; ma credeva altresì, che la pace non avrebbe mai potuto essere onorevole o sicura, se il Principe avesse dimostrato una pusillanime avversione alla guerra. Questo suo moderato coraggio gli dettò la risposta alle domande d'Attila, che insolentemente chiedeva il pagamento dell'annuo tributo. L'Imperatore fece sapere a' Barbari, ch'essi non dovevano più insultare la Maestà di Roma col far menzione di tributi; ch'egli era disposto a premiare, con decente generosità, la fedele amicizia de' suoi alleati; ma che se ardivano di violar la pubblica tranquillità, avrebbe loro fatto sentire, ch'esso aveva truppe, armi, e fermezza capace di rispingere i loro assalti. Usò l'istesso linguaggio nel campo stesso degli Unni Apollonio, suo ambasciatore, che arditamente ricusando di consegnare i presenti, finattantochè non fu ammesso alla personale udienza del Re, dimostrò un sentimento di dignità, ed un disprezzo del pericolo, che Attila non avrebbe mai aspettato da' degenerati Romani698. Ei minacciò di gastigare l'ardito successor di Teodosio; ma stava dubbioso, se doveva prima rivolgere le invitte sue armi contro l'Impero d'Oriente, o d'Occidente. Mentre il Mondo sospeso aspettava con timore la sua decisione, egli mandò una ugual disfida sì alla Corte di Ravenna, che a quella di Costantinopoli; ed i suoi Ministri salutarono i due Imperatori con la stessa superba dichiarazione di questo tenore: «Attila, mio e tuo Signore, ti comanda di preparargli un palazzo per immediatamente riceverlo»699. Ma siccome il Barbaro disprezzava, o affettava di disprezzare i Romani Orientali, che tante volte avea superato, ben tosto dichiarò la sua risoluzione di sospendere quella facil conquista, finattantochè non avesse condotto a fine una più importante e gloriosa impresa. Nelle memorabili invasioni della Gallia e dell'Italia, gli Unni erano naturalmente attratti dalla ricchezza e dalla fertilità di quelle Province; ma non si possono rilevare i particolari motivi ed incitamenti d'Attila, che dallo stato dell'Impero occidentale sotto il regno di Valentiniano, o per parlare più esattamente, sotto l'amministrazione d'Ezio700.
Dopo la morte di Bonifazio suo rivale, si era Ezio prudentemente ritirato alle tende degli Unni; ed alla loro alleanza doveva la sua salvezza, ed il suo ristabilimento. Invece di prendere il supplichevole tuono d'un esule delinquente, domandava il perdono alla testa di sessantamila Barbari; e l'Imperatrice Placidia con una debole resistenza fece conoscere, che la sua condiscendenza, la quale avrebbe potuto attribuirsi a clemenza, fu l'effetto della debolezza o del timore. Abbandonò se stessa, il proprio figlio Valentiniano, e l'Impero dell'Occidente nelle mani d'un insolente suddito, nè Placidia potè difendere il virtuoso e fedel Sebastiano, genero di Bonifazio701, dall'implacabile persecuzione, che lo cacciò da un regno in un altro, finattantochè non perì miserabilmente al servizio dei Vandali. Il fortunato Ezio, che fu immediatamente promosso al grado di Patrizio, ed investito per tre volte degli onori del Consolato, assunse col titolo di Generale della cavalleria e dell'infanteria, tutto il potere militare dello Stato; e dagli scrittori contemporanei tal volta si nomina il Duce, o il Generale dei Romani d'Occidente. La sua politica, piuttosto che la virtù, l'impegnò a lasciare il nipote di Teodosio in possesso della porpora; e fu permesso a Valentiniano di godere la pace ed il lusso d'Italia, mentre il Patrizio faceva la luminosa comparsa d'un eroe e d'un difensor della patria, che sostenne quasi venti anni le rovine dell'Impero Occidentale. L'istorico Goto confessa ingenuamente ch'Ezio era nato per la salvezza della Repubblica Romana702; ed il seguente ritratto, ch'ei ne fa, quantunque ornato de' più be' colori, bisogna confessare, che contiene una porzione maggiore di verità che di adulazione: «sua madre era una ricca e nobile Italiana, e Gaudenzio suo padre, che aveva un posto distinto nella Provincia della Scizia, s'inalzò a grado a grado dallo stato di domestico militare alla dignità di Generale di cavalleria. Il loro figlio, che fu arrolato quasi nella sua infanzia fra le guardie, fu dato come ostaggio prima ad Alarico, e di poi agli Unni; e successivamente ottenne gli onori civili e militari del Palazzo, a sostenere i quali era ugualmente atto pel superiore suo merito. La graziosa figura d'Ezio non eccedeva la statura mezzana; ma le virili sue membra eran meravigliosamente formate per la forza, per la bellezza, e per l'agilità; ed egli era eccellente ne' marziali esercizi di maneggiare i cavalli, di tender l'arco, e di scagliare i dardi. Esso era capace di soffrir pazientemente la mancanza del cibo o del sonno, ed aveva lo spirito ugualmente che il corpo suscettibile degli sforzi più laboriosi. Era dotato di quel verace coraggio, che sa disprezzare non solamente i pericoli, ma anche le ingiurie; ed era impossibile il corrompere, l'ingannare, o l'intimorire la costante integrità dell'animo suo703». I Barbari, che si erano stabiliti nelle Province Orientali, appoco appoco impararono a rispettare la fede, ed il valore del Patrizio Ezio. Egli addolcì le loro passioni, studiò i lor pregiudizi, ne bilanciò gl'interessi, e ne frenò l'ambizione. Un opportuno trattato, ch'ei fece con Genserico, difese l'Italia dalle depredazioni de' Vandali; gl'indipendenti Brettoni implorarono e provarono il salutare suo aiuto; fu ristabilita e mantenuta l'autorità Imperiale nella Gallia e nella Spagna; ed esso costrinse i Franchi e gli Svevi, che aveva superati in battaglia, a divenire utili confederati della Repubblica.
Per un principio d'interesse non meno che di gratitudine, Ezio coltivò assiduamente l'amicizia degli Unni. Allorchè dimorava nelle loro tende, in ostaggio o com'esule, aveva famigliarmente conversato con Attila stesso, nipote del suo benefattore; e sembra che questi due famosi antagonisti fossero uniti con una personale e militare amicizia, che di poi confermarono per mezzo di reciproci doni, di frequenti ambascerie, e dell'educazione di Carpilione, figlio d'Ezio, nel Campo d'Attila. Con le sue speciose proteste di gratitudine, e di volontario attaccamento, poteva il Patrizio mascherare i suoi timori del conquistatore Scita, che stringeva con le innumerabili sue truppe i due Imperi. Si eseguivano però le sue domande, o si eludevano. Quando ei richiese le spoglie d'una città soggiogata, cioè alcuni vasi d'oro, ch'erano stati fraudolentemente trafugati, furono immediatamente spediti a soddisfare le sue querele704 i Governatori civili e militari del Norico; ed è patente dal congresso, ch'ebbero nel villaggio reale con Massimino e Prisco, che il valore e la prudenza d'Ezio non aveva potuto salvare i Romani Occidentali dalla comune ignominia del tributo. Pure la sua destra politica prolungò i vantaggi d'una salutevole pace; e fu impiegato in difesa della Gallia un numeroso esercito di Unni e di Alani, ch'esso aveva impegnato a suo favore. Furono giudiziosamente poste due colonie di questi Barbari ne' territori di Valenza, e d'Orleans705; e l'attiva loro cavalleria assicurò gli importanti passaggi del Rodano, e della Loira. Questi selvaggi alleati non erano in vero meno formidabili pei sudditi, che pei nemici di Roma. Il loro stabilimento a principio fu sostenuto dalla licenziosa violenza della conquista; e la Provincia, che occupavano, fu esposta a tutte la calamità d'un'ostile invasione706. Gli Alani della Gallia, estranei rispetto all'Imperatore o alla Repubblica, erano addetti all'ambizione d'Ezio; e sebbene questi potesse sospettare, che in una guerra con Attila stesso si sarebbero rivoltati alle bandiere del nazionale loro Sovrano, contuttociò il Patrizio si affaticava a frenarne, piuttosto che ad eccitarne, lo zelo e lo sdegno contro i Goti, i Borgognoni, ed i Franchi.
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Il regno, stabilito da' Visigoti nelle Province meridionali della Gallia, aveva appoco appoco acquistato forza e maturità; e la condotta di quegli ambiziosi Barbari, tanto in pace che in guerra, impegnava Ezio ad una perpetua vigilanza. Dopo la morte di Vallia, lo scettro Gotico passò a Teodorico, figlio del Grande Alarico707; ed il suo prospero regno di più di trent'anni sopra un Popolo turbolento può risguardarsi come una prova, che la sua prudenza era sostenuta da un vigore non comune sì di mente, che di corpo. Mal soffrendo i suoi stretti confini, Teodorico aspirava al possesso di Arles, ricca sede di governo e di commercio; ma la città fu salvata mediante l'opportuno arrivo d'Ezio; ed il Re Goto, che ne aveva intrapreso l'assedio con qualche perdita e disgrazia, si lasciò persuadere per mezzo d'un adeguato sussidio a rivolgere il marzial valore de' suoi contro la Spagna. Non ostante però Teodorico sempre studiò, ed arditamente prese il favorevol momento di rinnovare gli ostili suoi tentativi. I Goti assediarono Narbona, mentre le Province Belgiche erano invase da' Borgognoni; e da ogni parte veniva minacciata la salvezza pubblica dall'apparente unione de' nemici di Roma. Ma l'attività d'Ezio, e la sua cavalleria Scita da ogni parte oppose una costante ed efficace resistenza. Restaron morti sul campo ventimila Borgognoni; ed il restante della nazione accettò umilmente un'abitazione soggetta all'Impero nelle montagne della Savoia708. Le mura di Narbona erano già state scosse dalle batterie militari; e gli abitanti avevan sofferto le ultime estremità della fame, quando il Conte Litorio tacitamente avvicinatosi, ed avendo ordinato a ciaschedun uomo a cavallo di portarsi dietro due sacca di farina, si fece strada fra le trincere degli assedianti. Fu immediatamente levato l'assedio e la più decisiva vittoria, che si attribuisce alla condotta personale d'Ezio medesimo, fu notata col sangue di ottomila Goti. Ma nell'assenza del Patrizio, che fu richiamato in fretta in Italia da qualche pubblico o privato affare, il Conte Litorio successe al comando; e la sua presunzione tosto fece conoscere, quanto sia diversa l'abilità, che si richiede per condurre un'ala di cavalleria, da quella necessaria per dirigere le operazioni d'una importante guerra. Alla testa d'un esercito di Unni temerariamente avanzossi fino alle porte di Tolosa, pieno di non curante disprezzo per un nemico, che le sue disgrazie avevan renduto prudente, e la sua situazione disperato. Le predizioni degli Auguri avevano inspirato a Litorio la profana fiducia di entrare in trionfo nella capitale de' Goti; e la fede, ch'egli prestava a' suoi Pagani alleati, l'incoraggì a rigettare le belle condizioni di pace, che furono più volte proposte da' Vescovi a nome di Teodorico. Il Re de' Goti mostrò nelle sue angustie l'edificante contrapposto d'una cristiana pietà e moderazione; nè lasciò il sacco e le ceneri, finattantochè non fu preparato ad armarsi per combattere. I suoi soldati, animati da un marziale o religioso entusiasmo, assaltarono il campo di Litorio; la battaglia fu ostinata, la strage reciproca. Il Generale Romano, dopo una total disfatta, che poteva unicamente imputarsi alla sua temeraria ignoranza, fu realmente condotto per le strade di Tolosa non già nel proprio, ma in un ostile trionfo; e la miseria, ch'egli provò in una ignominiosa e lunga schiavitù, eccitò la compassione degli stessi Barbari709. Una tal perdita in un paese, in cui la bravura e le finanze da lungo tempo erano esauste, non poteva facilmente ripararsi; ed i Goti, a vicenda mossi da sentimenti d'ambizione e di vendetta, avrebber piantato le vittoriose loro bandiere sulle rive del Rodano, se la presenza d'Ezio non avesse rinvigorito la disciplina e la forza de' Romani710. I due eserciti aspettavano il segno d'un'azion decisiva; ma i Generali, che conoscevan la forza l'uno dell'altro, e dubitavano ciascheduno della propria superiorità, prudentemente riposero le loro spade nel fodero; e la riconciliazione loro fu permanente e sincera. Sembra, che Teodorico Re de' Visigoti, meritasse l'amor de' suoi sudditi, la fiducia de' suoi alleati, e la stima dell'uman genere. Il suo trono era circondato da sei valorosi figli, che erano educati con ugual diligenza tanto negli esercizi del campo Barbaro, quanto in quelli delle scuole Galliche: dallo studio dalla Giurisprudenza Romana essi appresero almeno la teoria della legge e della giustizia; e gli armoniosi sentimenti di Virgilio contribuirono ad addolcire l'asprezza de' nativi loro costumi711. Le due figlie del Re Goto furono maritate a' primogeniti de' Re degli Svevi e de' Vandali, che regnavano nella Spagna, e nell'Affrica; ma queste illustri affinità partorirono delitti e discordie. La Regina degli Svevi pianse la morte d'un marito crudelmente ucciso dal fratello di essa. La Principessa de' Vandali cadde vittima d'un geloso tiranno, ch'essa chiamava suo padre. Il crudel Genserico sospettò, che la moglie del proprio figlio avesse tentato d'avvelenarlo; il supposto delitto fu punito coll'amputazione del naso e degli orecchi; e l'infelice figlia di Teodorico fu ignominiosamente rimandata alla Corte di Tolosa in quello stato di deforme mutilazione. Tal orrido fatto, che dee parere incredibile in un secolo incivilito, trasse ad ogni spettatore le lacrime: ma Teodorico fu mosso da' sentimenti di padre e di Re a vendicare queste irreparabili ingiurie. I ministri Imperiali, che sempre favorivano la discordia de' Barbari, avrebbero somministrato a' Goti armi, navi, e danaro per la guerra Affricana; e la crudeltà di Genserico avrebbe potuto riuscirgli fatale, se l'artificioso Vandalo non avesse tratto in suo favore la formidabil potenza degli Unni. I ricchi doni e le vive sollecitazioni di esso accesero l'ambizione d'Attila; ed i disegni d'Ezio e di Teodorico furono impediti dall'invasione della Gallia712.
Celsus Aremorico, Geticum rapiebat in agmen
Per terras, Arverne, tuas, qui proxima quaeque
Discursu, flammis, ferro, feritate, rapinis,
Delebant; pacis fallentes nomen inane.
Un altro Poeta, cioè Paolino del Perigord, conferma questo lamento. Nam socium vix ferre queas, qui durior hoste. Vedi Dubos Tom. 1 p. 330.
Quod Te, Roma, capit…
(Sidon., Panneg. Avit. 505) Questo carattere, applicabile solo al Grande Alarico, stabilisce la genealogia de' Re Goti, che fin qui era stata ignota.
Lithorio, in Rhodanum proprios producere fines,
Theudoridae fixum: nec erat pugnare necesse,
Sed migrare Getis; rabidam trux asperat irum
Victor, quod sensit Scythicum sub moenibus hostem
Imputat, et nihil est gravius, si forsitan umquam
Vincere contingat trepido…
(Paneg. Avit. 300 etc.) Sidonio quindi prosegue, secondo il dovere d'un Panegirista, a trasferire tutto il merito da Ezio ad Avito suo Ministro.
Teodorico II venerava nella persona d'Avito il carattere di suo precettore:
… Mihi Romula dudum
Per te Jura placent: parvumque ediscere jussit
Ad tua verba pater, docili quo prisca Maronis
Carmine molliret Scythicos mihi pagina mores.
Sidon., Panegyr. Avit. 495. etc.
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