Kitabı oku: «La tigre della Malesia», sayfa 25
Il lord gettò un vero ruggito. Colla pistola in pugno si spinse verso la giovanetta che si aggrappava disperatamente al collo del suo cavallo. Ma il Portoghese era lì. Con un balzo da tigre afferrò la lady che veniva meno, e sollevandola fra le braccia vigorose cercò di passare in mezzo agli Inglesi che si difendevano furiosamente dietro i cavalli ammazzati.
– Largo! Largo! – urlò cercando dominare colla voce il fracasso della moschetteria.
Non fu udito; Marianna gli svenne fra le braccia. Egli la depose al suolo nel mentre che il lupo di mare pallido di furore gli si faceva addosso colla sciabola alzata. Ebbe appena il tempo di parare colla sua arma il colpo mirato alla testa.
– Ah! miserabile! – gli gridò Yanez saltandogli addosso. – Aspetta un po’, vigliacco, che ti faccia assaggiare la punta del mio ferro.
Il lord gli tirò una pistolettata, ma la palla mal diretta si perdé altrove. I due uomini impugnate le sciabole si precipitarono furiosamente l’un contro l’altro, sbuffando come leoni, misurandosi terribili fendenti, saltando a destra e a manca, stringendosi coi pugnali, l’uno risoluto a sacrificarla anziché lasciarsela rapire e l’altro a difenderla. Né l’uno né l’altro cedeva, né l’uno né l’altro paventava delle palle, né della carneficina che accadeva a loro d’intorno, né si commoveva alle urla strazianti dei feriti che si torcevano a loro vicini bestemmiando e insanguinando le erbe.
Mentre loro due s’azzuffavano con accanimento senza pari, disputandosi la disgraziata fanciulla che non dava più segno di vita, Inglesi e pirati si assalivano con egual furia, cercando di respingersi vicendevolmente.
I primi, ridotti a solo un pugno di combattenti, messisi dietro ai cavalli, facevano intrepidamente fronte ai tigrotti di Mompracem, difendendosi col coraggio infuso dalla disperazione, sostenuti validamente dagli indigeni che menavano ciecamente le mani, confondendo le selvagge loro urla a quelle tremende dei pirati. Colpivano di punta e di taglio, roteavan i fucili servendosene dei calci come di mazza, avanzavano, infuriando sempre più, incoraggiandosi colla voce e coll’esempio.
La Tigre, colla scimitarra in pugno, invano tentava di sfondare quella parete umana per portar aiuto al Portoghese che s’affannava a respingere i crescenti e turbinosi attacchi del lord. Ruggiva come una vera belva, fendeva teste, squarciava petti, troncava gambe e braccia, smussava armi, s’avventava pazzamente sulle punte delle baionette, trascinando seco la terribil sua banda che mugolava ai suoi fianchi colle scuri alzate tinte e ritinte nel sangue del nemico.
Per dieci minuti Inglesi e pirati si batterono, afferrandosi l’un l’altro e cercando rovesciarsi e scannarsi, poi i primi cedettero. La Tigre trascinò un’ultima volta all’assalto i suoi tigrotti, che riuscirono a spezzare quella trincea vivente ed impadronirsi dei cavalli tanto ostinatamente disputati. – Tieni saldo, Yanez! – urlò la Tigre che avanzava penosamente tempestando il nemico che tentava con ogni suo sforzo di arrestarlo. – Tieni saldo che ci sono!
Proprio in quel medesimo istante la sciabola del Portoghese si spezzò. Egli trovossi disarmato con la giovanetta accanto. Impallidì orribilmente.
– Aiuto, Sandokan! – vociò egli.
Il lord si precipitava su di lui coll’arme alzata. Non si smarrì. S’abbassò, evitò il colpo, si fece sotto e s’aggrappò disperatamente al lupo di mare. Tutti e due rotolarono al suolo digrignando i denti e mordendosi l’un l’altro come tigri.
Gli Inglesi allora retrocedevano e cadevano l’un dietro l’altro sotto la scimitarra della Tigre e le scuri dei pirati. Il lord se ne avvide, e cercò liberarsi dalla stretta del Portoghese per assassinare la giovanetta, ma non vi riuscì.
– Ah! brigante! – urlò egli serrandosi stretto contro il petto Yanez e colle gambe e colle mani. – Ehi! John! Ammazzami la mia nepote! Te lo comando!
Un soldato ferito e tutto insanguinato si staccò dal gruppo dei combattenti. Sandokan lo vide impugnare la daga e saltare addosso alla giovanetta. Gettò un urlo terribile, disperato, straziante.
– Yanez! Yanez! Salvala!
Il Portoghese lo udì, vide e comprese tutto. Radunò tutte le sue forze, si rizzò traendo seco il lord, e girando su sé stesso cozzò furiosamente contro il soldato che cadde lungo disteso, poi stringendo le magre dita attorno al collo del lupo di mare, con una violenta scossa lo scaraventò contro il tronco di un albero stordendolo.
Quel momento bastò. La Tigre, spezzata la barriera dei combattenti piombò sul soldato che rosso di collera cercava d’alzarsi e gli fracassò il cranio con tal violenza da farne spruzzar le cervella a dieci passi di di stanza, poi saltatolo via afferrò la giovanetta e la sollevò gettando un urlo di gioia selvaggia.
– Mia! Mia! Mia! – ruggì egli con indefinibile accento.
Se la strinse contro il petto, e fuggì attraverso le foreste seguito dai suoi tigrotti, che avevano allora allora finito di scannare l’ultimo Inglese. Il lord rimase solo sul luogo della pugna, torcendosi e bestemmiando in mezzo ai cadaveri.
CAPITOLO XXV. La moglie della Tigre
La notte era magnifica. La luna, quell’astro solitario delle notti serene, splendeva in un cielo senza nubi, spandendo la pallida sua luce di un azzurrognolo trasparente, d’una infinita dolcezza, al di sopra delle oscure e misteriose foreste, illuminando le mormoranti acque del fiumicello e specchiandosi con vago tremolìo sui flutti dell’ampio mare della Malesia.
Un soave venticello, carico delle esalazioni profumate delle grandi piante, agitava con lieve sussurrio le frondi, scendendo verso la marina a corrugar la placida distesa delle acque e morendo di poi nei lontani orizzonti dell’ovest.
Tutto era silenzio, tutto era mistero, tutto era pace. Sol di tratto in tratto udivasi la risacca che rompevasi con monotono fragore sulle deserte sabbie del lido, il gorgoglio dei fiumicelli che andavano a portare il loro tributo nel gran bacino salmastro, e il gemito della brezza che pareva un flebile lamento, al quale faceva talvolta eco un singhiozzo che elevavasi dal ponte del prahos di Sandokan.
Il veloce legno piratesco aveva allora lasciato la foce del fiumicello e filava ratto ratto verso l’ovest, spintovi dal vento che sibilava lamentosamente fra gli attrezzi, silenzioso come un fantasma dalle immense ali, lasciandosi addietro le coste di Labuan che cominciavano a confondersi fra le tenebre, portando seco i superstiti della spedizione.
Tre sole persone vegliavano sul suo ponte: il Portoghese, taciturno, triste, cupo, seduto a poppa colla dritta sulla barra del timone, assorto in dolorosi pensieri, e Sandokan e la giovanetta seduti a prua, all’ombra delle vele, accarezzati dalla brezza, stretti in un tenero amplesso.
Il pirata teneva stretta contro il suo petto la bella fuggitiva e andava tergendo colle punte delle dita le lagrime che brillavano sulle ciglia di lei, emettendo di tratto in tratto un rauco sospiro, un profondo ruggito a ogni singhiozzo che sollevava il suo affannoso seno.
– Senti, amor mio – diceva egli posando le ardenti labbra sui biondi e profumati capelli di lei. – Senti! Noi andremo lontani, lontani da questi mari e da queste isole, dove ogni onda e ogni scoglio ridesta in me dolorosi e truci ricordi, ti farò felice, grandemente felice, sarò tuo in vita e in morte, e seppelliremo il passato in modo che non ne udremo parlarne più mai, più mai! Non avremo più lagrime, non avremo dolori, non avremo rimpianti; il mio mare, la mia isola, la mia potenza, la mia gloria, il mio temuto nome, la sanguinaria mia vita d’avventuriere, io dimenticherò per sempre fra i tuoi sorrisi, e tu dimenticherai per sempre la tua lontana patria, la tua isola, il tuo unico parente, nell’amor mio.
«Senti, fanciulla adorata, sino ad oggi fui pirata, trascinatovi dalla fatalità e dalle sventure, fino ad oggi fui assassino, fino ad oggi tuffai le mie mani e il mio ferro nel sangue delle vittime, fino ad oggi fui crudele, fui feroce, fui tremendo, fui Tigre… ma non lo sarò mai più, no, mai più! Soffocherò per sempre i ricordi della passata mia vita, lurida di sangue, frenerò l’impeto della mia natura selvaggia, sacrificherò il mio mare che un dì andavo orgoglioso di dire mio, e struggerò la mia isola che un dì chiamava mia e la terribile banda che fe’ la mia gloria.
«Non piangere, adorata Marianna, l’avvenire che ci aspetta non sarà lugubre, non sarà tetro, non sarà oscuro, ma bensì un avvenire ridente, un avvenire pieno di felicità, dove un sorriso saranno le gioie, e un bacio i nostri deliri d’amore!
«Guarda, non aveva mai amato, perché mi sembrava che fosse vergogna per la Tigre amare, ma il dì che ti ho veduta, sentii il sangue gonfiarmisi nelle vene, sentii il mio cuore di granito palpitare e ardere d’immenso amore, e una emozione sconosciuta, indefinibile, voluttuosa scuotermi tutte le fibre! Quando ti udiva, mi pareva essere trasportato in un nuovo mondo, quando ti vedeva provavo delle scosse terribili che mi schiantavano l’anima dalla gioia, quando i tuoi sguardi celesti si fissavano nei miei, parevami diventare un altro uomo, un altro essere e dimenticava allora di essere stato pirata e tacevansi le voci delle vittime da me immolate che m’accompagnavano lugubremente nei miei sogni urlandomi dietro: assassino!…
«Marianna! Marianna! – continuò il pirata con voce improntata di suprema tenerezza, – sarai mia, non torneremo più su questo mare della Malesia che bagna le coste delle nostre due isole, non rivedremo le selvagge foreste che a entrambi erano care, non rivedremo questi luoghi che ci han veduti crescere, vivere, amare! Mai più rivedrai i tuoi fiori che ti facevan felice anche fra le ansie e i dolori, non rivedrai più le coste dell’isola maledetta che pur ti parevan ridenti, perderai patria, perderai parenti, perderai tutto come perderò tutto io, ma che importa? Ti darò una nuova isola più bella, più poetica, più gaia, più ridente, ti darò una nuova patria sulla quale potrai amarmi senza paure, sulla quale potremo mane e sera ripeterci quella divina parola che per noi è tutto: ti amo e sono tua!
«Marianna! divina fanciulla, ti amo, ti amo! Oh! Ripeti anche tu questa parola che mi rende felice, che non udii mai risuonare alle mie orecchie in tutta la mia vita burrascosa, mai, mai, mai!
La giovanetta s’abbandonò nelle braccia di lui, che la strinse teneramente al petto, e appoggiato il suo volto irrigato di lagrime sulla sua spalla: – Sì, Sandokan, ti amo, ti amo, ti amo!… E come giammai donna alcuna amò sulla terra!
Un ruggito di delirante gioia irruppe dal petto del formidabile uomo. Le sue labbra baciarono i dorati capelli di lei, la fronte nivea e le coralline labbra consumando le lagrime che scendevano lungo le pallide gote.
– Sì, Marianna, tu sarai mia, e io ti difenderò contro il mondo intero, e ti farò felice e felice come giammai donna alcuna lo fu dal dì che schiatta umana visse. Non piangere amor mio, non prestar orecchio alle funeste voci che ti dissero essere con me l’avvenire incerto e oscuro. Tergi quelle lagrime che mi straziano atrocemente il cuore, quelle lagrime che io vorrei ricambiare con goccie del mio sangue. Ah! quanto ti amo!
«Non ho sognato che questo momento, averti fra le mie braccia, per dirti in faccia a questo mio mare che mi attrasse fin dall’infanzia che ti adoro. Non ho sognato che questo momento di stringerti al mio petto, di baciare le tue divine labbra, di sentire il tuo picciol cuore palpitare sul mio! Oh! Vicino a te, mi sembra non essere più la sanguinaria Tigre della Malesia: mi sembra essere un altro uomo!…
«Non tremare, non aver paura, non udrai più la voce brutale di tuo zio, né le parole del maledetto, di William. Di’ a loro che vengano a strapparti dalle mie braccia, da quelle della Tigre della Malesia, di’ a loro che vengano a misurarsi col mio braccio vincitor di cento pugne. Io li disperderò, li farò a brani coi miei denti.
«Oggi siamo in questi mari, domani saremo nella mia isola, nel mio inaccessibile nido dove non avranno l’ardire di venirmi ad attaccare, a quel nido che mette sgomento agli audaci, paura ai valorosi, e poi, quando tu vorrai, quando ogni pericolo sarà passato, lascieremo per sempre questi luoghi! Su altre terre, dove non udremo la voce dei nemici, dopo di avere scavato un baratro fra noi e i ricordi, andremo a godere la felicità che non potremmo godere su queste isole!
– Sì – mormorò la giovanetta. – Andremo lontani, da dimenticarle per sempre… da non udirle nominare più mai!
Marianna mandò un sospiro che pareva un gemito e svenne fra le sue braccia. Il pirata si curvò su di lei, ebbro di amore, delirante, strinse il seno palpitante contro quello di lui e spense in un bacio ardente l’ultimo ricordo dell’assassino.
– Quanto è bella! – mormorò egli con voce appassionata. – E sarà di un pirata, di un assassino!
Si strinse il capo fra le mani quasi volesse soffocare il turbine delle memorie e un singhiozzo gli montò alla gola.
– Mia! Mia! – ripeté egli con indefinibile accento di selvaggia passione. – Fui pirata, perché la sventura mi vi ha spinto, fui assassino perché il mio cuore traboccava d’odio e di vendetta, ho bagnato questi mari di sangue di cento e cento vittime, ma non lo sarà più! Fuggirò con lei lontano da questi luoghi ove ogni cosa mi rammenta la vita passata, ove ogni onda mi rammenta una goccia di sangue, ove ogni scoglio mi rammenta un assassinio. Il mio nome morrà, la Tigre della Malesia non farà più udire il suo ruggito, fuggirò dai miei compagni che pur tanto amava. Sarà un sacrificio pur grande pel cuore di un pirata, ma lo farò. Sarai mia, fanciulla divina, ti renderò felice, sarò come uno schiavo sottomesso ai tuoi capricci: il pirata morrà. Sarò un altro uomo!
Sandokan si precipitò sulla fanciulla svenuta e la sollevò fra le sue braccia. Nel medesimo istante una larga mano si posò su una delle sue spalle e una voce grave lievemente commossa, gli disse:
– Fratello mio, lascia gli amplessi e i baci ora, impugna la scimitarra, che il nemico c’insegue!…
Il pirata si volse con feroce urlo stringendo con frenesia la giovanetta quasi paventasse si volesse strappargliela e si trovò di fronte a Yanez che con un braccio teso indicava un punto luminoso all’orizzonte verso Labuan.
– Yanez! Yanez! – esclamò Sandokan.
– Senti, fratello mio – disse il Portoghese. – Or ora ho scorto quel lume all’oriente; vedo laggiù un pericolo per noi, una nave che vola sulle nostre traccie forse desiosa di riacquistare la preda che tu hai rapito a Labuan, forse un incrociatore irto di armi e pieno d’armati. Lascia gli amplessi e le emozioni ora. Mira il pericolo: difendila!
– Sì! Sì! Difenderla, difenderla! – urlò il pirata, che ritornava la Tigre. – Guai a chi tenterà sbarrarmi la via che mi conduce alla felicità, guai a lui! Di’ che vengano a misurarsi meco. Io sarei capace in questo istante, sotto gli occhi di lei, di pugnare col mondo intero. No, non me la lascierò strappare. Sarai mia, Marianna, sempre mia!
Il pirata così parlando sembrava invaso dal delirio, si animava, la voce sua vibrava per la commozione e per l’ira come la lama di una spada, stringeva la giovanetta con una specie di folle furore contro il suo petto, e gli occhi balenavano ai raggi della luna come diventassero di fuoco.
Egli gettò uno sguardo sul lume che pareva avvicinarsi e si strappò di fianco la scimitarra come volesse difendersi contro di esso.
In quell’istante la fanciulla tornò in sé gettando un sospiro, soffocata sotto la stretta furibonda del pirata.
– Sandokan! Sandokan! – esclamò ella gettando le braccia attorno al collo di lui con un movimento di spavento.
– Eccomi, Marianna, non aver paura, non ti strapperanno dal mio fianco le giacche rosse – rispose Sandokan, agitando la scimitarra. – No, non ti avranno. Io sono la Tigre, ti difenderò contro tutti essi.
– Perché quella scimitarra? Mi fa paura, Sandokan. Non siamo lontani adunque da Labuan? Non siamo liberi noi?
Il pirata la guardò con suprema tenerezza ed esitò per un istante. Poi, traendola dolcemente verso poppa senza che ella vi si opponesse, le mostrò colla punta della scimitarra il lume che brillava sopra una grande ombra a riflessi bianchi.
– Una stella! – esclamò la giovanetta, che per un movimento istintivo si serrò contro di lui.
– Una stella? – mormorò Sandokan coll’arma sempre tesa verso il punto luminoso. – No, amor mio, no, Marianna, non è una stella quella che brilla laggiù sopra quell’ombra, è un occhio che scruta avidamente il mare cercandoci, è un fanale che segna una nave, un incrociatore lanciato da quel maledetto sulle nostre traccie irto di armi, carico d’armati, assetati del mio sangue.
– Mio Dio! Ho paura, Sandokan – disse la giovanetta aggrappandosi disperatamente a lui, che la contemplava rapito.
– Non aver paura, sei al mio fianco, sotto la difesa di quest’arma che ha vinto cento pugne sanguinose, a fianco della Tigre della Malesia, che non ha mai tremato di spavento. Tutti gl’Inglesi di Labuan e Borneo, non sarebbero capaci di strapparti dalle mie braccia. Guai a loro, se avessero tanta audacia d’affrontare la Tigre delirante. Guai a loro! Mille uomini cadranno prima di giungere sino a te. Non aver paura, amor mio, sono sempre qua!
– Ma se ti uccidessero, Sandokan, che ne sarebbe mai di me? Chi mi difenderà dopo?
– Uccidermi? – esclamò Sandokan rizzando l’alta statura mentre un lampo d’orgoglio guizzava negli occhi. – Sono invulnerabile!
– E vi difenderò io, milady – disse il Portoghese traendo alla sua volta la scimitarra dinanzi a lei.
– Sì, Marianna, saremo in due che ti difenderemo, due tigri che non hanno mai tremato, due tigri della selvaggia Mompracem.
Le due scimitarre s’incrociarono dinanzi alla giovanetta, che chiuse gli occhi al lampo che ne scattò sotto i raggi della luna.
L’incrociatore, che mezz’ora prima era una semplice ombra indefinibile, era allora visibile appieno coi suoi alberi che spiccavano sul fondo chiaro del cielo, avvolti dal nero fumo della macchina, in mezzo al quale scintillavano alcune scorie che salivano a una certa altezza. La prua affilata tagliava le acque che spumeggiavano chiaramente al chiaro dell’astro notturno, e il vento dell’oriente portava sino al prahos il fragor delle tambure che battevano frettolosamente i flutti.
– Vieni! Vieni! maledetto da Dio! – esclamò Sandokan con veemenza, minacciandolo colla scimitarra mentre coll’altro braccio cingeva la fanciulla spaventata. – Vieni a sfidar la Tigre se hai sangue nelle vene, di’ a tuoi cannoni di ruggire, alle giacche rosse d’impugnare le loro armi. Io non ti temo! Se io ruggo, guai a te!
Quella minaccia parve che venisse intesa dall’incrociatore che trovavasi un miglio appena lontano. Un lampo abbagliante guizzò improvvisamente a prua seguito da una sorda detonazione. Una palla fece saltar l’acqua appena a dieci passi da poppa, spruzzando Giro Batoë che trovavasi al timone. La Tigre della Malesia si mise a sogghignare ma con quel sogghigno tutto suo proprio che agghiacciava sempre il sangue.
– Aspetta un po’, maledetto da Dio, poi vedrai la Tigre all’opera! – tuonò egli, minacciandolo con aria truce e mostrandogli l’abbronzato suo cannone. Un secondo lampo balenò a prua del legno seguito da una detonazione più forte.
Il Portoghese si scosse tutto.
– In coperta! – comandò egli correndo a prua. – Su, tigrotti di Mompracem: vi ha sangue da bere.
– Sandokan! Sandokan! – esclamò Marianna, stringendosi timidamente al suo fianco. – Ho paura.
I pirati uscivano allora dalla stiva, mugolando come tigri. Sandokan prese per mano la giovanetta.
– Vieni, amor mio – le disse dolcemente. – Ti condurrò nel tuo nido al riparo delle bombe di quegli uomini che sino a ieri erano tuoi compatrioti, e che oggi sono tuoi nemici!
S’arrestò un istante, fissando con bieco sguardo il piroscafo che sforzava la sua macchina al punto di correre il rischio di farla saltare, poi porse il braccio alla lady, attraversò il ponte con passo fermo, calmo, ma superbo, e la condusse nel sottoponte, nella cabina.
Era questa una stanzetta che giustificava pienamente il nome di nido datale dal pirata, arredata con un gusto ed una eleganza la più squisita. Le pareti erano scomparse sotto ricche stoffe di seta cremisi e il pavimento era coperto da tappeti indiani che rifulgevano per l’oro e l’argento sparsovi a profusione. Ricchissimi mobigli intarsiati d’avorio e di madreperla occupavano gli angoli; dal soffitto pendeva una gran lampada dorata e in un canto ardeva su di un tripode della polvere di sandalo che spandeva un profumo soave, inebbriante. Il pirata guardò sorridendo Marianna che sembrava sorpresa.
– Vedi – le disse, mentre un nuovo colpo di cannone rombava sul mare. – Questo è il tuo nido, questo è il tuo mondo, e tu sarai la cara colomba che l’abiterà. È sospeso sui flutti, è mobile, ma è sicuro. Non aver paura delle palle dei miserabili che bersagliano il mio legno: esse non ti toccheranno mai, mi capisci, Marianna, mai! Le lamine di ferro che corazzano la poppa le arresteranno e la mia scimitarra infrangerà le armi delle giacche rosse che ardiranno salire sul ponte del mio legno. No, no, non ti rapiranno, mia adorata fidanzata: per farlo, bisognerà che abbiano a passare sul corpo dei miei tigrotti e poi sul mio, il che non accadrà mai. Sono invulnerabile!
«Di’ pure a loro che ruggano, di’ pure a loro che tuonino contro il mio prahos che è dieci volte inferiore del loro piroscafo, di’ pure che vengano all’abbordaggio, io li vincerò, io li fulminerò come il fulmine di Allah che folgora gli empi. È la Tigre della Malesia che te lo dice, Marianna, e puoi credere ad essa che giammai mentì, che giammai s’ingannò!
– Sì, mio valoroso campione, ti credo – mormorò la giovanetta che sentivasi presa da immensa ammirazione per quell’uomo terribile che parlava in tal guisa. – Ma se ti uccidessero? Tutti ti odiano, tutti han giurato di vendicarsi su di te, e tutte le loro palle saran dirette contro il tuo petto da eroe.
– E credi tu, Marianna, che io sia l’uomo che abbia paura? Credi che la Tigre della Malesia li tema? Guarda, mi sento tanto forte, mi sento tanto possente, che sarei capace d’arrestare colle mie mani le bombe delle loro artiglierie!
– Ah! Sandokan! Ho paura.
– No, non tremare, amor mio, non pensarlo nemmeno che essi abbiano a sfondare il mio petto. Vi ha una voce che mi dice che io sono invulnerabile, vi ha una voce interna che mi dice che lassù v’è qualcuno che protegge la Tigre. Ho lottato per tanti anni dinanzi la bocca dei cannoni ruggenti, mi sono precipitato tante e tante volte in mezzo alla mitraglia e giammai una scheggia intaccò le mie carni e le mie ossa!… Fu solo a Labuan, su quella terra esecrabile, su quelle coste maledette, che una palla che tengo ancora in petto mi colpì!… Ma non fu tanto forte da troncare la vita della Tigre, e non ve ne sarà una seconda capace di troncarla. Bisogna che io viva, ora che tu sei mia, ora che la felicità tanto bramata dal giorno che ti vidi mi aspetta, e vivrò a dispetto dei loro cannoni!
– Mio Dio, ma è dunque vero che tu lo proteggi! – esclamò la giovanetta alzando le mani giunte verso il cielo.
– Sì – disse il pirata con una sicurezza che avrebbe convinto il più incredulo. – Vi ha qualcuno che mi protegge, il mio bel genio che mi guida e che mi rende invulnerabile. Rimani, Marianna, nel tuo nido, senza tremare, fanciulla divina. Io lassù, sul ponte, farò scudo col mio petto alle palle del nemico e la mia scimitarra saprà difenderti contro mille di essi. Non avrai paura, non è vero Marianna?
– No, Sandokan, no mio valoroso, non avrò paura, né tremerò quando i cannoni ruggiranno. Sarò forte perché tu ti batti per me!
Il pirata si precipitò verso la giovanetta caduta in ginocchio e prendendo teneramente la testa di lei fra le mani ne baciò le labbra. La contemplò rapito un istante inebbriandosi nell’ardente alito di lei, poi si rizzò ebbro d’amore e di voluttà. Il suo occhio s’infiammò sotto un sinistro lampo e fremente, superbo, battendo fieramente il piede con una intonazione che avrebbe fatto tremare il nemico se fosse stato lì a udirlo, esclamò:
– Ritorno Tigre! – e si slanciò verso la scala salendo sul ponte di già invaso dai suoi uomini.
– Dio mio, salvalo! Non sarà più pirata, non sarà più assassino! – esclamò la giovanetta e cadde sulle ginocchia.
L’equipaggio del prahos svegliato di soprassalto fin dal primo colpo di cannone e dalla voce del Portoghese, non aveva perduto un sol momento. Compreso di che si trattava, senza manifestare né meraviglia, né timore, malgrado la sproporzione di forze, si era gettato bravamente ai cannoni pronti a rispondere al terribile invito dell’incrociatore. I più abili artiglieri avevano di già accese le miccie e vi soffiavano sopra e stavano per cominciare il duello senza nemmeno aspettare il comando quando comparve la Tigre.
Alla vista di quell’uomo, che da solo valeva cento combattenti, dinanzi al quale i più intrepidi fremevano, ritornato il pirata leggendario di Mompracem, trasformato, tutto fuoco e furia, un sol grido scoppiò a bordo del prahos che giunse sino al piroscafo.
– Viva la Tigre! – urlarono i pirati alzando le scimitarre. – Viva la Tigre!
– Largo a me! Largo alla Tigre della Malesia! – esclamò Sandokan respingendo gli artiglieri. – Basterò io solo per struggere il maledetto da Dio!
Era proprio la Tigre che così parlava. Aveva gli occhi che sembravano carboni accesi, il volto aveva assunto quell’espressione feroce e ardita insieme che lo rendeva si temuto in quei mari, le labbra avevano ritrovato il sorriso atroce della Tigre, e parevano assaporare sangue umano. Pareva ingigantito di dieci cubiti. Visto così in quella posa, coi capelli sciolti al vento, animato, minaccioso, quasi ruggente, sembrava una belva che spiasse anelante la preda per dissetarsi nel suo sangue.
Egli si piantò fieramente dinanzi ai cannoni, cogli occhi fissi sull’incrociatore che si avanzava sempre sforzando la macchina e mordendo furiosamente le acque colle ruote, quasi volesse attirarlo colla potenza della sua vista, affascinarlo, bruciarlo coll’ardente alito, e tendendo le mani verso di lui come in una suprema minaccia.
– Qua! Qua! – esclamò egli con quella voce vibrante e metallica. – Essa è sotto di me, riparata dal mio petto che non la cederà ai tuoi cannoni, difesa dalle mie armi che spunteranno le tue. Vieni a riprenderla se ne sei capace. Questa è la mia patria, qui vi ha la mia rossa bandiera che la ricopre, vieni! Non sarai capace di struggere il mio legno, non abbatterai la mia bandiera, non farai tacere i cannoni che la difendono, non mi strapperai la giovanetta che ha detto d’amarmi. Qui vi ha la Tigre della Malesia! Fa ruggire i tuoi cannoni, vieni abbordarmi, se ne sei capace: io ti sfido!
Il pirata, che si sentiva in quel momento tanto forte da cozzare anche contro la flotta dell’Inghilterra intera, con un balzo da leone afferrò la sua rossa bandiera e mostrandogliela:
– Vieni! Vieni! – tuonò egli. – La Tigre ti aspetta per infrangerti ambe le ali!
Piantò il vessillo accanto a sé, poi fiero, rumoreggiante d’ira e di furore, salì sul capo di banda colle mani incrociate sul petto, fissando trucemente il piroscafo che davagli vigorosamente la caccia, vomitando torrenti di fumo nero e denso dal camino troppo ristretto.
I tigrotti, entusiasmati dalla presenza del terribile loro capo, avidi di sangue, trepidanti di cominciare la lotta, impotenti di frenare la loro impazienza, per la seconda volta si gettarono sui cannoni drizzando le fumiganti bocche contro il vascello. La Tigre con un gesto li arrestò.
– Non ancora! – diss’egli con voce rauca. – Non ancora! Lasciatelo venire!
I pirati, quantunque quel comando paresse a loro strano in quei momenti in cui vi era maggior bisogno di agire per arrestare quella nave che cercava abbordarli, ubbidirono ciecamente sicuri che se la Tigre così agiva doveva avere i suoi scopi che essi non erano obbligati a indagare. Il Portoghese stesso arrestò la mano che stava per dar fuoco al cannone e calpestò la miccia, domandandosi però quale pazza idea era saltata in capo a suo fratello.
Voleva forse egli farsi inseguire fino a Mompracem per tentar di poi uno dei suoi giuochi per cui andava tanto famoso? Non era possibile ammetterlo, stante la distanza che separavali ancora dall’isola e la rapidità del vascello da guerra che s’avvicinava sempre più al prahos.
Voleva forse egli aspettarlo e dargli arditamente l’abbordaggio, vendicando la disastrosa rotta subita sulle coste di Labuan? Il Portoghese fremette tutto a tal pensiero, non già per sé, ma per suo fratello e per Marianna. Per quanto i tigrotti fossero stati risoluti, e il loro capo terribile, sarebbero stati inevitabilmente schiacciati dal numero preponderante degli Inglesi, numero che sorpassava i centocinquanta.
– Chi sa, aspettiamo – disse Yanez. – Al momento opportuno farò sentire la mia voce.
Sandokan era sempre al suo posto, sulla murata poppiera, col piede sulla culatta di uno dei cannoni, calmo, tranquillo, ma minaccioso, seguendo attentamente le mosse del piroscafo che fendeva furiosamente le acque. La sua fronte andava man mano corrugandosi profondamente e i suoi occhi talora s’infiammavano e si fissavano in una strana maniera sul ponte del legno nemico.
Yanez, seguendo la direzione del suo sguardo, s’accorse che osservava minutamente l’equipaggio inglese, come se cercasse di scoprire un volto a lui ben noto.
Non dubitò più che Sandokan tentasse di scoprire il suo rivale, il baronetto William.
E infatti non s’ingannava. Il pirata lo cercava avidamente colla potenza del suo sguardo d’aquila, ma dovette in breve accertarsi che il maledetto, l’aborrito ufficiale, non c’era.
– Non lo vedo, non lo vedo – mormorò ferocemente la Tigre contraendo le labbra a un satanico sorriso che tradiva la collera. – Tanto peggio per lui. Lo ritroverò laggiù alla mia isola e lo darò in pasto ai miei tigrotti!
Aveva appena finito che una fiamma guizzò sul legno nemico, che continuava avanzare mordendo colle ruote strepitosamente le tranquille acque. Il proiettile attraversò il ponte del prahos forando le due vele a pochi passi dalla testa del pirata.