Kitabı oku: «La crociera della Tuonante», sayfa 12
«È questione di far presto, signore,» rispose il tenente. «Purché nulla accada in contrario, prima di mezzanotte noi potremo riprendere la nostra crociera.»
Intanto l’equipaggio, diretto dal mastro, dopo aver gettati in mare i cadaveri, che erano dodici, si era messo alacremente al lavoro colle seghe e colle scuri, facendo un fracasso indiavolato.
Poiché la corvetta era penetrata a fondo nel banco di sabbia, era quindi facile radunare il legname sulle sabbie, e lì unirlo con chiodi e cordami.
Testa di Pietra pensò innanzi tutto di servirsi di barili per rendere il galleggiante più leggiero e sostenerlo specialmente ai quattro angoli. Poi fece preparare le provviste, perché tutta quella gente non corresse il pericolo di morire di fame e di sete in mezzo all’Atlantico.
Così la giornata trascorse, e le tenebre novamente discesero, tutto avvolgendo nel loro manto nero, banchi e rocce.
Sul tribordo della corvetta era stata calata una vera montagna di legname: tronconi d’albero, pennoni, pezzi di fasciame, pezzi di ponte e di tolda. Erano stati accesi alcuni fanali, malgrado l’opinione contraria di Testa di Pietra, che non aveva dimenticati gl’Indiani, ai quali quelle luci potevano servire di mira. Già la zattera cominciava a prender forma, ed il lavoro ferveva più intenso, quando dall’accampamento inglese si udirono alcuni fischi stridenti che parevano segnali.
«Ecco quello che temevo!» gridò Testa di Pietra. «Tutti a bordo! Facciamo lavorare i pezzi da caccia, giacché le batterie si trovano sott’acqua.»
Il Corsaro, che aveva appena finito di cenare col signor Howard, era accorso in coperta mentre vi rientrava l’equipaggio.
«I flauti da guerra degl’Indiani!» esclamò. «Oh, li conosco!… Che si siano alleati a mio fratello?»
«Credo il contrario, capitano,» disse Testa di Pietra. «Quella gente cercava di sorprendere il campo inglese, proprio mentre la nostra mala sorte ci ha insabbiati qui… Piccolo Flocco! Al nostro pezzo! E non fare risparmio di mitraglia, giacché la Santa Barbara doppia è rimasta miracolosamente asciutta.»
Ombre umane scendevano in gran numero verso il campo inglese, diviso dalle sabbie da un semplice canale guadabile. Non vi era da dubitare: erano quegl’Indiani che i due Bretoni e il Tedesco avevano veduto attraversare in grandi masse la foresta ventiquattro ore prima. Si trattava d’un vero attacco, anzi d’un formidabile abbordaggio, ché gl’indios della Florida erano famosi in quel tempo per il coraggio.
Gli uomini della corvetta, vedendoli ammassarsi sulle rive del canale, erano corsi alle loro armi, mentre gli artiglieri si gettavano sui pezzi da caccia.
«Lasciateli accostare!» gridò il Corsaro. «Non sparate che a colpo sicuro.»
Testa di Pietra si preparava a fare un colpo, quando un guerriero gigantesco s’inoltrò fra le sabbie, gridando in pessimo inglese:
«Gli uomini bianchi cedano a noi la loro casa galleggiante!»
«Chi sei tu?» chiese il Corsaro.
«Mato Grosso, gran sakem dei Seminoli del lago Okekobee.»
«Và a dire allora ai tuoi guerrieri che gli uomini bianchi conoscono troppo bene le vostre crudeltà; e intanto, perché tu corra più presto, prendi questo mio piccolo regalo.
E tosto sparò le pistole contro l’insolente, che, senza combattimento, gl’intimava la resa.
L’uomo rosso cadde, gridando «Okraa!» il grido di guerra della sua tribù. Centinaia di voci gli fecero eco; poi turbe di guerrieri si precipitarono nel canale che attraversarono quasi correndo.
«A te, Testa di Pietra!» gridò il Corsaro, il quale non aveva fiducia che nel suo Bretone.
«Subito!» rispose il mastro, impugnando la miccia.
Anche gli altri artiglieri avevano presi i loro posti sul cassero e sul castello di prora, mentre l’equipaggio si allineava dietro ai mucchi di rottami colle carabine in pugno.
«Fuoco!» comandò il signor Howard.
Trenta o quaranta colpi di carabina partirono seguiti da due cannonate a mitraglia. Gl’Indiani, che si preparavano a dare facile scalata alla corvetta, colpiti in pieno, si ripiegarono precipitosi, urlando; ma ben presto le loro linee si restrinsero e marciarono una seconda volta all’attacco.
Sparavano i pezzi da caccia e le carabine, illuminando coi loro lampi la notte, e i nemici cadevano in gran numero; tuttavia non era cosa facile ricacciare verso la costa quella tribù di barbari. Infatti una cinquantina di essi riuscirono finalmente a mettere i piedi sulla tolda.
I marinai, che vedevano le terribili mazze roteare in aria, misero mano alle sciabole d’arrembaggio e si gettarono animosamente nella mischia, tagliando gambe e troncando teste. Sir William ed il signor Howard caricavano alla testa dei loro uomini, sfidando intrepidamente la morte.
Per dieci minuti fu un orribile battagliare lungo la linea delle murate; poi quegl’Indiani, quantunque avessero ancora numerosi compagni sul banco, abbandonarono il campo, lasciando non pochi morti. Ed era tempo, poiché i corsari, impressionati dalle stature gigantesche degli assalitori e dalla lunghezza delle loro clave, stavano per cedere dinanzi all’impeto brutale di quegli abitanti delle foreste.
Testa di Pietra e gli altri artiglieri, vedendo il campo libero, spararono i pezzi da caccia, accrescendo il terrore dei fuggiaschi. Tre o quattro indiani, che si erano ostinati a rimanere sulla corvetta, furono uccisi coi calci delle carabine, e poi gettati in acqua.
La vittoria, almeno per il momento, era completa, e i marinai potevano riprendere il lavoro di costruzione della zattera.
20. Le due zattere
Il Corsaro ed il signor Howard, dopo aver ispezionata tutta la tolda, temendo che qualche indio vi si fosse nascosto, diedero il segnale di riprendere i lavori.
La fregata doveva ormai aver fabbricato il suo galleggiante e il Marchese trovarsi già al largo, navigando, bene o male, verso l’Atlantico settentrionale. Al Corsaro premeva che non guadagnasse troppa via, sperando che una occasione si presentasse per piombare sul Marchese e strappargli la bionda miss.
Ad un comando del signor Howard, cinquanta uomini si calarono sul banco, portando lanterne e attrezzi, e si diedero a picchiare furiosamente sulle tavole per formare una specie di ponte sopra lo scheletro composto di alberi e di pennoni. Testa di Pietra stava dietro il suo pezzo per proteggerli, se gl’Indiani tentassero, come sospettava, una riscossa. E non s’ingannava il vecchio lupo di mare. Infatti appena quegli uomini si misero al lavoro, alcune frecce cominciarono a venire sibilando in tutte le direzioni.
«Corpo d’un campanile!» esclamò il bravo Bretone. «Che non vogliano proprio lasciarci partire?»
«Spara là dentro,» disse Piccolo Flocco. «Sono in agguato fra i paletuvieri che coprono le rive del canale.»
«Crociera disgraziata!»
«Chi sa che non finisca fortunata, amico?»
Continuando le frecce a tormentare i lavoranti, i cannoni da caccia ripresero la loro musica infernale, distruggendo le piante acquatiche e gl’Indiani che vi si nascondevano dentro.
Già avevano sparato sei o sette colpi, quando in lontananza si udì una detonazione che pareva prodotta da un piccolo pezzo d’artiglieria. Il Corsaro ed il signor Howard, si slanciarono verso gli ultimi bastingaggi di tribordo, spingendo i loro sguardi verso il canale entro cui era scomparsa la fregata.
«Che cosa può significare questo sparo?» domandò il primo. «Che anche là vi siano degl’Indiani?»
Testa di Pietra, che aveva allora allora scaricato novamente il suo pezzo, e li aveva raggiunti, rispose aggrottando le ciglia:
«Capitano, quella detonazione, a mio modesto parere, non deve annunciare nulla di buono per noi. Che qualche nave della squadra fantasma sia ritornata verso il nord e che la fregata cerchi di richiamarla?»
«Anche a me è venuto il medesimo sospetto,» dichiarò il signor Howard. «È impossibile che tutti quei legni siano scomparsi.»
«Che mio fratello abbia ancora tanta fortuna?» esclamò sir William con un sospiro.
«Zitto, signore,» disse il Bretone.
Si era posto in ascolto, tenendo le mani aperte dietro gli orecchi per raccoglier meglio i suoni lontani.
«Non odo che la risacca.» soggiunse poi. «I naufraghi della fregata a quest’ora hanno finita la loro zattera e stanno allontanandosi.»
«E allora imbarchiamoci anche noi,» disse il Corsaro. «Dove li troveremo li attaccheremo.»
Malgrado i continui attacchi degl’Indiani, i corsari erano riusciti a costruire una magnifica zattera lunga trenta metri su dieci di larghezza, provvista d’un pennone, a cui era stata imbrogliata momentaneamente una vela, e d’un lungo timone in forma di remo; e vi avevano caricato viveri, armi, e parecchie coperte.
Trattenuta da solide funi, la zattera rollava vivamente fra la spuma della risacca, ora alzandosi, ora abbassandosi, quantunque sotto lo scheletro del galleggiante fossero state fissate numerose botti vuote.
Il Corsaro stava per dare ordini ai suoi uomini di dar fuoco alla nave e di scendere sul banco, quando gl’Indiani si lanciarono di nuovo furiosamente all’attacco, come se avessero giurato di non lasciar partire nessuno di quegli uomini bianchi. Per la seconda volta si presentavano in masse compatte e bene armati. Non vi era un istante da perdere.
Piccolo Flocco andò a collocare una lunga miccia accesa nella Santa Barbara rimasta asciutta; gli artiglieri scaricarono ancora una volta i loro pezzi, facendo strage di quei corpi umani; poi tutti si calarono sulla zattera. Le corde furono prontamente tagliate, la vela spiegata ed orientata, e i naufraghi lasciarono il banco sparando colpi di carabina. Testa di Pietra, non avendo più il suo famoso pezzo da maneggiare, afferrò il lungo timone, mentre trenta o quaranta marinai muniti di remi cercavano di aiutare la manovra.
La zattera aveva percorsi appena cinquanta metri, quando si vide attorniata da turbe di nuotatori. Erano gl’Indiani che tentavano ancora una volta l’arrembaggio, gettando urli spaventevoli. Una grande confusione, facile ad immaginarsi, si era propagata sull’imbarcazione, poiché i corsari, non avendo più i cannoni, si vedevano in gravissimo pericolo.
«Lasciate le carabine e impugnate le sciabole!» gridò sir William.
E la lotta ricominciò più furibonda che mai sul margine del galleggiante, il quale subiva delle scosse inquietanti. Le braccia degl’Indiani, troncate delle armi bianche, cadevano a dozzine; eppure quei barbari resistevano tenacemente, tentando, col peso dei loro corpi, di affondare la zattera.
Ad un tratto si videro lasciare i margini del galleggiante bagnati del loro sangue, poi allontanarsi colla massima rapidità, aiutandosi l’un l’altro.
«Che cosa succede?» si domandò il Baronetto, il quale non poteva credere a tanta fortuna.
«Guardate, sir,» disse il signor Howard, «giungono.»
Sotto le acque si scorgevano delle scie fosforescenti, che descrivevano dei fulminei zig-zag.
«Gli squali!» esclamò il Baronetto. «Siano in questo momento benedetti.»
Un’orda formata d’una dozzina di pescicani, nascosta fino allora fra i paletuvieri, si era scagliata sugl’Indiani, mettendoli in piena rotta e divorandone non pochi. Alcuni di quei mostri, aiutandosi colle pinne, tentarono di assalire anche i naufraghi della Tuonante, ma l’accoglienza che ebbero fu tale, da deciderli a mettersi in caccia di carne rossa, più adatta d’altronde ai loro palati, che trovano quella bianca piuttosto amara: almeno così si dice.
Terminato anche quell’assalto, non meno pericoloso degli altri, la zattera riprese la sua rotta, inoltrandosi in un ampio canale fiancheggiato da ammassi di paletuvieri.
Il Corsaro e Testa di Pietra stavano domandandosi se dentro di quello si erano rifugiati i naufraghi della nave del Marchese, quando un lampo illuminò la notte verso il sud, seguito da una fragorosa detonazione e da una pioggia di tizzoni ardenti.
Il vecchio Bretone mandò un grido di dolore:
«La Tuonante è saltata!»
«Della mia nave, da tutti ammirata e temuta, non si parlerà più!» aggiunse il Baronetto quasi singhiozzando.
«Ormai non valeva più nulla, signore,» disse Howard. «Sarà saltata con un bel numero d’Indiani.»
«E la zattera della fregata?»
«La raggiungeremo, sir William.»
«Temo sempre che incontri qualche nave.»
«Non sarà facile. Le coste della Florida prive di porti sono troppo pericolose con le loro secche, le loro scogliere, e soprattutto a cagione degli Indiani, e perciò le navi ne stanno lontane.»
«È vero,» rispose il Baronetto, «tuttavia non vedo intorno a me un raggio di fortuna brillare: è dalla nostra partenza dalle Bermude e dalla caduta di Boston che io, di giorno in giorno, angosciosamente l’attendo.»
«Con un dolce nome sulle labbra!» disse Howard.
«Tacete: non aprite di più la ferita che sanguina già troppo.»
«E che a New York guariremo per sempre.»
«Chi sa?»
«Io non dispero, sir William, di poter menare le mani anche in quella grande metropoli… Ma ora andate a riposarvi, ché ne avete bisogno. Veglio io con Testa di Pietra e con alcuni moschettieri. Andate, andate: in questo momento nessun pericolo ci minaccia.»
Il Corsaro, stremato dalle fatiche, si gettò su una coperta stesa presso l’albero, mentre dieci o dodici marinai, armati di carabine, si sdraiavano lungo i bordi per tenere lontani i pescicani, i quali non si erano ancora tutti allontanati.
Spinta da una debole brezza, la zattera continuava ad inoltrarsi in quell’interminabile canale, cercando le tracce dell’altra. Un silenzio profondo regnava, rotto solo dalle grida monotone del rotauro mokoko, un grosso volatile alto due piedi, colle penne brune rigate, che abbonda sulle coste della Florida, annoiando i rari naviganti con una continua sequela di dun-ka-du, dun-ka-du mai variati. Già aveva il galleggiante attraversato un altro canale che s’incrociava col primo, quando, addossata ad una scogliera circondata di banchi sabbiosi, una gran massa oscura si presentò agli attoniti sguardi dei marinai.
Il Bretone e Piccolo Flocco balzarono in piedi esclamando:
«La fregata! la fregata!»
A quel grido tutti i corsari si svegliarono di soprassalto e corsero alle armi, temendo qualche altra sorpresa.
Sir William ed il signor Howard provarono una profonda impressione nello scorgere quella terribile avversaria, ridotta ormai in uno stato da non poter più nuocere. I cannoni della corvetta dovevano averle aperto delle larghe falle, attraverso le quali l’acqua si era precipitata ed aveva invaso lo scafo.
«Finalmente!» esclamò il Corsaro. «Ora siamo pari, mio caro Marchese; almeno fino a New York.»
Stava per dare l’ordine di accostarla, quando una forma umana si delineò sulla murata di poppa facendo dei gesti.
«Un uomo!» esclamò il signor Howard. «Chi può essere costui? E perché è rimasto così solo a bordo?»
«Salta!» gli gridò il Corsaro.
Lo sconosciuto ebbe una leggera esitazione, poi balzò in acqua, e con poche bracciate raggiunse la zattera.
«Tu!» esclamò stupito il mastro appena lo vide da vicino. «Non sei l’Inglese che abbiamo legato ed abbandonato nella foresta?»
«Sì,» rispose il soldato stringendo le pugna.
«Godo di vederti vivo. Pensavo a te, ma non avevo il tempo di tornare indietro. L’hai raggiunta a nuoto la fregata?»
«A cavalcioni d’un tronco d’albero, passando in mezzo a branchi di pescicani.»
«I quali, a quanto pare, hanno sdegnato la tua carne inglese,» disse Testa di Pietra.
L’ex prigioniero si scosse l’acqua e lanciò una filza d’ingiurie che il Bretone non si degnò affatto di raccogliere.
«Quando sei giunto qui?» gli chiese il Corsaro, il quale ormai conosceva la storia dell’Inglese abbandonato fra i pini.
«Tre ore fa, signore,» rispose l’interrogato, con una certa gentilezza questa volta, essendosi forse accorto d’aver dinanzi il comandante.
«Non vi è più nessuno a bordo?»
«Assolutamente nessuno.»
«Non vi sono scialuppe?»
«Sì, ma tutte sventrate da tiri di artiglieria.»
«Quanti dei tuoi compagni si saranno imbarcati sulla zattera che hanno costruita?»
«Io non ho assistito alla battaglia. Vi sono parecchi morti in coperta, ma non potrei fare un calcolo dei superstiti… E ora che cosa volete fare di me?»
Il Corsaro fece un cenno ad un uomo barbuto, che stava appoggiato all’albero, e quando gli fu dinanzi disse all’Inglese:
«Io sarei nel mio diritto di appiccarti, ed abbiamo qui un famoso carnefice, il boia di Boston che ha corde di prima qualità. Invece io ti accordo la vita, purché fino a New York tu non ci dia alcun fastidio.»
«Ve lo prometto, signore,» rispose il prigioniero, contento di cavarsela così a buon mercato.
«Uhm!» fece Testa di Pietra. «Ecco un affare che io non avrei concluso in questo modo. Ma io e Piccolo Flocco lo sorveglieremo da vicino, poiché se questo giovanotto è riuscito a sbarazzarsi dei legami fatti da un vecchio marinaio come son io e tornarsene a bordo del suo legno, malgrado gl’Indiani e le belve feroci, potrebbe giocarci qualche pessimo tiro.»
L’Inglese fu legato per precauzione alla base dell’albero, poi, essendo ancora lontana l’aurora, i corsari presero i loro posti sulle coperte stese sul tavolato, mentre intorno alla zattera sfilavano i battaglioni di nottiluche e di meduse splendenti di fuochi multicolori.
Per altre due ore la zattera continuò ad inoltrarsi nel canale, poi si trovò, a un tratto, fuori dai banchi e dalle scogliere, innanzi alla sconfinata distesa dell’Atlantico anch’esso fiammeggiante.
Testa di Pietra scorse subito una grossa macchia nera che spiccava vivamente, a qualche miglio di distanza, sormontata da una vela di grandi dimensioni.
«La zattera del lord! la zattera del lord!» gridò con tutta la forza dei suoi polmoni.
La sua voce non si era ancora spenta, che già i corsari erano in piedi colle armi in pugno; ma dovettero convincersi che per il momento non vi era nulla da fare, perché la zattera aveva un vantaggio di oltre un miglio ed un maggior numero di remi.
Anche gl’Inglesi si erano accorti della presenza dei loro accaniti avversari e si vedevano dimenare le braccia. E in mezzo a loro, non senza una viva emozione, il Corsaro scorse una forma bianca.
«Mary!» esclamò.
Come se la fanciulla lo avesse udito, alzò le braccia in atto di disperazione.
«Calmatevi, sir,» disse il signor Howard, vedendo il Baronetto impallidire. «Non ci sono ancora sfuggiti, ed il vento che spinge la loro vela spinge pure la nostra.
Il Corsaro si lasciò cadere su un barile, prendendosi la testa fra le mani. Quell’uomo, che forse non aveva mai pianto in vita sua, aveva gli occhi bagnati di lacrime.
«La seguiremo sempre e ostinatamente,» disse il signor Howard. «E New York è lontana. »
«E poi,» osservò Testa di Pietra, il quale si era, come al solito, avvicinato al comandante, «possono succedere mille cose impreviste. Corpo d’un campanile!.. Non siamo noi finalmente i Corsari delle Bermude?»
«Su che cosa vorresti contare, tu?» chiese il Baronetto.
«Per ora non me lo domandate. È un mio segreto.»
In quel momento alcuni colpi di fucile partirono dalla zattera inglese, ma la distanza era troppa, perché i proiettili potessero giungere fino ai corsari.
«Ah!» esclamò il Bretone, «se questa zattera avesse potuto reggere uno dei nostri pezzi da caccia, non so come se la passerebbero quei signori laggiù… Ebbene, ci accontenteremo di guardarci, per ora, sperando che un caso fortunato ci porti addosso ai fuggiaschi.»
Infatti nulla vi era da fare per il momento, poiché le due zattere avanzavano colla medesima velocità, ed il vento era piuttosto debole.
«Corpo d’un campanile!» borbottò Testa di Pietra, «un solo miglio; un miglio solo!… Se potessi condurre a buon fine l’impresa, il Baronetto tornerebbe tranquillo… Ma sì, bisogna decidersi prima che sorga l’alba, giacché la fosforescenza è ormai scomparsa.»
Tornò al timone, dove si trovava Piccolo Flocco in compagnia dei due Assiani. «Chi è di voi che non teme la morte?» chiese loro.
«Io non ho mai tremato!» rispose il giovane gabbiere.
«Noi, patre, mai paura!» risposero i due Assiani.
«Vi sentireste, in caso, di tentare da voi soli l’abbordaggio della zattera e cercar di rapire la bionda miss? Guardate, il mare è tornato tenebroso, e la zattera degli Inglesi si scorge appena.»
«Un affar duro!» disse Piccolo Flocco.
«Volete, sì o no? Fra due ore l’alba spunterà, e allora qualunque tentativo diventerebbe inutile. Non dite niente a nessuno; armatevi di coltelli, spogliatevi e filiamo verso la zattera.»
Spentasi la fosforescenza, le acque dell’Atlantico erano tornate cupe. Tutto era scomparso; anche la figura bianca.
I quattro uomini, che sapevano chiacchierare ma sapevano anche agire, dopo avere scambiato alcune parole col signor Howard per avvertirlo del loro disegno, approfittando di quel ritorno dell’oscurità, scesero in mare, non visti dai loro camerati, i quali erano tornati a coricarsi.
«Signor Howard,» disse il Bretone prima di allontanarsi, «se non ci vedete tornare fra qualche ora, dite pure che il Marchese ci ha fatti appiccare al pennone della zattera.»
«Avete dei salvagente?»
«Uno solo per la miss: noi non ne abbiamo bisogno. Speriamo che questa oscurità duri, ché se ritornasse la fosforescenza, gl’Inglesi ci farebbero passare un brutto quarto d’ora.»
Fece un cenno d’addio e prese risolutamente il largo, seguito dai due Tedeschi e dal giovane gabbiere.
Bonissimi nuotatori, in pochi minuti sorpassarono la zattera e rimontarono verso il nord, cercando l’altra, resasi invisibile.
«Badate solamente ai pescicani,» aveva detto il mastro. «Degl’Inglesi per ora non vi date pensiero, poiché sono diventati ciechi come talpe.»
Messisi in linea indiana, i quattro coraggiosi avanzarono ben presto assai, procurando di tenersi sommersi più che potevano. Avevano rilevata la posizione della zattera, nonostante l’oscurità, e s’andavano accostando.
Era un’impresa pazzesca quella che stavano per tentare, ma Testa di Pietra, prima di tutto, era sicuro di sorprendere gl’Inglesi nel sonno, giacché non vi era ragione di vegliare, essendo le due zattere troppo lontane fra loro. Così, filando sempre con precauzione, un’ora prima che le stelle cominciassero a spegnersi, i due Bretoni ed i due Tedeschi giungevano sotto la zattera, in un punto che non pareva guardato.
Come avevano supposto, gl’Inglesi, dopo la scomparsa delle nottiluche e delle meduse, si erano, come i loro avversari, sdraiati sul vasto ponte, fra le vele ed i barili delle provviste.
Il mastro alzò con precauzione il capo, borbottò qualche cosa fra i denti, poi posò le mani sul margine della zattera.
Fra quell’ammasso di corpi coricati aveva scorta la figura bianca, la quale si trovava presso l’albero, certo guardata dal terribile Marchese.
Stava per issarsi, quando due colpi di cannone echeggiarono a non grande distanza, seguiti da una vera bordata. Delle navi erano a un tratto comparse in quelle acque e battagliavano, ignorando forse la presenza delle due zattere.
«Partita perduta!» disse il mastro. «La nostra buona stella si è spenta per sempre.»
Udendo quel cannoneggiamento, gl’Inglesi erano tutti balzati in piedi, gridando a squarciagola: «Allarmi!».
Dei lampi balenavano verso ponente, prodotti dalla polvere, ma non erano ancora tali da poter illuminare tutte le navi.
«Bordate!» disse il mastro, lasciandosi ricadere in acqua prima che avessero potuto scoprirlo. «Via, ragazzi, via fino alla nostra zattera, dove staremo molto meglio che qui. Per tutti i fulmini dell’inferno! che navi saranno quelle che sono venute a guastare la nostra operazione sul più bello?»
«Io ne vedo due,» disse Piccolo Flocco. «Se combattono fra di loro, vuol dire che una è americana e l’altra inglese.»
«Se potessimo abbordare l’americana!… Cò suoi pezzi, darei una buona lezione alle giacche rosse d’oltre Atlantico.»
«Ed io te la guiderei poi verso la nostra zattera per imbarcare il Corsaro e i camerati. »
«Silenzio!»
Tra il fragore delle cannonate e delle fucilate aveva udito gridare ferocemente:
«Sotto quelli del Caboto!»
Il Caboto, come i lettori ricorderanno, era una delle quattro navi della prima squadriglia americana, armata di sedici pezzi, e che dopo la ritirata di lord Howe si era messa dietro alla Tuonante, disperdendosi poi a causa delle tempeste che avevano pure distrutta la flotta fantasma dell’ammiraglio Dunmore. Combatteva probabilmente contro qualche nave inglese che si scorgeva dal lampo delle sue artiglierie:
«Abbordiamola!» gridò Testa di Pietra. «Qualche paterazzo penderà dalle bancazze. Se non scorge la nostra zattera, potrebbe fuggire in altra direzione, e allora ci catturerebbero gl’Inglesi.»
Si spinsero tutti e quattro innanzi e giunsero felicemente sotto la poppa, quantunque parecchie palle fossero cadute vicine a loro, sollevando alti spruzzi di spuma.
Il mastro afferrò una corda del timone e si mise a urlare con quanta voce aveva:
«Ohé, del Caboto!»
Due figure umane si curvarono sul coronamento di poppa, e scorgendo i nuotatori già radunati e che presero per Inglesi, puntarono verso di loro le carabine.
«Giù le armi!» gridò il mastro. «Siamo dei vostri!»
«Yankees?»
«Corsari delle Bermude.»
«Potete montare?» chiese uno dei due ufficiali del Caboto.
La nave si mise nel momento in panna, senza cessar di tirare contro l’inglese che cercava di abbordarla.
«Testa di Pietra!» esclamò l’ufficiale di quarto dal cassero, appena il mastro comparve. «Come vi trovate qui? Dov’è il Baronetto?»
«Più vicino di quello che potete supporre.»
«Non viene in mio aiuto? Non riesco ad affrontare quel dannato brigantino.»
«Il Baronetto non ha più i suoi pezzi, i quali riposano in fondo al mare. Vi racconterò più tardi come la Tuonante è andata a finire. Occupatevi intanto di mettere fuori portata la vostra nave allargandola al sud.»
Piccolo Flocco ed i due Assiani si erano slanciati in coperta, mettendosi subito dietro le murate, poiché l’artiglieria inglese continuava la sua musica infernale.
Quantunque il comandante non avesse capito nulla di quella invasione di corsari, seguì il consiglio del mastro, il quale, come si sa, godeva fama straordinaria fra tutte le marinerie. Così egli lasciò filare la nave verso il sud, non cessando di controbattere i colpi avversari, ma dopo mezzo miglio andò a dare di cozzo contro la zattera del Baronetto. La nave inglese si era fermata invece presso quella del lord in seguito ai richiami dell’equipaggio naufragato.
«Contro chi andiamo a romperci?» chiese il comandante, il quale, occupato a tener la ribolla del timone, non si era ancora accorto dei corsari raccolti sulla zattera. Ma una voce a lui ben nota, alzatasi dal mare sempre tenebroso, lo avvertì della presenza del Baronetto.
«Il signor Mac-Lellan!» gridò il capitano americano. «Ma che cose strane succedono stanotte?»
«Un avvenimento fortunato, signore,» disse il mastro. «Avete salvato, senza saperlo, tutti i naufraghi della Tuonante.»
Cinque minuti dopo il Baronetto ed i suoi uomini si trovavano tutti sul ponte del Caboto, pronti a prestare man forte allo scarso equipaggio, se ve ne fosse stato bisogno. La nave inglese invece, raccolto il proprio equipaggio, si era affrettata a riprendere la corsa verso il nord, sparando due ultime cannonate.
«Signor Mac-Biorn,» disse il Baronetto al comandante americano, «non ho che un solo ordine da darvi: seguire la nave inglese fin dove andrà.»
«Sapete chi la monta, per caso?»
«Mio fratello e la mia fidanzata.»
«Vi sono ancora sfuggiti?»
«Sì, caro signore, e quando speravo di tenerli entrambi.»
«Vi sarà scappato dopo un terribile combattimento, poiché anche quell’uomo è intrepido.»
«Così viva fu la lotta, che tutte e due le navi sono affondate sotto le palle dei pezzi grossi. Che vorreste di più?»
«Ed ora?»
«In caccia! se vi sentite in grado di seguirlo fino a New York, perché è certo che in quel porto affonderà le ancore.»