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Kitabı oku: «Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 6», sayfa 9

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A. 419

Tal trionfo si sarebbe potuto giustamente pretendere dall'alleato di Roma, se Vallia, prima di ripassare i Pirenei, avesse estirpato i semi della guerra di Spagna. I suoi vittoriosi Goti, quarantatre anni dopo aver passato il Danubio, si posero, secondo la fede de' trattati, in possesso della seconda Aquitania, Provincia marittima fra la Garonna e la Loira, sotto la civile ed Ecclesiastica giurisdizion di Bordò. Questa Metropoli, situata vantaggiosamente per il commercio dell'Oceano, era fabbricata in una forma regolare ed elegante; ed i molti suoi abitatori eran distinti fra' Galli per la ricchezza, per la cultura, e per la gentilezza delle loro maniere. L'addiacente Provincia, che si è graziosamente paragonata al giardino d'Eden, gode un terreno fruttifero ed un clima temperato; l'aspetto della campagna dimostrava le arti ed i premj dell'industria: ed i Goti, dopo i loro marziali travagli, lussuriosamente esaurivano le ricche vigne dell'Aquitania349. I confini Gotici s'estesero per l'aggiunta di alcune vicine diocesi date loro; ed i successori d'Alarico piantarono la lor residenza Reale in Tolosa, che conteneva cinque popolati quartieri o città dentro lo spazioso recinto delle sue mura. Verso il medesimo tempo, negli ultimi anni del regno d'Onorio, i Goti, i Borgognoni, ed i Franchi ottennero stabil sede, e permanente dominio nelle Province della Gallia. La liberal concessione, fatta dall'usurpatore Giovino a' Borgognoni suoi alleati, fu confermata dall'Imperadore legittimo; si cederono a que' formidabili Barbari le terre della Germania prima o superiore, ed essi appoco appoco, o per via di conquista, o di trattato, occuparono le due Province, che tuttavia ritengono, co' titoli di Ducato e di Contea, il nome nazionale di Borgogna350. I Franchi, valorosi e fedeli alleati della Repubblica Romana, furono presto tentati ad imitar gl'invasori, a' quali avevano sì valorosamente resistito. Le libere loro truppe saccheggiarono Treveri, capitale della Gallia; e la piccola colonia, che sì lungamente si conservò nel ristretto di Toxandria nel Brabante, insensibilmente si dilatò lungo le rive della Mosa e della Schelda, finattantochè l'indipendente loro potenza riempì tutta l'estensione della seconda o bassa Germania. Si possono sufficientemente giustificar questi fatti con prove istoriche: ma la fondazione della Monarchia Francese per opera di Faramondo, le conquiste, le leggi, ed anche l'esistenza di quell'Eroe, si sono giustamente attaccate dall'imparziale severità della moderna critica351.

A. 420

La rovina delle opulenti Province della Gallia può prender l'epoca dallo stabilimento di questi Barbari, l'alleanza de' quali era pericolosa ed oppressiva, mentre venivano capricciosamente spinti dall'interesse o dalla passione a violare la pubblica pace. Fu imposto un grave e parzial tributo a' Provinciali, sopravvissuti alle calamità della guerra; le più belle e fertili terre furono assegnate ai rapaci stranieri per uso delle loro famiglie, de' loro schiavi e del loro bestiame; ed i nativi tremanti abbandonarono sospirando l'eredità dei loro maggiori. Tali domestiche disgrazie però, che rare volte affliggono un Popolo soggiogato, si erano provate ed inflitte da' Romani medesimi non solo nell'insolenza delle straniere conquiste, ma anche nel furore delle discordie civili. I Triumviri proscrissero diciotto delle più floride colonie d'Italia, e distribuirono le loro terre e case a' veterani, che vendicarono la morte di Cesare, ed oppressero la libertà della patria. Due Poeti di non ugual fama in simili circostanze hanno deplorato la perdita del loro patrimonio: ma sembra, che i legionari d'Augusto sorpassassero in violenza ed ingiustizia i Barbari, che invasero la Gallia sotto il regno d'Onorio. Non fu senza la massima difficoltà, che Virgilio evitò la spada del Centurione, che aveva usurpato le sue possessioni nelle vicinanze di Mantova352, ma Paolino di Bordò ricevè una somma di danaro dal Gotico suo conquistatore, che fu da lui accettata con piacere e sorpresa; e quantunque essa fosse molto inferiore alla real valuta del suo patrimonio, quest'atto di rapina fu coperto di qualche colore di moderazione e d'equità353. Si mitigò l'odioso nome di conquistatori con la dolce ed amichevole denominazione di ospiti de' Romani; ed i Barbari della Gallia, specialmente i Goti, dichiararono più volte, ch'essi erano uniti al popolo co' vincoli dell'ospitalità, ed all'Imperatore mediante il dovere della fedeltà, e del servizio militare. Il titolo d'Onorio, e de' suoi successori, lo loro leggi, ed i civili lor Magistrati si rispettarono sempre nelle Province della Gallia, delle quali avevan ceduto il possesso a' Barbari alleati; ed i Re, ch'esercitavano una suprema e indipendente autorità su' nativi lor sudditi, erano ambiziosi del più onorevole posto di generali degli eserciti Imperiali354. Tanta era l'involontaria venerazione, che tuttavia il nome Romano imprimeva nelle menti di que' guerrieri, che avevan portato in trionfo le spoglie del Campidoglio.

A. 419

Mentre l'Italia era devastata da' Goti ed una serie di deboli tiranni opprimeva la Province di là dalle Alpi, l'Isola Britannica si separò dal corpo del Romano Impero355. Si erano appoco appoco ritirate le truppe regolari, che guardavano quella remota Provincia; e la Britannia restò abbandonata senza difesa a' pirati Sassoni, ed a' Selvaggi dell'Irlanda e della Caledonia. I Britanni, ridotti a tal estremità, non s'affidarono più al dubbioso e tardo soccorso d'una Monarchia decadente. S'armarono da loro stessi, rispinsero gl'invasori, e fecero con piacere l'importante scoperta della propria lor forza. Le Province Armoriche (nome che comprendeva i paesi marittimi della Gallia fra la Senna e la Loira)356 afflitte da simili calamità, ed eccitate dal medesimo spirito, risolvettero d'imitar l'esempio della vicina Isola. Scacciarono esse i Magistrati Romani, che obbedivano all'autorità dell'usurpator Costantino; e fu stabilito un governo libero sopra un Popolo, ch'era sì lungamente stato soggetto all'arbitraria volontà d'un Signore. L'indipendenza della Britannia e dell'Armorica fu tosto confermata da Onorio medesimo, legittimo Imperatore dell'Occidente, e le lettere, con le quali commise ai nuovi Stati la cura della propria loro salvezza, possono interpretarsi come un'assoluta e perpetua rinunzia dell'esercizio e dei diritti della Sovranità. Quest'interpretazione fu in qualche modo giustificata dall'evento. Dopo che gli usurpatori della Gallia, l'uno dopo l'altro, furon caduti, le Province marittime vennero restituite all'Impero. La lor obbedienza però fu imperfetta e precaria: la vana, incostante e tumultuosa disposizione del Popolo non s'accordava nè con la libertà, nè con la servitù357; e l'Armorica, sebbene non potesse lungamente conservare la forma di Repubblica358, fu agitata da frequenti e rovinose sommosse. La Britannia non fu mai ricuperata359. Ma siccome gl'Imperatori saviamente accordarono l'indipendenza di quella remota Provincia, tal separazione non fu amareggiata colla taccia di tirannia o di ribellione; ed ai diritti di fedeltà e di protezione successero i vicendevoli o volontari ufizi di nazionale amicizia360.

A. 409-449

Questa rivoluzione disciolse l'artificiosa fabbrica del governo civile e militare; e per il corso di quarant'anni, fino alla discesa de' Sassoni, l'indipendente paese fu governato dall'autorità del Clero, de' Nobili, e delle città Municipali361. I. Zosimo, che solo ci ha conservato la memoria di questo singolar avvenimento, con grande accuratezza osserva, che le lettere d'Onorio furono indiritte alle città della Britannia362. Sotto la protezione de' Romani si erano edificate in varie parti di quella gran Provincia novantadue considerabili città; e fra queste trentatre si distinguevano sopra le altre per l'importanza ed i maggiori privilegi che avevano363. Ciascheduna di queste città, come in tutte le altre Province dell'Impero, formava un corpo legale, ad oggetto di regolare la domestica lor polizia; e la podestà del governo municipale si distribuiva fra' Magistrati annuali, uno scelto Senato, e l'assemblea del Popolo, secondo l'original modello della costituzione Romana364. Queste piccole Repubbliche avevano il maneggio d'una pubblica entrata, l'esercizio della civile o criminale giurisdizione, e l'abitudine del consiglio e del comando pubblico, e quando si trovarono indipendenti, la gioventù della città e de' contorni di essa doveva porsi naturalmente sotto lo stendardo del magistrato. Ma il desiderio di godere i vantaggi, e di evitare i pesi della società politica, è una perpetua ed inesausta sorgente di discordia; nè si può ragionevolmente presumere, che la restaurazione della Britannica libertà fosse esente dal tumulto e dalla fazione. Gli audaci e popolari cittadini avranno frequentemente violato la superiorità della nascita e della fortuna; e gli orgogliosi Nobili, che si lagnavano di esser divenuti soggetti a' loro propri servi365, avranno talvolta desiderato il regno d'un arbitrario Monarca.

II. La giurisdizione d'ogni città sull'addiacente campagna veniva sostenuta dall'influenza, che i principali Senatori vi esercitavano con le lor possessioni; e le città più piccole, i villaggi, ed i proprietari di terre provvedevano alla propria lor sicurezza con ricorrere alla protezione di queste nascenti Repubbliche. La sfera della loro attrazione era proporzionata a' lor respettivi gradi di popolazione e di ricchezza; ma i Signori ereditari di ampie tenute, che non eran oppressi dalla vicinanza d'alcuna potente città, aspiravano al grado di Principi indipendenti, ed esercitavano arditamente i diritti della guerra e della pace. I giardini e le ville, che dimostravano qualche debole imitazione dell'eleganza italiana, si dovettero presto mutare in forti castelli per servir di rifugio in occasione di pericolo agli abitatori della vicina campagna366; il prodotto della terra fu impiegato in comprare armi e cavalli, ed in mantenere una milizia di schiavi, di contadini, e di licenziosi satelliti; ed il Capitano dovette assumere, dentro il suo dominio, l'ufizio di civil magistrato. Alcuni di questi Capitani Britanni erano forse i veri discendenti degli antichi Re; e molti di più saranno stati tentati ad adottare quell'onorevole genealogia, ed a rivendicare gli ereditari loro diritti, sospesi dall'usurpazione de' Cesari367. La situazione e le speranze loro dovetter disporli ad affettare l'abito, il linguaggio, ed i costumi de' loro antichi. Se i Principi della Britannia ricaddero nella barbarie, mentre le città procuravano di mantener le leggi ed i costumi di Roma, tutta l'isola dovè appoco appoco dividersi per la distinzione di due nazionali partiti, ancor essi dispersi in mille suddivisioni di fazioni e di guerre, prodotte dalle varie cause d'interesse e di sdegno. La pubblica forza, in vece d'essere unita contro i nemici di fuori, si consumava in oscure ed interne contese; ed il merito personale, che avrebbe potuto porre un buon Capitano alla testa de' suoi uguali, lo rendeva capace di soggiogare la libertà di qualche città vicina, e di pretendere un posto fra' tiranni368, che infestarono la Britannia dopo lo scioglimento del Governo Romano. III. La Chiesa Britannica poteva esser composta di trenta o quaranta Vescovi369 con un'adequata proporzione del Clero inferiore; e la mancanza di ricchezze (giacchè sembra che fossero poveri370) gli doveva costringere a meritar la pubblica stima con una decente ed esemplare condotta. L'interesse ugualmente che l'indole del Clero favoriva la pace e l'unione della divisa lor patria: ne' lor popolari discorsi potevan frequentemente inculcare salutari lezioni; ed i sinodi Episcopali erano i soli concilj, che potevano assumere l'autorità ed il peso d'un'assemblea nazionale. In questi concilj, dove i Principi ed i Magistrati sedevano mescolati co' Vescovi, potevan esser liberamente dibattuti gl'importanti affari dello Stato e della Chiesa, composte le differenze, formate nuove alleanze, imposti i tributi, spesso concertate, e talvolta eseguite molte savie risoluzioni; e v'è motivo di credere che in occasione d'estremo pericolo, s'eleggesse col generale assenso de' Brettoni un Pendragon, o Dittatore. Queste cure pastorali, così degne del carattere episcopale furono però interrotte dalla superstizione, e dallo zelo; ed il Clero Britannico di continuo s'affaticava a sradicare l'eresia Pelagiana, che esso abborriva come uno special disonore del proprio nativo paese371.

A. 418

Egli è alquanto notabile, o piuttosto assai naturale, che la rivolta della Britannia e dell'Armorica dovesse introdurre un'apparenza di libertà nelle obbedienti Province della Gallia. In un Editto solenne372 ripieno delle più forti proteste di quel paterno affetto, che i Principi esprimon sì spesso, e sentono sì di rado, l'Imperatore Onorio promulgò la sua intenzione di convocare un'assemblea delle sette Province: nome particolarmente attribuito all'Aquitania ed all'antica Narbonese, che avevano da gran tempo cangiato la celtica rozzezza loro colle utili ed eleganti arti dell'Italia373. Arles, che era la sede del governo e del commercio, fu destinata per luogo dell'assemblea, la quale ogni anno regolarmente durava ventotto giorni, dal quindici d'Agosto fino al tredici di Settembre. Era composta dal Prefetto del Pretorio delle Gallie, dai sette Governatori Provinciali, uno consolare, e sei Presidenti; dai Magistrati, e forse dai Vescovi di circa sessanta città; e da un competente, quantunque indeterminato numero dei più onorevoli ed opulenti possessori di terre, che potessero giustamente considerarsi come i rappresentanti del loro paese. Avevano essi la facoltà d'interpretare e di comunicar le leggi del loro Sovrano; di esporre gli aggravj e i desiderj dei loro costituenti; di moderare l'eccessivo o disugual peso delle tasse; e di deliberare sopra ogni materia d'importanza locale o nazionale, che potesse tendere a restituir la pace e la prosperità delle sette Province. Se tale instituto, che faceva prendere al Popolo un interesse nel proprio loro governo, si fosse universalmente stabilito da Traiano o dagli Antonini, si sarebbero potuti apprezzare e propagare nell'Impero di Roma i semi della virtù e della saviezza pubblica; i privilegi del suddito avrebbero assicurato il trono del Monarca; si sarebbero potuti in qualche modo impedire o corregger gli abusi d'un'amministrazione arbitraria, mediante l'interposizione di quei corpi rappresentativi; ed il paese sarebbe stato difeso contro i nemici stranieri, dalle armi dei liberi nazionali. Sotto il dolce e generoso influsso della libertà, il Romano Imperio avrebbe potuto durare invincibile ed immortale; o se l'eccessiva sua grandezza, e le vicende delle cose umane si fossero opposte a tal perpetua continuazione, i vitali membri, che lo formavano, avrebber potuto separatamente conservare la loro indipendenza e il vigore. Ma nella decadenza dell'Impero, allorchè s'era già esausto ogni principio di salute o di vita, la tarda applicazione di questo parzial rimedio non era capace di produrre alcuno importante o salutevol effetto. L'Imperatore Onorio esprime la sua sorpresa nell'aver dovuto costringere le ripugnanti Province ad accettare un privilegio, che esse avrebber dovuto ardentemente richiedere. Fu imposta una pena di tre, od anche di cinque libbre di oro a' rappresentanti assenti, i quali sembra che evitassero questo immaginario dono di costituzione libera, come l'ultimo ed il più crudele insulto dei loro oppressori.

RIFLESSIONI

D'IGNOTO AUTORE
SOPRA I CAPITOLI
XXIX, XXX E XXXI
DELLA STORIA DELLA DECADENZA
E ROVINA DELL'IMPERO ROMANO
DI
EDOARDO GIBBON
DIVISE IN TRE LETTERE
DIRETTE
AI SIGG. FOOTHEAD E KIRK
INGLESI CATTOLICI

LETTERA

Se io fossi libero nei miei giudizj, quanto lo è il Sig. Gibbon, non temerei di affermare, che egli bramasse tuttora di veder fumare l'are del Campidoglio: tante sono, e sì acerbe le sue querele contro gl'Imperadori ed i Vescovi, e quanti altri ebber parte dell'adempimento del vaticinio374 della distruzione del Paganesimo. Ma, per non dipartirmi dall'argomento proposto nell'altra mia lettera, io dirò solo, che egli a norma dei saggi Canoni di Plutarco375 sostien piuttosto il carattere di Sofista, che quello di Storico, e ad onta delle sue belle proteste partecipa non solo alla sorpresa, ma eziandio alla malizia di Libanio, e di Eunapio.

Ed infatti affermando il Sig. Gibbon, che in quasi tutte le Province del Mondo Romano un esercito di fanatici SENZA AUTORITA' invase i pacifici abitatori: che un piccol numero di tempj degl'idoli rimase difeso dalla distruttiva rabbia del fanatismo, e della rapina, diretta, o piuttosto mossa dai Regolatori spirituali della Chiesa; chi, non riconoscendo lo stile del pagano Sofista Libanio376, asterrebbesi dal giudicare, che i Vescovi e i Monaci capricciosamente, e con animo di ribelli recassero per tutto l'Impero stragi e ruine? L'asserir che talora il disfacimento dei templi si eseguì pel soverchio zelo dei Monaci, e degli Ecclesiastici377 senza l'autorità, od il comando dei Principi, sarebbe stata proposizione da Storico; ma il rendere odiosi tanti venerabili Vescovi ed illustri Solitarj con una induzion generale fondata sopra di pochi fatti particolari, è conforme soltanto alla Dialettica dei Sofisti378.

Io leggo pertanto, che non si diè mano alla demolizione dei templi di Gaza379 senza l'assenso di Arcadio, ottenuto da S. Porfirio, Vescovo di quella città: e leggo altresì, che se S. Giovanni il Grisostomo credè bene di commettere ai Monaci la distruzione dei tempj per la Fenicia, non trascelse quei pochi, i quali si abbandonavano alla intemperanza380; ma bensì alcuni tra quei moltissimi, che ardevan di zelo pel Culto divino ασκμτας ζμλω θειω πυροπολουμενους συνεξε, e ve gli diresse muniti degli Editti Cesarei νομοισ δ’αυτους οπλισας βασιλικοις381. Bramereste voi di sapere quali fossero i termini di quell'Editto? Combinandosene la pubblicazione in Damasco Metropoli della Fenicia con l'epoca dell'an. 399 corrispondente ai principj del Vescovado di S. Giovanni il Grisostomo, possiamo persuadersi che sieno i seguenti = Si qua in agris templa sunt, sine turba ac tumultu diruantur: his enim dejectis atque sublatis omnis superstitionis materia consumetur382 =. Alla qual legge il Ch. Gotofredo ci avverte, che due anni prima per una Costituzione del medesimo Arcadio fu ordinato a quel Prefetto di restaurare con i lor materiali le strade, i ponti, gli aquidotti, e le mura383.

Che se dall'Oriente, secondo la moderna Geografia, passiamo nell'Affrica, il Sig. Gibbon istesso non niega, che il Serapeo, (rappresentatosi da tutti gli Storici, e da Ruffino medesimo che può meritare la fede di testimone originale come l'infame asilo d'ogni empietà, sul qual fatto ei non pertanto poche pagine dopo sparge un orribile scetticismo, onde Plutarco direbbe384, «Perplexa, nilque sani, Ambages omnia») non niega io diceva, che fosse abbattuto per uno rescritto speciale di Teodosio, e soggiunge, che la sentenza di distruzione comprese non solo Serapide, ma gl'Idoli di Alessandria. Siccome però tante costituzioni Imperiali distinguono gl'Idoli, l'are, e gli ornati superstiziosi dai Templi385; così non la facendo da destro e malizioso Sofista, doveva scrivere schiettamente, che la sentenza fu pronunziata contro gli stessi Templi386.

Che anzi l'Imperatore non esitò di risguardar come martiri coloro, i quali nella distruzione del Serapeo rimasero uccisi, accordando ad un tempo stesso agli uccisori Pagani un generoso perdono387; giudizio, che in certo modo ha canonizzato la Chiesa388. Se tali cose fossero state omesse da un altro Scrittore, potrebbe forse esser degno di scusa. Ma chi si ferma ad investigar se Serapide fosse uno dei mostri di Egitto: chi censura come strana l'opinione dei Padri sostenuta, dal Vossio, che sotto la forma d'Api e Serapide si adorasse il Patriarca Giuseppe389: chi, per istruire il lettore delle cagioni della rovina del più grande Impero del Mondo, descrive minutamente il sito, la figura e la magnificenza di un tempio, la forma di un Idolo, il corbello, le tre code, i tre capi del mostro, che esso avea nella destra, e lo strazio che ne fu fatto, impiegandovi nove pagine: chi finalmente inserisce nel testo con i colori più tetri le cattive qualità di Teofilo, allora Vescovo di Alessandria, traendole da Tillemont, e nelle note tra le molte lodi di esso accennate da quel fedele Scrittore, rammenta insultando la sola amicizia, che Teofilo avea per Girolamo, chiaramente dimostra, che l'odio e l'ingiustizia gli aguzzan lo stile390.

Quanto poi fosse ben radicato negli animi dei Regolatori spirituali della Chiesa Affricana il rispetto per l'autorità del Sovrano in tale affare, non si può meglio comprendere, che dagli atti del V. Concilio Cartaginese, in cui così decretarono391: = Instant etiam aliae necessitates a religiosis Imperatoribus postulandae, ut reliquias idolorum per omnem Affricam jubeant penitus amputari… et templa eorum, quae in agris, vel in locis abditis constituta NULLO ORNAMENTO sunt, jubeantur omnino destrui =. L'idolatria a dispetto di tante leggi si manteneva ostinata nelle campagne dell'Affrica, si trattava di tempj di nessun ornamento, i Cristiani si traevano a forza da quei Gentili ai loro infami spettacoli, ed ai conviti, nei quali si abbruciavano incensi, e si cantavan degl'inni ad onore dei falsi numi; e tutto ciò non ostante quei Padri non operaron a capriccio, come forse avevano operato i Conti Giovio e Gaudenzio nel cuor di Cartagine poco prima, i quali non erano certamente nè Monaci, nè Vescovi392; ma consultarono riverentemente l'oracolo dei Cesari non solo per i tempj di nessun pregio, ma per gl'idoli stessi. E posto ciò, come è mai verisimile, che osassero quei Vescovi di aver per costume di attaccare i più bei monumenti d'Architettura nelle più illustri Città, e sotto gli occhi dei Magistrati, quando erano già chiusi all'Idolatria393 da Graziano, Valentiniano, e Teodosio; e ciò senza autorità, anzi contro l'espresso divieto394 di quegl'Imperatori medesimi, che consultavano? Che se ciò si pretende tuttavolta non solo verisimile, ma di fatti avvenuto; altro ci vuole che le Libaniane invettive del Sig. Gibbon a dimostrarlo.

Ma i più malmenati, pur mio avviso, da questo Storico sono i due Santi Marcello Apamiense, e Martino di Tours, sopra i quali vanno principalmente a cadere i titoli di Entusiasti, e di motori della rapina. Marciava, egli dice del primo, una copiosa truppa di soldati e di gladiatori sotto l'Episcopale stendardo alla distruzione dei magnifici tempj della diocesi di Apamea, e dovunque temevasi qualche pericolo, il campion della fede, che per essere storpiato non poteva fuggir, nè combattere, si poneva ad una conveniente distanza oltre la portata dei dardi. Qui non si parla, come vedete, di permissione ottenuta da Cesare, e non si accenna altro mezzo usato dal S. Vescovo, nella distruzione di tanti tempj magnifici se non se quello dei soldati e dei gladiatori. Teodoreto però395 fa espressa testimonianza della prima, dicendo, che egli era οπλω του νομου χρησαμενος Legis praesidio munitus: e smentisce in secondo luogo l'esagerata impostura del Critico396 soggiungendo, che quel grand'uomo = fana destruxit fiducia magis in Deum, quam hominum opera ad eam reni usus: e dopo aver raccontato in qual modo si demolisse il tempio di Giove, conchiude = Reliqua quoque delubra eodem modo destruxit divinus ille Antistes, che è quanto dire coll'orazione, e non senza una singolare assistenza del Cielo397. Nella distruzione del tempio, che era in Aulone, Marcello si prevalse, egli è vero, del mezzo accennato dal Sig. Gibbon, conforme al racconto di Sozomeno398; ma questo caso è unico e singolare, e l'asserzione di Gibbon è generale; ed inoltre Sozomeno, che ivi scrive da Storico, e non da Sofista, c'istruisce dell'ostinazione, e delle violenze degli Apamiesi, e della proibizione fatta dal Sinodo di vendicare una morte, per cui dovevansi render grazie all'Altissimo.

Nè da quella descritta da Teodoreto mi sembra molto diversa la condotta di Martino di Tours, sebbene il Sig. Gibbon voglia che si decida dal prudente Lettore se ei fosse sostenuto dal soccorso di miracolosa potenza, o dall'armi corporali; ed in tal guisa ambigendo efficit, ut suspiciones altius insideant399. Non dubita però di affermare con Clerc, che il Santo prese una volta un innocente funerale per una processione idolatrica, e fece imprudentemente un miracolo. Ora, su quali fondamenti, io dimando, si dovrà stabilire questo giudizio? Sull'autorità certamente di Sulpizio, a cui ci indirizza il Sig. Gibbon. O Sulpizio adunque è privo di senso, come egli accenna, ed in tal caso ei poteva risparmiarsi il suo dubbio, e non obbligare con tanta inciviltà un prudente lettore a consultare una leggenda di niuna fede, non disputandosi qui di eleganza di stile: o Sulpizio è uno Scrittore corretto ed originale, siccome avverte, e lo prova con i più forti argomenti, dopo Tillemont400, l'erudito Editore Veronese401 contro il Clerc; ed essendo così, mi si permetterà di asserir con Sulpizio da me consultato con qualche sorta di diligenza, che il S. Vescovo Turonese ricevette e grazie, ed onori grandissimi, e senza numero da Valentiniano I, non men che da Massimo, e dalla Imperatrice moglie di esso402, tanto era applaudita la sua condotta: che l'armi sue consuete erano le più fervorose orazioni403: che ora imperante Domino, ora divino nutu, ora virtute divina superò la resistenza dei Pagani nell'atterrare od incendiare i lor tempj404; e che = plerumque contradicentibus sibi rusticis, ne fana eorum destrueret, ita praedicatione sancta Gentilium animos mitigabat, ut luce eis veritatis ostensa IPSI sua templa subverterent405. Giudichi pure adesso il prudente Lettore, se Martino semper paupertatis suae custos406 fosse direttore e motor di rapine, e se ei fosse sostenuto dal soccorso di miracolosa potenza, o dall'armi corporali. E dov'è poi l'imprudente miracolo di quell'Apostolo delle Gallie? Quelle contrade eran piene di adoratori degl'Idoli407: era lontano Martino non meno di cinquecento passi da una turba di uomini rusticani, che portavano il cadavere di un Gentile al sepolcro: scorgeva intanto dei lini agitati dal vento, e gli era nota d'altronde la lor costumanza di recar follemente in giro con bianchi veli le false loro divinità408. Eravi adunque tutto il motivo di sospettare, che quel funerale superstizioso409 fosse una processione idolatrica. Come adunque tacciar d'imprudente un Vescovo destinato a schiantare l'errore ed il vizio, se fatto il segno di Croce comanda ad una turba sospetta di arrestare il cammino per sincerarsi di ciò che ella faccia, e sinceratosi, le permette di proseguirlo? Che se piacque all'Altissimo, rendendo immobili quei Pagani, di glorificare il suo nome e il suo Servo con uno di quei prodigi, che la sua provvidenza destinò specialmente alla conversione degl'infedeli410, chi è il Sig. Gibbon, che voglia farla da economo all'Onnipotente medesimo!

Resta ora a vedersi se veramente un piccol numero di tempj rimase protetto dalla distruttiva rabbia del fanatismo. Certo è che se rimasero in piedi per tutto l'Impero Romano i due soli accennati dal Sig. Gibbon, cioè il tempio della Venere Celeste a Cartagine, ed il Panteon a Roma, il numero per esser plurale, non può idearsi più piccolo. Io però non so di leggieri persuadermi, che fosser sì pochi, quand'Onorio ordinò411 = Aedes inclitis rebus vacuas… ne quis conetur evertere; decernimus enim, ut aedificiorum quidem sit integer status: nè che fosse insolentemente trasgredita una legge fatta in ispecial modo per l'Affrica, ove quanto fosser fanatici i Vescovi, lo avete veduto di sopra. Altrimenti dovettero rendersi ben ridicoli i due Imperatori fratelli Arcadio ed Onorio stesso, quando nove anni dopo con altra legge (e questa universale) ordinarono,412 che i tempj pubblici in civitatibus, vel oppidis, vel extra oppida si riducessero ad uso pubblico; che gli esistenti nelle possessioni Imperiali si trasferissero in utili usi, e si demolissero i soli privati: ed assai più ridicolo dovette mostrarsi Teodosio II, comandando colla sua legge dell'anno 426, che i tempj di ogni maniera, i quali tuttora contro le anzidette sanzioni rimanevano intatti413, si spogliassero di qualsivoglia superstizione, e col venerabil segno della S. nostra Religione si espiassero. Il Commentario del Gotofredo oh quanto può consolare il Sig. Gibbon, mostrandogli eseguito esattamente dai Cesari quel progetto, che viene a farci tredici buoni secoli dopo! «Certe, son le parole di quel Chiariss. Giureconsulto, hoc aevo ipso jam Paganorum templa QUAMPLURIMA in Ecclesias Christianorum conversa liquet. Sic Theodosius M. templum Heliopolitanum, quod Balanii dicebatur ingens et celeberrimum, in Christianorum Ecclesiam convertit εποιηοεα υτο εκκλησιαν χιρσιαυων parique modo et templum Damasci teste vel Auctore Chronici Alexandrini. Sic et Theodoretus serm. de Martyr. 8. in f. sub. Theodosio Juniore tempio, idolorum vel diruta, vel ea ipsa, eorumque materias in Ecclesias mutata testatur». Di un tempio della Fortuna mutato in una Chiesa Cristiana parla pure Niceforo414: e di quello di Bacco nella città di Alessandria cambiato in un'altra415 prima della distruzione del Serapeo fa espressa menzione Sozomeno. Ne brama forse di più questo Critico incontentabile? Ammiri adunque per colmo di sua consolazione dai Papi medesimi rispettati i tempj, e specialmente i più belli della sua stessa nazione: scrivendo dopo un maturo esame Gregorio M. per regola dell'Apostolo dell'Inghilterra Agostino in tal guisa. «Fana idolorum destrui in eadem gente minime debent… si fana eorum bene constructa sunt necesse est, ut a cultu daemonum in obsequium veri Dei debeant commutari».416 Io però lo dovea dire per colmo di sua confusione. Imperocchè, per quel che riguarda i magnifici templi di codesta, una volta Regina del Mondo, ove or dimorate, bastava solo per vergognarsi della sua ingiustissima iperbole, che egli si rammentasse della piacevole Lettera del Sig. Middleton417, ove fa menzione delle Chiese di Roma, che anticamente furono tempj d'Idoli: e Voi per confonderlo non dovete far altro, in ciò imitando Diogene nella confutazione di Diodoro Crono, che una semplice passeggiata pel Foro boario, e nei contorni della vostra vigna del Circo418. Qualora poi si volesse, che tali proposizioni non fossero figlie della malignità, farà di mestiero almeno il supporre, che la Memoria del S. Gibbon abbia sofferto la disgrazia medesima, a cui soggiacque in Cartagine il tempio di quella Dea, smantellato dai Vandali per testimonianza di Vittore Vitense419 dopo l'epoca fissata dal nostro Critico alle devastazioni dei barbari Monaci, ed Ecclesiastici: come tant'altri dovettero essere nei saccheggi ed incendj dei veri Barbari Unni, Goti ed Alani, la rapina de' quali non era nè diretta nè mossa dai Regolatori spirituali della Chiesa420.

349.Ausonio (de claris urbibus p. 157, 262) celebra Bordò col parziale affetto d'un nativo di questa città. Vedasi appresso Salviano (de Gubern. Dei p. 228. Paris 1608) una florida descrizione delle Province dell'Aquitania, e della Novempopulonia.
350.Orosio (L. VIII c. 32 p. 550) commenda la dolcezza e la modestia di quei Borgognoni, che trattavano i loro sudditi della Gallia come Cristiani loro fratelli. Mascou ha illustrato l'origine del loro regno nelle prime quattro annotazioni, poste al fine della sua laboriosa Istoria degli antichi Germani (vol. II. p. 555, 572 della traduzione Inglese).
351.Vedi Mascou (l. VIII. c. 43, 44, 45). Se si eccettui un breve e sospetto verso della Cronica di Prospero (nel T. I. p. 638) non si trova mai rammentato il nome di Faramondo prima del settimo secolo. L'autore dell'opera intitolata Gesta Francorum (nel T. II p. 543) suggerisce con sufficiente probabilità, che fu raccomandata a' Franchi la scelta di Faramondo, o almeno d'un Re, da Marcomiro di lui padre che era esule nella Toscana.
352.O Lycida, vivi pervenimus: advena nostri
  (Quod numquam veriti sumus) ut possessor agelis
  Diceret: Haec mea sunt; veteres migrate coloni
  Nunc victi tristes etc.
  Vedasi tutta l'Egloga nona coll'utile comentario di Servio. Furono assegnate a' Veterani quindici miglia del territorio Mantovano, con la riserva di tre miglia intorno alla città in favore degli abitanti. Ed anche in questa concessione furono ingannati da Alfeno Varo, famoso legale ed uno de' Commissari, che misurò ottocento passi d'acqua e di pantano.
353.Vedi il notevole passo dell'Eucaristicon di Paolino 575. appresso Mascou L. VIII c. 42.
354.Si fissa quell'importante verità dall'esattezza del Tillemont (Hist. des Emper. Tom. V. p. 647) e dall'ingenuità dell'abate Dubos (Hist. de l'établiss. de la Monarchie franc. dans les Gaul Tom. I. p. 259).
355.Zosimo (l. VI p. 383) in poche parole racconta la rivolta della Britannia e dell'Armorica. I nostri Antiquari, e fino lo stesso gran Cambden, sono caduti in molti gravi errori per l'imperfetta cognizione che avevano dell'istoria del Continente.
356.Sono stati fissati i confini dell'Armorica da due Geografi nazionali, Valesio e Danville, nelle loro notizie della Gallia antica. Questo nome s'era usato in un senso più esteso, e fu di poi ristretto ad uno molto più limitato.
357.Gens inter geminos notissima clauditur amnes,
  Armoricana prius veteri cognomine dicta.
  Torva, ferox, ventosa, procax, incauta, rebellis;
  Inconstans disparque sibi novitatis amore;
  Prodiga verborum, sed non et prodiga facti.
  Erricus Monac., in vit. S. Germani L. V. apud Vales. notit. Galliae. p. 43. Valesio adduce varie testimonianze per confermare questo carattere, alle quali aggiungerò quella del Prete Costantino (an. 488) che nella vita di S. Germano chiama i ribelli Armorici mobilem et indisciplinatum populum: Vedi gl'Istorici di Francia Tom. I. p. 643.
358.Ho creduto necessario di protestarmi contro questa parte del sistema dell'Abate Dubos a cui si è tanto vigorosamente opposto Montesquieu. Vedi Espr. des Loix L. XXX. c. 24.
359.Βριταννιαν μεν οι Ρωμαιοι ανασωσασθαι ουκετι εχον (I Romani poi non poterono più racquistar la Britannia). Queste son parole di Procopio (de Bell. Vandal. L. 1. c. 25. p. 181. edit. Louvre) in un passo molto importante, che troppo si è trascurato. Anche Beda (Hist. Anglic. l. 1. c. 12. p. 50. Edit. Smith.) confessa che i Romani lasciarono per sempre la Britannia al tempo d'Onorio. Pure i nostri moderni Storici ed antiquari estendono il termine del loro dominio; e vi sono alcuni che ammettono solo lo spazio di pochi mesi fra la lor partenza e l'arrivo de' Sassoni.
360.Beda non ha dimenticato l'accidentale soccorso delle legioni contro gli Scotti ed i Pitti; ed in seguito si daranno più autentiche prove, che gl'indipendenti Brettoni levarono 12,000 uomini per servizio dell'Imperatore Antemio nella Gallia.
361.Un dovere verso me stesso, e verso la verità storica mi obbliga a dichiarare, che in questo paragrafo alcune circostanze non son fondate che sulla congettura e l'analogia. L'inflessibilità della nostra lingua mi ha talvolta forzato a deviare dal modo condizionale all'indicativo.
362.Προς τας εν Βρεταννια πολεις (alle città della Britannia). Zosim. l. VI. p. 383.
363.Due città della Britannia erano Municipia, nove Coloniae, dieci Latii Jure donatae, dodici stipendiariae di classe superiore. Queste particolarità sono prese da Riccardo di Cirencester (de situ Britanniae p. 36). E quantunque non possa parer probabile, ch'egli traesse tali notizie dal Manoscritto di un Generale Romano, dimostra però una genuina cognizione dell'antichità, molto straordinaria per un Monaco del secolo decimoquarto.
364.Vedi Maffei, Verona illustrata P. I. L. V. pagina 83, 106.
365
  Leges restituit, libertatemque reducit,
  Et servos famulis non sinit esse suis.
Itiner. Rutil. l. 1. p. 215.

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366.Un'iscrizione (ap. Sirmond. not. ad Sidon. Apoll. p. 59) descrive un castello cum muris et portis tuitioni omnium, eretto da Dardano nella sua tenuta vicina a Sisteron, nella seconda Narbonese, e da lui chiamato Teopoli.
367.Sarebbe stato facile in vero lo stabilire la lor potenza, se si potesse ammettere l'impraticabil progetto d'un libero e dotto antiquario, il quale suppone che i Monarchi Britanni di varie tribù continuassero a regnare, quantunque con subordinata giurisdizione, dal tempo di Claudio fino a quello d'Onorio; vedi Whitaker, Istor. di Manchester vol. 1. p. 247, 257.
368.Αλλ’ουσα υπο τυραννοις απ’αυτου εμενε (Ma da esso fu posta sotto i Tiranni). Procop., de Bell. Vandal. l. 1. c. 2. p. 181. Britannia fertilis provincia tyrannorum; tale fu l'espression di Girolamo nell'anno 415. (Tom. II. p. 253, ad Ctesiphorit.)
369.Vedi Bingham., Eccles. antiq. vol. 1. lib. X. c. 6. pag. 594.
370.Si narra di tre Vescovi Britanni, che si trovarono al Concilio di Rimini l'anno 359, tam pauperes fuisse ut nihil haberent. Sulpic. Sever., Hist. Sacr. l. 11. pag. 410. Alcuni loro confratelli però erano in migliore stato.
371.Si consulti l'Usserio, de Antiq. Eccl. Britt. cap. 8, 12.
372.Vedi il testo corretto di questo editto come fu pubblicato dal Sirmondo (not. ad Sidon. Apollinar. p. 47). Incmaro di Reims, che assegna un luogo a' Vescovi, ne aveva probabilmente veduto (nol nono secolo) una copia più perfetta. Dubos, Hist. crit. de la Monarchie Franc. Tom. 1. p. 241, 255.
373.Dalla Notitia è chiaro, che le sette Province erano la Viennense, le Alpi marittime, la prima e seconda Narbonese, la Novempopulonia, e la prima e seconda Aquitania. In luogo della prima Aquitania, l'Abate Dubos, sull'autorità d'Incmaro, brama d'introdurvi la prima Lugdunense o Lionese.
374.Vedi M. Huet, Demonstr. Evang. Prop. 9. c. 160.
375.De Malignit. Herodot. p. 845. Xyland. Interp. Basil. 1570. Sophistis quidem concessum est… sententiam pejorem sumere defendendam. Non enim fidem validam faciunt de rebus, et plerumque non negant gaudere se absurdis, et incredibilibus probabilitatem conciliando: qui vero historiam scribit, debet quae VERA sit scribere: de incertis MELIORA videntur RECTIUS quam PEJORA prodi.
376.Orat. pro Templis.
377.Vedi il Gotofr., Comment. ad LL. 8 et ult. Cod. Theod. Tit. de Pagan. Quod NON SEMPER Principum auctoritate jussuve factum, verum etiam Ecclesiasticorum, Monacorumque zelo (altrove) impetu.
378.Ars. cogit. part. 3. C. 20.
379.Bolland. 26. Febrar.
380.Gli antichi Monaci si sostentavano col lavoro delle proprie mani. Gli spirituali loro esercizi erano: I. una penitenza perpetua Vita plangentis. S. Hyeron. ad Ripar. Ep. 53: I rigorosi e lunghi digiuni, onde rendevansi più bisognosi dei fomenti d'Ippocrate, che di avvertimenti Id. Ep. 4. ad Rustic: III. Frequentissime sacre funzioni. L'autore da cui traggo tali notizie è Bingham vol. 3. L. 7. C. 3. dal §. 10. al §. 17, Orig. Eccl.
381.Georg, in Vit. Jo. Chrisost. Theodor. H. E. Lib. 5. Cap. 29, Ed. Vales.
382.L. 16. C. Theod. Tit., de Pagan. Fu però tale la resistenza dei Pagani, che molti Monaci restaron feriti, ed alcuni uccisi. S. Gio. Gris. Ep. 123 e 126. To. 3. Ediz. del Montfaucon.
383.Leg. 36. de. oper. publ. Cod. Th. T. 5.
384.De Malign. Herod.
385.Vedi il Tit. cit. de Pag. Saerif. et Templ. del Cod. Theod.
386.Jusserat Imperator ut templa Gentilium Alexandriae destruerentur. Socr. H. E. L. 7. C. 16. Templa (Imperator) solo aequari jussit. Soz. H. E. L. 7. C. 15.
387.Soz. II. E. L. 7. C. 15.
388.Bolland. T. 2. Mart. 17. Hermant. Vie de S. Ambroise pag. 381.
389.Sunt qui Apim et Serapidem unum nomen putarent, et per hunc Josephum intellexerint, uti Bochart cum Beyer ostendunt: nec veritati contraria videtur haec opinio, ut pluribus ostendit… Cl. Jo. Lehmann, quam iterum excudi curavit celeberr. Crenius… Interim favere huic sententia ipsa quoque Apis appellatio videtur. Vedi Ugolin. T. 3. p. 743. N. 14 Monsig. Huet però vi vede al solito il suo Mosè Demonst. Evang. Prop. 4 c. 4.
390.At qui Amasidis crepitum, adventum asinorum furis, utrum incrementum… commemorasset, certo videri potest illa non incuria, aut contemtu praeterivisse pulchre facta, atque dieta, sed quod quibusdam male vellet, essetque in co injurius. Plutarc, loc. cit. p. 852. lin. 1.
391.Can. 3, 4, 5, 6. Vedi Gotofr. T. 6. C. Theod. p, 328.
392.S. Agost., De Civ. D. L. 18. C. ult.
393.LL. 7. et 11. Cod. Theod. Tit. cit.
394.LL. 15, 18, 19. C. Theod. T. cit.
395.II. Eccl. Lib. 5. C. 21.
396.Teodor. ivi = ipse vero frontem silo affixam habens Clementem Dominum orabat etc.
397.H. E. L. 5. C. 16.
398.Sulp. Sev., Dial. 2. C. 6.
399.Plutarc., loc. cit.
400.T. X. M. E. Vie de S. Martin Art. 16.
401.V. Hyeron, de Prato, Praef. ad Sever. Sulp. Edit. Veron. T. 1.
402.Sulp. Sev., Dial. 2. p. 108, 109, ec. T. 1.
403.Sulp. Sev., de Vit. B. Mart. pag. 19. Injuria repulsus … secessit ad proxima loca, ibique per triduum cilicio tectus ac cinere jejunans semper, atque orans, ut virtus illud (templum) divina dirueret. pag. 21. = Quae erant illius familiaria… arma, solo prostratus oravit = pag. 23. Ubi vero auxilium crucis et orationis arma reperisset = Ad Euseb. Ep. p. 43. Recurrit ad nota praesidia… orationem diebus noctibusque perpetuat Dialog. 2. p. 11.
404.Sulp. Sev. pag. 18, 20, 21. De V. S. Mart.
405.Sulp., De V. B. Martini, p. 22.
406.Sulp., Dial. 2. p. 109. = e Dial. 3. p. 143. Nos Ecclesia et pascat et vestiat, dummodo nihil nostris usibus quaesisse videamur = così pensava ed operava quel Santo. Vedi p. 8. de V. B. Mart.
407.Et vece ante Martinum pauci admodum, imo fere nulli in illis regionibus Christi nomen receperant = Sulp. de V. B. M. p. 20.
408.Sulp., V. B. Mart. pag. 18, 19.
409.Questo è l'epiteto datogli da Sulpizio.
410.I. Ad Corinth. 14, 22. Signa autem infidelibus, non fidelibus. S. Greg I. Lib. 1 Hom. IV. in Evang. § 3 Lib. 2 Hom 29 §. 4. Moral. L. 27. C. 37. §. 3. Tom. I. Ed. Paris.
411.Leg. 18. T. de Pagan. etc. C. Theod. T. 6. Il Gotof. attribuisce il motivo di questo legge all'attentato dei Conti Giovio e Gaudenzio. Vedi il Com. p. 320.
412.Leg. 19, ibid.
413.Leg. 25, ivi Vedi il Com. del Gotofr.
414.Nicef. Call. L. 14. C. 44: Teodosius in sacrosantum fanum τυχαιον convertit.
415.H. E. lib. 7. C. 15.
416.Reg. Epistol. L. XI. Ind. IV. Ep. 76, T. 2. Ed. Paris. S. Agostino era stato del medesimo sentimento. Epist. 47, ad Publicolam.
417.Ad altri è sembrata piena di scurrilità e di epiteti infami. Valsecchi dei Fondam. della Relig. L. 3. C. 6. Trahit sua quemque voluptas.
418.Vedi Marangoni, delle cose idolatriche ec. Cap. 54. e seg. Jo. Ciampini, de Sacr. aedific.
419.De Persec. Vandal. Lib. 3.
420.Eamque (Romam) depopulati maximam partem admirandorum illic operum incendio consumserunt. Socr. lib. 7. C. 10. Vedi per tutti Tillem. p. 433. etc. ep. 592. T. 5. Hist. des Emper.
Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
27 eylül 2017
Hacim:
610 s. 1 illüstrasyon
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