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Kitabı oku: «Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 6», sayfa 19

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CAPITOLO XXXVI

Sacco di Roma fatto da Genserico, Re de' Vandali. Sue depredazioni navali. Successione degli ultimi Imperatori occidentali, Massimo, Avito, Maiorano, Severo, Antemio, Olibrio, Glicerio, Nipote, Augustolo. Total estinzione dell'Impero dell'Occidente. Regno d'Odoacre, primo Re Barbaro d'Italia

La perdita, o la desolazione delle Province, dall'Oceano alle Alpi, diminuì la gloria e la grandezza di Roma: ma la separazione dell'Affrica distrusse irreparabilmente l'interna sua prosperità. I rapaci Vandali confiscarono i beni patrimoniali de' Senatori, ed impedirono i regolari sussidi, che sollevavano la povertà, ed incoraggivano l'ozio de' plebei. La miseria de' Romani fu tosto aggravata da un attacco inaspettato; e quella Provincia, che per tanto tempo si era coltivata per loro uso da industriosi e fedeli sudditi, fu armata contro di loro da un ambizioso Barbaro. I Vandali e gli Alani, che seguitavano il fortunato stendardo di Genserico, avevano acquistato un ricco e fertile territorio, che si estendeva lungo la costa sopra novanta giornate di cammino da Tangeri a Tripoli; ma l'arenoso deserto ed il Mediterraneo ristringevano e confinavano da ambe le parti gli angusti lor limiti. La scoperta e la conquista de' popoli neri, che abitavano sotto la zona torrida, non poteva tentare la ragionevole ambizione di Genserico; ma egli rivolse gli occhi verso il mare; risolvè di formare una forza navale; e l'audace sua risoluzione fu eseguita con ferma ed attiva perseveranza. I boschi del monte Atlante gli somministrarono un'inesauribile quantità di legname; i suoi nuovi sudditi si abilitarono nelle arti della navigazione, e della costruzion delle navi; esso animò gli arditi suoi Vandali ad abbracciare una maniera di combattere, che avrebbe renduto qualunque paese marittimo accessibile alle loro armi; i Mori e gli Affricani furono adescati dalla speranza della preda; e dopo un intervallo di sei secoli, le flotte, che usciron dal porto di Cartagine, aspirarono di nuovo all'Impero del Mediterraneo. Le prosperità de' Vandali, la conquista della Sicilia, il sacco di Palermo, ed i frequenti sbarchi sulle coste della Lucania risvegliarono, e misero in moto la madre di Valentiniano, e la sorella di Teodosio. Si formarono alleanze, e si prepararono dispendiosi ed inefficaci armamenti per la distruzione del comun nemico, che riservava il proprio coraggio ad affrontar que' pericoli, che la sua politica non poteva impedire o evitare. Furono sconcertati più volte i disegni del Governo Romano dalle artificiose dilazioni, ambigue promesse, ed apparenti cessioni di lui; e l'interposizione del Re degli Unni, formidabile suo confederato, richiamò gl'Imperatori dalla conquista dell'Affrica alla cura della domestica lor sicurezza. Le rivoluzioni del Palazzo, che lasciaron l'Impero d'Occidente senza difensore, e senza legittimo Principe, sgombrarono i timori, e stimolarono l'avarizia di Genserico. Equipaggiò esso immediatamente una numerosa flotta di Vandali, e di Mori, e gettò l'ancora alla bocca del Tevere circa tre mesi dopo la morte di Valentiniano, e l'innalzamento di Massimo al trono Imperiale.

A. 455

Si citò spesse volte la vita privata del Senatore Petronio Massimo776, come un raro esempio d'umana felicità. La sua nascita era nobile ed illustre, mentre discendeva dalla famiglia Anicia; la sua dignità veniva sostenuta da un adequato patrimonio in terre e danari: e questi beni di fortuna erano accompagnati dalle arti liberali e dalle decenti maniere, che adornano o imitano gl'inestimabili doni del genio e della virtù. Il lusso del palazzo e della tavola di esso era ospitale ed elegante. Ogni volta che Massimo compariva in pubblico, era circondato da una serie di grati ed ossequiosi clienti777; e può essere che fra questi egli meritasse, ed avesse di fatto qualche vero amico. Fu premiato il suo merito dal favore del Principe e del Senato: esercitò egli per tre volte l'uffizio di Prefetto del Pretorio d'Italia; fu investito due volte del Consolato, ed ottenne il titolo di Patrizio. Questi civili onori non erano incompatibili col godimento della tranquillità e della quiete; il suo tempo, secondo che richiedeva la ragione o il piacere, veniva esattamente distribuito da un oriuolo ad acqua; e può concedersi, che quest'economia di tempo dimostri il sentimento, che Massimo aveva della propria felicità. Sembra che l'ingiuria, ch'ei ricevè dall'Imperator Valentiniano scusi la più sanguinosa vendetta. Pure un filosofo avrebbe potuto riflettere, che se la resistenza della sua moglie era stata sincera, la sua castità era tuttavia inviolata, e che questa non si sarebbe mai reintegrata, se essa avea consentito al voler dell'adultero, ed un buon cittadino avrebbe molto esitato prima di gettar se stesso, e la patria in quelle inevitabili calamità, che dovetter seguire l'estinzione della real famiglia di Teodosio. L'imprudente Massimo trascurò queste salutari considerazioni; secondò la propria collera ed ambizione; vide il cadavere sanguinoso di Valentiniano a' suoi piedi; e si udì salutare Imperatore dall'unanime voce del Senato e del Popolo. Ma il giorno del suo inalzamento fu l'ultimo della sua felicità. Esso fu imprigionato (tal è la viva espressione di Sidonio) nel palazzo; e dopo aver passato una notte senza dormire, sospirava per esser giunto al colmo de' suoi desiderj, e non aspirava, che a scendere da quella pericolosa elevazione. Oppresso dal peso del diadema, comunicava i suoi ansiosi pensieri al Questore Fulgenzio, suo amico; e quando guardava indietro con inutile pentimento i suoi piaceri della vita passata, l'Imperatore esclamava: «o fortunato Damocle778, il tuo regno principiò e finì nel medesimo pranzo!» Allusione ben nota, che Fulgenzio poi ripeteva, come un'istruttiva lezione pei Principi, e pei sudditi.

A. 455

Il regno di Massimo durò circa tre mesi. Le sue ore, delle quali non potea più disporre, venivano disturbate dal rimorso, dalla colpa, o dal timore, ed era scosso il suo trono dalle sedizioni de' soldati, del Popolo, e de' Barbari alleati. Il matrimonio di Palladio suo figlio con la figlia maggiore dell'Imperatore defunto era forse diretto a stabilire l'ereditaria successione della sua famiglia; ma la violenza, ch'ei fece all'Imperatrice Eudossia, non potè nascere, che da un cieco impulso di libidine o di vendetta. La propria moglie, ch'era stata la causa di que' tragici fatti, opportunamente era morta; e la vedova di Valentiniano fu costretta a violare il decente suo lutto, e forse il vero suo cordoglio, ed a sottomettersi agli abbracciamenti d'un superbo usurpatore, ch'essa sospettava essere stato l'assassino del suo defunto marito. Questi sospetti furono ben tosto verificati per l'indiscreta confessione di Massimo stesso, ed egli capricciosamente provocò l'odio della ripugnante sua sposa, la quale era ben consapevole che discendeva da stirpe Imperiale. Dall'Oriente però non poteva Eudossia sperare alcuno efficace aiuto: suo padre, e Pulcheria sua zia erano morti; sua madre languiva nell'angustia e nell'esilio di Gerusalemme; e lo scettro di Costantinopoli era nelle mani d'uno straniero. Essa rivolse gli occhi verso Cartagine; segretamente implorò l'aiuto del Re de' Vandali; e persuase Genserico a profittare della bella occasione di coprire i suoi rapaci disegni coi nomi speciosi di onore, di giustizia e di compassione779. Per quanto senno Massimo avesse dimostrato ne' posti subordinati, egli era incapace d'amministrare un Impero; e quantunque potesse facilmente sapere i preparativi navali, che si facevano su gli opposti lidi dell'Affrica, aspettò con supina indifferenza la venuta del nemico, senza prendere alcuna misura per difendersi, per trattare, o per opportunamente ritirarsi. Quando i Vandali sbarcarono all'imboccatura del Tevere, l'Imperatore fu ad un tratto svegliato dal suo letargo pei clamori d'una tremante ed esacerbata moltitudine. L'unica speranza, che si presentò all'attonito suo spirito, fu quella d'una precipitosa fuga; ed esortò i Senatori ad imitare l'esempio del loro Principe. Ma appena Massimo si fece veder nelle strade, che fu assalito da una pioggia di pietre: un soldato Romano o Borgognone si attribuì l'onore della prima ferita di esso; il suo lacero corpo fu ignominiosamente gettato nel Tevere; il Popolo Romano vide con piacere la pena data all'autore della pubblica calamità; ed i famigliari d'Eudossia segnalarono il proprio zelo in servizio della loro Signora780.

A. 455

Il terzo giorno dopo il tumulto, Genserico si avanzò arditamente dal porto d'Ostia alle porte della indifesa città. Invece d'una sortita di gioventù Romana, uscì dalle porte una disarmata e venerabile processione del Vescovo alla testa del suo clero781. L'intrepido spirito di Leone, la sua autorità ed eloquenza mitigaron di nuovo la fierezza d'un Barbaro conquistatore; il Re de' Vandali promise di risparmiare la moltitudine, che non avesse fatta resistenza, di non portar l'incendio alle fabbriche, e di liberare i prigionieri dalla tortura; e quantunque tali ordini non fossero seriamente mai dati, nè rigorosamente eseguiti, la mediazione di Leone fu gloriosa per esso, ed in qualche modo giovevole alla Patria. Ma Roma ed i suoi abitanti furono abbandonati alla licenza de' Vandali, e de' Mori, le cieche passioni de' quali vendicarono le ingiurie di Cartagine. Il sacco durò quattordici giorni e quattordici notti; e tutto ciò, che vi rimaneva di pubblica o privata ricchezza, di tesori sacri o profani, fu diligentemente trasportato alle navi di Genserico. Fra le altre spoglie, le splendide reliquie di due tempj, o piuttosto di due religioni, mostrarono un memorabil esempio delle vicende delle cose umane e divine. Dopo l'abolizione del Paganesimo, si era profanato ed abbandonato il Campidoglio; pure tuttavia si rispettavano le statue degli Dei e degli Eroi, ed il curioso tetto di bronzo dorato riservavasi alle mani rapaci di Genserico782. I sacri arnesi del Culto Giudaico783, la tavola d'oro, ed il candelabro, pur d'oro, con sette rami, in principio fatti secondo le speciali istruzioni di Dio medesimo, e che furono posti nel santuario del suo tempio, si erano pomposamente mostrati al Popolo Romano nel Trionfo di Tito; si erano quindi depositati nel tempio della Pace; ed al termine di quattrocento anni le spoglie di Gerusalemme trasportate furono da Roma a Cartagine da un Barbaro, che traeva l'origine da' lidi del Baltico. Questi antichi monumenti potevano attirar la curiosità, non meno che l'avarizia. Ma le chiese Cristiane, arricchite ed ornate dalla predominante superstizione di que' tempi, somministrarono una più abbondante materia al sacrilegio; e la pia liberalità del Papa Leone, che fece fondere sei vasi d'argento, donati da Costantino, del peso di cento libbre l'uno, è una prova del danno, ch'ei procurava di riparare. Ne' quarantacinque anni, ch'eran passati dopo l'invasione Gotica, la pompa ed il lusso di Roma avevano in qualche modo ripreso vigore; ed era difficile il soddisfare, o l'evitar l'avarizia d'un conquistatore, che aveva comodità di raccogliere, e navi da portar via le ricchezze della capitale. Gl'Imperiali ornamenti del palazzo, magnifici mobili e addobbi, i vasi massicci furono accumulati con disordinata rapina: l'oro e l'argento montò a più migliaia di talenti; e ciò nonostante fu con molta fatica tolto anche il rame, ed il bronzo. Eudossia medesima, che s'avanzò incontrò al suo amico e liberatore, pianse ben tosto l'imprudenza della propria condotta. Essa fu incivilmente spogliata delle sue gioie; e la sfortunata Imperatrice con le due sue figlie, ch'erano tutto ciò che restava del Gran Teodosio, fu costretta, come una schiava, a seguitare l'altiero Vandalo, che immediatamente sciolse le vele, e tornò con prospera navigazione al porto di Cartagine784. Più migliaia di Romani di ambedue i sessi, scelti per causa di qualche utile o piacevole lor qualità s'imbarcarono lor malgrado sulla flotta di Genserico; e la loro angustia fu aggravata dagl'insensibili Barbari, che nella division della preda separaron le mogli da' loro mariti, ed i figli da' padri. La carità di Deogratias785, Vescovo di Cartagine, fu l'unica loro consolazione e sostegno. Ei vendè generosamente i vasi d'oro e d'argento della Chiesa per comprare la libertà di alcuni, per alleggerire la schiavitù di altri, e per supplire, a' bisogni, ed alle infermità d'una moltitudine di schiavi, che si erano ammalati per le fatiche sofferte nel passaggio dall'Italia nell'Affrica. Due spaziose chiese per ordine di esso furono convertite in ospedali: gli ammalati furono distribuiti in convenienti letti, e generosamente provveduti di cibo, e di medicine; e l'attempato Prelato ripeteva le sue visite, sì di giorno che di notte, con un'assiduità superiore alle sue forze, e con un tenero impegno, che accresceva il valore de' suoi servigi. Si paragoni questa scena col campo di Canne; e si giudichi tra Annibale ed il successore di S. Cipriano786.

A. 455

La morte d'Ezio e di Valentiniano aveva allentato i vincoli, che tenevano i Barbari della Gallia in pace e subordinazione. La costa marittima era infestata dai Sassoni; gli Alemanni ed i Franchi si avanzarono dal Reno alla Senna; e l'ambizione de' Goti pareva che meditasse più estese e permanenti conquiste. L'Imperator Massimo si liberò, mediante una giudiziosa scelta, dal peso di queste distanti cure; fece tacere le sollecitazioni de' suoi amici, diede orecchio alla voce della fama, e promosse uno straniero al comando generale delle milizie nella Gallia. Avito787, ch'era lo straniero, il merito di cui fu sì nobilmente premiato, discendeva da una ricca ed onorevol famiglia nella diocesi dell'Alvergna. Le vicende di que' tempi lo spinsero ad abbracciare con uguale ardore la professione militare, e civile; e l'instancabile giovane congiunse gli studi della letteratura e della giurisprudenza coll'esercizio delle armi, e della caccia. Impiegò lodevolmente trent'anni della sua vita nel servizio pubblico; dimostrò alternativamente i suoi talenti nella guerra e nella negoziazione; ed il soldato di Ezio, dopo aver eseguito le più importanti ambasciate, fu innalzato al posto di Prefetto del Pretorio della Gallia. O sia che il merito d'Avito eccitasse l'invidia, o che la sua moderazione desiderasse riposo, tranquillamente si ritirò ad una terra, ch'ei possedeva nelle vicinanze di Clermont. Un copioso torrente, che nasceva dalla montagna, e si gettava precipitosamente in un'alta e schiumosa cascata, scaricava le sue acque in un lago di circa due miglia in lunghezza, e la villa era piacevolmente situata sul margine di esso. I bagni, i portici, gli appartamenti d'estate e d'inverno erano adattati a' disegni del lusso e del comodo: e l'addiacente campagna somministrava i vari prospetti di boschi, di pasture, e di prati788. Nella sua ritirata, nella quale Avito passava il tempo co' libri, ne' divertimenti campestri, nella pratica dell'agricoltura, e nella conversazione degli amici789, ricevè il diploma Imperiale, che lo dichiarava Generale della cavalleria e dell'infanteria della Gallia. Preso ch'egli ebbe il comando militare, i Barbari sospesero il lor furore; e di qualsivoglia sorta fossero i mezzi ch'ei potè impiegare, o le concessioni che potè esser costretto a fare, il Popolo godè il vantaggio dell'attuale tranquillità. Ma il destino della Gallia dipendeva da' Visigoti; ed il Generale Romano, meno sollecito della sua dignità che del pubblico bene, non isdegnò d'andare a Tolosa col carattere d'Ambasciatore. Esso fu ricevuto con cortese ospitalità da Teodorico Re dei Goti; ma mentre Avito gettava i fondamenti d'una stabile alleanza con quella potente nazione, fu sorpreso dalla notizia, che l'Imperator Massimo era stato ucciso, e Roma saccheggiata da' Vandali. Un trono vacante, ch'egli poteva occupare senza delitto o pericolo, tentò la sua ambizione790; ed i Visigoti facilmente s'indussero a sostenere la sua pretensione col loro irresistibile voto. Essi amavano la persona d'Avito, rispettavano le sue virtù, e non erano insensibili al vantaggio non meno che all'onore di dare un Imperatore all'Occidente. Approssimavasi allora il tempo, in cui si teneva in Arles l'annuale assemblea delle sette Province; la presenza di Teodorico e dei marziali fratelli potè forse influire nelle loro deliberazioni; ma la scelta loro doveva naturalmente inclinare verso il più illustre de' lor naturali. Avito, dopo una decente resistenza, accettò da' rappresentanti della Gallia il Diadema Imperiale; e fu ratificata la sua elezione dalle acclamazioni de' Barbari e de' Provinciali. Si richiese, e si ottenne il formal consenso di Marciano Imperatore dell'Oriente: ma il Senato, Roma e l'Italia, quantunque umiliati dalle recenti loro calamità, si sottoposero con segreta ripugnanza alla presunzione del Gallico usurpatore.

A. 453-466

Teodorico, al quale Avito era debitor della porpora, aveva acquistato lo scettro Gotico mediante l'uccisione di Torrismondo suo fratello maggiore; e giustificò questo atroce fatto col disegno, che il suo predecessore avea formato, di violare la sua confederazione coll'Impero791. Tal delitto potè forse non essere incompatibile con le virtù d'un Barbaro; ma le maniere di Teodorico erano gentili ed umane, e la posterità può rimirar senza terrore la pittura originale d'un Re Goto, che Sidonio aveva ben esaminato nelle ore della pacifica e sociale conversazione. In una lettera scritta dalla Corte di Tolosa, l'Oratore soddisfa la curiosità d'un suo amico con la seguente descrizione792. «Per la maestà del suo aspetto imporrebbe Teodorico riverenza anche a quelli, che non ne conoscessero il merito; e quantunque sia nato Principe, il suo merito servirebbe a sublimarlo anche da privato. Esso è di statura piuttosto mediocre, il suo corpo sembra piuttosto pieno che grasso, e nelle proporzionate sue membra l'agilità si unisce alla forza muscolare793. Se si esamina la sua faccia, vi si osserva una spaziosa fronte, larghi e folti sopraccigli, un naso aquilino, tenui labbra, una regolar serie di bianchi denti, ed una bella carnagione, che arrossisce più spesso per modestia, che per isdegno. Si può precisamente indicare l'ordinaria distribuzione del suo tempo, essendo questa esposta alla pubblica vista. Avanti lo spuntar del giorno si porta con un piccolo seguito alla sua cappella domestica, dove si dice la messa da' ministri Arriani; ma quelli, che pretendono d'interpretare i segreti suoi sentimenti risguardano quest'assidua devozione, come un effetto d'abitudine e di politica. Il resto della mattina s'impiega nell'amministrazione del regno. Il suo Tribunale è circondato da alcuni ufiziali militari di decente aspetto e portamento: la rumorosa turba delle sue guardie Barbare occupa la sala dell'udienza; ma non è permesso loro di stare dentro i veli o le cortine, che tolgono la camera del consiglio agli occhi volgari. Vengono l'uno dopo l'altro introdotti gli ambasciatori delle nazioni. Teodorico ascolta con attenzione, risponde loro con discreta brevità, e secondo la natura degli affari pronunzia, o differisce la decisiva sua risoluzione. Circa le otto ore (all'ora seconda) si alza dal suo trono, e va al tesoro, o alla scuderia. Se gli piace di andare a caccia, o d'esercitarsi a cavallo, un giovane favorito gli porta l'arco; ma quando è trovata la fiera, lo tende con le proprie mani, e rade volte sbaglia il colpo: come Re, sdegna di portar le armi in tale ignobile occupazione; ma come soldato, si vergognerebbe di ricevere da altri alcun servigio militare a cui potesse supplir da se stesso. Ordinariamente il suo pranzo non è diverso da quello de' privati; ma ogni sabato, sono invitate molte onorevoli persone alla mensa reale, che in queste occasioni viene imbandita coll'eleganza della Grecia, coll'abbondanza della Gallia, e col buon ordine ed esattezza dell'Italia794. I piatti d'oro e d'argento son meno osservabili pel loro peso, che per la lucentezza e pel curioso lavoro: vien soddisfatto il gusto, senza che vi sia bisogno di estraneo e dispendioso lusso; la grandezza ed il numero de' bicchieri si regola con una rigorosa coerenza alle leggi della temperanza; ed il rispettoso silenzio, che vi si osserva, non è interrotto che da una grave ed istruttiva conversazione. Dopo desinare, Teodorico talvolta prende un poco di riposo; e tosto che si sveglia, chiede la tavola e i dadi, incoraggisce i suoi amici a dimenticare la maestà reale, e si compiace quando essi liberamente esprimono le passioni, che s'eccitano dagli accidenti del giuoco. In quest'esercizio, che esso ama come un'immagine della guerra, alternativamente fa prova di ardore, di abilità, di pazienza e di buon umore. Ride, se perde; ed è modesto e tace, se vince. Pure, non ostante quest'apparente indifferenza, i suoi cortigiani prendono i momenti della Vittoria per chiedere qualche favore; ed io stesso, nelle mie conversazioni col Re, ho ottenuto qualche vantaggio dalle mie perdite795. Circa l'ora nona (alle tre dopo mezzo giorno) si riprende il corso degli affari, e dura di continuo fin dopo il tramontar del sole, ed allora il segno della cena reale serve per licenziare la stanca folla de' supplichevoli e de litiganti. Alla cena, ch'è molto famigliare, sono ammessi talvolta de' buffoni e de' pantomimi per divertire, non per offendere la compagnia co' ridicoli loro detti; ma sono rigorosamente bandite le cantatrici, e la musica molle ed effeminata, essendo solo graditi agli orecchi di Teodorico que' suoni marziali, ch'eccitano lo spirito ad operar valorosamente. Ei si alza da tavola; e sono immediatamente poste le guardie notturne alle porte del tesoro, del palazzo e degli appartamenti segreti».

A. 456

Il Re de' Visigoti nell'atto d'incoraggiare Avito a prender la porpora, gli offrì la sua persona, e le sue forze, come un soldato fedele della Repubblica796. I fatti di Teodorico tosto convinsero il Mondo, ch'egli non avea degenerato dal guerriero valore de' suoi antenati. Dopo lo stabilimento de' Goti nell'Aquitania, ed il passaggio de' Vandali nell'Affrica, gli Svevi, che avevano stabilito il loro regno nella Gallicia, aspiravano alla conquista della Spagna e minacciavano d'estinguere i deboli residui della potenza Romana. I Provinciali di Cartagena e di Tarragona, molestati da un'ostile invasione, rappresentarono i danni che soffrivano, e le loro apprensioni. Fu spedito il Conte Frontone in nome dell'Imperatore Avito con vantaggiose offerte di pace e d'alleanza, e Teodorico v'interpose la valevole sua mediazione, dichiarando, che qualora il Re degli Svevi, suo cognato, immediatamente non si ritirasse, egli sarebbe stato costretto a prender le armi in difesa della giustizia e di Roma. «Digli (rispose il superbo Rechiario) che io non curo la sua amicizia, nè le sue armi, e che anzi proverò in breve, se ardirà d'aspettare la mia venuta sotto le mura di Tolosa». Una tal disfida mosse Teodorico a prevenire gli audaci disegni del suo nemico: passò i Pirenei alla testa de' Visigoti; i Franchi, ed i Borgognoni militavano sotto le sue bandiere; e quantunque si professasse fedele servo d'Avito, stipulò particolarmente per se medesimo, e pei suoi successori l'assoluto possesso delle conquiste Ispaniche. Le due armate, o piuttosto le due nazioni s'incontrarono sulle rive del fiume Urbico, alla distanza di circa dodici miglia da Astorga; e parve, che la vittoria decisiva de' Goti estirpasse per un tempo il nome ed il regno degli Svevi. Dal campo di battaglia, Teodorico avanzossi verso Braga, loro Metropoli, che conservava tuttavia le splendide tracce dell'antico suo commercio e della sua dignità797. Il suo ingresso nella medesima non fu macchiato di sangue, ed i Goti rispettarono la castità delle donne, specialmente delle sacre vergini: ma la maggior parte del Clero e del Popolo cadde in ischiavitù, e fino le chiese e gli altari restaron confusi nell'universale saccheggio. L'infelice Re degli Svevi era fuggito ad uno de' porti dell'Oceano; ma l'ostinazione de' venti s'oppose alla sua fuga; fu dato in mano dell'implacabile suo rivale; e Rechiario, che non desiderava, nè aspettava mercede, ricevè con viril costanza la morte, ch'egli trovandosi nelle medesime circostanze, probabilmente avrebbe dato al nemico. Dopo tal sanguinoso sacrifizio alla politica o allo sdegno, Teodorico portò le vittoriose sue armi fino a Merida, città principale della Lusitania, senza incontrar resistenza veruna a riserva del miracoloso potere di S. Eulalia; ma fu arrestato nella carriera de' suoi successi, e richiamato dalla Spagna, prima di poter provvedere alla sicurezza delle sue conquiste. Nella ritirata, ch'ei fece verso i Pirenei, vendicò le sue perdite contro il paese pel quale passò, e nel saccheggio di Pollenzia e d'Astorga si dimostrò infedele alleato, non meno che crudele nemico. Mentre il Re de' Visigoti combatteva e vinceva in nome d'Avito, il regno d'Avito era già terminato; e tanto l'onore, che l'interesse di Teodorico restarono altamente lesi per la disgrazia d'un amico, ch'esso avea collocato sul trono dell'Impero occidentale798.

A. 456

Le vive sollecitazioni del Senato e del Popolo persuasero l'Imperatore Avito a fissare la sua residenza in Roma, e ad accettare il consolato per l'anno venturo. Il primo giorno di Gennaio, Sidonio Apollinare, genero di lui, celebrò le sue lodi in un panegirico di seicento versi; ma questa composizione, quantunque fosse premiata con una statua di bronzo799, sembra che contenga una ben piccola parte sì d'ingegno, che di verità. Il Poeta, se pure è permesso di avvilire tal sacro nome, esagera i meriti d'un Sovrano, e d'un padre; e la sua profezia d'un lungo e glorioso regno fu tosto contraddetta dal fatto. Avito, in un tempo in cui la dignità Imperiale riducevasi ad una preminenza di travagli e di pericoli, si abbandonò ai piaceri della mollezza Italiana: l'età non aveva estinto in esso le amorose inclinazioni; e viene accusato di avere insultato con indiscreta ed incivile derisione i mariti di quelle ch'egli aveva sedotte, o violate800. Ma i Romani non eran disposti nè a scusare i suoi difetti, nè a riconoscere le sue virtù. Le varie parti dell'Impero si alienavano l'una dall'altra ogni giorno più; e lo straniero della Gallia era l'oggetto dell'odio e del disprezzo popolare. Il Senato sostenne il legittimo suo diritto nell'elezione dell'Imperatore; e la sua autorità, che in principio era derivata dall'antica costituzione ricevè nuova forza dall'attual debolezza d'una decadente Monarchia. Pure anche una tal Monarchia avrebbe potuto resistere a' voti d'un inerme Senato, se la malcontentezza di questo non fosse stata sostenuta, e forse instigata dal Conte Ricimero, uno de' principali comandanti delle truppe Barbare, che formavano la difesa militare d'Italia. La madre di Ricimero era figlia di Vallia Re de' Visigoti; ma dal lato del padre discendeva dalla nazione degli Svevi801. Dalle disgrazie de' suoi nazionali potè forse inasprirsi l'orgoglio, o il patriottismo di esso; ed ubbidiva con ripugnanza ad un Imperatore, nell'inalzamento del quale egli non era stato consultato. I suoi fedeli ed importanti servigi contro il comun nemico lo renderono sempre più formidabile802; e dopo aver distrutto sulle coste della Corsica una flotta de' Vandali composta di sessanta galere, tornò Ricimero in trionfo col titolo di Liberator dell'Italia. Egli scelse questo momento per significare ad Avito, che il suo regno era giunto a fine; e il debole Imperatore, distante da' Goti suoi alleati, fu costretto dopo una breve ed inefficace contesa a dimetter la porpora. La clemenza però, o il disprezzo di Ricimero803 gli permise di passare dal trono al più desiderabile posto di Vescovo di Piacenza: ma lo sdegno del Senato non era ancor soddisfatto; e la sua inflessibil severità pronunziò contro di lui la sentenza di morte. Esso fuggì verso le alpi coll'umile speranza non già d'armare i Visigoti in sua difesa, ma d'assicurare la propria persona ed i suoi tesori nel santuario di Giuliano, uno de' santi tutelari dell'Alvergna804. La malattia o la mano del carnefice l'arrestò per viaggio; ed il suo corpo fu decentemente trasportato a Brivas o Brioude nella sua nativa Provincia, e riposò a' piedi del suo santo avvocato805. Avito non lasciò che una figlia, moglie di Sidonio Apollinare, il quale ereditò il patrimonio del suocero, dolendosi nel tempo stesso, che fossero svanite le sue pubbliche e private speranze. Il suo rammarico l'indusse ad unirsi, o almeno ad appoggiar le misure d'un partito ribelle nella Gallia; ed il Poeta era caduto in qualche mancanza, che dovè poi espiare con un altro tributo d'adulazione verso il nuovo Imperatore806.

A. 457

Il successore d'Avito presenta la gradita scoperta d'un carattere grande ed eroico, quale sorge alle volte in un secolo degenerato per sostenere l'onor della specie umana. L'Imperator Maioriano ha meritato le lodi de' suoi contemporanei, e della posterità; e si possono rappresentar queste lodi, con le forti espressioni d'un giudizioso e disinteressato Istorico, il quale racconta: «ch'egli era cortese verso i suoi sudditi; terribile verso i nemici; e che superava in ogni virtù tutti i suoi antecessori, che regnato avevano sopra i Romani807». Tale testimonianza può almeno giustificare il panegirico di Sidonio; e noi possiamo assicurarci, che sebbene l'ossequioso oratore avrebbe adulato con uguale zelo il Principe anche più indegno; pure in quest'occasione il merito straordinario del suo Eroe lo fece restar dentro i limiti della verità808. Maioriano traeva il suo nome dall'avo materno, che sotto il regno di Teodosio il Grande avea comandato le truppe della frontiera Illirica. Ei diede la sua figlia per moglie al padre di Maioriano, rispettabile ufiziale, che amministrava le rendite della Gallia con abilità e giustizia, e generosamente preferì l'amicizia d'Ezio alle seducenti offerte d'una Corte insidiosa. Il futuro Imperatore suo figlio, che fu educato nella professione delle armi, dimostrò dalla prima sua gioventù un intrepido coraggio, un prematuro sapere, ed una liberalità illimitata in una tenue fortuna. Seguitò le bandiere d'Ezio, contribuì a' suoi successi, partecipò, e talvolta ecclissò la sua gloria, ed eccitò finalmente la gelosia del Patrizio, o piuttosto della sua moglie, che lo costrinse a ritirarsi dalla milizia809. Dopo la morte d'Ezio, Maioriano fu richiamato e promosso; e l'intima sua connessione col Conte Ricimero, fu l'immediato passo, che lo fece salire sul trono dell'Impero occidentale. Nella vacanza, che successe alla deposizione d'Avito, l'ambizioso Barbaro, la cui nascita l'escludeva dall'Imperial dignità, governò l'Italia col titolo di Patrizio; diede all'amico il cospicuo posto di Generale della cavalleria e dell'infanteria; e dopo lo spazio di alcuni mesi, acconsentì all'unanime desiderio de' Romani, de' quali erasi Maioriano conciliato il favore, mediante una recente vittoria riportata contro gli Alemanni810. Fu esso investito della porpora a Ravenna; e la lettera, che indirizzò al Senato, è la più acconcia ad esprimere la sua situazione ed i suoi sentimenti: «La vostra elezione, Padri conscritti, e l'ordine dell'esercito più valoroso mi hanno creato vostro Imperatore811. La Divinità propizia diriga e favorisca i consigli ed i successi della mia amministrazione al vostro vantaggio ed alla pubblica salute. Quanto a me, io non vi aspirava, ma mi son sottomesso a regnare; nè avrei soddisfatto al dovere di Cittadino, se avessi ricusato con bassa ingratitudine, per amore del proprio comodo, di sostenere il peso di quelle fatiche, che mi erano imposte dalla Repubblica. Assistete dunque il Principe, che avete fatto; prendete parte a' doveri, che mi avete ingiunti, e possano le nostre comuni operazioni promuovere la felicità d'un Impero, che ho ricevuto dalle vostre mani. Assicuratevi, che a' nostri tempi la giustizia ripiglierà l'antico suo vigore, e la virtù diventerà non solo innocente, ma meritoria. Nessuno abbia timore delle delazioni812, eccettuati gli autori medesimi di esse, che io come suddito ho sempre condannato, e come Principe punirò severamente. La nostra propria vigilanza, e quella del Patrizio Ricimero, nostro padre, regolerà tutti gli affari militari, e provvederà alla salute del Mondo Romano, che ho salvato da' nemici stranieri e domestici813. Voi conoscete adesso quali sono le massime del mio governo: potete confidare nel fedele amore, e nelle sincere proteste d'un Principe, ch'è stato già compagno della vostra vita e de' vostri pericoli, che tuttavia si gloria del nome di Senatore, e che ansiosamente desidero, non vi dobbiate mai pentire del giudizio, che pronunziato avete in suo favore». Un Imperatore, il quale in mezzo alle rovine del Mondo Romano faceva risorgere quell'antico linguaggio della legge e della libertà, che avrebbe potuto esser proprio di Trajano, doveva trarre dal proprio suo cuore sentimenti sì generosi; mentre non poteva prenderli nè da' costumi del suo secolo, nè dall'esempio de' suoi predecessori814.

776.Sidonio Apollinare compose la lettera 13 del secondo libro per confutare il paradosso del suo amico Serrano, che conservava un singolare, quantunque generoso, entusiasmo pel defunto Imperatore. Questa lettera, con qualche indulgenza, può meritar la lode d'un'elegante composizione; e sparge molta luce sul carattere di Massimo.
777.Clientum praevia, pedissequa, circonfusa populositas è l'accompagnamento, che Sidonio medesimo (l. 1. epist. 9) assegna ad un altro Senatore di grado Consolare.
778.Districtus, ensis, cui super impia
  Cervice pendet, non Siculae dapes
  Dulcem elaborabunt saporem:
  Non avium citharaequae cantus
  Somnum reducent…
Horat. Carm. III. 1.  Sidonio termina la sua lettera coll'istoria di Damocle, in modo sì inimitabile raccontata da Cicerone (Tusculan. V. 20, 21).
779.Nonostante la testimonianza di Procopio, d'Evagrio, d'Idazio, di Marcellino ecc., l'erudito Muratori (Annal. d'Ital. Tom. IV. p. 249) dubita della verità di quest'invito, ed osserva assai giustamente, che non si può dir quanto sia facile il Popolo a sognare, e spacciar voci false. Ma il suo argomento, tratto dalla distanza del tempo e del luogo, è sommamente debole. I fichi, che nascevano vicino a Cartagine, furono portati il terzo giorno al Senato Romano.
780.… infidoque tibi Burgundio ductu
  Extorquet trepidas mactandi Principis iras.
  Sidonio, in Paneg. avit. 442. Verso notabile che fa conoscere, che Roma e Massimo furono traditi da' loro mercenari soldati Borgognoni.
781.L'apparente successo del Papa Leone può giustificarsi per mezzo di Prospero, e dell'Istoria Miscellanea; ma la improbabile idea del Baronio (an. 455. n. 13) che Genserico risparmiasse le tre chiese Apostoliche, non è sostenuta neppur dalla dubbiosa testimonianza del Libro Pontificale.
782.La profusione di Catulo, che fu il primo a dorare il tetto del Campidoglio, non fu generalmente approvata (Plin., Hist. Nat. XXXIII. 18), ma essa fu di gran lunga superata dagl'Imperatori, e l'esterna doratura del Tempio costò a Domiziano 1200 talenti (2,400,000 lire sterline). L'espressione di Claudiano, e di Rutilio (luce metalli aemula… fastigia astris, e confunduntque vagos delubra micantia visus) manifestamente provano, che non fu tolta quella splendida copertura nè da' Cristiani nè da' Goti (Vedi Donat, Roma ant. lib. II. cap. 6. p. 125). Sembra che il tetto del Campidoglio fosse decorato da statue dorate, e da cocchi tirati da quattro cavalli.
783.Il curioso lettore può consultare l'erudito ed esatto trattato d'Adriano Reland, de spoliis Templi Hierosolymitani in arcu Titiano Romae conspicuis: in 12 Trajecti ad Rhen. 1716.
784.L'unica nave di tutta la flotta, che soffrisse naufragio, fu quella, che conteneva i residui del Campidoglio. Se un superstizioso sofista Pagano avesse dovuto raccontar questo accidente, si sarebbe rallegrato, che quel carico di sacrilegio si fosse perduto nel mare.
785.Vedi Vittore Vitense, de Persec. Vandal. l. 1. c. 8. p. 11, 122. Edit. Ruinart. Deogratias governò la Chiesa di Cartagine solo tre anni. Se non fosse stato sepolto segretamente, si sarebbe diviso in molti pezzi il suo cadavere dalla folle devozione del Popolo.
786.Della morte di Massimo, e del sacco di Roma per opera de' Vandali si trova generalmente fatta menzione presso Sidonio (Paneg. avit. 441, 450), Procopio (De Bell. Vandal. l. 1. c. 4, 5. p. 188, 189 e l. 2. c. 9. p. 255), Evagrio (l. II. c. 7), Giornandes (de reb. Get. c. 45. p. 677), e nelle Croniche d'Idazio, di Prospero, di Marcellino e di Teofane, sotto il suo proprio anno.
787.Bisogna dedurre la vita privata, e l'elevazione d'Avito con qualche sospetto dal Panegirico pronunziato da Sidonio Apollinare, suo suddito e genero.
788.Ad esempio di Plinio il Giovane, Sidonio (l. II. c. 2) ha fatto la florida, prolissa, ed oscura descrizione della sua villa, che portava il nome d'Avitacum, ed era stata di proprietà d'Avito. Non se ne conosce precisamente il sito. Si consultino però le note di Savaron e di Sirmond.
789.Sidonio (l. II. Epist. 9) ha descritto la vita rurale de' nobili Galli in una visita ch'ei fece ad alcuni suoi amici, i beni de' quali erano nelle vicinanze di Nimes. Le ore della mattina si occupavano nel (Sphaeristerium) giuoco della palla, o nella libreria, che era piena di Autori Latini, sacri e profani: e questi per gli uomini, quelli per le donne. Due volte s'imbandiva la tavola, a desinare ed a cena, con cibi cotti (lesso ed arrosto), e con vino. Nel rimanente del tempo la compagnia dormiva, andava a spasso a cavallo, ed usava i bagni caldi.
790.Settanta versi del panegirico (505, 575), impiegati a scrivere l'importunità di Teodorico e della Gallia, che cercavan di vincere la modesta ripugnanza d'Avito, vengono cancellati da tre parole d'un onesto Istorico: Romanum ambisset Imperium: Gregor. Turon. l. II. c. II. in Tom. II. p. 168.
791.Isidoro Arcivescovo di Siviglia, ch'era del sangue reale de' Goti, confessa, e quasi giustifica (Hist. Goth. p. 718) il delitto, che Giornandes loro schiavo aveva bassamente dissimulato (c. 43. p. 673).
792.Questa elaborata descrizione (l. I. ep. 2. p. 2, 7) fu dettata da qualche motivo politico. Essa era destinata per pubblicarsi, ed era passata per le mani degli amici di Sidonio, prima che fosse inserita nella collezione delle sue lettere. Il primo libro fu pubblicato separatamente. Vedi Tillemont Mem. Eccl. Toni. XVI. p. 264.
793.Ho tralasciato in questo ritratto di Teodorico varie minute circostanze, ed espressioni tecniche, le quali potevano esser tollerabili o almeno intelligibili solo per quelli, che avessero frequentato, come i contemporanei di Sidonio, i mercati, dove si esponevano gli schiavi nudi alla vendita; (Dubos Hist. crit. Tom. I. p. 404).
794.Videas ibi elegantiam Graecam, abundantiam Gallicanam, celeritatem Italam, publicam pompam, privatam diligentiam, regiam disciplinam.
795.Tunc etiam ego aliquid obsecraturus feliciter vincor, et mihi tabula perit, ut causa salvetur, Sidonio d'Alvergna non era suddito di Teodorico; ma potè forse trovarsi impegnato a chieder giustizia o favore alla Corte di Tolosa.
796
  Teodorico medesimo aveva fatta una solenne e volontaria promessa di fedeltà, che si sparse tanto nella Gallia, che nella Spagna
  … Romae sum, te duce, amicus;
  Principe te, miles…
Sidonio Paneg, Avit. 511.

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797.Quaeque sinu pelagi jactat se Bracara dives. Auson. de dar. urbib. p. 245.
  Dal disegno, che aveva formato il Re degli Svevi, è chiaro che si conosceva, e si praticava la navigazione da' porti della Gallicia al Mediterraneo. Lo navi di Bracara o Braga navigavano cautamente lungo la costa, senz'arrischiarsi di estendersi nell'Atlantico.
798.Questa guerra Svevica è la parte più autentica della Cronica d'Idazio, che come Vescovo d'Iria Flavia ne fu spettatore egli stesso, e ne soffrì gli effetti. Giornandes (c. 44 p. 675, 676, 677) ha spaziato con piacere intorno ad una vittoria Gotica.
799.In uno de' portici o gallerie spettanti alla libreria di Traiano, fra le statue degli scrittori ed oratori celebri. Sidonio Apollinare lib. IX. epist. 16. pag. 284. Carm. VIII. pag 350.
800.Luxuriose agere volens a Senatoribus projectus est; questa è la succinta espressione di Gregorio di Tours (l. II. c. XI. p. 168). Un'antica Cronica (nel Tom. II. p. 649) fa menzione d'uno scherzo indecente d'Avito, che sembra più applicabile a Roma che a Treveri.
801.Sidonio (Paneg. Anthem. p. 302 etc.) loda la nascita reale di Ricimero, legittimo erede, com'egli vuole dare ad intendere, di ambedue i regni, Gotico e Svevico.
802.Vedi la Cronica d'Idazio. Giornandes (c. 44. p. 676) lo nomina con qualche sorta di verità virum egregium, et pene tunc in Italia ad exercitum singularem.
803.Parcens innocentiae Aviti: questa è la compassionevole, ma sprezzante espressione di Vittore Tunnunense (in Chron. ap. Scaliger. Euseb.). In un altro luogo l'appella vir totius simplicitatis. Questa commendazione è più umile, ma è più solida e sincera delle lodi di Sidonio.
804.Egli soffrì, come si suppone, il martirio nella persecuzione di Diocleziano (Tillemont, Mem. Eccl. Tom. 5. p. 279, 696). Gregorio di Tours, suo particolar devoto, ha consacrato alla gloria di Giuliano martire un intero libro (de gloria Martyr. l. II. in maxima Bibl. Patr. Tom. XI. p. 861, 871), nel quale racconta circa cinquanta sciocchi miracoli fatti dalle sue reliquie.
805.Gregorio di Tours (l. II. c. XI. p. 168) è breve, ma esatto nel regno del suo nazionale. Le parole d'Idazio caret imperio, caret et vita, sembra che indichino essere stata violenta la morte d'Avito; ma bisogna, che fosse segreta, mentre Evagrio (l. II. c. 7) potè supporre, che morisse di peste.
806.Dopo aver modestamente portato gli esempi de' suoi confratelli Virgilio ed Orazio, Sidonio confessa ingenuamente il suo debito, e promette di pagarlo:
  Sic mihi diverso nuper sub marte cadenti
  Jussisti placido Victor ut essem animo.
  Serviat ergo libi servati lingua Poetae,
  Atque meae vitae laus tua sit pretium.
  Sidon. Apoll., Carm. IV. p. 308. Vedi Dubos, Hist. Crit.
807.Le parole di Procopio meritano d'esser trascritte: ουτος γαρ ο Μαιοριανος ξυμπαντας του πωποτε Ρωμαιων βεβασιλευκοτας υπεραιρων αρετη πασι; e quindi ανηρ τα μεν εις τους υπηκοους μετριος γεγονως φοβεφος δε τα ες τους πολεμιους (De Bell. Vandal. l. 1. c. 7. p. 194) breve ma piena definizione della virtù reale.
808.Quel Panegirico fu pronunziato a Lione avanti la fine dell'anno 458 mentre l'Imperatore era tuttavia console. Esso contiene più artifizio che genio, e più fatica che arte. Gli ornamenti son falsi o triviali; l'espressione debole e prolissa; e Sidonio manca dell'abilità di porre il soggetto principale in un aspetto luminoso, e distinto. La vita privata di Maioriano occupa circa 200 versi, 107-305.
809.Ella ne chiese l'immediata morte, e fu appena contenta della sua disgrazia. Parrebbe, che Ezio, ugualmente che Belisario, e Marlborough, fosse governato dalla propria moglie, la fervente pietà della quale, quantunque capace d'operar miracoli (Gregor. Turon. l. II. c. 7. p. 162), pure non era incompatibile co' bassi e sanguinari disegni.
810.Gli Alemanni avevan passato le alpi Rezie, e furono disfatti ne' Campi Canini, o nella vallata di Bellinzona, per cui scorre il Ticino nella sua discesa dal monte Adula al lago Maggiore (Cluver., Ital. antiq. Tom. 1. pag. 100, 101). Questa vantata vittoria su novecento Barbari (Paneg. Maior. 373. etc.) dimostra l'estrema debolezza dell'Italia.
811.Imperatorem me factum P. C. electionis vestrae arbitrio, et fortissimi exercitus ordinatione agnoscite (Novell. Majorian. Tit. 3. p. 34. ad Calc. Cod. Theod.). Sidonio vanta l'unanime voce dell'Impero.
  … Postquam ordine vobis
  Ordo omnis regnum dederat; plebs, curia, miles,
  Et collega simul…
386  Questo è un linguaggio antico e costituzionale: possiamo qui osservare, che il Clero non era considerato ancora come un ordine distinto dello Stato.
812.Tanto dilationes, che delationes possono somministrare un senso tollerabile; ma nell'ultima voce si trova più sentimento e più spirito, e perciò le ho dato la preferenza.
813.Ab externo hoste et a domestica clade liberavimus. Per quest'ultima doveva intendere Maioriano la tirannia di Avito, di cui per conseguenza risguardava egli la morte come un atto meritorio. In quest'occasione Sidonio è timoroso ed oscuro; egli descrive i dodici Cesari, le nazioni dell'Affrica ec. per evitare il pericoloso nome d'Avito (305, 569).
814.Vedasi tutto l'editto, o la lettera di Maioriano di Senato (Novell. Tit. IV. pag. 34). Pure quest'espressione regnum nostrum porta qualche indizio di quel secolo, e non fa buona lega con la parola Respublica, che esso frequentemente ripete.
Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
27 eylül 2017
Hacim:
610 s. 1 illüstrasyon
Telif hakkı:
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