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Kitabı oku: «L'arte di far debiti», sayfa 7

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ATTO TERZO

SCENA I

Cortile di albergo come nellʼatto primo
Tommaso, Cavillo
(entrando dalla destra)

Tomm. – E voi sareste tanto scortese da intentarmi un processo?

Cav. – Ve lʼho detto e ve lo ripeto.

Tomm. – Sarebbe un vero ricatto.

Cav. – Sarebbe la cosa più giusta del mondo, ovverosia la più legale, giuridicamente parlando. Che diamine, signor Tommaso? non era io forse il procuratore generale di quella buonʼanima di vostro fratello… che Dio lʼabbia in gloria?.. Ora, le carte che sono ancora in mia mano parlano chiaro… Il signor Marco possedeva allʼepoca della sua morte un capitale di L. 10000 in contanti, un albergo bene avviato, e il valore nominale di L. 13500 in poderi censiti or sono due anni. Nel suo testamento egli dichiarò erede universale il figlio Giacinto. Quel pazzo ha preferito buttarsi alla vita di avventuriere anzichè restarsene tranquillamente a casa sua a mangiare un pane sicuro… Voi avete profittato dellʼassenza del nipote per prendere le redini dellʼalbergo, e si vuole che abbiate ipotecati varii poderi… che appartengono allʼassente di ignota dimora… Voi comprenderete che la coscienza, il sentimento della giustizia e della onestà mi impongono di agire…

Tomm. – Voi volete perdermi?..

Cav. – Al contrario… Se le mie intenzioni fossero ostili, a questʼora il processo sarebbe già incoato, e il vostro nome, la vostra riputazione di onestʼuomo avrebbero già subito qualche scalfitura. – Ho creduto bene di prevenirvi… di mettervi in guardia, e ho sempre atteso come attendo in questo punto, una vostra parola per gettare alle fiamme i miei scartafacci, e per ridonarvi, con una buona stretta di mano, la mia stima e la mia amicizia.

Tomm. – Ah! la vostra stima! la vostra amicizia! E chi vi ha detto, signor Cavillo, che io ci tenga molto alla vostra stima ed alla vostra amicizia?

Cav. – Signor Tommaso… cogli avvocati non si scherza!..

Tomm. – Signor arruffacause, mi si tolga dai piedi…!

Cav. – Se questa è la vostra ultima parola, a rivederci in tribunale!..

(fa per andarsene).

Tomm. (fra sè) È inutile!.. Non cʼè che una via per uscirne!.. (richiamandolo) Signor Cavillo!..

Cav. (ritornando) Mʼavete chiamato?..

Tomm. – Perdonate!.. Ho un maledetto carattere…

Cav. – Il mio, allʼincontro, è il carattere più dolce, più elastico che si possa ideare.

Tomm. – Vediamo di intenderci, se è possibile…

Cav. (da sè) Lʼha capita! (a Tommaso) Sempre dispostissimo alle transazioni…!

Tomm. – Alle corte!.. Se io deponessi fiduciariamente nelle vostre mani qualche cosa… come a dire… cinquecento franchi… a patto di procrastinare…

Cav. – Voi parlate dʼoro… Se aveste cominciato su questo tono, a questʼora saressimo dʼaccordo…

Tomm. – Allora… siamo intesi… Contate sulla mia parola…

Cav. – Preferirei contare le monete.

Tomm. – Fra mezzʼora… verrò io stesso al vostro studio col denaro. E voi… desisterete da ogni querela…?

Cav. —Vivere e lasciar vivere– ecco la mia divisa. Comunque avvenga, non farò un passo prima di avervi prevenuto.

Tomm. (da sè) Unʼaltra stoccata! (forte) Obbligatissimo!..

Cav. – Servo umilissimo! Per vostra norma, io rimarrò nel mio studio fin verso le quattro. (esce).

Tomm. – Son ladri… questi avvocati!..

(entra nellʼosteria).

SCENA II

Roberto in abito da donna, Deianira in abito da uomo

Deian. – Quale imprudenza! Entrare nellʼalbergo ove pochi mesi sono abbiamo operato… dove qualcuno potrebbe riconoscerci!

Rob. – Fidati di me. Uno strategico che conosce la sua arte preferisce sempre di dar battaglia nelle località già esplorate. Sotto questo travestimento, sfido io chi potrebbe riconoscerci!..

Deian. – Se Giacinto fosse qui… se mi vedesse…

Rob. – Ah! Ah!.. Credi tu chʼio non abbia calcolata una tale eventualità? Ebbene: quel tuo Giacinto, in caso di pericolo, potrà divenire il nostro migliore alleato, il nostro salvatore.

Deian. – Egli!.. mi fai trasecolare…

Rob. – Ti ama, ed è un imbecille – ecco due considerazioni che dovrebbero rassicurarti.

Deian. – Ad ogni modo… non bramo di incontrarmi con lui… Roberto… comincio ad avere dei rimorsi.

Rob. – Ho veduto dei cuori meno sensibili del tuo intenerirsi sulla miseranda fine di un cappone, dopo averlo divorato.

Deian – Ma… i miei calcoli non possono sbagliare. Giacinto dieci giorni or sono era ancora a Bruselles alla casa di salute…

Rob. – Ne saresti per avventura innamorata?.. Hai bisogno di mutar aria, Deianira… Infatti, questa nostra vecchia Europa infracidisce a vista dʼocchio. Il sistema monarchico costituzionale può corrompere anche le nature più forti… Io stesso comincio a muovermi con disagio in questa melma. Entriamo nella locanda! – mettiamoci in regola coi nostri appetiti più volgari; quindi, fra unʼora, ci imbarcheremo sul Telemaco per salpare ai liberi paesi dellʼAmerica.

Deian. – Eppure… questa cara Francia… questa bella Europa mi piacevano tanto!

Rob. – Non dubitare… Se laggiù faremo fortuna, fra dieci o dodici anni torneremo in patria. Quando si posseggono dei milioni, si può anche adagiarsi nei paesi corrotti dal despotismo.

(entrano nella locanda)

SCENA III

Clementina

(Uscendo dalla locanda, si incontra con Roberto e Deianira e si inchina) Dei forastieri!.. Eppure il convoglio non è ancor giunto!.. Come sono lunghe queste giornate!.. Tutte le mattine mi alzo colla speranza chʼegli abbia a tornare, e tutte le sere mi corico collʼamarezza del disinganno… (traendo una lettera) Eppure, nella sua ultima lettera… Vediamo (leggendo) «Fra pochi giorni, mercè il denaro che mi hai spedito, io verrò ad abbracciarti, o mio buon angelo. La convalescenza fu lunga, ma sento dʼaver quasi ricuperate le forze, se pur non mi illude lʼardente desiderio di rivederti, di abbracciarti, di esprimerti a voce la mia gratitudine… e qualche altra cosa…» Qualche altra cosa…!.. Che vorrà dire!.. Ah! queste parole mi ravvivano il cuore!..

SCENA IV

Giacinto, Clementina

Giac. (osservando) Una donna… una bella fanciulla…

Clem. – Qualcuno… (volgendosi) Giacinto!..

Giac. – Clementina! (abbracciandola con spigliatezza) La mia bella… la mia cara… la mia adorata cuginetta…

Clem. – Quai modi!.. Se mio padre… se mio zio…

Giac. Io ti adoro… io…

(lʼabbraccia nuovamente)

Clem. (sciogliendosi dalle braccia di Giacinto) Dio! mi fai paura… Corro da mia padre a recargli la buona notizia…

Giac. (trattenendola) Va bene…! Dagli in anticipazione un bacio per mio conto – dagli questo!

(la bacia sul collo, Clementina mette un grido e corre nella locanda)

SCENA V

Giacinto

Povera fanciulla! sempre buona, sempre timida, una vera figliuola della provincia! Tre mesi fa, ero anchʼio un bamboccio come lei. – Ma ora… dopo le istruzioni… dopo la pratica che ho fatto con quella vipera parigina!.. Ah! Deianira…! tu mi hai scorticato per bene, ma ora posso dire di essere un uomo!..

SCENA VI

Tommaso, Clementina, Giacinto

Tomm. – È dunque vero!.. Mio nipote!.. Giacinto…!

Giac. (abbracciando Tommas) Caro zio…!

Clem. (osservando) Ha imparato ad abbracciare con una forza…!

Tomm. – Ah! era ben tempo che tu ritornassi…! Se tu sapessi… quante crisi… quanti sacrifizii – non è vero, Clementina? – per assestare le tue faccende…! Dopo la disgrazia… che tu sai, siamo accorsi qui, Clementina ed io – abbiamo abbandonata la nostra casa in balìa di un fattore… e tu sai quanto sien ladri i fattori!.. Non importa, dicevo a Clementina – corriamo a Çette! – vediamo di salvare quanto si può delle sostanze di quel scavezza… di quel caro ragazzo… Ti abbiamo scritto – nessuna risposta… Più tardi sapemmo della tua malattìa… Il mio primo pensiero – non è vero, Clementina? – fu di volare a Bruxelles per recarti qualche soccorso – ma non eravamo ben certi… non sapevamo – non è vero, Clementina? – non sapevamo se realmente ti trovassi colà… Qualcuno voleva farci credere che tu avessi seguito in America… quella caro… quella carovana… tu mi capisci… Basta! Teniamo aperto lʼalbergo, ho detto io – vediamo di non pregiudicare lʼavviamento… Conveniva spendere da cinque a sei mila lire in riparazioni – non è vero, Clementina? – Quel briccone di Cavillo… pretendeva immischiarsene… Bada, veh!.. non è uomo da fidarsene…! si vuole anzi che le molte posate, che i molti effetti preziosi spariti dallʼalbergo alla morte del tuo povero padre, abbiano finito nelle sue mani… Non si è trovata una sola posata dʼargento nei forzieri; ed io ho dovuto far venire da Montpellier quelle poche che io possedevo, tanto da supplire ai bisogni… È pur la brutta cosa il morire! – le ore che passano fra lʼagonia e le esequie di un galantuomo, rappresentano, anche nelle case più oneste, unʼorgia di ladri…

Giac. – Ripareremo a tutto – voi mi consiglierete… mi aiuterete…

Tomm. – Troverai i registri in ordine. Posso dirti fin dʼora che con dieci o dodici mille lire le nostre partite saranno pareggiate… Tuo padre mi doveva ancora ottomila lire per la garanzia di quel sacchetto – te ne sovvieni, Giacinto?.. Ora, scontando le seicento chʼei mi aveva anticipato… pel calessino!

Giac. (a Clementina) Clementina! io muojo di fame!.. Vuoi tenermi compagnia mentre farò colazione…?

Clem. – Volentieri, cugino!..

Tomm. – Bravi!.. Andate là!.. (a Giacinto) disponi come fossi in casa tua… Io esco per un momento; vado a regolare alcuni conti, e torno subito. (Giacinto a braccio di Clementina entra nella locanda). Converrà che io mi metta dʼaccordo con quel ladro di avvocato… (cava il portafoglio) Non è il caso di lesinare… (dopo aver contate le banconote) Sta bene! Ho promesso cinquecento lire; ma a buon conto, qui ve ne hanno due mille.

(ripone con fretta il portafoglio, ma questo gli scivola dalle vesti e cade al suolo. Esce).

SCENA VII

Frontino, cogli abiti sdrusciti, pallido, estenuato

Front. (avanzandosi guardingo) I ciottoli colmi di monete che si esibiscono allo sguardo dalle vetrine dei banchieri, e le esalazioni delle vivande che dalle finestre si avventano allʼolfatto dei passanti – ecco le due cose più immorali chʼio mi conosca. Dal giorno in cui venni rimandato dal carcere per insufficienza di prove, ho sempre resistito alle seduzioni dellʼoro; ma ogniqualvolta mi avvenga di urtare a stomaco digiuno in una corrente dʼaria che abbia baciato una casseruola, i miei propositi di onestà vengono meno. – Perchè sono entrato in questo cortile di albergo?.. Per un buffo di fumo impregnato di essenze aromatiche, le quali mi ridestarono nelle papille nervee la reminiscenza di una eccellente colazione – (pausa) Ed ora, che si fa?.. Virtù teologali, assistetemi!.. Il buono, il santo catechista del carcere mi ha detto nel congedarmi: col lavoro e colla fiducia in Dio tu riuscirai a procacciarti, ciò che la colpa non dà mai, una esistenza agiata e tranquilla – (pausa) Lavorerò!.. Qual sarà il mio mestiere? Mi addatterò a fare il lustrascarpe – ma chi mi dona cinque lire onde io mi proveda di uno sgabello e di una spazzola? Piuttosto che rubare… via!.. anderò per la città a raccogliere le spazzatura – ma chi mi presta cinque soldi onde io comperi una scopa?.. E innanzi tutto, dopo quarantotto ore di digiuno, chi mi dà a credito un pane perchè io mi rimetta in corpo un poʼ di rigore? (vede il portafoglio) Un portafoglio!.. (raccogliendolo) Il catechista non mi ha ingannato; – la provvidenza viene in soccorso dellʼuomo onesto!.. No! io non scioglierò questo involto… Il denaro potrebbe tentarmi… Depositerò il portafoglio al municipio, e a norma di legge mi verrà sborsato il compenso che mi si addice.

(fa per uscire).

SCENA VIII

Tommaso, Frontino

Tomm. (pallido e ansante) Prima di uscire ho contato le monete… (guardando per terra) Non posso averlo perduto che qui…

Front. (avanzandosi) Signore…!

Tomm. – Chi è là?..

Front. – Voi sembrate affannato… voi cercate qualche oggetto smarrito…

Tomm. – Avresti per caso trovato in questo cortile…?

Front. – Che cosa?

Tomm. – Un portafoglio di bulgaro… contenente…

Front. – Non so cosa contenga, perchè mi ripugnava lʼaprirlo, ma il portafoglio è in mia mano… e vi si legge il nome di…

Tomm. – Tommaso Dubois…

Front. – Per lo appunto…! Eccovi ciò che avete smarrito.

(consegna il portafoglio).

Tomm. (da sè aprendo il portafoglio) Questo pezzente è ben capace di avermi sottratto il denaro… (dopo aver contate le banconote) Duemila… Tutto è in regola – respiro!.. (a Frontino) Lʼonestà si trova sempre nei figli del popolo. Grazie, signore!

(fa per andarsene).

Front. – Perdonate!.. non sono un signore… Al contrario… non mi offenderei… se accordandomi tutto, o in parte almeno, il compenso che in simili casi promette la legge…

Tomm. – Non avevate detto di ignorare quali valori si contenessero qui dentro?

Front. – In fede dʼonestʼuomo, vi giuro che lo ignoro tuttavia.

Tomm. – Ebbene: me ne duole per te; ma nel mio portafoglio non vi erano che delle lettere insignificanti. – In ogni modo, la tua nobile azione vuoi essere compensata (dandogli una moneta) Tieni!.. Non sprecarla in bagordi! (esce).

Front. (osservando la moneta) Un soldo!.. La provvidenza è generosa! (volgendosi ad un garzone che attraversa il cortile) Garzone! Vorresti darti lʼincomodo di portarmi un pane da un soldo?..

Garz. – Questa non è una bottega da fornaio… Beve, il signore?

Front. – Ho fame…

Garz. – Desidera del vino…

Front. – Al mattino preferisco lʼacqua…

Garz. Là, presso la stalla… cʼè una fontana.

(si allontana).

Front. (cadendo sopra un banco di pietra in fondo alla scena) In carcere si stava meglio!

SCENA IX

Deianira, sempre in abito virile, Giacinto indi Roberto in abito da donna, Clementina, Frontino in disparte.

Deian. (a Giacinto con famigliarità) Tu dunque non mi serbi rancore?..

Giac. – No, Deianira; le tue lezioni mi costarono un poʼ caro, ma desse mi gioveranno per tutta laʼvita. Prima di conoscerti, ero uno zotico, un imbecille, qualche cosa di mezzo fra lʼuomo e la bestia. Da te ho imparato, ciò che la famiglia e la scuola non insegnano mai, lʼarte di saper vivere…

Deian. – Le donne della mia specie sono piccole università ambulanti create dalla natura. Alla nostra scuola si diventa giganti o si muore. – Giacinto, ora puoi prender moglie senza pericolo…

Rob. (a Clementina) Sì… lʼho conosciuto a Parigi… Era intimo di mio figlio… Buon ragazzo… un poʼ sventato… un poʼ largo di cuore… del resto una pasta eccellente…

Clem. – Mi consolate. Credete voi chʼegli diverrà un buon marito?..

Rob. – Questo dipenderà da voi, mia carina. Tutti i mariti sono buoni, quando la moglie abbia il talento di renderli ciechi.

SCENA X

Un sergente, due carabinieri e detti

Serg. (avanzandosi) Il padrone della locanda?..

Giac. – Son io.

Rob. (a Deianira) Niente paura!

Serg. – Avete forastieri in alloggio?

Giac. (additando Deianira e Roberto) Questo signore che a momenti si imbarcherà con sua madre per lʼAmerica.

Serg. (a Deianira) Favorisca il suo passaporto.

Deian. – Eccolo!..

Serg. – Vostra madre?

Rob. (inchinandosi) Per servirla.

Serg. (da sè, osservando Deianira e Roberto) Costui è troppo giovane… questʼaltra è troppo vecchia (forte, rendendo a Deianira il passaporto) Signore, la prego a perdonarmi… ella è libera di andarsene ove le aggrada…

Deian. – Si parta! Siamo già in ritardo (baciando Giacinto) Addio, compagno delle mie follie! – (a Clementina) Amatelo! egli nʼè degno… Voi sarete felici…

Rob. (a Clementina) Al patto… mi intendete…

Deian. – Vieni, mamma!

(dà il braccio a Roberto e partono insieme).

Front. (scorgendo Roberto e Deianira) Che vedo!..

Serg. (volgendosi) Chi è colui?..

Giac. – Non saprei – qualche mendicante…

Serg. (ad una guardia) Non lasciatelo uscire. (a Giacinto) Con vostro permesso, vo a dare una occhiata allʼinterno.

(entra nellʼalbergo).

SCENA XI

Tommaso ansante, e detti

Tomm. – Ah.! siete qui…! Clementina…! va!.. disponi…! A momenti verrà da noi lʼavvocato Cavillo… Lʼho invitato a far colazione (dandole una chiave) Metti in tavola le posate dʼargento e tutto il mio ricco servizio di porcellane…

Clem. – Tu… dici?..

Tomm. – Che hai? perchè tremi: sarebbe accaduta qualche disgrazia?

Clem. (gettandosi ai piedi di Tommaso) Gli è che quelle posate…

Giac. – Clementina…! Tu piangi!

Tomm. – Mi avrebbero rubata quella poca grazia di Dio?..

Clem. – No… padre!.. perdono! Io credeva che trattandosi di lui…

Tomm. (con ira) Sciagurata!.. Vuoi tu dunque parlare…?

Giac. (trattenendo Tommaso) Calmatevi!.. Sentiamo! (con dolcezza a Clementina) Che è dunque avvenuto di quelle posate?

Clem. – Sapendo che eri malato, che avevi bisogno di denaro… ho creduto far opera buona portandole al Monte…

Giac. (con trasporto) Tu… Clementina…!

Tomm. – Ah! lad…

Giac. (abbracciandola) Angelo mio, sarebbe vero…? E il denaro che mi hai mandato…?

Clem. – Era appunto il ricavo netto… di quelle posate…

Giac. – Nobile cuore!.. anima generosa e sublime…!

Tomm. Ah! la… scia che io pure… mi congratuli, che io pure…

SCENA XII

Sergente e detti

Serg. – Nessuno! (alle guardie, additando Frontino) Fate avvicinare quellʼuomo! (a Frontino) Il tuo nome?..

Front. – Frontino Grossac…

Serg. – Le tue carte?..

Front. – Eccole!..

Serg. – Pregiudicato! (a Frontino) Che facevate qui?

Front. – Attendeva…

Serg. (a Tommaso ed agli altri) Cʼè qui alcuno che conosca questʼuomo?

(tutti tacciono).

Front. (additando Tommaso) Quel signore può dire… può attestare…

Tomm. – Ah! mi sovvengo!.. poco fa gli ho fatto lʼelemosina di un soldo (sottovoce al sergente) Mi pare una schiuma!

Serg. (a Frontino) Favorite di seguirci!

(Frontino viene preso in mezzo dalle guardie).

Front. – Quel Signore (accennando a Tommaso) potrebbe soggiungere che poco dianzi ho dato una prova solenne della mia onestà, rendendogli un portafoglio…

Serg. – Se ciò è vero, avete compiuto il vostro dovere…

Tomm. – Bravo!

Serg. – La vostra buona azione la troverete un giorno registrata nei libri di Dio. – Al momento, io debbo arrestarvi per delitto di mendicità e di vagabondaggio.

(Il sergente saluta).

Front. (uscendo fra le guardie) Non si può divenire onesti con un soldo di capitale.

Tomm. (a Giacinto) Figliuoli: prendete esempìo… – Tu Clementina principalmente…

Voci di fuori. – Molla! Molla!

SCENA ULTIMA

Cavillo e detti

Cav. (osservando) Qualche ladro di basso rango che non merita lʼonore della mia difesa…

Voci (come sopra) Molla! Molla!

Giac. – Che voglion dire quelle grida?..

Cav. (avanzandosi) Un ladro condotto in prigione. La coscienza pubblica si ribella sempre contro gli esecutori della legge. E in verità, i ladri arrestati fanno proprio compassione, quando si paragoni la loro sorte miseranda…

Tomm. (abbracciando Cavillo) A quella dei galantuomini nostri pari – non è vero, avvocato? – (dominando la piccola comitiva) Guardiamoci… dalle guardie di pubblica sicurezza!

FINE DELLA COMMEDIA

VOLERE È POTERE

NOVELLA
 
Un tal Stucchi Tommaso
Dei päesel di Arona
Avea letto per caso
Un libro del Lessona,
Dove, con molti esempi,
Dei vecchi e nuovi tempi,
Chiaro si fa vedere
Che volere è potere.
– «Volere!.. è presto fatto…
Se tanto il voler giova,
Converrebbe esser matto
Per non tentar la prova…
Io non domando onori…
Non titoli o favori,
Di gloria io non mi picco,
Ma… voglio farmi ricco.
Or più non mi imbarazza
La scelta del mestiere,
Apro uno studio in piazza,
Mi intitolo banchiere;
Se ad iniziar la Banca.
Il capital mi manca,
Poichè basta volerlo,
Sò come posso averlo.
Ciò detto, il buon Tommaso
Si recò da un notaro,
Franco gli espose il caso,
Gli domandò il denaro;
Ma quei, con faccia bieca:
«Che mi dà in ipoteca?
– Nulla – Nulla!.. ho capito
Non posso!… affar finito.»
– Non può?.. Lei mi canzona!
Tal scusa più non va:
Non ha letto il Lessona?
Lo voglia e lo potrà.
Lʼaltro lo guarda in viso
Con cinico sorriso,
E per uscir di imbroglio,
Conclude: ebben, non voglio!
Ricorse lʼindomani
Agli amici, ai parenti;
Nʼebbe discorsi vani,
Promesse, complimenti,
Consigli che mordevano,
Sorrisi che parevano
Dirgli: qui tutto avrete
Fuor quello che volete.
E sorse un dubbio in lui:
«Che della vita al gioco
Anche il volere altrui
Debba contare un poco?
Dalle prove che ho fatto
Parrebbe… Eh! via!.. son matto!
Che colpa ci ha il Lessona
Sʼio son nato ad Arona?
– Nei piccoli paesi
Piccole le risorse…
Qui gli uomini scortesi,
Qui stitiche le borse;
E poi, nemo prophetaIn patria– è storia vieta;
Per ritentar le prove
Convien chʼio vada altrove.»
Solo, a piedi, di notte,
Partì senza un quattrino,
E colle scarpe rotte
Un giorno entrò in Torino
Sclamando: «qui ho voluto
Venire, ed ho potuto;
Volendolo, mi pare,
Ora potrò mangiare.»
Infatti, appena scorta
Lʼinsegna di un trattore,
Maso varcò la porta
Con passo da signore;
Sedette, fu servito,
E sazio lʼappetito,
Pensò: volevo un pranzo,
Lʼottenni, e nʼho dʼavanzo.
Ma quando il cameriere
Venne a portargli il conto,
Gli parve che al volere
Fosse il poter men pronto —
Il garzonetto attese
Alquanto, e poi gli chiese:
Vuol altro? – Ora, mio caro,
Vorrei… – Cosa? – Il denaro.
– Denaro! –  Certamente…
Tu sai che le parole
Oggi non valgon niente,
E per pagar ci vuole
Denaro; or, come averlo
Potrei senza volerlo?..
– Mi paghi, faccia presto!
– Voglio il denar per questo!
Ed ecco, mentre dura
La strana discussione,
Due guardie di questura
Si avanzan col padrone
– Sentiamo!.. cosʼè stato?..
Tommaso in tuon pacato
Risponde: «del diverbio
Fu origine un… proverbio.»
«Tutto si può, volendo,
Lo dice il testo, ed io
Agli altri esempi intendo
Unir lʼesempio mio —
Venir volli a Torino
E feci a piè il cammino,
Qui volli entrar, entrai;
Volli pranzar, pranzai.»
– Ed ora? –  Or non avendo
Denaro… è naturale…
Chʼio voglia… – Intendo! intendo
Ci segua!.. Al Criminale
Verrà stanotte a cena;
La casa è tutta piena
Di gente che ha voluto
E mai non ha potuto.
In carcere il tapino
Fu trattenuto un mese;
Quindi, lasciò Torino,
Tornò nel suo päese,
Dove il volere altrui
Fu tanto avverso a lui,
Che, stanco di soffrire,
Gridò: voglio morire!
Ai gridi disperati
Fortuna non è sorda;
Tra ferri e cenci usati
Trovò un chiodo e una corda;
Confisse a un muro il chiodo,
Fece alla corda un nodo,
Pose nel cappio il collo,
E diè lʼestremo crollo.
Così dal mondo è uscito
Il povero Tommaso;
E forse egli è partito
Convinto e persuaso
Che quandʼun, per disfarsi
Dai guai, vuole appiccarsi,
Non sempre, ma però
Qualche volta lo può.