Kitabı oku: «Voglio Morderti Il...», sayfa 2
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Ero andata a letto davvero tardi quella sera.
Davvero tardi.
Dopo altri drink. Potenzialmente parecchi altri drink, perché non riuscivo a ricordare esattamente quanti fossero stati.
Quello che ricordavo erano i messaggi.
Con un villoso sexy.
Messaggi da ubriachi.
Quando la sveglia s’era messa a suonare, a una certa ora strana, mi ero girata e l’avevo spenta, perché ero troppo stanca, con troppi postumi da sbornia, troppo impreparata ad affrontare la vita anche solo per cominciare a prendere in considerazione gli eventi della sera prima.
Ma poi la sveglia aveva ripreso a suonare, e poi ancora.
Alla quarta volta ero abbastanza sveglia da ricordare quei fottuti messaggi. Tranne che nessuno era così stupido, nemmeno la me ubriaca delle tre del mattino.
Mi ero sfregata gli occhi e avevo toccato l’icona dei messaggi, cercando di ignorare il fatto che erano le 6:37 del fottuto mattino e la notte prima avevo dormito meno di quattro ore.
Ma lì c’era tutto: la mia stupidità, immortalata per sempre nello storico dei miei messaggi.
Io: Hey figo chitarrista barista uomo peloso
Figo peloso: Fammi indovinare… Megan
Io: Sì! Sei molto più intelligente di quanto sembri
Wow, stavo veramente incarnando la mia malefica stronza interiore con quello. Apparentemente, la mia malefica stronza interiore era meno carina alle tre del mattino di quanto fosse stata prima, durante la serata, perché erano trascorsi parecchi minuti senza ricevere risposta da Oliver. La me ubriaca aveva deciso di pungolarlo.
Io: Grazie per il queso. È stato molto carino da parte tua.
Figo peloso: Era il minimo che potessi fare dopo che mi hai accusato di averlo mangiato tutto.
Apparentemente, la me ubriaca era confusa per questo, non vedendo l’ironia di un uomo ingiustamente accusato che faceva quella dichiarazione, ma sapendo che c’era qualcosa di sbagliato.
Io: Dannatamente diretto. Aspetta. Sei stato tu a mangiare il queso? O non sei stato tu a mangiare il queso?
Figo peloso: Ti sembro uno che consuma due chili di queso in una sera?
Io: Sembri uno che scopa molte donne
Io: e uno che ha decisamente molta energia nel cazzo
Io: O forse no?
Io: Oppure il tuo cazzo è così grosso che nessuno nota la pancia da queso
Wow. La me ubriaca delle tre del mattino era fottutamente sfacciata. E giudicante. In realtà non pensavo che un uomo dovesse avere gli addominali scolpiti per essere fisicamente attraente.
Però non avevo detto che la sua ipotetica pancia da queso fosse non attraente, solo che in confronto al suo mostruoso cazzo spariva.
Bel problema. Qualcuno dovrebbe togliermi il telefono quando sono ubriaca. La mia migliore amica, Becca, mi chiama stronza malefica, ma per lo più è per scherzo. In realtà non sono una stronza malefica… di solito.
Io: Ci sei?
Figo peloso: Sto ancora elaborando.
Forse, a questo punto avevo rivisto i miei messaggi e mi ero resa conto di avere esagerato? Non ero sicura di cosa pensassi. L’intera conversazione era piuttosto maledettamente confusa.
Io: Um, scusa?
Figo peloso: Pensi di chiedermi scusa o mi chiedi scusa?
Io: È più che certo che ti chiedo scusa, ho deciso di mandarti messaggi da ubriaca nel cuore della notte
Figo peloso: Perché l’hai fatto?
Io: Perché hai risposto?
Oh, guardami, ubriaca e ancora in grado di essere evasiva. Bel lavoro, Megan ubriaca.
Figo peloso: Ero sveglio. Non riuscivo a dormire.
Figo peloso: Ed ero contento di sentirti.
Io: Davvero?
Beh, cavolo. Avevo fatto bene per un minuto, ma la me ubriaca aveva decisamente bisogno di un po’ di attenzioni.
Figo peloso: Davvero. Ti avevo dato il mio numero. Sono decisamente contento di sentirti. Anche alle 3:17 del mattino.
Figo peloso: Esci con me.
Io: Lo dici così?
Figo peloso: Non è così che funziona? Un ragazzo conosce una ragazza e le dà il suo numero. La ragazza chiama. Il ragazzo le chiede di uscire.
Io: Non sono sicura che funzioni in questo modo.
Figo peloso: Ok
E poi Oliver aveva fatto un po’ il malefico di suo. Quell’uomo sapeva di avere a che fare con una donna ubriaca che aveva una durata dell’attenzione pari a quella di un moscerino e la pazienza di una pulce.
Aveva aspettato. Tre minuti.
Io: Cosa intendi con ok?
Figo peloso: Hai detto che non funziona in questo modo. Sono d’accordo.
Io: Ma… non dovresti semplicemente rinunciare.
Di nuovo il bisogno di attenzioni. La me ubriaca faceva pena.
Figo peloso: Cosa dovrei fare?
Io: Riprovare?
Figo peloso: Hm.
Oh, sì. Quell’uomo stava incanalando la sua parte malefica. Questa volta la stronza ubriaca aveva resistito soltanto un paio di minuti, e visto il modo in cui le marche temporali funzionano, suppongo che in realtà fosse passato un minuto e mezzo.
Io: Dovresti decisamente riprovare.
Figo peloso: Dovrei? Magari il mio ego è fragile. Magari, distruggendomi come hai fatto, hai mandato in frantumi quel po’ di fiducia in me che avevo.
Io: Balle. Dovresti decisamente ritentare.
Figo peloso: Che ne dici di sistemare la cosa con una sfida?
E bam, quell’uomo mi aveva fatta sua. Mi piace una buona sfida. A chi non piace?
Io: Ci sto.
E a parlare era stata decisamente la Megan ubriaca che più ubriaca non si può. Mi potrà anche piacere una buona sfida, ma tutti sanno che non accetti senza stabilire i parametri, i paletti e le regole.
La me ubriaca aveva appena fatto una mossa da principiante.
Figo peloso: Eccellente. Yoga all’alba tutti i giorni per tutto il mese di novembre.
Forse la me ubriaca aveva avuto un barlume dell’idiozia delle sue azioni. Sicuro come la morte che doveva averlo avuto. Avrei voluto prendere a schiaffi la me ubriaca, ma sarebbe stato controproducente vedendo quanta me ubriaca fosse ancora me. Dannazione.
E sarebbe stata questa me che avrebbe fatto cose che sembravano un po’ una tortura. Alzarsi all’alba. Piegare il mio corpo in modi in cui non era predisposto a piegarsi.
Figo peloso: Ci sei?
Io: Sì. Parametri?
Figo peloso: La seduta da venti minuti di yoga comincia all’alba. Il primo che salta una seduta perde. D’accordo?
Io: Maledizione, sì.
Figo peloso: Ti manderò un link. Devi collegarti ogni mattina all’alba. C’è un’app.
Tutto questo sembrava assai sospetto alla luce del giorno. Oliver, così per caso, conosceva un’app per sfide di yoga all’alba? Il tipo era chiaramente uno yogi o come volete chiamare le persone che eccellono nel piegarsi in varie pose allenandosi ossessivamente.
Oh, giusto, quelle persone vengono definite pazze.
Specialmente quando si alzano al sorgere del sole per fare quelle stronzate di piegamenti.
Io: Regole?
Figo peloso: Fatti vedere in orario, resta per l’intera seduta e fai un tentativo onesto per ogni posa, modificandola appropriatamente.
Io: D’accordo. E i paletti?
Figo peloso: Chi perde paga un forfait a scelta del vincitore.
E questo è il motivo per cui soltanto un’idiota avrebbe accettato una sfida prima che parametri, regole e paletti venissero stabiliti chiaramente. Sapevo che era meglio farlo prima di buttarsi alla cieca in una sfida. Peccato non poter dire lo stesso della Megan ubriaca.
Io: Va bene.
Figo peloso: A proposito, domani l’alba è alle 6:46.
La mia risposta era stata una varietà di emoji e comprendeva il mio dito preferito.
La sua risposta era stata la faccina che ride così tanto da piangere.
E poiché anche la Megan ubriaca odiava perdere una sfida, avevo messo cinque sveglie. Ecco perché ora ero sveglia alle…
Una rapida occhiata al telefono aveva rivelato che era un’ora impossibile: le 6:44.
Cazzo!
Avevo due minuti. Non avevo intenzione di perdere quel patetico pezzo di merda di sfida proprio il primo giorno. Avevo cercato il link e mi ero rapidamente registrata, riuscendo appena in tempo a presentarmi alla prima seduta in programma.
Sul display c’era un timer che visualizzava un conto alla rovescia; erano rimasti ventisette secondi. Mentre quei secondi scorrevano all’indietro, il mio Io stanco, con i postumi della sbornia, ma non ubriaco, aveva considerato che da quella stupida sfida Oliver non avrebbe guadagnato assolutamente niente.
Quell’uomo doveva sapere che ero stata sul punto di accettare di uscire con lui. Se si fosse solamente preso la briga di chiederlo di nuovo, avrei detto sì.
E a cosa sarebbe servito, a entrambi, un mese di fottuto yoga?
Quando la prima seduta era cominciata, mi ero resa conto di come esattamente mi avrebbero fatta sentire i successivi trenta giorni di yoga mattutino.
Arrapata.
E frustrata.
Probabilmente anche con tendenze omicide, se l’immagine sullo schermo era un assaggio dei successivi trenta giorni.
Oliver era l’istruttore.
E no, Oliver non aveva la pancia da queso. Non aveva nemmeno un pacco da sei.1
No, aveva un pacco da otto, di cui riuscivo a vedere ogni cresta e ombra – persino sul minuscolo schermo del mio telefono – perché l’essere divino precedentemente conosciuto come Oliver, detto Figo Peloso, era a torso nudo.
E che cazzo indossava come pantaloni?
Mi era venuto bisogno di farmi aria.
Pantaloni, un corno. Non erano nemmeno pantaloncini. Sembravano più degli slip.
Beh, non coprivano solo le natiche. Saranno stati a mezza coscia, ma mentre lui si muoveva, gli short, che aderivano ai suoi glutei muscolosi, mostravano flash dei suoi quadricipiti gonfi.
Avevo inspirato profondamente, come da sue istruzioni, poi avevo cominciato a seguire il divino Oliver e la sua voce flautata mentre mi guidava in una routine yoga di venti minuti.
Come avrei fatto a gestire una cosa del genere per trenta giorni?
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Avevo finito la routine yoga, ma non mi sentivo Zen né rilassata, né come cazzo ci si dovrebbe sentire dopo aver fatto yoga all’alba.
Mi sentivo arrabbiata.
Frustrata. Dal punto di vista sessuale, naturalmente. Chi non lo sarebbe stato dopo aver guardato Oliver Watson e il suo perfetto, potente corpo muoversi fluidamente su un grande schermo per venti minuti? (Sì, ovviamente avevo trasferito il suo corpo sensuale sul mio televisore a grande schermo. Quell’uomo era un’opera d’arte.)
Sciocca. Mi sentivo decisamente sciocca. L’ubriachezza non era una scusa sufficiente per impegnarmi trenta giorni in quello.
E testarda, perché anche se potevo porre fine al mio tormento – o guardarlo su uno schermo più piccolo – non volevo. Avevo intenzione di vincere questa sfida, anche se avessi dovuto vivere in uno stato di arrabbiata frustrazione sessuale per il mese successivo.
Dopo avere provato, senza riuscirci, a ritornare a letto – apparentemente lo yoga arrabbiato mi aveva dato energia – avevo preso una tazza di caffè. Poi un’altra.
E proprio mentre stavo per chiamare Becca – perché chi, meglio della mia migliore amica, poteva capire il mio irrazionale bisogno di continuare questa sfida nonostante la follia che era il corpo mezzo nudo di Oliver Watson? – mi chiama lei.
Con un problema. Uno di quelli seri, che richiedeva il mio totale supporto emotivo. Il mio problema, che era minuscolo e auto-inflitto, avrebbe dovuto aspettare.
Il riavvolgimento della percezione di Becca dava i numeri, la qual cosa, sinceramente, mi spaventava. Senza la capacità di accedere ai ricordi recenti di un donatore umano per manipolarli, come avrebbe fatto a nutrirsi?
I vampiri non hanno bisogno di molto sangue fresco per sopravvivere, ma senza una piccola quantità a intervalli regolari noi soffriamo di privazione di sangue (che non è bello) e poi di inedia da sangue (potenzialmente fatale).
E poiché i vampiri sono sempre stati un grande, grosso segreto, lei non avrebbe potuto semplicemente andarsene in giro per la città a mordere persone a caso senza alterare la loro percezione del morso. Avremmo risolto la cosa, e nel frattempo mi sarei assicurata che ricevesse il suo nutrimento, ma la faccenda restava preoccupante. Il nutrimento di squadra non sarebbe stato una buona soluzione a lungo termine, per cui dovevo avere fede nel fatto che avremmo trovato un sistema.
E come se non bastasse, la mia migliore amica soffriva anche di un caso di forti emozioni, il che era… complicato.
I suoi problemi erano decisamente più grandi dei miei. Questo era uno di quei momenti nell’amicizia in cui io dovevo essere quella che sosteneva e non quella da sostenere.
Dopo avere parlato con Becca dei suoi problemi, avevo bevuto un’altra tazza di caffè e avevo deciso che era ora di chiamare gli altri miei rinforzi. Becs era la mia persona di riferimento. L’amica più intima che avessi. E sebbene non le avessi rivelato alcuni segreti (per il suo stesso bene), lei mi conosceva meglio di chiunque altro.
Ma, in realtà, avevo altre amiche. Poiché volevo limitare l’umiliazione della sfida a seguito dei miei messaggi da ubriaca, per quanto possibile, dovevo scegliere: Yvette o Kayla?
Kayla, ultimamente, non si era fatta viva molto. In parte perché viaggiava per lavoro, ma anche quand’era in città era sempre difficile da trovare. Stava affrontando qualcosa. Avevo provato a contattarla, ma era una persona riservata, per cui non ero rimasta sorpresa quando aveva dichiarato che andava tutto bene. Tutto quello che potevo fare era offrirle di esserci – e magari non scaricare su di lei il mio dramma personale.
Quindi, Yvette era la fortunata vincitrice della mia lotteria dell’eccessiva condivisione.
Yvette era un tesoro. Un tipo dai modi grezzi, ma per me andava bene così. Se fosse stata del tutto arrendevole, beh… l’avrei lasciata perdere.
Lei ascoltava e mi dava dei buoni consigli. Dopo se la faceva sotto dalle risate. Ma io meritavo di essere derisa; la me ubriaca era un disastro.
Oltretutto, Yvette era stata alla festa ieri sera. Magari aveva notato Oliver.
Avevo deciso che potevo parlare e lavoricchiare in casa allo stesso tempo. Ero più che sveglia, per cui avrei anche potuto dedicarmi alle mie tradizionali pulizie post-festa, quelle che facevo dopo ogni festa alcolica che davo. Era più un riordinare post-festa, perché il servizio di pulizia era programmato per lunedì, ma doveva ancora venire e io potevo decisamente lavorare in multitask.
Yvette aveva risposto subito, un buon segno poiché era abbastanza presto. Lei non era rimasta alzata fino alle 3:17 a scrivere messaggi da ubriaca a un musicista barista.
“Qual è l’emergenza? Passo a prenderti e ti porto all’ospedale?” Non sembrava in preda al panico, quindi quella era la sua idea di essere spiritosa.
“Per quello c’è Uber. Ho bisogno di un consiglio.”
“Per quello ci sono le ambulanze, Megan. Che la dea ci salvi. E non sono sicura di avere preso abbastanza caffeina per qualsiasi cosa tu stia per dirmi.”
Pura Verità. Non telefonavo di frequente, preferivo mandare messaggi. E chiedevo consigli con ancora minore frequenza.
“Prepara il caffè mentre ascolti.” Ma il mio suggerimento non era necessario. In sottofondo potevo sentire scorrere l’acqua dal rubinetto. “Ricordi il bambinone peloso di ieri sera?”
“Tu pensi che qualunque uomo che non indossi un completo a tre pezzi sia un bambinone. Sii più specifica.”
Forse una quarta tazza di caffè era una buona idea. Decisamente.
Dirigendomi in cucina avevo detto, “Viviamo a Austin. Nessuno indossa un completo a tre pezzi, a meno che non vada a un matrimonio.”
“Um-hmm. Al tuo matrimonio, forse. Allora, stavamo parlando di uomini pelosi. Un uomo peloso in particolare, che non indossava un completo a tre pezzi. Quando dici peloso, di cosa parliamo? Peli sul torace anni ‘70, abbastanza lunghi cosicché la sua catena d’oro si perda tra essi? Riccioli fluenti imbrigliati in uno chignon da uomo? Dammi qualche indizio.”
Nel sentire il riferimento alla catena d’oro, mi era quasi caduta di mano la tazza di caffè appena riempita. “Wow, non so cosa dire. Ho la sensazione che, forse, di nascosto guardi vecchi porno.”
“Aw, tesoro, non sono vecchi porno. Sono classici porno.”
Non lo aveva negato. “Guardi classici porno senza di me?”
Una volta, a tarda sera, eravamo capitate su un film per adulti e c’eravamo divertite a ridere della storia – quale storia? – e dei movimenti con sottofondo musicale di lui. Avevamo guardato soltanto l’inizio. Guardare la parte dove lui asfaltava l’aiuola della povera donna con il suo attrezzo per trenta ore di fila e lei se ne stava lì a prenderlo non sarebbe mai successo.
Quel genere di porno era il motivo per cui il mondo, ora, è diventato amichevole verso le donne, porno non-completa-merda, quindi forse non era stata una completa perdita di tempo?
Nah. Del tutto inutile, a parte le risate.
“Aspetta.” Alla richiesta di Yvette era seguito il rumore di un macina-caffè. Quando era ritornato il silenzio, lei aveva detto, “Faccio fatica a fare battute senza un pubblico. E c’è così tanto materiale. La musica, le luci, la trama, il trucco. E le acconciature.” Aveva fatto un suono di disapprovazione. “Negli anni ‘70 avevano davvero problemi ad avere una peluria decente, sopra e sotto la cintura.”
“Hmm,” avevo mormorato, dopodiché avevo sorseggiato il mio caffè. “Non lo nego, ma ho un problema che deve essere gestito, per cui dovremo mettere da parte il fatto che mi stai tradendo.”
“Va bene. Ho ancora qualche minuto prima che il mio caffè francese sia pronto. Finché non avrò preso la mia dose mattutina, dovrai parlare lentamente e chiaramente, ed evitare qualsiasi rivelazione scioccante.” Il rumore di una sedia che veniva trascinata aveva sottolineato la sua richiesta. “A meno che non si tratti di quel tipo sexy che hai baciato ieri sera. Quello che palpeggiavi nell’angolo non-interamente-buio del tuo soggiorno.”
Mi ero sistemata su uno dei due sgabelli infilati sotto la sezione bar dell’isola della cucina. Meglio lasciar perdere le pulizie mentre facevo quella conversazione. Sedersi era un’opzione molto migliore.
“Dal tuo silenzio, suppongo che tu presuma che nessuno l’abbia visto.” La sua voce si era ammorbidita.
“Uh, non esattamente. Speravo solo che non fosse l’attrazione della serata, visto che c’erano anche alcuni miei colleghi.” Avevo spinto via la tazza. Forse tre tazze e mezza di caffè erano troppe.
“Oh, tesoro.” Yvette si era messa a ridere, allentando parte della tensione che provavo. “I tuoi colleghi si ubriacano persi alle tue feste. L’ultima cosa che fanno è giudicarti per le tue attività sessuali.”
“Lo spero. Non credo di perdere il lavoro per un bacio fuori dall’orario di lavoro che ho dato a casa mia, ma in genere non mischio dimostrazioni pubbliche di affetto con eventi sociali para-lavorativi.” Esprimendo il fatto che non essere disoccupata lunedì sarebbe utile. Era solo che avevo quell’altra cosa di cui preoccuparmi. Quella cosa alta più di 1,80, non-così-pelosa, molto flessibile.
“Esattamente. Quello di ieri sera è stato un comportamento atipico. Probabilmente se ne saranno già dimenticati. Inoltre, non è che ti puoi presentare come un Jon Snow vampiresco. Adesso quel tipo ha qualcosa per cui essere in imbarazzo. Si può soltanto presumere che abbia preso quella decisione da sobrio, il che rende la cosa molto peggiore.”
“Ha! Quello era Robert. Già, non so cosa c’entri lui con i vampiri.”
“Abbiamo superato la parte in cui sei moderatamente a disagio per il fatto che i tuoi colleghi ti hanno visto baciare e palpeggiare aggressivamente un tizio?”
Io palpeggiavo aggressivamente? Maledizione, suppongo di averlo fatto.
Ma… Ero a casa mia. Fuori dall’orario di lavoro. Non era una riunione di lavoro.
Certo, l’avevo superata.
“Uh-huh.” Mi preparavo per qualsiasi cosa sarebbe arrivata dopo.
“Porca merda, quell’uomo era eccitato forte. E voi due, tra il palpeggiare e il folle, intenso baciare e la parte in cui ti ha tirata su… semplicemente…” Aveva sospirato. “Non puoi vedermi, ma mi sto facendo aria.”
“Super-eccitante, vero?” E lo era stato. Davvero eccitante. Mi aveva sollevato il culo come se non pesassi niente. Quello era stato una spinta per l’ego, perché non sono leggera. Le curve aggiungevano massa. Poi lui aveva concentrato tutta quella deliziosa attenzione maschile su di me. La sua calda bocca sulla mia, il suo forte corpo premuto contro di me… cazzo.
“Um-hmm. E tanto per chiarire, una folta barba e una testa piena di capelli non rendono ‘pelosi’, svitata che non sei altro.” Aveva fatto una pausa, poi aveva aggiunto, “A meno che tu non ammetta di averlo visto nudo.”
“Per quello… Peloso potrebbe essere fuorviante.” Decisamente fuorviante.
Non c’era niente di peloso in Oliver, a parte gli stupendi riccioli e la barba curata a livello professionale. Quell’uomo doveva avere un’abilità non umana con le forbici, oppure trascorreva molto tempo dal parrucchiere.
Per quanto riguardava il resto del corpo, aveva una peluria addominale deliziosamente osé e una leggera spolverata di peli sul petto. Decisamente non era peloso.
“Lo sapevo!” Yvette aveva lasciato cadere il telefono mentre rigurgitava bestemmie. Un secondo dopo era tornata. “Cazzo, ragazza, mi hai fatto versare il caffè.”
“Non parlare con le mani!” Riuscivo a vederla, circondata dai colori vivaci della sua cucina, mentre gesticolava tenendo in mano una tazza piena di caffè.
Ignorando il mio ammonimento, aveva risposto, “Hai dormito con lui. Sono così fiera di te. Dopo chissà quanto tempo hai visto un po’ d’azione. Quanto è passato? Un anno?”
Yvette, al contrario di Becca, era pienamente consapevole del mio periodo di magra. Sospettava anche che il mio elenco “sesso, sì” fosse precedentemente esistito come qualcos’altro di completamente diverso.
“No, non ho dormito con lui. È un musicista. Un musicista barista.”
Yvette sapeva anche tutto sui miei genitori. Sapeva che mia madre era una bambina mai cresciuta con un fondo fiduciario. Sapeva che mio padre, una volta (per brevissimo tempo), era stato un rocker di successo che aveva sposato una ricca groupie. Sapeva che nessuno di loro era in grado di agire come un adulto, compresi (tra l’altro) i rapporti tra loro e con me.
Yvette sapeva dei miei genitori soltanto perché, quando ci eravamo conosciute, ero stata un’assoluta, perfida stronza. Anche lei era stata una bambina con un fondo fiduciario. Non come per i miei genitori, come si era scoperto, ma inizialmente non le avevo dato la possibilità di mostrarmi che era diverso.
Dopo la nostra falsa partenza, mi ero resa conto di averla giudicata male per le azioni dei miei genitori e avevo scaricato parte del bagaglio della mia famiglia durante il processo di scuse per il mio comportamento di merda. Lei aveva contraccambiato raccontandomi che anche lei aveva le sue difficoltà parentali, sebbene fossero di natura differente rispetto alle mie. Da quel momento siamo state piuttosto intime.
Poiché Yvette conosceva i miei genitori e sapeva quanto avessero influenzato il mio atteggiamento nei confronti sia dei non-adulti irresponsabili sia dei musicisti, capiva perché inizialmente avessi liquidato Oliver, alla festa.
Era il resto che l’aveva sorpresa.
“Cazzo. Che peccato per quella cosa del musicista barista. A meno che tu non stia sperimentando il rimpianto.” La nota speranzosa nella sua voce era graziosa. Come se credesse ancora nella possibilità di una semplice, facile scopata.
Oh, giusto. Lo credeva. Yvette prendeva tanti cazzi quanti Becca pensava ne prendessi io. Non ero sicura di come ci riuscisse. In giro non c’erano così tanti uomini scopabili.
Poiché non rispondevo, aveva suggerito, “È questo il motivo per cui hai chiamato? Ti prego, dimmi che sei indecisa se lasciarlo. Ti prego, ti prego. Perché se è così, ti dico: butta quel fottuto elenco e dormi con quell’uomo. È troppo carino per rinunciarvi, qualunque possa essere la sua professione o per quanto merdose siano le sue capacità di conversazione.”
“Non ricominciare.”
Yvette mi aveva accusato di chiedere troppi requisiti agli uomini che frequentavo. Non era la prima volta che mi incoraggiava a mettere da parte il mio elenco.
Mi aveva anche detto, non così terribilmente tanto tempo prima, di buttarlo. Qualcosa sul fatto che dovrei seguire il mio cuore, e se non il mio cuore, almeno le mie parti femminili.
Buttare l’elenco? Neanche per sogno.
Ma che ci potevo fare se ogni singolo bambinone che conoscevo, indipendentemente dal suo quoziente di arrapamento, mi lasciava meno che entusiasta? Volevo fare sesso con uomini, non con ragazzi cresciuti e mai diventati maturi.
“È un po’ più complicato di un semplice ‘voglio, non voglio’ fare sesso con lui.”
E le avevo raccontato dei messaggi da ubriaca, della sfida di yoga all’alba, e poi della rivelazione di quella mattina, che il figo peloso dopotutto non era così peloso, verità che avevo scoperto perché avevo visto gran parte del suo corpo nudo.
Lei era rimasta in silenzio dopo che avevo finito. Troppo in silenzio.
“Beh?” l’avevo spronata.
“Dammi un secondo. Sto pensando. Ugh, cosa sto dicendo? Non sto pensando. Sto cercando di prevedere la mia conclusione. Sto dubitando di quello che so essere vero.”
A volte la mia amica Yvette può essere un tantino teatrale. Dico io. Lei lo nega.
“Sputa, dai.”
Il suono di un respiro profondo aveva preceduto la sua risposta. “Alza i tacchi. Non richiamarlo. Non mandare messaggi. Non fare lo yoga mattutino. Dimentica di averlo conosciuto.”
“Cosa? Perché?” Stava dicendo sul serio? Yvette, tra tutte le persone, era proprio quella che avrebbe dovuto incoraggiarmi. Stava mettendo il dito nella piaga del mio ultimo periodo di magra, che durava da troppo tempo, ormai.
Stavo cercando un consiglio per capire se lasciar perdere oppure no la sfida, non per scegliere se avrei dovuto oppure no mollare il tipo. Il tipo che ero pronta a scopare – bloccandolo facendogli perdere l’interesse prima che avesse la possibilità di infilare il suo uccello – e come avevamo già discusso, la mia astinenza tendeva a una durata epica.
La sfida era il problema. Mi piacevano le sfide, abbastanza fino al punto che odiavo l’idea di andarmene, anche se sapevo che Oliver la usava come un modo per tormentarmi con il suo corpo assurdamente in forma, come rappresaglia per averlo respinto.
“Perché?” aveva domandato Yvette. “Hmm. Vediamo. Io, diversamente da te, faccio sesso occasionale. Tu fai sesso con gli uomini come se fosse un colloquio per capire se possono essere partner per la vita. Ma lo neghi, così di tanto in tanto dormi con un umano occasionale.”
Negavo quel non-fatto. Non c’erano colloqui in corso per cercare un partner per la vita, perché gli uomini facevano schifo. Ma al momento non avevo intenzione di affrontare la cosa.
“E tutto questo cos’ha a che fare con Oliver?”
“Dea. Ascoltati. Non riesci nemmeno a dire il suo nome senza che suoni arrapante da togliere il fiato e sessualmente frustrato allo stesso tempo.” Aveva fatto una pausa, e io potevo immaginarla nella sua cucina mentre si stringeva le mani e cercava di assumere un’espressione pensosa. Era difficile con tutti quei capelli biondi e quella sua adorabilità. “Se pensassi che potresti semplicemente fare sesso con lui e passare oltre, ti direi fallo. Sai che lo farei.”
“Non pensi che potrei farlo?” Ero abbastanza sicura che avrei potuto. Se avessi fatto sesso con lui, il che era un grosso se, visto che era un adolescente sulla trentina destinato a mollarmi prima o poi.
“Quel tipo ti piace, anche se non corrisponde a tutti i tuoi requisiti. Anche se non corrisponde al requisito principale; è umano. Solo quello lo rende insolito. Aggiungi un esteso periodo di continuo contatto con lui, trenta giorni passati a fissare il corpo del tuo sexy istruttore di yoga e penso che ti prepari per un immenso dolore. Con un umano, Megan.”
“Ma lo è?” Perché c’era stato quel commento tagliente sul preparare un favoloso Bloody Mary, accompagnato da uno sguardo stranamente d’intesa. “Pensi… voglio dire, è un’idea folle, ma pensi che ci sia la possibilità che possa essere un vampiro senza che noi lo sappiamo?”
“No.” Il suo tono privo di emozione non lasciava spazio alla discussione.
Ma… io un po’ volevo che fosse un vampiro.
Mi rifiutavo di contemplare da vicino quel desiderio. “E se si fosse semplicemente trasferito qui?”
“L’ha fatto?”
Maledizione. La sua band. Ed era anche amico di Millie. “Non credo.”
“Allora non è un vampiro. Conosco tutti i vampiri del posto.”
Ed era vero. Era una piccola comunità, ma il modo in cui Yvette sapeva tutto di tutti era davvero inquietante. Era informata a livelli da stalker.
“Il tuo consiglio è di alzare i tacchi. Concedere la sfida, dimenticare il non-così-peloso figo peloso. Fare finta che non mi abbia mai baciata, palpeggiata o sfregata. Tutto perché tu pensi che io possa diventare completamente sdolcinata o stupida per questo tizio. Perché non pensi che possa avere una relazione puramente sessuale con lui.” Avevo fatto una pausa, poi avevo tirato fuori un pezzo di informazione vitale che fino a quel momento avevo tenuto nascosto. “Ho detto che ha un cazzo enorme?”