Non può tardare più di due minuti, ha detto che alle tre in punto sarebbe tornato.
Va bene.
La signora comanda nulla?
Nulla. Il mio domestico è in anticamera?
Sissignora.
Andate pure. (via Clemente) È poco galante il barone! Com'è bello qui! Quieto, ordinato, dei libri che hanno l'aria di esser letti… pochi ninnoli… nessuna mostra di fotografie… bellissimo. Chi mai avrebbe immaginato così armonica la casa di quello sventato! La sua casa è migliore di lui. (apre la persiana della finestra) E il giardino! Com'è bello fiorito! – Non viene. Se me ne andassi? (pausa) Mi pare che passerei volentieri delle ore qui… sola… a leggere… a suonare (siede allo scrittoio). Curioso effetto che fa una stanza dove s'entra per la prima volta! Quante cose racconta del suo padrone! Quante abitudini palesa, quanti difetti tradisce con gran studio celati, quante qualità ignorate rivela subitamente. Qui difetti non ne appare. Tutto vi ha l'aria di dover servire senza sfoggio. Se non conoscessi il barone e me lo dovessi immaginare dalla vista di questa stanza, vediamo un po' come lo immaginerei? Precisamente l'opposto di quello che conosco. Fidatevi delle apparenze! o piuttosto fidatevi di questa sorta di induzioni! Quale sarà la sua vera natura? Quella che egli mostra di fuori o quella che appare qui? Sono più sincere le cose che gli uomini. (prende un libro) L'intermezzo di Heine… in tedesco…! e annotato in margine… di suo pugno. Sa il tedesco! (prende delle carte) Dei versi? O curiosa! Con una data: cinque Aprile, di ieri dunque. Vediamo (legge)
Io non la vidi e vommene
Dolente; oggi lo sento
Mi armava amor d'insolito
Disperato ardimento,
Oggi era certo l'impeto
Della facondia mia,
Sarò doman l'estraneo
Che passa per la via.
Che tristezza in questi ultimi versi:
Sarò doman l'estraneo
Che passa per la via.
Com'è triste! (si alza) Ha fatto apposta a non trovarsi in casa il signor barone. Mi ha più interessato in cinque minuti di assenza che non nei cinque anni da che lo conosco. Ma ora se non viene non mi troverà più. (s'avvia, entra Fabrizio).
Devo mettermi in ginocchio?
Me ne andavo.
Se avessi contato sulla vostra puntualità sarei parso vanitoso.
E piuttosto che aspettar voi, preferite fare aspettare gli altri.
È così dolorosa l'attesa di una gran gioia! Ho cercato di ingannare il tempo occupandomi di voi.
Di me? (Clemente entra con un ricco canestro di fiori, lo depone, poi esce). Ah che galanteria! Però avrei avuto più cari dei fiori del vostro giardino.
Del mio giardino?
Non è vostro quel giardino lì sotto?
Ah! sicuro ma non ci sono fiori.
Se ne ho visti io di bellissimi.
Ah, aveste visto?
Dalla finestra. Sapete che è bello il vostro studio?
Poh!
Ma assai bello. È così austero, tranquillo.
Volete dire che ci si deve seccar molto, non è vero?
Naturalmente! Non ci siete che voi capace di apprezzarlo.
Oh mi ci seccherei anch'io.
Mi piace quel soggiuntivo.
Ho detto mi seccherei perchè non ci sto mai.
Ha l'aria tanto abitata.
Ora che sono in congedo, ma il resto dell'anno lo passo a Bruxelles.
Dovete rimpiangerlo quando siete lontano.
D'ora in avanti lo rimpiangerò, perchè ha avuto l'onore di accogliervi.
Vediamo dunque queste incisioni.
Datemi tempo di rimettermi dalla emozione, dal piacere che provo nel vedervi qui a casa mia…
Ma sono venuta per questo.
Soltanto?
E perchè altro?
Io che ve ne ero già tanto riconoscente!
Lo credo. Vi ho dato una bella prova di stima.
Non è il sentimento che ambisco di ispirarvi.
Avete torto. La stima è madre di tutti i sentimenti benevoli.
Speriamo nella figliuolanza.
Sapete a che pensavo aspettandovi? Che dovete fare un ben meschino giudizio di noi donne, me compresa, dacchè vi credete in obbligo di ostentare con noi una leggierezza, che vi nuoce…
Grazie.
E di nasconderci il vostro vero valore.
Io nascondo il mio vero valore! Ma non domando di meglio che di mostrarlo.
Non fingete. Voi siete studioso.
Poco.
Dotto.
Misericordia! Chi mi ha calunniato?
Voi stesso. È impossibile entrare in questa casa senza indovinare nel suo padrone un uomo amante dello studio e del raccoglimento. Questo ambiente così quieto, così intimo, non può mentire. Questi libri non hanno l'aria di fare inutile parata di sè. Non cercate di ingannarmi. A che pro? Se sapeste quanto siete cresciuto nel mio concetto dacchè sono entrata qui dentro! Perfino la vostra finzione mondana mi piace, essa mi prova una timida diffidenza verso gli indifferenti; si vede che non volete mostrare al mondo vano, la serietà dei vostri diletti; costretto di vivere con gente frivola amate meglio fingervi frivolo che passare per originale. Non è così? E poi siete poeta.
Anche poeta?
Mi direte curiosa. Colpa vostra; perchè lasciare sparsi sullo scrittoio ed in evidenza questi fogli…?
Ah avete letto…?
Dei versi?
Belli.
Sì, mi diverto qualche volta per non saper che fare.
Mi perdonate l'indiscrezione?
Che non vi perdonerei?
Allora prendo coraggio.
Sì, prendete coraggio.
Chi è?
Chi?
La donna che vi ispira.
Me lo domandate! Ingrata.
Ah no. Non sono io.
Vi giuro…
Non sono io. È naturale che cerchiate di farmelo credere, ma ho le prove del contrario.
Le prove! (fra sè) Che diavolo sia! (forte) Ah, ci sarà forse scritto su un nome che non è il vostro, ma, sapete bene… i poeti usano nomi immaginari.
Non c'è scritto nessun nome.
E allora?
Leggete. Sono vostri quei versi?
E di chi potrebbero essere?
Leggeteli.
«Io non la vidi e vommene dolente…»
Basta.
E qui c'è la prova? Io non la vidi e vommene dolente… Ecco, vommene dolente e il dolore mi fa poeta: li ho scritti un giorno che non mi era riuscito di vedervi.
Quando?
Non mi ricordo il giorno preciso.
Avete poca memoria, perchè furono scritti ieri.
Ieri?
C'è la data. Eccola, 5 aprile. Oggi ne abbiamo 6… e ieri foste a casa mia, mi ci trovaste, mi avete quindi veduta, non ve ne siete andato dolente affatto, locchè vuol dire che quella donna non sono io.
Come la ragione è nemica dell'intelligenza! Sono stato da voi, c'era un mondo di gente, uomini, donne: una fiera. E lo chiamate vedervi questo? E me ne devo contentare? E non me ne posso andar via dolente?
Leggete avanti.
Dolente – Oggi lo sento
Mi armava amor d'insolito
Disperato ardimento.
Sono cinque anni che mi andate giurando di amarmi, con frasi così pompose che non ci ho mai creduto, e parlate d'insolito ardimento!
Insolito disperato ardimento: quello che è insolito, non è l'ardimento ma la disperazione. Sono cinque anni che vi giuro di amarvi, e cinque anni che vi prendete giuoco di me. Non è naturale che arda di trovarvi sola una volta per dirvi il mio amore in termini tali da non lasciarvene dubitare?
Ne parlate troppo e troppo chiaro. (Fabrizio le prende la mano e gliela bacia).
Che fate?
Provo a spiegarmi tacendo.
Che vuol dire?
Vado.
Oh! vi bacio la mano tutte le volte che v'incontro e non ve ne avete mai per male.
Dovreste capire che essendo a casa vostra, il linguaggio ed i modi che adoperate sono di pessimo gusto.
Ma di peggiore gusto sarebbe se vedendovi qui sola e bella…
Oh! (s'avvia).
No, no, no, fermatevi. Prometto che divento docile come un agnellino. Sedete: ve lo giuro. (Livia siede). Pensate un po' quanto sarebbe stato ridicolo, se ve ne foste fuggita a quel modo. Che viso avremmo fatto incontrandoci la prima volta in società? Come siete severa! Per trovar grazia presso di voi, bisogna essere uno spasimante muto?
Ah Dio, no per carità!
Come inorridite a quell'idea! Ne avreste per caso qualcheduno d'attorno?
Vediamo le incisioni?
No, rispondete. Sì, eh? Un'anima pudica e virtuosa, un cuore ardente ma padrone di sè.
Oh molto pad… (si morde le labbra).
Già. Troppo padrone, non è vero? E ve ne spiace! È un mondaccio! Quelli che ardiscono si vorrebbero timidi e i timidi si vorrebbe convertirli in leoni.
Oh non c'è pericolo! (ride).
Ridete pure e grazie della confidenza. Però mi sarà lecito domandarvi che parte mi destinate nel piccolo romanzetto del vostro cuore.
Non il protagonista certo.
Ah!
Andiamo! Un uomo maturo…
Eh!
… Come siete; perchè via, senza offendervi siete un uomo maturo. Quanti anni avete?
Indovinate.
Non è difficile. Ero in collegio, nella classe delle piccine, vale a dire alta così… e mi ricordo che sentivo le grandi, quando ritornavano dopo i giorni d'uscita, portare al cielo i vostri baffi e il colore delle vostre cravatte. Eravate già allora applicato… o che altro so io, al ministero degli esteri, tanto che, in collegio vi si chiamava, per antonomasia, l'ambasciatore; locchè fra parentesi vuol dire che è una carriera lenta la vostra.
Non me ne posso lagnare.
Meglio per voi, ma noialtre, che fin d'allora eravamo tutte quante ammirate della vostra gloriosa persona, capite bene, che non si è potuto durare tanti anni nello stesso sentimento… del resto… dove andava la instabilità femminile? Volete che vi dica la mia età? Non ve la lascio indovinare, perchè sareste capace, nella vostra galanteria, di farmi più giovane di quello che sono, tanto più che ci avreste il tornaconto. Ho ventisei anni, e nell'epoca di che vi parlo ne avevo dieci. Voi allora non potevate averne meno di ventiquattro, tirate il conto, sono quaranta. Non dico che siate vecchio, ma ne conosco di più giovani. – Lasciate stare la vostra barba, perchè la stiracchiate tanto?
Non sapete che rischio corre la mia barba.
Che rischio?
Non siamo abbastanza amici perchè ve lo dica. Non mi fa mica piacere sapete, aver quarant'anni. Ma via, non sono venerabile, e non vi potrei essere nè nonno nè padre, e il sentimento che provo per voi, può essere altrettanto dolorosamente offeso in un uomo di quarant'anni quanto in uno di venti. Gran cosa esser giovani! Se aveste avuto qualche anno di più, avreste capito che il vostro procedere meco era molto leggiero.