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Kitabı oku: «Le tigri di Monpracem», sayfa 17

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A MOMPRACEM

Punito il legno nemico, il quale aveva dovuto fermarsi per riparare i gravissimi danni causatigli dalla granata, così destramente lanciata da Sandokan, il praho coperto dalle sue immense vele si era subito allontanato, con quella velocità che è propria di quel genere di legni i quali sfidano i più celeri clippers della marina dei due mondi. Marianna, affranta da tante emozioni, si era nuovamente ritirata nella graziosa cabina e anche buona parte dell’equipaggio aveva lasciata la coperta non essendo il legno minacciato da alcun pericolo, almeno pel momento. Yanez e Sandokan però non avevano lasciato il ponte. Seduti sul coronamento di poppa discorrevano fra di loro, guardando di quando in quando verso l’est, dove scorgevasi ancora un sottile pennacchio di fumo.

– Quel piroscafo avrà molto da fare a trascinarsi fino a Vittoria – diceva Yanez.

– La bomba lo ha conciato così gravemente, da rendergli impossibile ogni tentativo di inseguimento.

«Credi tu che ce l’abbia mandato dietro lord Guillonk?»

– No, Yanez – rispose Sandokan. – Al lord sarebbe mancato il tempo di accorrere a Vittoria e di avvertire il governatore di ciò che era accaduto.

«Quel legno però doveva cercarci forse da qualche giorno. Ormai nell’isola si doveva sapere che noi eravamo sbarcati.»

– Credi tu che il lord ci lascerà tranquilli?…

– Dubito molto, Yanez. Io conosco quell’uomo e so quanto è tenace e vendicativo. Noi dobbiamo aspettarci, e presto, un formidabile assalto.

– Che venga ad assalirci nella nostra isola?…

– Ne sono certo, Yanez. Lord James gode molta influenza e per di più so che è ricchissimo. A lui sarà quindi facile noleggiare tutti i legni che sono disponibili, arruolare marinai ed avere l’aiuto del governatore. Fra breve noi vedremo comparire dinanzi a Mompracem una flottiglia, lo vedrai.

– E noi cosa faremo?

– Daremo la nostra ultima battaglia.

– L’ultima?… Perché dici così, Sandokan?

– Perché Mompracem perderà poi i suoi capi – disse la Tigre della Malesia con un sospiro. – La mia carriera sta per finire, Yanez. Questo mare, teatro delle mie imprese, non vedrà più i prahos della Tigre a solcare le sue onde.

– Ah! Sandokan…

– Cosa vuoi, Yanez: così è scritto. L’amore della fanciulla dai capelli d’oro doveva spegnere il pirata di Mompracem.

«È triste, immensamente triste, mio buon Yanez, dover dare un addio e per sempre a questi luoghi e dover perdere la fama e la potenza, eppure dovrò rassegnarmi.

«Non più battaglie, non più tuonare di artiglierie, non più fumanti carcasse inabissantisi nei baratri di questo mare, non più tremendi abbordaggi!…

«Ah!… Sento il mio cuore sanguinare, Yanez, pensando che la Tigre morrà per sempre e che questo mare e la mia stessa isola diverranno d’altri.»

– Ed i nostri uomini?

– Essi seguiranno l’esempio del loro capo, se lo vorranno, e daranno anche loro un addio a Mompracem – disse Sandokan con voce triste.

– E la nostra isola dopo tanto splendore dovrà rimanere deserta come lo era prima della tua comparsa?

– Lo diverrà.

– Povera Mompracem!… – esclamò Yanez con profondo rammarico. – Io che l’amavo come fosse già la mia patria, la mia terra natia!…

– Ed io credi che non l’amassi?… Credi tu che non mi si stringa il cuore pensando che forse non la rivedrò più mai e che forse più non solcherò, coi miei prahos, questo mare che io chiamavo mio?… Se io potessi piangere, vedresti quante lagrime bagnerebbero le mie gote. Orsù, così voleva il destino. Rassegnamoci, Yanez, e non pensiamo più al passato.

– Eppure non so rassegnarmi, Sandokan. Veder sparire d’un solo colpo la nostra potenza che ci era costata immensi sacrifici, tremende battaglie e fiumi di sangue!…

– È la fatalità che così vuole – disse Sandokan con voce sorda.

– O meglio l’amore della fanciulla dai capelli d’oro – disse Yanez. – Senza quella donna il ruggito della Tigre della Malesia giungerebbe ancora possente fino a Labuan e farebbe tremare, per lunghi anni ancora, gli inglesi ed anche il sultano di Varauni.

– È vero, amico mio – disse Sandokan. – È la fanciulla che ha dato il colpo mortale a Mompracem. Se non l’avessi mai veduta, chissà per quanti anni ancora le nostre trionfanti bandiere scorrazzerebbero questo mare, ma ormai è troppo tardi per rompere le catene che ha gettato su di me.

«Se fosse stata un’altra donna, pensando alla rovina della nostra potenza, l’avrei sfuggita o ricondotta a Labuan… ma sento che spezzerei per sempre la mia esistenza, se non dovessi più mai rivederla.

«La passione che mi arde in petto è troppo gigante per soffocarla.

«Ah!… Se ella lo volesse!… Se ella non avesse in orrore il nostro mestiere e non avesse paura del sangue e del rombo delle artiglierie!… Quanto farei brillare l’astro di Mompracem accanto a lei!… Un trono potrei darglielo o qui o sulle coste del Borneo, ed invece… Orsù, si compia il nostro destino.

«Andremo a dare a Mompracem l’ultima battaglia, poi lasceremo l’isola e faremo vela…»

– Per dove, Sandokan?

– Lo ignoro, Yanez. Andremo dove ella vorrà, molto lontano da questi mari e da queste terre, tanto anzi da non udirne più mai parlare. Se dovessi rimanere vicino, non so se saprei resistere a lungo alla tentazione di tornare a Mompracem.

– Ebbene, sia; andiamo a impegnare l’ultima pugna e poi si vada pur lontani – disse Yanez con accento rassegnato. – La lotta sarà però tremenda, Sandokan. Il lord ci darà un assalto disperato.

– Troverà la tana della Tigre inespugnabile. Nessuno finora è stato tanto audace da violare le coste della mia ìsola e non le toccherà nemmeno lui. Aspetta che noi siamo giunti e vedrai quali lavori noi intraprenderemo per non farci schiacciare dalla flottiglia che manderà contro di noi.

«Renderemo il villaggio talmente forte da poter resistere al più terribile bombardamento.

«La Tigre non è ancora domata e ruggirà forte ancora e getterà lo sgomento nelle file nemiche.»

– E se dovessimo venire oppressi dal numero? Tu sai, Sandokan, che gli olandesi sono alleati degl’inglesi nella repressione della pirateria. Le due flotte potrebbero unirsi per dare a Mompracem il colpo mortale.

– Se dovessi vedermi vinto, darò fuoco alle polveri e salteremo tutti, assieme al nostro villaggio ed ai nostri prahos.

«Non potrei rassegnarmi alla perdita della fanciulla. Piuttosto di vedermela rapire preferisco la morte mia e sua.»

– Speriamo che ciò non succeda, Sandokan.

La Tigre della Malesia chinò il capo sul petto e sospirò, poi, dopo qualche istante di silenzio, disse:

– Eppure ho un triste presentimento.

– Quale? – chiese Yanez con ansietà.

Sandokan non rispose. Abbandonò il portoghese e si appoggiò sulla murata di prua esponendo l’ardente viso alla brezza notturna.

Era inquieto: profonde rughe solcavano la sua fronte e di tratto in tratto dei sospiri gli uscivano dalle labbra.

– Fatalità!… E tutto per quella creatura celeste – mormorò. – Per lei dovrò perdere tutto, tutto, perfino questo mare che chiamavo mio e consideravo come sangue delle mie vene! Diverrà di loro; di quegli uomini che da dodici anni combatto senza posa, senza tregua, di quegli uomini che mi hanno precipitato dai gradini d’un trono nel fango, che mi hanno ucciso madre, fratelli, sorelle!…

«Ah! tu ti lamenti – continuò guardando il mare, che gorgogliava dinanzi la prua del veloce legno. – Tu gemi, tu non vorresti diventare di quegli uomini, tu non vorresti tornare tranquillo come prima che io qui giungessi, ma credi che anch’io non soffra? Se fossi capace di piangere, da questi occhi schizzerebbero non poche lagrime.

«Orsù, a che lamentarsi ora? Questa fanciulla divina mi compenserà di tante perdite.»

Portò le mani alla fronte come se volesse scacciare i pensieri che gli tumultuavano nell’ardente cervello, poi si raddrizzò e a lenti passi scese nella cabina. S’arrestò udendo Marianna a parlare.

– No, no – diceva la giovanetta con voce affannata. – Lasciatemi, non appartengo più a voi.. Sono della Tigre della Malesia… Perché volermi separare da lui?… Via quel William, io lo odio, via… via!…

– Sogna – mormorò Sandokan. – Dormi sicura fanciulla che qui non corri pericolo alcuno. Io veglio e per strapparti a me bisognerà che passino sul mio cadavere.

Aprì la porta della cabina e guardò. Marianna dormiva respirando affannosamente e agitava le braccia come se cercasse di allontanare una visione. Il pirata la contemplò alcuni istanti con indefinibile dolcezza, poi si ritirò senza far rumore ed entrò nella sua cabina.

All’indomani il praho, che aveva navigato tutta la notte con velocità ragguardevole, si trovava a sole sessanta miglia da Mompracem. Ormai tutti si consideravano al sicuro, quando il portoghese che sorvegliava con grande attenzione, scorse una sottile colonna di fumo che pareva si dirigesse verso l’est.

– Oh! – esclamò egli. – Abbiamo un altro incrociatore in vista? Che io sappia non ci sono vulcani in questo tratto di mare.

Si armò di un cannocchiale e si arrampicò fino sulla cima dell’albero di maestra, scrutando con profonda attenzione quel fumo che allora erasi considerevolmente avvicinato. Quando ridiscese la sua fronte era annuvolata.

– Cos’hai, Yanez? – chiese Sandokan che era tornato in coperta.

– Ho scoperta una cannoniera, fratellino mio.

– Poco di male.

– Lo so che non si arrischierà di attaccarci, essendo quei legni armati usualmente di un solo cannone, ma sono inquieto per altro motivo.

– Quale mai?

– Quel legno viene dall’est e forse da Mompracem.

– Oh!…

– Non vorrei che durante la nostra assenza una flotta nemica avesse bombardato il nostro nido.

– Mompracem bombardata? – chiese una voce argentina dietro di loro. Sandokan si volse rapidamente e si trovò dinanzi a Marianna.

– Ah! Sei tu, amica mia! – esclamò egli. – Ti credevo ancora addormentata.

– Mi sono alzata or ora, ma voi di cosa parlavate? Forse che un nuovo pericolo ci minaccia?

– No, Marianna – rispose Sandokan. – Siamo però inquieti nel vedere una cannoniera che viene dall’occidente ossia dalla parte di Mompracem.

– Temi che abbia cannoneggiato il tuo villaggio?

– Sì, ma non sola; una scarica dei nostri cannoni sarebbe bastata per affondarla,

– Aho! – esclamò Yanez, facendo due passi innanzi.

– Cosa vedi?

– La cannoniera ci ha scorti e vira di bordo dirigendosi verso di noi.

– Verrà a spiarci – disse Sandokan.

Infatti il pirata non si era ingannato. La cannoniera, una delle più piccole, della portata di forse cento tonnellate, armata d’un solo cannone situato sulla piattaforma di poppa, si accostò fino a mille metri, poi virò di bordo ma non si allontanò del tutto, poiché si vedeva sempre il suo pennacchio di fumo a una decina di miglia verso l’est.

I pirati non si preoccupavano per questo, ben sapendo che quel piccolo legno non avrebbe ardito gettarsi contro il praho, le cui artiglierie erano così numerose da tenere testa a quattro di siffatti nemici.

Verso il mezzodì un pirata, che si era arrampicato sul pennone di trinchetto, per accomodare una fune, segnalò Mompracem, il temuto covo della Tigre della Malesia.

Yanez e Sandokan respirarono, ritenendosi ormai sicuri e si precipitarono verso prua seguiti da Marianna.

Là, dove il cielo si confondeva col mare, si scorgeva una lunga striscia ancora di colore indeciso, ma che a poco a poco diventava verdeggiante.

– Presto, presto! – esclamò Sandokan che era in preda ad una viva ansietà.

– Cosa temi? – chiese Marianna.

– Non so, ma il cuore mi dice che laggiù qualche cosa è accaduto. La cannoniera ci segue sempre?

– Sì, vedo il pennacchio di fumo verso l’est – disse Yanez.

– Brutto segno.

– Lo temo anch’io, Sandokan.

– Vedi nulla tu?

Yanez puntò un cannocchiale e guardò con profonda attenzione per alcuni minuti.

– Vedo i prahos ancorati nella baia.

Sandokan respirò e un lampo di gioia balenò nei suoi occhi.

– Speriamo – mormorò.

Il praho, spinto da un buon vento, in capo ad un’ora giunse a poche miglia dall’isola e si diresse verso la baia che s’apriva dinanzi al villaggio.

Ben presto giunse tanto vicino da discernere completamente le fortificazioni, i magazzini e le capanne.

Sulla grande rupe, sulla cima del vasto edificio che serviva di abitazione alla Tigre, si vedeva ondeggiare la grande bandiera della pirateria, ma il villaggio non era più florido come era stato lasciato e i prahos non erano più tanto numerosi.

Parecchi bastioni apparivano gravemente danneggiati, molte capanne si vedevano mezze arse e parecchi legni mancavano.

– Ah! – esclamò Sandokan, comprimendosi il petto. – Ciò che sospettavo è accaduto: il nemico ha assalito il mio covo.

– E vero – mormorò Yanez, con dolore.

– Povero amico – disse Marianna colpita dal dolore che si rifletteva sul viso di Sandokan. – I miei compatrioti hanno approfittato della tua assenza.

– Sì – rispose Sandokan scuotendo tristemente il capo. – La mia isola, un dì temuta e inaccessibile, è stata violata e la mia fama si è oscurata per sempre!

LA REGINA DI MOMPRACEM

Pur troppo Mompracem, l’isola ritenuta così formidabile da sgomentare i più coraggiosi al solo vederla, era stata violata non solo, ma per poco non era caduta nelle mani dei nemici.

Gli inglesi, probabilmente informati della partenza di Sandokan, certi di trovare un presidio debole, si erano improvvisamente portati contro l’isola, bombardando le fortificazioni, colando a fondo parecchi legni e incendiando parte del villaggio. Avevano spinto la loro audacia fino a sbarcare delle truppe per tentare di impadronirsene, ma il valore di Giro-Batol e dei suoi tigrotti aveva finalmente trionfato e i nemici erano stati costretti a ritirarsi per tema di venire sorpresi alle spalle dai prahos di Sandokan, che ritenevano poco lontani. Era stata una vittoria, è vero, ma per poco l’isola non era andata nelle mani del nemico.

Quando Sandokan e i suoi uomini sbarcarono, i pirati di Mompracem ridotti a metà, si precipitarono incontro a lui con immensi evviva, reclamando vendetta contro gli invasori.

– Andiamo a Labuan, Tigre della Malesia – urlavano. – Rendiamo le palle che hanno scagliate contro di noi!

– Capitano – disse Giro-Batol facendosi innanzi. – Noi abbiamo fatto il possibile per abbordare la squadra che ci assalì, ma non vi riuscimmo. Conduceteci a Labuan e noi distruggeremo quell’isola fino all’ultimo albero, all’ultimo cespuglio.

Sandokan, invece di rispondere, prese Marianna e la condusse dinanzi alle orde:

– È la patria di costei, – disse, – la patria di mia moglie!

I pirati vedendo la giovanetta che fino allora era rimasta dietro a Yanez, mandarono un grido di sorpresa e di ammirazione.

– La «Perla di Labuan»! Viva la «Perla»!… – esclamarono, cadendo in ginocchio dinanzi a lei.

– La sua patria mi è sacra, – disse Sandokan, – ma fra poco avrete campo di rimandare ai nostri nemici le palle che essi scagliarono su queste coste.

– Stiamo per venire assaliti? – chiesero tutti.

– Il nemico non è lontano, miei prodi; voi potete scorgere la sua avanguardia in quella cannoniera che gira arditamente presso le nostre coste. Gli inglesi hanno forti motivi per assalirmi: vogliono vendicare gli uomini che noi uccidemmo sotto le foreste di Labuan e strapparmi questa giovanetta. Tenetevi pronti, che il momento forse non è lontano.

– Tigre della Malesia – disse un capo avanzandosi. – Nessuno, finché uno di noi rimarrà vivo, verrà a rapire la «Perla di Labuan» ora che la ricopre la bandiera della pirateria. Ordinate: noi siamo pronti a dare tutto il nostro sangue per lei!

Sandokan, profondamente commosso guardò quei prodi che acclamavano le parole del capo e che, dopo aver perduto tanti compagni, ancora offrivano la loro vita per salvare colei che era stata la principale causa delle loro sventure.

– Grazie amici – disse con voce soffocata.

Si passò più volte una mano sulla fronte, mandò un profondo sospiro, porse il braccio alla lady che non era meno commossa e si allontanò col capo chino sul petto.

– È finita – mormorò Yanez con voce triste.

Sandokan e la sua compagna salirono la stretta gradinata che conduceva sulla rupe, seguiti dagli sguardi di tutti i pirati che li guardavano con un misto di ammirazione e di rammarico, e si fermarono dinanzi alla grande capanna.

– Ecco la tua dimora – diss’egli entrando. – Era la mia; è un brutto nido dove si svolsero talora cupi drammi… E indegno di ospitare la «Perla di Labuan», ma è sicuro, inaccessibile al nemico che non potrà forse mai qui giungere.

«Se tu fossi diventata la Regina di Mompracem, l’avrei abbellito, ne avrei fatto una reggia… Orsù, perché parlare di cose impossibili? Tutto è morto o sta per morire qui.»

Sandokan portò le mani al cuore e il suo viso si alterò dolorosamente. Marianna gli gettò le braccia al collo.

– Sandokan tu soffri, tu mi nascondi i tuoi dolori.

– No, anima mia, sono commosso, ma nulla di più. Che vuoi? Nel ritrovare la mia isola violata, le mie bande decimate e nel pensare che fra poco tutto dovrò perdere…

– Sandokan, tu rimpiangi adunque la tua passata potenza e soffri all’idea di dover perdere la tua isola. Odimi, mio eroe, vuoi tu che io rimanga in quest’isola fra i tuoi tigrotti, che impugni anch’io la scimitarra e che combatta al tuo fianco? Lo vuoi?

– Tu! tu! – esclamò egli. – No, non voglio che tu diventi una donna simile. Sarebbe una mostruosità l’obbligarti a rimanere qui, l’assordarti sempre col rimbombo delle artiglierie e colle urla dei combattenti ed esporti ad un continuo pericolo. Due felicità sarebbero troppo e non le voglio.

– Tu dunque mi ami più della tua isola, dei tuoi uomini, della tua fama?

– Sì, anima celeste. Questa sera radunerò le mie bande e dirò loro che noi, dopo combattuta l’ultima battaglia, abbasseremo per sempre la nostra bandiera e lasceremo Mompracem.

– E che cosa diranno i tuoi tigrotti a simile proposta? Essi mi odieranno sapendo ch’io sono la causa della rovina di Mompracem.

– Nessuno oserà alzare la voce verso di te. Io sono ancora la Tigre della Malesia, quella Tigre che li ha fatti sempre tremare con un solo gesto.

«E poi mi amano troppo per non obbedirmi. Orsù, lasciamo che si compia il nostro destino.»

Soffocò il sospiro, poi disse con un amaro rimpianto:

– L’amor tuo mi farà dimenticare il mio passato e forse anche Mompracem.

Depose sui biondi capelli della fanciulla un bacio, quindi chiamò i due malesi addetti all’abitazione e:

– Ecco la vostra padrona – disse loro indicando la giovane. – Obbeditele come a me stesso.

Ciò detto, dopo di aver scambiato con Marianna un lungo sguardo, uscì a rapidi passi e discese sulla spiaggia.

La cannoniera fumava sempre in vista dell’isola, dirigendosi ora verso il nord ed ora verso il sud. Pareva che cercasse di scoprire qualche cosa, probabilmente qualche altra cannoniera o incrociatore proveniente da Labuan. Intanto i pirati, prevedendo ormai un non lontano attacco, lavoravano febbrilmente sotto la direzione di Yanez, rinforzando i bastioni, scavando fossati e rialzando scarpe e stecconate.

Sandokan si avvicinò al portoghese che stava disarmando i prahos delle loro artiglierie per guarnire un potente ridotto, costruito proprio al centro del villaggio.

– Nessun’altra nave è comparsa? – gli chiese.

– No, – rispose Yanez, – ma la cannoniera non lascia le nostre acque e questo è un brutto segno. Se il vento fosse tanto forte da superare la macchina, l’assalirei con molto piacere.

– Bisogna prendere delle misure per mettere al riparo le nostre ricchezze e in caso di sconfitta preparaci la ritirata.

– Temi di non poter far fronte agli assalitori?

– Ho dei presentimenti sinistri, Yanez; sento che quest’isola io sto per perderla.

– Bah! Oggi o fra un mese è tutt’uno, dacché hai deciso di abbandonarla. I nostri pirati lo sanno?

– No, ma questa sera condurrai le bande nella mia capanna e là apprenderanno le mie decisioni.

– Sarà un brutto colpo per loro, fratello.

– Lo so, ma se vorranno continuare per proprio conto la pirateria, io non lo impedirò.

– Non pensarlo! Sandokan. Nessuno abbandonerà la Tigre della Malesia e tutti ti seguiranno ove vorrai.

– Lo so, mi amano troppo questi prodi. Lavoriamo, Yanez, rendiamo la nostra rocca se non imprendibile, almeno formidabile.

Raggiunsero i loro uomini che lavoravano con accanimento senza pari, rizzando nuovi terrapieni e nuove trincee, piantando enormi palizzate che guarnivano di spingarde, accumulando immense piramidi di palle e di granate, riparando le artiglierie con barricate di tronchi d’albero, di macigni e di lastre di ferro strappate ai navigli saccheggiati nelle loro numerose scorrerie. Alla sera la rocca presentava un aspetto imponente e poteva dirsi inespugnabile.

Quei centocinquanta uomini, poiché a così pochi erano ridotti dall’attacco della squadra e dalla perdita di due equipaggi, che avevano seguito Sandokan a Labuan, e dei quali non si aveva avuto nessuna nuova, avevano lavorato come cinquecento.

Calata la notte Sandokan fece imbarcare le sue ricchezze su di un grande praho e lo mandò assieme ad altri due, sulle coste occidentali onde prendere il largo se la fuga fosse diventata necessaria.

Alla mezzanotte Yanez, coi capi e tutte le bande, saliva alla gran capanna dove lo aspettava Sandokan.

Una sala, ampia tanto da contenere duecento e più persone, era stata arredata con lusso insolito. Grandi lampade dorate versavano torrenti di luce facendo scintillare l’oro e l’argento degli arazzi e dei tappeti e la madreperla che adornava i ricchi mobili di stile indiano.

Sandokan aveva indossato il costume di gala, di raso rosso e il turbante verde adorno di un pennacchio tempestato di brillanti. Portava alla cintura i due kriss, insegna di gran capo e una splendida scimitarra colla guaina d’argento e l’impugnatura d’oro.

Marianna invece indossava un vestito di velluto nero trapunto in argento, frutto di chissà mai quale saccheggio e che lasciava allo scoperto le braccia e le spalle sulle quali cadevano come pioggia d’oro i suoi stupendi capelli biondi. Ricchi braccialetti adorni di perle d’inestimabile valore e un diadema di brillanti, che mandava sprazzi di luce, la rendevano più bella, più affascinante. I pirati nel vederla non avevano potuto trattenere un grido di ammirazione dinanzi a quella superba creatura, che essi riguardavano come una divinità.

– Amici, miei fedeli tigrotti – disse Sandokan chiamando intorno a sé la formidabile banda. – Qui vi ho chiamati per decidere la sorte della mia Mompracem.

«Voi mi avete veduto lottare per tanti anni senza posa e senza pietà contro quella razza esecrata che assassinò la mia famiglia, che mi rapì una patria, che dai gradini di un trono mi precipitò a tradimento nella polvere e che mira ora alla distruzione della razza malese, voi mi avete veduto lottare come una tigre, respingere sempre gli invasori che minacciavano la nostra selvaggia isola, ma ora basta. Il destino vuole che mi arresti, e così sia.

«Ormai sento che la mia missione vendicatrice è finita; sento di non saper più ruggire né combattere come un tempo, sento d’aver bisogno di riposo.

«Combatterò ancora un’ultima battaglia col nemico che verrà forse domani ad assalirci, poi darò un addio a Mompracem e andrò lontano a vivere con questa donna che amo e che diverrà mia moglie. Vorrete voi continuare le imprese della Tigre? Vi lascio i miei legni e i miei cannoni e se preferite seguirmi nella mia nuova patria, vi considererò ancora come miei figli.»

I pirati, che parevano atterriti da quella rivelazione inaspettata, non risposero, ma si videro quei volti, anneriti dalla polvere dei cannoni e dai venti del mare, bagnarsi di lagrime.

– Piangete! – esclamo Sandokan con voce alterata dalla commozione. – Ah! Sì, vi comprendo miei prodi, ma credete che anch’io non soffra all’idea di non rivedere forse più mai la mia isola, il mio mare, di perdere la mia potenza, di rientrare nell’oscurità dopo aver tanto brillato, di aver conquistata tanta fama, sia pure terribile, sinistra? È la fatalità che così vuole e curvò il capo e poi ora non appartengo che alla «Perla di Labuan».

– Capitano, mio capitano! – esclamò Giro-Batol che piangeva come un fanciullo. – Rimanete ancora fra noi, non abbandonate la nostra isola. Noi la difenderemo contro tutti, noi leveremo uomini, noi se vorrete, distruggeremo Labuan, Varauni e Sarawack onde più nessuno osi minacciare la felicità della «Perla di Labuan».

– Milady! – esclamò Juioko. – Rimanete anche voi, noi vi difenderemo contro tutti, noi faremo coi nostri corpi scudo contro i colpi del nemico e se vorrete conquisteremo un regno per darvi un trono.

Fra tutti i pirati vi fu un’esplosione di vero delirio. I più giovani supplicavano, i più vecchi piangevano.

– Rimanete milady! Rimanete a Mompracem! – gridavano tutti affollandosi dinanzi alla giovanetta. Questa ad un tratto si avanzò verso le bande, reclamando con un gesto il silenzio.

– Sandokan – disse con un accento che non tremava. – Se ti dicessi rinuncia alle tue vendette e alla pirateria e se io spezzassi per sempre il debole vincolo che mi lega ai miei compatrioti e adottassi per patria quest’isola, accetteresti tu?

– Tu, Marianna, rimanere sulla mia isola?

– Lo vuoi?

– Sì e io ti giuro che non prenderò le armi che in difesa della mia terra.

– Mompracem sia adunque la mia patria e qui rimango!

Cento armi si innalzarono e si incrociarono sul petto della giovanetta che era caduta fra le braccia di Sandokan, mentre i pirati ad una voce gridarono:

– Viva la Regina di Mompracem! Guai a chi la tocca!…

Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
30 ağustos 2016
Hacim:
350 s. 1 illüstrasyon
Telif hakkı:
Public Domain
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