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Kitabı oku: «Jolanda, la figlia del Corsaro Nero», sayfa 16

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Capitolo ventottesimo. La corvetta spagnola

Mentre il conte di Medina, con un colpo fortunato s’impadroniva della figlia del Corsaro Nero, Morgan alla testa dei suoi fidi corsari, si recava in cerca della nave spagnola che era approdata sulle coste venezuelane e che gli era necessaria per fare ritorno alla Tortue. Non aveva fatto ancora il suo piano d’attacco, tuttavia era più che certo che, prima che il sole cadesse, in un modo o nell’altro, avrebbe avuto in suo potere il legno spagnolo.

Pierre le Picard si era messo a capo della comitiva, avendo rilevato approssimativamente il luogo dove la nave aveva gettate le àncore. Con una marcia rapidissima, tre ore dopo giungevano sulla riva del mare, all’estremità d’una insenatura assai profonda, dove il legno, sia per fare provvista di acqua o per riparare delle avarie, aveva cercato un momentaneo rifugio.

I corsari si fermarono sotto una folta boscaglia, lasciando che solo i due capi si spingessero fino sulla spiaggia, per timore di venire scoperti e di mandare a male l’impresa.

La nave che era penetrata nel golfo, era una magnifica corvetta armata da guerra.

«Che cosa ne dici, Morgan?» chiese Pierre le Picard, che si era coricato presso al filibustiere.

«La nave è grossa e probabilmente avrà un bel numero di artiglierie e un equipaggio numeroso» rispose Morgan. «Eppure non dispero di sorprenderla col favore delle tenebre.

«Quel vascello ci è assolutamente necessario per ritornare alla Tortue. Chi oserebbe, in questa stagione, che è quella dei tremendi razzi di mare, tentare la traversata su dei canotti indiani, colla signora di Ventimiglia?»

«Hai ragione, Morgan. Ah!… Ecco una combinazione fortunata».

«Che cos’hai, Pierre?»

«Non vedi gli spagnoli calare in acqua delle scialuppe cariche di barili?»

«Ebbene?»

«Scendono a terra».

«Pierre» disse Morgan, alzandosi «credo di aver un bel colpo da tentare».

«Quale?…»

«Lascia pensare a me. Raggiungiamo i nostri uomini senza perdere tempo. Ti prometto che prima di sera la corvetta sarà nostra. Andiamo ad imboscarci».

«Che cosa vuoi tentare?»

«Lo vedrai fra poco».

L’equipaggio aveva calato in acqua due grosse scialuppe ed una baleniera e vi avevano preso posto trenta o trentacinque uomini, tutti armati di archibugi e di scuri.

I due filibustieri, che si tenevano coricati dietro una macchia di passiflore, attesero che le scialuppe si dirigessero verso la costa, poi si alzarono e raggiunsero frettolosamente i loro compagni.

«Preparate le armi» disse loro Morgan. «Abbiamo da sorprendere le scialuppe che stanno per toccare la costa». Poi, volgendosi verso Pierre, gli parlò sottovoce.

«Farò come vorrai» disse il luogotenente, dopo d’averlo ascoltato senza interromperlo. «La tua mente è sempre ricca d’espedienti. Mi crederanno poi?»

«Tu parli lo spagnolo benissimo e non dubiteranno di nulla».

«Dove mi aspetterete?»

«Qui, in mezzo a questi alberi. È necessario che gli uomini rimasti a bordo non si accorgano dell’imboscata o leveranno le àncore e prenderanno il largo».

«Bada che i nostri uomini non fucilino anche me».

«Al primo colpo d’arma da fuoco gettati a terra».

Pierre le Picard si levò la giacca ed i calzoni, non conservando che le mutande che strappò qua e là, gettò via anche gli stivali e la spada, raccolse un grosso ramo e s’allontanò, dicendo:

«Se mi uccideranno, mi vendicherete».

«Saremo pronti ad impedire loro d’impiccarti» rispose Morgan.

Mentre i filibustieri si gettavano a terra, nascondendosi dietro le macchie, Pierre le Picard si era messo risolutamente in cammino, avanzandosi attraverso la foresta che era foltissima.

Si orientava in modo da poter giungere sulla spiaggia dove gli spagnoli dovevano aver preso terra.

Camminava da dieci minuti, quando udì dei colpi sonori echeggiare a breve distanza. Pareva che degli uomini abbattessero delle piante.

Pierre alzò gli occhi e vide che si trovava in mezzo di una vasta macchia di palmizi caraibici.

«Cercano i cavoli palmisti» disse. «Che siano a corto di viveri o che abbiano degli uomini colpiti dallo scorbuto a bordo? Animo, e badiamo di non raccontare delle sciocchezze».

S’appoggiò al bastone, dandosi l’aria d’un uomo sfinito da una lunga marcia e si avanzò attraverso gli alberi, dirigendosi là dove risuonavano i colpi di scure.

Aveva attraversato un folto gruppo di simaruba, quando udì una voce esclamare:

«Toh!… Un selvaggio!…»

Quattro marinai stavano intorno ad un cavolo palmisto, occupati ad abbatterlo. Vedendo comparire Pierre, avevano deposte le scuri e raccolti precipitosamente i loro archibugi.

«Non fate fuoco, ragazzi» disse il filibustiere, in lingua spagnola. «Io non sono un selvaggio».

«È vero, è un uomo bianco» disse uno dei quattro, abbassando l’archibugio. «Da dove venite, voi?»

«Sono un povero naufrago» disse Pierre, avanzandosi, «e vostro compatriota».

I quattro marinai, pienamente rassicurati, lo avevano circondato, guardandolo con curiosità mista a compassione.

«Povero uomo» disse il più vecchio dei quattro. «È molto tempo che errate in questa foresta?»

«Tre settimane» rispose Pierre.

«Si è sfasciata la vostra nave?»

«Completamente e senza poter salvare nulla».

«Come si chiamava?»

«La Pinta».

«Ed i vostri compagni si sono tutti annegati?»

«La maggior parte, sì».

«Non siete dunque solo?»

«Ci siamo salvati in sette».

«Dove sono gli altri?»

«In una capanna che abbiamo costruita poco lungi da qui e sono tutti così sfiniti dalla fame che non possono nemmeno camminare».

«Eppure abbondano i cavoli palmisti qui» osservò un altro.

«Non abbiamo nemmeno una scure per abbatterli».

«Non vi lascieremo morire d’inedia» rispose il primo. «Aspettate che vada ad avvertire l’ufficiale e voi, camerati, date a questo povero uomo un po’ di biscotto ed un sorso d’aguardiente, se ne avete ancora nelle fiaschette».

Pierre le Picard, che recitava a meraviglia la parte insegnatagli da Morgan, aveva appena stritolati due biscotti e bevuto un po’ di acquavite, quando vide tornare il marinaio accompagnato da un luogotenente e da una trentina di marinai.

«Dove sono i vostri compagni?» chiese l’ufficiale al filibustiere, che si era subito alzato. «Il mio marinaio Pedro mi ha raccontato che voi non siete solo».

«È vero, signore» rispose Pierre le Picard «e non sono molto lontani».

«Avete incontrati degl’indiani in questa foresta?»

«Non ne abbiamo veduto, signore».

«La vostra nave si chiamava?»

«La Pinta».

«Ed apparteneva?»

«Al dipartimento marittimo di Uraba. Nel Darien».

«Sì, signore».

«È vivo il capitano?»

«È morto nel naufragio».

«Conducetemi dai vostri compagni. La nostra nave è abbastanza grossa per poter imbarcare otto o dieci uomini».

«Grazie, signore» rispose Pierre le Picard, con sottile ironia. «Voi siete troppo buono. Se non vi rincresce, seguitemi».

«Avanti» disse l’ufficiale volgendosi verso i suoi uomini.

Il drappello si dispose su una doppia fila e seguì il filibustiere che si era accompagnato al luogotenente.

Attraversarono un lembo della foresta, procedendo con una certa precauzione, poi ad un tratto Pierre le Picard finse d’inciampare in una liana, lasciandosi cadere come corpo morto.

Quasi nel medesimo istante si udì la voce di Morgan gridare:

«Fuoco!…»

Una terribile scarica era partita in mezzo ai cespugli, gettando a terra una decina di spagnoli, poi i filibustieri si erano slanciati fuori colle sciabole d’abbordaggio in mano, gridando:

«Arrendetevi!…»

Lo stupore dei sopravvissuti era stato tale, che non avevano nemmeno pensato di reagire. D’altronde, il numero dei nemici era così superiore da togliere loro ogni desiderio di tentare la resistenza.

Solo il luogotenente estrasse rapidamente la spada e si avanzò contro Morgan che era dinanzi a tutti, gridando:

«Chi siete voi che assassinate degli uomini bianchi al pari di voi?»

«Siamo dei nemici ben più formidabili degl’indiani» rispose il filibustiere, che aveva pure messo mano alla spada. Volete sapere chi siamo? Filibustieri della Tortue. Gettate le armi ed arrendetevi».

Udendo quelle parole, il luogotenente fece un gesto di stupore.

«Voi, filibustieri della Tortue!…» esclamò

«Vi arrendete sì o no? Noi non abbiamo tempo da perdere».

L’ufficiale esitava, poi vedendo che i suoi uomini lasciavano cadere gli archibugi, non sentendosi il coraggio di dare battaglia ad una così grossa partita di nemici tanto temuti, ruppe la spada, gettando i due pezzi in un cespuglio.

«Cedo alla forza» disse, facendo un gesto di rabbia. «Fucilateci, se lo credete».

«Sono abituato a rispettare il valore sfortunato» rispose Morgan. «Voi avrete salva la vita, ve ne dò la mia parola».

Quindi, volgendosi verso i suoi uomini che tenevano i fucili imbracciati, pronti a far fuoco, disse:

«Legate questi Signori».

Mentre eseguivano i suoi ordini, mosse incontro a Pierre le Picard che rideva a crepapelle, sempre sdraiato fra le folte erbe.

«Grazie, Pierre» gli disse. «Tu mi dai in mano quella nave».

«Non l’abbiamo ancora presa» rispose il luogotenente, sempre ridendo.

«Non dubito dell’esito finale» rispose Morgan. «Mancano due sole ore al tramonto e questa sera non si alzerà la luna.

«Una sorpresa la si può tentare».

«E non s’inquieteranno, quelli rimasti a bordo, non vedendo ritornare i loro compagni?»

Morgan, invece di rispondere, chiamò sette od otto corsari, poi disse a Pierre le Picard:

«Conducimi là dove sono le scialuppe».

«Non siamo lontani più di un chilometro».

«In marcia, dunque».

Il drappello partì di buon passo, mentre i filibustieri rimasti legavano agli alberi, con delle robuste liane, i prigionieri spagnoli.

Dieci minuti dopo, Morgan, Pierre ed i loro uomini giungevano presso la riva del mare. Si nascosero in mezzo alle piante, poi il capitano ordinò di fare una scarica in aria.

Un istante dopo i cannoni della corvetta tuonavano con un rimbombo assordante.

«Credono di spaventare dei selvaggi» disse Morgan. «Certo suppongono che i loro camerati siano stati sorpresi da qualche banda di caraibi.

«Inoltratevi nel bosco e continuate a sparare, allontanandovi dalla spiaggia più che potete; e noi, Pierre, sorvegliamo la nave».

I corsari partirono di corsa, sparando di tratto in tratto e dirigendosi verso il centro della boscaglia per far credere che inseguissero i selvaggi.

«Vedi che non si muovono?» disse Morgan, dopo alcuni minuti. «Udendo i colpi d’archibugio sempre meno distinti, il comandante non dubiterà che i suoi uomini siano vincitori».

«Sei un demonio, tu» disse Pierre le Picard.

«Cerco d’ingannarli» rispose Morgan, «e vedrai che noi ci riusciremo».

Gli uomini rimasti a bordo non si erano mossi. D’altronde mancavano di scialuppe, non vedendosi sospesa alla grue che una piccola jola, appena capace di contenere tre o quattro persone.

Quando il sole scomparve, fecero tuonare nuovamente i cannoni del cassero per chiamare gli uomini rimasti a terra, poi accesero i due grandi fanali di poppa.

«È il momento d’agire» disse Morgan. «Va’ a radunare i nostri corsari e conducili qui senza ritardo».

«Devo lasciare delle sentinelle a guardia dei prigionieri?»

«Basteranno quattro» rispose Morgan. «Affrettati, Pierre, sono impaziente d’impadronirmi della nave».

Il luogotenente partì di corsa. Un quarto d’ora dopo i corsari si trovavano radunati sulla spiaggia, pronti ad imbarcarsi.

«Pierre» disse Morgan «tu che parli lo spagnolo meglio di qualunque altro dei nostri, dà la voce a quelli di bordo».

Il luogotenente gridò con quanto fiato aveva:

«Ohè, camerati!…»

Dalla corretta si udì un uomo rispondere tosto:

«Siete voi?»

«Sì».

«Tutti?»

«Tutti».

«Imbarca e tornate a bordo. Ed i selvaggi?»

«Sono in fuga».

«Bene: a bordo».

«Salite nelle scialuppe e non parlate» comandò Morgan. «Sono carichi i vostri archibugi?»

«Sì, capitano» risposero i corsari.

«Appena saremo sulla tolda del legno date dentro senza misericordia».

I cinquantasei uomini s’imbarcarono in silenzio nelle scialuppe.

Morgan aveva preso posto nella più grossa, che era montata da diciotto corsari; Pierre nella baleniera; gli altri si erano stipati nella terza.

Staccatesi dalla spiaggia, le tre imbarcazioni si diressero velocemente verso la corvetta, in modo d’abbordarla da due lati.

La scialuppa di Morgan fu la prima a giungere sotto la scala di babordo che era rimasta abbassata.

Il filibustiere impugnò le armi e salì in fretta, seguíto dai suoi diciotto uomini.

Appena giunto in coperta, vedendo avvicinarsi alcuni marinai, scaricò contro di essi i due colpi della sua pistola, che furono subito seguìti da una scarica d’archibugi e dalle grida:

«Arrendetevi ai filibustieri o siete morti!…»

Gli uomini di guardia, spaventati, presi da un improvviso panico e vedendo cadere parecchi di loro, si erano dati alla fuga verso la camera di prora, precipitandosi all’impazzata giù per la scala.

«Occupate il quadro e fate fuoco su chi tenta di uscire!…» gridò Morgan.

Le altre due scialuppe avevano intanto abbordato il legno a tribordo e gli equipaggi erano saliti frettolosamente, mandando clamori feroci.

Pierre le Picard fece subito occupare il cassero ed il castello, dove si trovavano alcuni pezzi di cannone e collocare un forte drappello dinanzi alla camera comune di prora.

Nelle batterie del frapponte si udivano i marinai spagnoli a correre e urlare: «Tradimento!… Tradimento!....,

Morgan fece accendere quante lanterne poté trovare, poi ordinò di aprire il boccaporto.

Gli spagnoli, compresi gli ufficiali, avevano disertate le cabine del quadro e la camera comune, rifugiandosi nel frapponte, dove forse pensavano di opporre qualche resistenza.

Morgan si curvò sull’orlo del boccaporto, gridando: «Arrendetevi: la nave ormai è in nostra mano».

Due o tre colpi di fucile, sparati a casaccio, furono la risposta.

«Vi prometto salva la vita» ripeté Morgan.

«Fuoco su quei ladri di mare!…» comandò una voce, che doveva essere quella del capitano.

Morgan si ritirò prontamente, mentre il frapponte s’illuminava di lampi. Gli spagnoli, invece di arrendersi, rispondevano vigorosamente.

«Vi snideremo egualmente» disse Morgan. «Pierre…»

«Eccomi» rispose il filibustiere, accorrendo.

«Guarda se nella camera comune o nel quadro vi è qualche cassa di granate».

«Vuoi bombardare gli spagnoli?»

«Non ho alcun desiderio di salpare le àncore con tante persone a bordo che potrebbero giuocarmi qualche brutto tiro».

«Saranno poi un centinaio?»

«Andiamo a vedere» disse Pierre. «Anche gli spagnoli conoscono le granate e ne fanno uso».

Pochi minuti doop Pierre tornò, seguíto da otto marinai che portavano con precauzione due casse pesantissime.

«Ve ne sono qui tante bombe, da far saltare la nave» disse, facendole deporre dinanzi a Morgan.

Mentre i corsari svitavano le casse colle dovute precauzioni, gli spagnoli non avevano cessato di fare fuoco verso il boccaporto, massacrando le manovre dell’albero maestro e facendo cadere un gran numero di cordami. Erano però polvere e palle sprecate, poiché i corsari si guardavano bene di esporsi a quelle scariche che si succedevano con una frequenza furiosa.

Ad ogni intimazione di arrendersi quei valorosi, ignari del grave pericolo che li minacciava, rispondevano con colpi di archibugio e con insolenze, promettendo che avrebbero fatto saltare la Santa Barbara piuttosto di lasciarsi prendere.

Morgan, sicuro di tenerli, non si preoccupava però gran che. Prese una granata, accese tranquillamente la miccia e la scagliò nel frapponte. Lo scoppio fu seguíto da urla terribili e da passi precipitosi.

Gli spagnoli, che non s’aspettavano di certo quella sorpresa, si erano ritirati verso le estremità delle corsìe per mettersi al coperto dai frammenti delle granate e continuare a tenere testa.

I filibustieri, furiosi per quella inaspettata resistenza, avevano cominciato a lanciare i proiettili in tutte le direzioni, per impedire ai loro avversari di organizzare la difesa.

Già una ventina di granate erano cadute nel frapponte, quando, fra i lampi dei colpi d’archibugio, si vide un uomo avanzarsi sotto il boccaporto e lo si udì gridare:

«Basta!… Ci arrendiamo, se ci promettete salva la vita».

«Sia!…» rispose Morgan. «Salite a due a due dal quadro di poppa».

«Giurate che ci risparmierete».

«Morgan non ha che una parola».

Un grido di stupore e di spavento era echeggiato nel frapponte della corvetta: «Morgan!… Il famoso filibustiere!…»

Poi la voce che poco prima aveva comandato il fuoco, disse:

«Siete voi veramente Morgan, il vincitore di Portobello?»

«Sì, io sono Morgan il filibustiere» rispose il corsaro.

«Allora mi arrendo».

«Uscite dal quadro a due a due, o noi continueremo a scagliare bombe finché sarete tutti distrutti».

Nel frapponte si udirono dei bisbigli, poi dei passi affrettati, quindi un fragore sordo come di fucili che vengono lasciati cadere al suolo.

Morgan aveva fatto radunare una ventina dei suoi uomini dinanzi alla scala del quadro, cogli archibugi spianati.

Poco dopo un uomo comparve tenendo in mano una spada.

«Dov’è il signor Morgan?» chiese.

«Eccomi» rispose il filibustiere avanzandosi e puntando sullo spagnolo la pistola.

«Ecco la mia spada. Io sono il comandante della corvetta».

«Conservate la vostra arma» disse il filibustiere. «Voi siete un coraggioso».

«Grazie, signore» rispose lo spagnolo, ringuainandola. «Ditemi però che cosa farete di me e dei miei uomini».

«Vi sbarcheremo senza fare né a voi, né a loro alcun male. A me basta avere la nave che ormai mi appartiene per diritto di conquista».

«Voi avete ragione, signore, dal momento che noi non siamo stati capaci di difenderla. Non sperate tuttavia di sbarcarmi vivo».

Nel medesimo istante, con un gesto fulmineo, il valoroso comandante si puntava una pistola alla fronte, bruciandosi le cervella e cadendo esanime ai piedi di Morgan.

«Ecco un uomo che poteva rivaleggiare col nostro coraggio» disse il filibustiere, profondamente impressionato. «Presentate le armi al valore sfortunato».

Mentre i corsari, non meno commossi, obbedivano, altri ufficiali e marinai si presentavano all’uscita del quadro.

Morgan li fece condurre nelle scialuppe, sotto buona scorta, ordinando di tradurli a terra.

Dieci minuti dopo sulla corvetta non rimaneva più degli spagnoli che il cadavere del comandante, coperto dal grande stendardo di Spagna, ammainato appositamente dal corno dell’artimone.

Capitolo ventinovesimo. Un’impresa pericolosa

Dopo tante disgraziate vicende, la fortuna aveva finalmente arriso a quel pugno di valorosi.

La nave, che con tanta astuzia ed audacia avevano conquistata e senza subire perdita alcuna, non valeva certo la fregata che li aveva affrontati dinanzi al forte della Barra di Maracaybo, era però infinitamente migliore di quella montata dal conte di Medina che avevano abbordata col rottame.

Si trattava d’un solido veliero, alto di ponte, armato di dodici pezzi di grosso calibro e quasi nuovo. Doveva aver fatto parte di qualche squadra incaricata di scortare qualche convoglio di navi mercantili od i famosi galeoni, recanti in Europa l’oro estratto dalle ricche miniere del Perù e del Messico.

Probabilmente qualche colpo di vento lo aveva separato dal grosso, costringendolo a cercar rifugio sulle coste venezuelane.

Morgan e Pierre le Picard, accertatisi che la corvetta, contrariamente a quanto avevano supposto, era anche sufficientemente fornita di viveri, deliberarono di richiamare senza ritardo gli uomini che avevano lasciati a terra a guardia dei primi prigionieri e di muovere verso il villaggio dei caraibi per imbarcare la signora di Ventimiglia.

«Tu» che hai percorso quel canale comunicante colla laguna, credi che troveremo acqua sufficiente per inoltrarci fino all’aldè di Kumara?»

«Sì, il canale è profondo quanto basta» aveva risposto Pierre.

«Fa dunque ritirare i nostri uomini e portare ai prigionieri alcuni moschetti e dei viveri, onde non muoiano di fame in mezzo alla foresta».

Pierre le Picard stava per obbedire, quando, verso la costa, si udì la voce di Carmaux che gridava:

«Signor Morgan!… Signor Morgan!… Mandate subito una scialuppa!… Presto!… Presto!…»

«Che cosa vuole quel brav’uomo?» si chiese il filibustiere, il quale provò nondimeno un sussulto.

«Otto uomini nella baleniera!…» comando Pierre. La scialuppa che non era stata innalzata sui paranchi, partì quasi subito montata da otto corsari, dirigendosi frettolosamente là dove Carmaux continuava a gridare:

«Presto, camerati!… Più presto!…»

La baleniera toccò la spiaggia, poi tornò con rapidità fulminea verso la nave, coll’equipaggio aumentato di due uomini.

«Uno è Carmaux di certo» disse Pierre, che si era collocato dietro Morgan. «Chi può essere l’altro?»

Morgan non aveva risposto. Curvo sulla scala, guardava attentamente l’uomo che sedeva presso Carmaux, tentando di ravvisarlo.

Quando la baleniera giunse presso la corvetta, un grido di doloroso stupore sfuggì dalle labbra del filibustiere:

«Don Raffaele!…»

«Il piantatore!…» esclamò Pierre. «Per quale motivo ha lasciato l’aldè dei caraibi?»

Morgan era impallido. Presentiva già una disgrazia.

Il piantatore, quantunque fosse rotondo come una botte e pesante come un piccolo ippopotamo, saliva in fretta, spinto da Carmaux.

«Signor Morgan…» grido con voce affannosa… «l’hanno rapita… i birbanti…»

«Chi?» urlò il filibustiere, afferrandolo per un braccio e scuotendolo violentemente.

«Lui… il conte… ci ha sorpresi ed ha condotta via la signora di Ventimiglia».

Morgan mandò un urlo come di belva ferita e aveva fatto due passi indietro, portandosi una mano sul cuore. Quell’uomo, ordinariamente così calmo e freddo, era in quel momento così trasfigurato da un dolore intenso, che i suoi uomini, accorsi subito alla notizia che don Raffaele era tornato, ne furono profondamente commossi.

«Udiamo» disse Pierre le Picard. «Spiegatevi meglio, don Raffaele».

Il piantatore narrò meglio che poté quanto era avvenuto nell’aldè dei caraibi dopo la loro partenza, e riferì il colloquio che aveva udito fra il conte di Medina, il capitano Valera e la signora di Ventimiglia.

«A Panama!… La conducono a Panama!…» gridò Morgan, facendo un gesto di disperazione.

Poi, completamente accasciato da quella notizia, si era appoggiato contro la murata, tergendosi nervosamente il sudore freddo che gli bagnava la fronte.

«Tu l’ami, è vero?» gli sussurrò Pierre, avvicinandoglisi.

«Sì» rispose il filibustiere.

«Me n’ero accorto. Che cosa dobbiamo fare per strapparla un’altra volta dalle mani di quel maledetto conte? Tu sai come noi tutti ti amiamo e di che cosa siamo capaci. Speri di poter raggiungere la nave prima che tocchi i porti dell’America Centrale?»

«È quello che tenteremo» rispose Morgan, che riacquistava a poco a poco la sua energia.

«Don Raffaele» disse Pierre. «Siete mai stato a Panama?»

«Vi sono nato, signore» rispose il piantatore.

«Allora conoscete il passo dello Chagres?»

«È il solo che conduce a Panama».

«Vi è una guarnigione colà?»

«Sì, e ce n’è una nell’isola di Santa Caterina, abbastanza numerosa… ma, signore, io, dicendovi ciò, tradisco la mia patria».

«Anche senza le vostre spiegazioni nessuno ci tratterrebbe. «Comanda, Morgan. Dove dobbiamo andare, innanzi tutto?» chiese Pierre

«A bruciare il villaggio dei traditori» rispose Morgan. «Guai se Kumara cadrà nelle mie mani».

«A quest’ora, signore, egli è a Cumana ed il conte sarà salpato per l’America Centrale» disse don Raffaele.

«Ritengo inutile perdere del tempo prezioso» disse Pierre. «Veleggiamo senza ritardo verso la Tortue e là vedremo cosa dovremo fare.

«Non ci mancano né uomini, né navi».

Morgan trasse in disparte il suo luogotenente, dicendogli:

«Giuro su Dio che se non raggiungeremo il conte prima che sbarchi a Chagres, io vi condurrò sotto le mura di Panama».

«Tu mediti una simile impresa!…» esclamò Pierre. «Come vorresti attraversare l’istmo ed espugnare una così grande città, la più popolosa e la meglio fortificata di tutte quelle che posseggono in America gli spagnoli?»

«Eppure mi sento l’animo di condurre a buon fine una simile impresa, che renderebbe maggiormente temuta la filibusteria» disse Morgan.

«Alla Tortue non mancano uomini audaci, pronti a qualsiasi cimento e quanto alle navi, oggi ve ne sono in abbondanza nella nostra isola. Che mi diano mille corsari ed io li condurrò a vedere la regina dell’Oceano Pacifico e darò loro milioni e milioni di piastre».

«Sarebbe meglio per noi poter mettere le nostre zampe sul conte, prima che sbarchi sulle coste dell’istmo!» disse Pierre le Picard. «Se si potesse sapere quale rotta terrà, sarebbe una gran bella cosa».

«Ed in quale modo?»

«Dove supponi che si sia recato colla signora di Ventimiglia?»

«L’avrà condotta nel porto più prossimo».

«A Cumana, allora, che è vicino. Se potessimo mandare là qualcuno ad informarsi qualcuno dei nostri…»

«L’idea non mi dispiace. Uomini di fegato ne abiamo finché vogliamo. Ah!…»

«Che cosa vuoi?»

«Don Raffaele che può esserci ancora molto utile».

Si guardò intorno e scorgendo sul cassero il piantatore che chiacchierava con Carmaux e coll’amburghese, lo raggiunse, chiedendogli:

«Aveva cavalli il conte di Medina?»

«Nessuno, signore».

«Dove si è diretto?»

«A Cumana, che è la città più vicina e dove troverà navi in abbondanza, essendo quel porto assai frequentato».

«Conoscete qualcuno laggiù?»

«Sì, un notaio che anni orsono abitava in Maracaybo e che è un po’ mio parente».

«Vorreste recarvi colà assieme a due dei miei uomini?»

«Correrei il rischio di farmi impiccare come traditore».

«La vostra vita mi appartiene e ve l’ho risparmiata già un paio di volte».

«Riflettete, signore, e non dimenticate che io sono uno spagnolo».

«Che sarebbe ben lieto però di vendicarsi del capitano Valera».

«Non lo nego» rispose don Raffaele; «ed è appunto del capitano che io ho paura. Se è ancora a Cumana potrebbe riconoscermi e farmi stringere il collo con una buona cravatta».

«Vi trasformeremo in modo da rendervi irriconoscibile, se lo desiderate, e poi non vi obbligo a mostrarvi al vostro nemico. Non vi chiedo altro che di condurre due dei nostri in quella città e di farli ospitare nella casa del vostro amico. Non desidero altro da voi».

«Non mi comprometteranno i vostri uomini?»

«Non vi daranno alcun fastidio e vi lasceranno libero, dopo che li avrete condotti da quel notaio. Accettate?»

«Farò quello che vorrete» rispose don Raffaele, con un sospiro.

«Seguitemi nel quadro e tu, Pierre, prepara tutto perché all’alba la nave possa salpare senza ritardi».

Mentre stava per scendere nel quadro assieme allo spagnolo, Carmaux e Wan Stiller s’accostarono a Pierre, che si preparava a mandare a terra delle scialuppe, onde far ritornare gli uomini rimasti a guardia dei prigionieri.

«Si parte dunque, signor Pierre?» chiese Carmaux.

«È vero che si va a Panama?»

«Sembra» rispose il filibustiere.

«Benone» disse il francese. «Speriamo questa volta di torcere il collo a quel furfante di conte. Amico Stiller, andiamo a dormire».

Invece però di ritirarsi nella camera comune, si cacciarono sotto il castello di prora che era ingombro di vele e di cordami e trassero da un bugliolo due bottiglie polverose che guardarono amorosamente.

«Beviamo, compare» disse Carmaux «e scacciamo un po’ il malumore. Devono contenere dello Xeres eccellente, avendole prese nella dispensa del capitano spagnolo». Baciò il collo della bottiglia, poi: «Tuoni di Brest!… Perdere ancora la signora di Ventimiglia, quando era ormai nostra!…» esclamò.

«La riprenderemo, compare».

«E quando?»

«Il capitano Morgan è un uomo capace di andare anche a Panama».

«Un’impresa che nessun filibustiere ha mai sognato di tentare».

«La tenterà lui. Bevi, compare».

«Corpo…»

Carmaux si alzò bruscamente alzato, vedendo un’ombra comparire sotto il castello.

«Il capitano!…» aveva esclamato, cercando di nascondere le bottiglie.

«Continua pure a bere, Carmaux» disse Morgan, poiché era lui in persona. «Intanto, rispondi».

«Se posso offrirvi, signor Morgan» disse il francese, con aria imbarazzata.

«Più tardi. Ho altro da fare per il momento».

«Voi sapete, capitano Morgan, che noi siamo i pezzi vecchi della filibusteria, sempre pronti a qualunque sbaraglio».

«È perciò che ho pensato a voi, che siete stati i più fedeli marinai del Corsaro Nero».

«Avete qualche missione da affidarci, capitano Morgan?» chiese Wan Stiller.

«Voi conoscete Chagres?»

«Ci siamo stati, anni or sono, coll’Olonese» rispose Carmaux. «Brutta borgata dove si beve male e si mangia peggio».

«Hai conoscenze laggiù?»

«Sì, signor Morgan, un taverniere basco che mi ha fatto assaggiare del Malaga che poi non ho più bevuto in vita mia».

«Fidato?»

«Eh!… Un basco non è né spagnolo, né francese, sta fra gli uni e gli altri, a seconda che gli conviene. Si chiamava… aspettate, capitano».

«Ribach» disse Wan Stiller.

«Sì, Ribach» ripeté Carmaux.

«Dovrete andarlo a trovare, mentre io alla Tortue organizzerò una poderosa spedizione per attraversare lo stretto e piombare su Panama» disse Morgan.

Carmaux aveva fatto un soprassalto.

«Milioni di cannoni!…» esclamò.

«Io non so ancora se sarà necessario spingersi così lontano ed affrontare i gravi pericoli che presenterà tale impresa. Se però tu e Pierre le Picard giungerete troppo tardi a Chagres per arrestare il conte di Medina, noi marceremo su Panama, parola di Morgan. Sono risoluto tentare tutto pur di riavere la contessa di Ventimiglia, dovessi dare fondo a tutte le mie ricchezze.

«Ho già preso gli accordi opportuni con Pierre le Picard perché mi preceda a Chagres assieme a voi e ad un buon numero di filibustieri. Vi domando ora di rendermi un servizio urgente».

«Lo so, miei bravi» rispose Morgan. «Siete mai stati a Cumana?»

«Mai, signore».

«Vorrei mandarvi colà assieme a don Raffaele».

«Ci andremo» risposero Carmaux e l’amburghese ad una voce.

«Sapete come gli spagnoli trattano i filibustieri che cadono nelle loro mani».

«Nessuno ignora che tengono sempre in serbo un bel numero di cravatte di canapa per noi» disse Carmaux ridendo. «Ce ne guarderemo, signor Morgan, non datevene pensiero. Diteci invece che cosa dobbiamo fare a Cumana».

«Informarvi della rotta che terrà il conte di Medina, della nave che avrà noleggiata e della sua esatta destinazione».

«Volete possibilmente assalirlo prima che sbarchi nell’America Centrale?»

«Sì, se farò in tempo» rispose Morgan.

«Come andremo a Cumana? A piedi?»

«Colla baleniera che Pierre sta già fornendo di vele e di reti».

Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
30 ağustos 2016
Hacim:
340 s. 1 illüstrasyon
Telif hakkı:
Public Domain
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