Kitabı oku: «Straordinarie avventure di Testa di Pietra», sayfa 18
«Per San Patrick, signor Howard,» gridò Mac-Lellan avanzandosi fin sotto la murata di tribordo, «cosa diavolo fate?»
«Voi, mio comandante!» rispose il luogotenente, mentre uno scoppio di evviva salutava da parte dei marinai il ritorno del loro capitano. «Siete sano e salvo?»
«Lo vedete pure.»
«Il cielo sia ringraziato… Ma l’esplosione del castello?»
«Provocata da noi.»
«Ottimamente.»
«Gettateci subito una scala.»
«È già fatto.»
Tutti salirono a bordo, e immediatamente il signor Howard condusse le signore nel castello di poppa guidandole alle cabine del quadro.
Sir William e gli altri erano rimasti sulla tolda.
«Nulla di nuovo?» chiese il baronetto ad un contromastro timoniere.
«No, comandante,» rispose il lupo di mare, «salvo quella cosa là.»
E indicò col braccio teso uno dei pennoni di maestra, dal quale pendeva una forma scura che aveva tutto l’aspetto di un corpo umano.
«Un impiccato!…» esclamò Sir William.
«Sì, comandante.»
«E chi è?»
«Il prigioniero.»
«Che… il pilota?»
«Già!»
«Tu mi spiegherai come si è potuto trasgredire al mio ordine, infrangere la disciplina, giustiziando in mia assenza un uomo che io non avevo condannato ancora.»
Il contromastro parve imbarazzato a rispondere.
«Comandante,» disse alfine «puniteci tutti, poiché tutti siamo colpevoli… Ma che volete? Quando abbiamo udito l’esplosione del castello ove si sapeva che voi eravate alloggiato, abbiamo compreso che era opera di quei cani d’inglesi, e allora siamo stati invasi da un tal furore che, per vendicarci su qualcuno, abbiamo voluto impiccare il pilota che, col suo tradimento, era stato la vera causa della vostra morte, perché proprio noi vi credevamo morto ed eravamo disperati, ve lo assicuro. Il signor Howard non voleva, perché sperava di rivedervi, giurandoci che un uomo come voi non poteva morire così stupidamente… E aveva ragione, mah!… Ora ne sapete quanto me. Vi abbiamo disobbedito perché vi vogliamo troppo bene… ma la disciplina è sempre la disciplina.»
Sir William restò muto, pensieroso, concentrato in sé.
«Che uomini!» mormorò sospirando, e a voce alta soggiunse:
«È morto ormai lo sciagurato?»
«Eh sì, comandante, a quest’ora viaggia verso il regno del suo compare Belzebù.»
«Allora fa chiudere il cadavere in un sacco, aprire un foro attraverso il ghiaccio e che trovi anch’esso pace in fondo al lago. È necessario obliare… e io non voglio veder nulla che ridesti la mia memoria.»
«Sarete subito obbedito, comandante,» rispose il lupo di mare allontanandosi in fretta.
«Andiamo sotto coperta,» disse il baronetto a coloro che adesso diventavano suoi ospiti. «Noi abbiamo ben bisogno di quiete per l’anima e di riposo pel corpo.»
Tutti lo seguirono in silenzio.
Il resto di quella notte d’inferno trascorse senza incidenti e così gran parte del giorno successivo.
Fin dalle prime ore del mattino Enrico Clairmont aveva abbandonato la nave insieme con gli Algonchini di scorta, munito di una lettera di Sir William per Washington, e si era posto in cammino per raggiungere al più presto i quartieri generali del dittatore della nuova repubblica.
Il baronetto e i suoi amici erano sul ponte della corvetta assieme alle signore, quando una sentinella posta sulla più alta gabbia del trinchetto gridò nel portavoce:
«Attenti, truppa d’uomini in vista.»
«Puoi distinguere se sono indiani od europei?» chiese a sua volta Sir Wilham usando il portavoce.
«Non ancora comandante.»
«Guardate bene.»
«Lo sto facendo.»
«E si dirigono alla nostra volta?»
«Non vi è dubbio.»
«Probabilmente si tratta di Testa di Pietra che ritorna.»
«Comincio infatti a riconoscere, nell’avanguardia, degli uomini bianchi.»
«Ah, ah!…»
«Però…»
«Continua.»
«Mi par di vedere… Corpo di mille fregate, in guardia., mio comandante.»
«Che altro c’è?»
«Si tratta…»
«Di chi?»
«D’inglesi in carne ed ossa. Ecco là le loro divise… Possano tutti sprofondare in un crepaccio!»
«Ne sei ben certo?»
«Ormai non posso più dubitarne. Ho gli occhi buoni io.»
«Quanti saranno?»
«Non meno di duecento.»
«Soldati?»
«Soldati e marinai, ora li distinguo anche meglio: sono tutti armati, hanno le baionette in canna correcome se dovessero fare una carica.»
«Per San Patrick!… E Testa di Pietra che non si vede ancora!» disse Sir Mac-Lellan. «Che gli sia accaduta proprio una disgrazia, come avete pensato voi, signor barone? È evidente che da qualche nave di Burgoyne fu udita l’esplosione fortissima di questa notte e che una truppa d’inglesi si è messa in marcia pur da una grande distanza, per verificare ciò che è avvenuto.»
«Lo suppongo anch’io.»
«Avremo quindi addosso ben presto anche quegli altri là, ma ora non li temo. La mia nave è solida come una fortezza galleggiante e ha una corona di cannoni e un armamento di colubrine e di spingarde facilmente trasportabili capaci di tener testa ad un esercito. Fucili e munizioni non mi mancano… sono perciò abbastanza tranquillo.»
«Tuttavia non è piacevole dover dare battaglia ogni momento quando si hanno da difendere degli esseri cari.»
«Sono del vostro parere, signor barone, ma ci troviamo in piena guerra e, come ad una festa da ballo, bisogna danzare.»
«Cercheremo di non far torto alla… scuola francese, in tal caso, sebbene i miei capelli bianchi non mi lascino troppe illusioni… Ah, ah!»
Mac-Lellan rise anch’egli dell’allusione scherzosa, e soggiunse:
«Permettete, chiamo i miei uomini e li preparo a ricevere gli invitati.»
«Fate pure, sir.»
«Tutti gli uomini sul ponte!…» tuonò allora il corsaro.
All’ordine, l’intero equipaggio con a capo il luogotenente Howard venne a schierarsi lungo le murate, armato di moschetto, pistole e sciabole d’arrembaggio.
«Miei bravi,» disse Sir William, «una truppa d’inglesi è in vista e marcia a questa volta, certo con l’intento di assalirci. Io vi conosco per avervi provato in cento imprese rischiose, dalle quali uscite meco con onore. Credo quindi che anche oggi non farete torto alla vostra fama.»
«Evviva Sir William, evviva il corsaro delle Bermude.»
«Grazie, amici miei; ed ora ciascuno vada al suo posto di combattimento. I fucilieri dietro le murate, gli artiglieri ai loro pezzi; si spari solo al comando e a colpo sicuro.»
Gli uomini, ai quali si erano aggiunti i fuggitivi del castello.castello, obbedirono prontamente. Piccolo Flocco e i due assiani si erano posti vicini l’uno all’altro con accanto una dozzina di moschetti e un mucchio di pistole cariche, per avere la possibilità di fare un fuoco continuo e regolare.
Dietro di loro tre algonchini avevano l’incarico di ricaricare le armi man mano che venivano scaricate. L’attesa non fu lunga. Ad un tratto la testa della colonna inglese comparve. Sir William.William, che ne spiava l’arrivo, impallidì repentinamente e afferrò un braccio del barone di Clairmont che gli stava accanto.
«Amico mio,» mormorò, «sapete chi guida quelle truppe?»
«In verità no.»
«Ve lo dirò io… Il marchese di Halifax.»
«Diavolo, ha dunque l’anima ben attaccata al corpo, quello scellerato, e gode la protezione del demonio per avere tanta fortuna.»
«Ed io che avevo sparso delle lagrime pietose sulla morte del mio signor fratello. Eccolo invece ancora là, più che mai furioso e infiammato d’odio contro di me. Ma basta, ora vi giuro che ogni scrupolo è spento in me e che non lascerò nulla d’intentato per ucciderlo come un cane idrofobo.»
«Io vi aiuterò, sir.»
La conversazione fu interrotta dall’avvicinarsi di tre soldati inglesi, uno dei quali recava sulla baionetta una bandiera bianca da parlamentario, e un ufficiale.
La truppa si era fermata, schierandosi davanti alla corvetta. L’ufficiale inglese con i suoi tre uomini si appressò fino a portata di voce, e gridò:
«Chiedo di parlare col comandante di codesta nave.»
«Sono io,» rispose il corsaro.
«Vorreste favorirmi il vostro nome?»
«Non ho motivo per celarvelo, gentleman: sono il baronetto William Mac-Lellan.»
«È appunto di voi, sir, che cercavo.»
«Avete qualcosa da dirmi?»
«Nulla per parte mia, qualcosa per parte del marchese di Halifax mio comandante.»
«Oh, oh, si è dunque salvato il mio degno fratello?»
«Sì, si è salvato, sir, e per un vero miracolo…»
«Sapete che sono ben di cattivo gusto oggigiorno gli operatori di miracoli?»
«Sir, il marchese di Halifax è scampato all’esplosione che ha distrutto il castello di Clairmont, lasciando sotto le rovine fiammeggianti tutti i suoi. Egli ha tentato di raggiungere a piedi una delle nostre navi, ed ha avuto la fortuna d’incontrare noi che, avendo udito lo scoppio, movevamo alla sua ricerca. Ora egli è deciso a definire per sempre la sua lite mortale con voi e vi propone un duello alle seguenti condizioni: voi ed egli vi porrete di fronte alla distanza di trenta passi, segnati da trenta pistole poste al suolo ad un passo l’una dall’altra; vi scambierete un colpo ad ogni passo, gettando via la pistola vuota, finché uno dei due sia morto. Accettate?»
«Accetto,» rispose Sir William con noncuranza.
L’ufficiale s’inchinò e ritornò verso i suoi.
23 – Il ritorno di Testa di Pietra
I preparativi di quello strano duello, che doveva rappresentare la soluzione di una lotta tremenda che durava da anni tra due uomini che avevano lo stesso sangue, non furono lunghi.
Dalla parte degli inglesi alcuni soldati si avanzarono fino a metà dello spazio che intercedeva tra la corvetta e le truppe avversarie e deposero sul ghiaccio, l’una a distanza di un passo dall’altra, quindici pistole.
Piccolo Flocco. accompagnato dai due assiani e da due marinai scese a sua volta dalla nave e andò a collocare alla stessa guisa un eguale numero di pistole, così che dall’ultima arma di Halifax all’ultima di Sir William non vi fosse che lo spazio di un passo.
Il corsaro abbracciò Mary di Wentwort che, per non commuoverlo, nascondeva a prezzo di sforzi titanici la sua angoscia, cercando di mostrarsi tenera ma calma e piena di fiducia; poi strinse la mano ai suoi amici e salutò affettuosamente i suoi corsari.
«Se mi dovesse accadere una disgrazia,» disse «non cercate di vendicarmi; un duello non è un assassinio e chi vince deve essere rispettato, purché non abbia commesso frode. Vi raccomando soltanto di difendere contro ogni insidia, ogni pericolo, la mia sposa.»
«Giuriamo di obbedirvi,» tutti risposero commossi e con le lacrime agli occhi.
«Grazie, ed ora… non addio, ma arrivederci. La buona causa è mia, e il cielo mi assisterà, ne sono certo.»
Si strappò con dolce violenza dalle braccia di Mary e scese rapidamente la scaletta di corda che pendeva fuori bordo, recandosi a passi rapidi al suo posto di fronte al suo avversario che già si era collocato presso la prima pistola.
Un ufficiale inglese regolava il duello.
I testimoni erano l’equipaggio della nave e le truppe inglesi.
«Pronti,» disse ad un tratto il direttore. «Alle pistole.»
Con un atto simultaneo Sir William e Halifax si chinarono ad afferrare il calcio dell’arma che era ai loro piedi.
«Puntate!…» soggiunse l’ufficiale.
I due avversari si presero di mira. Il loro polso era fermo, il loro viso calmo, lo sguardo fisso e sicuro: indifferente quello di Sir William, iniettato di odio quello del marchese di Halifax.
Il comando estremo echeggiò nel silenzio pieno di ansiosa attesa.
«Fuoco!…»
Due spari si udirono, seguiti da due sibili acuti attraverso gli strati aerei. Gli avversari rimasero ritti e immobili. Nessuno era stato colpito.
«Avanti!…» disse dopo una breve pausa l’ufficiale che dirigeva il duello e, visti i due accaniti nemici avanzare di un passo, ripeté i comandi di prima.
Altre due detonazioni ruppero il silenzio.
Ma questa volta un grido soffocato tenne loro dietro e si vide il marchese di Halifax barcollare e portarsi una mano ad un fianco. Alcuni fecero l’atto di accorrere per sostenerlo, ma egli respinse con un cenno ogni aiuto.
«Continuiamo,» disse con la voce un po’ debole ma sempre tagliente e gravida di rancore. «Il duello non deve cessare che quando uno dei due sia morto o incapace di sparare una pistola… ed io non sono ancora in tali condizioni, grazie al diavolo mio compare, e non ho ancora perduta la speranza di vedere, prima di morire, il sangue del mio fratello bastardo.»
Il corsaro finse di non udire le parole insultanti e restò impassibile.
Il duello continuò. Altri due spari si ripercossero negli echi fievoli del lago gelato.
Lord Halifax, colpito, girò su se stesso e poi cadde al suolo.
Allora avvenne una cosa orribile, mostruosa, atroce per la spaventosa violenza di un odio enorme, per la ferocia incredibile di un’anima bassa e chiusa ad ogni sentimento nobile.
Il ferito, bruttato di sangue, già invaso dai geli della morte, si trascinò disperatamente verso la pistola vicina, ansando, digrignando i denti, concentrando gli ultimi resti della sua vitalità agonizzante nello sguardo cupo, nell’atto selvaggiamente omicida.
Dopo sforzi titanici riuscì ad afferrare l’arma, a sollevarsi un poco sul braccio sinistro, prendere tremando la mira, e sparare…
Un’esclamazione giunse al suo orecchio, ed egli vide il corsaro portar la mano al braccio sinistro.
«Ah, finalmente l’ho colpito… Egli avrà un ricordo del mio odio finché gli durerà la vita. Ora posso morire, giacché così ha voluto il mio infelice destino… Ma… muoio.. male… maledicendo tutti… che possano essere… infelici… in… eterno… Ah!…»
Impallidì orribilmente, roteò le pupille in una suprema contrazione spasmodica, poi s’arrovesciô all’indietro, restando immobile.
Era morto.
Quando Sir William risalì a bordo della sua corvetta fu accolto dalle più calorose dimostrazioni di gioia per la sua vittoria che lo liberava per sempre da un nemico implacabile.
Mary di Wentwort se lo stringeva fra le braccia piangendo di consolazione e gli diceva le cose più dolci e più soavi.soavi, il barone di Clairmont gli teneva la destra serrata fra le mani. Piccolo Flocco sfogava la sua contentezza prodigando un mondo di galanterie a Lisetta, Hulrik esprimeva a Wolf il suo dispiacere per l’assenza di Testa di Pietra che aveva perduto una sì bella occasione, tutti i marinai ballavano allegramente e beffeggiavano con gesti di sfida gl’inglesi.
Improvvisamente alcuni colpi di moschetto partirono dalla schiera inglese in risposta delle beffe dei corsari; i proiettili passarono al di sopra delle teste, ma bastarono a provocare lo scoppio delle ostilità.
Subito i marinai della nuova Tuonante riafferrarono le armi e aprirono un nutrito fuoco di moschetteria sui nemici, urlando a squarciagola:
«Viva il corsaro delle Bermude, viva la repubblica americana… Abbasso l’Inghilterra!»
Ma gli inglesi erano davvero soldati coi fiocchi e sebbene fossero fulminati terribilmente dalle scariche dei corsari, marciarono intrepidi all’assalto della corvetta.
Ad un tratto la nave si coronò di un balenio stupendo e un rombo unito, fortissimo scosse gli strati aerei.
Erano le sue artiglierie che entravano in ballo.ballo, seminando la morte tra i nemici.
Questi però erano più del doppio numerosi e avevano armi eccellenti; esperimentati alle battaglie, prodi per virtù naturale, animati dal furore, essi avanzavano vigorosamente, senza curarsi della strage che si faceva tra di loro.
Giunsero così alle murate della corvetta, decimati in gran parte, ma fuori del tiro dei cannoni, e montarono all’arrembaggio. S’impegnò allora una lotta feroce; i colpi seguivano ai colpi, grida formidabili e bestemmie si univano agli spari delle armi da fuoco, riempiendo l’aria di un clamore orribile che l’eco portava lontano sulle sue ali.
Ad onta della strenua difesa dei nostri, parecchie decine d’inglesi erano riuscite a balzare sul ponte della nave conquistandone a palmo a palmo il ponte e già i corsari cominciavano a dubitare seriamente delle sorti di quella lotta accanita, quando si udirono in lontananza delle grida innumerevoli e si videro le rive del Champlain popolarsi d’infiniti punti neri che ingrandivano, prendevano forma umana, figura d’indiani accorrenti, gesticolanti, urlanti.
Poi, come un’eco fievole appena distinta arrivò una caratteristica esclamazione:
«Corpo di tutti i campanili della Bretagna!…»
Fu un raggio di sole fra le tenebre, una scossa elettrica ad un corpo inerme.
«È Testa di Pietra, è il mastro della Tuonante che ritorna con i suoi Mandani e con gli Algonchini… Evviva! evviva!… un ultimo sforzo, via!…»
I corsari ripigliarono animo all’istante e fecero una furiosa carica contro gl’inglesi, respingendoli addosso ai bordi delle murate.
Ma, a quale scopo narrare più oltre una lotta che ormai si decideva nettamente?
Mezz’ora dopo, Testa di Pietra giungeva alla corvetta seguito da Jor e da Riberac, ch’egli aveva ritrovato chiuso in una capanna con le mani e piedi legati, in mezzo a una foresta che gli Irochesi avevano incendiata condannando il trafficante al rogo indiano.
Gl’inglesi furono in parte uccisi, gli altri vennero fatti prigionieri. Sir William li disarmò e li rimandò spogli al generale Burgoyne, dicendo loro:
«Voi combattete per una causa ingiusta: quella di tutti gli oppressori. Pure la vostra colpa è nulla in confronto a quella di coloro che vi mandano al macello, come poveri esseri senza valore. È perciò che vi rilascio, augurandovi di ritornare presto alle vostre case sani e salvi. La liberazione dell’America del Nord sarà ben presto un fatto compiuto. Iddio stesso la vuole e nessuna potenza umana potrà impedirla. Io saluto in voi il valore sfortunato. Andate!»
24 – Conclusione
La storia dell’indipendenza degli Stati Uniti è troppo nota perché noi abbiamo a farla qui, in un arido riassunto.
Salteremo quindi tutto il periodo di tempo trascorso dagli avvenimenti che ci hanno occupati fino alla liberazione dell’America, per fermarci un giorno, a bordo di una nave che faceva vela per l’Europa.
Sopra questa nave, che batteva bandiera degli Stati Uniti d’America e portava scritto nel coronamento di poppa in lettere d’oro la dicitura Tuonante, erano riuniti sul ponte quattro donne e alcuni uomini.
Le donne erano Mary di Wentwort, la baronessa di Clairmont, sua figlia e Lisetta; gli uomini erano Sir William Mac-Lellan, il barone di Clairmont e i suoi due figli, Testa di Pietra, Piccolo Flocco, gli assiani Wolf e Hulrik, Jor, Riberac e l’abate Rivoire.
La felicità più completa brillava sul volto di ciascuno di questi personaggi. Ogni nube era sparita dal loro orizzonte. Tutti chiacchieravano allegramente; Piccolo Flocco stuzzicava la sua giovane sposa Lisetta; mastro Testa di Pietra minacciava:
«Guai a te, mozzo del Pouliguen, se non mi fabbrichi presto una mezza dozzina di gabbieri!… Ho piantato in asso i Mandani e le mie tredici mogli in qualità di sackem, per seguirti e farti da padre. È quindi giusto, corpo della mia pipa di famiglia, che tu diventi uomo.»
Hulrik si cullava più che mai nei suoi sogni di futuro gabbiere. Riberac faceva i conti della sue ghinee ritrovate intatte. Solo Jor appariva preoccupato.
Sir William gliene chiese la ragione.
«Bah, penso ad una curiosa circostanza,» rispose il canadese. «Penso a chi mi ha salvato dagl’Irochesi che mi seguivano mentre correvo verso l’accampamento dei Mandani.»
Enrico di Clairmont, che vestiva la divisa di colonnello, in merito degl’importanti servigi resi alla causa americana, si mise a ridere.
«Fui io, caro Jor,» egli rispose. «Vi salvai in modo misterioso, inesplicabile. Ma ora ve ne darò la spiegazione. Io sono ventriloquo; vedendo venire gl’lrochesi, giacché, come sapete, ero occupato nella caccia delle pellicce, mi nascosi abilmente, e feci scendere la mia voce dall’alto, per dare a credere di essere il Grande Spirito degli indiani. E gl’Irochesi lo credettero. Capite ora?»
Uno scoppio di risa seguì alle parole del brillante ufficiale, e quella risata concorde parve lo squillo sereno della felicità che coronava ora una vita di peripezie, di abnegazioni e di eroismo.