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Kitabı oku: «Istoria civile del Regno di Napoli, v. 4», sayfa 24

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(Queste Lettere di Federico scritte nel 1239 si leggono presso Lunig. Cod. Ital. Diplom. Tom. 2 pag. 887, 889 e 898, siccome in contrario un Breve di Gregorio IX drizzato al Card. Ottone pag. 895).

Scrisse ancora a tutti i Re e Principi di Cristianità, purgandosi delle malvagità oppostegli dal Pontefice, gravando lui di gravissime colpe con tutti i Cardinali; e veggonsi sin ad oggi l'epistole di Federico ne' libri di Pietro delle Vigne, per le quali egli mostra, quanto a torto fosse stato così oltraggiato dal Pontefice. E ritornato poscia a Padova ingegnossi con ogni suo potere farsi partigiani ed amici i più stimati Signori d'Italia, per valersene contro il Pontefice, ed alla guerra d'Italia pose tutti i suoi pensieri.

Ma poichè il Pontefice, dopo questa scomunica per mezzo di Monaci e Frati, tentava di sconvolgergli questo Reame, Federico ancorchè intrigato nella guerra di Lombardia, vi diede però riparo, per mezzo di vari ordinamenti, che vi drizzò, discacciando dal monastero di Monte Cassino tutti que' Monaci, a riserba di solo otto Frati, che sopra il Corpo di S. Benedetto i divini Uffici celebrassero, mandandovi per custodia di quel monastero molti soldati a guardarlo: ed il munì a guisa di forte Rocca, con toglierne l'antico tesoro ed i sacri vasi d'argento e d'oro, che dopo molt'anni vi furono riposti per la previdenza de' Frati, e per la magnificenza de' passati Re ed altri Signori e Baroni del Regno. Tolse parimente a' Padri Pontecorvo e Rocca Janala. Ordinò ancora che tutti i Regnicoli, che si trovavano nella Corte romana partir dovessero da Roma, fuorchè quelli, che dimoravano a' servigi del Cardinal Tommaso e di Giovanni da Capua suoi vassalli. Discacciò dalle loro Chiese e dal Regno i Vescovi d'Aquino, di Carinola, di Teano e di Venafro. E da tutte le Chiese cattedrali, e dal monastero Cassinense, e da' suoi sudditi fece esigere un adjutorio per l'Imperadore, dando la cura a Ruggiero di Landolfo ed a Giacomo Gazzolo, a ciò eletti per lo Giustizierato di Terra di Lavoro, di raccorre la metà delle loro rendite, con parte delle quali sostentò i soldati, che dimoravano a guardia di Monte Cassino e di Pontecorvo.

E nell'istesso tempo furono da Federico ordinati gl'infrascritti Capitoli da doversi pubblicare nel Regno, e da osservarsi irremissibilmente, rapportati da Riccardo373.

Primo, che tutt'i Frati di S. Domenico ed i Frati Minori di S. Francesco, nativi delle terre rubelle di Lombardia, uscissero prestamente da' suoi Stati, e da tutti gli altri Religiosi si togliesse sicurezza di non trattar cos'alcuna in disservigio di lui. II Che tutt'i Baroni e Cavalieri, che per l'addietro avessero seguito le parti del Pontefice, e particolarmente quelli, che aveano le loro Baronie a' confini d'Apruzzo e di Campagna, dovessero andare in ordine con armi e cavalli in Lombardia per servirlo in Campo a loro spese, e quegli che non eran agiati di moneta, col soldo, che egli avrebbe lor fatto pagare. III Che dalle Chiese cattedrali s'esigesse per lui, e s'imponesse per l'imperial Corte un adjutorio secondo il modo e potere delle loro ricchezze, e parimente da' Canonici e Preti sudditi di quella diocesi e da' Cherici ancora, secondo le loro facultà: ed il medesimo si dovesse esigere dagli Abati, Monaci negri e bianchi. IV Che tutti quei che sono nella Corte romana, eccetto gli esclusi ed i sospetti debbiano ritornare tosto nel Regno, e facendone il contrario, i loro beni saranno confiscati e dopo la citazione, se non ubbidiranno, non si permetterà loro più ritornare. V Che i beni ed i beneficj di quelli Cherici, che non sono del Regno, debbiano tutti confiscarsi. VI Ordinò, che niuno potesse nè gire dal Regno in Roma, nè venir da Roma nel Regno senza licenza de' Giustizieri delle province d'Apruzzi e di Terra di Lavoro. VII Che si stabilissero esploratori acciocchè niuno, sia mascolo o sia femmina, entrando nel Regno, portasse lettere, o altre scritture del Papa contro di lui, e che se fossero trovati, fossero fatti morire o Chierico o Laico che egli si fosse.

Ma non perchè queste ostilità fra di loro si praticassero, tralasciò Federico di mandare a Roma li Vescovi di S. Agata e di Calvi per trattar co' Cardinali di trovar modo di composizione; ma tosto che Gregorio seppe la lor venuta in Roma, furono da lui discacciati, e ritornarono indietro nel Reame senza conchiuder cosa alcuna374.

CAPITOLO II
Si rompe aperta guerra tra Federico e Papa Gregorio, il quale in mille guise oltraggiato dall'Imperadore, se ne muore di dolor d'animo

Inasprisconsi per tali cagioni gli animi d'ambedui, e mentre per opera del Papa si rubella Ravenna dall'Imperadore, e si dà in mano de' Veneziani, che la difendono, Federico richiama in Italia il Re Enzio suo figliuolo, il quale venuto di Sardegna, con grosso numero di soldati pugliesi, tedeschi, siciliani e saraceni invade la Marca d'Ancona, rompendo la guerra al Pontefice. Gregorio gl'inviò contro per suo Legato il Cardinale Giovanni Colonna, acciocchè difendesse que' luoghi, e nel mese di novembre di quest'istesso anno 1239 confermò le censure già fulminate contro Federico, e scomunicò il Re Enzio con tutti i suoi seguaci, per essere entrati ostilmente nella Marca, quam Juris esse dicebat Ecclesiae, come narra Riccardo.

Sollecitò anche il Pontefice i Veneziani, perchè movesser guerra a Federico, i quali scovertisi già di costui nemici, assalirono con la loro armata la Puglia, ed avuta Federico notizia d'essersi per queste mosse ribellati alcuni suoi Baroni, risolse di passar nel Reame per la qual cosa munite di soldati tutte le più importanti città di Lombardia, e passati gli Appennini pervenne a Lucca ed a Pisa, ove dimorato alcuni giorni s'adoperò a fare, che i Pisani movessero aspra guerra a' Genovesi partigiani del Pontefice, e che molti Popoli di Toscana con lui si collegassero. Nello stesso tempo Frate Elia, uno de' discepoli di S. Francesco d'Assisi, sdegnato col Pontefice, per essersi dimostrato più favorevole ad alcuni Frati del suo Ordine, co' quali avea nimistà, ed aspramente il travagliavano, che a lui, anch'egli aderì a Federico, divenendo suo gran partigiano e difensore: onde si veggono alcune lettere scritte dall'Imperadore a suo favore, e particolarmente una d'esse al Re di Cipri, nella quale lodandolo di somma bontà, dimostra averlo in molta stima.

Racconta Bernardino Corio, che prima di partir Federico da Lombardia, per trattato de' Milanesi, congiurarono di torgli la vita nell'istesso suo esercito, Pietro delle Vigne, Guglielmo di S. Severino, Teobaldo Francesco Siniscalco del suo palagio, Andrea di Cicala, Pandolfo della Fasanella e Jacopo di Morra, con altri molti de' suoi maggiori e più stimati Baroni, e che avvedutosi l'Imperadore della lor fellonia, facesse cavar gli occhi a Pietro, e gli altri in varie guise aspramente morire: nel qual racconto prende il Corio un manifesto errore, per seguir forse alcun Autore, che ciò con poco avvedimento scrisse prima di lui, non leggendosi tal fatto, nè in Riccardo da S. Germano, nè in altri Scrittori di que' tempi; anzi Andrea di Cicala, eletto dopo la morte d'Errico di Morra Gran Giustiziero, per lungo tempo appresso fedelmente il servì, e la ribellione de' S. Severini, di Teobaldo Francesco, e di coloro della Fasanella, e d'altri Baroni, con la rovina di Pietro delle Vigne, succedette in progresso di tempo nel Reame, e con altra cagione di quella che il Corio racconta, secondo che appresso diremo.

Federico adunque avendo creato il figliuolo Enzio suo Vicario in Italia, ed inviatolo con grosso numero di soldati ad occupar la Marca d'Ancona, egli entrò col rimanente del suo esercito per un altro lato nel Ducato di Spoleto, e negli altri luoghi del Patrimonio, essendo già l'anno di Cristo 1240, e se gli diede in un subito Fuligno, Viterbo, Orta, Civita Castellana, Corneto, Sutri, Montefiascone, e Toscanella con molt'altre castella; il perchè sbigottito grandemente il Pontefice ricorse alle orazioni, e cavate fuori le teste di S. Pietro e S. Paolo, col legno della Croce di Cristo, con tutt'i Cherici, Prelati, e gran parte del Popolo romano, gli condusse in processione da S. Giovanni in Laterano insino a S. Pietro, ed ivi largamente favellato delle miserie, che pativa la Chiesa di Dio per la malvagità, com'egli diceva, di Federico, pubblicò contra di lui la Croce, come di crudelissimo nemico di Dio e de' suoi Ministri, infiammando parimente con le sue parole molti degli astanti a prenderla. Infatti ragunatisi di loro un convenevole esercito con gli altri soldati del Pontefice, uscirono contro all'Imperadore, e vennero più volte a battaglia; della qual cosa Federico aspramente sdegnato, quanti dei Crocesignati faceva prigionieri, tanti faceva loro o fendere in quattro parti la testa, o con ferro infocato segnare in fronte una croce; e dati a sacco, ed abbruciati i territorj di Roma, se ne passò nel Reame, ove poco innanzi avea inviata l'Imperadrice sua moglie in compagnia dell'Arcivescovo di Palermo, ed andato egli in Puglia proccurò discacciar da que' liti i Veneziani, i quali con venticinque galee scorrendo per quelle riviere presero, e saccheggiarono Termoli, Campomarino, Vesti, Rodi, ed altre castella. Anzi incontrata appresso Brindisi una nave, che carica di soldati imperiali ritornava da Soria, dopo averla aspramente combattuta, ma non presa, per averla ostinatamente difesa coloro, che vi eran dentro, l'abbruciarono. A tai danni non potendo porger rimedio Federico, fece in vendetta morire obbrobriosamente impiccato per la gola in Trani in una torre presso la marina, Pietro Tiepolo figliuolo del Duce a vista dei Veneziani, i quali danneggiarono quelle contrade sino al mese d'ottobre, quando carichi di preda, senza ricever molestia alcuna, addietro a Vinegia si tornarono.

Nell'istesso tempo per opra de' Cardinali, Papa Gregorio pensò di convocare un general Concilio in Laterano nel giorno di Pasqua del seguente anno, per trovar opportuno rimedio a' travagliati affari della Chiesa, ed al soccorso di Soria, e spedì perciò Giacomo Pecoraro di Pavia Cardinal di Preneste, ed Ottone Bianco de' Marchesi di Monferrato suoi Legati in Ispagna, Francia, Inghilterra e Scozia a convocare i Vescovi, ed i Prelati di que' Regni, che venissero al Concilio a difendere le ragioni della Chiesa contro l'Imperadore con dar loro contezza delle guerre e persecuzioni che ciascun giorno sofferiva. Ciò inteso Federico, procacciò per ogni via di distorre i Prelati oltramontani dal venirvi, scrivendo nel mese di settembre al Re d'Inghilterra, che in guisa alcuna non avesse fatti partire i Vescovi del suo Regno, e con gravi minacce tentò parimente di non farvi intervenire gli Alemanni e gli Franzesi; ed acciocchè i fatti non fossero stati dissimili dalle parole, inviò Enzio suo figliuolo con un potente esercito nelle riviere di Genova, acciocchè proccurasse di non far passare i Prelati, e facesse prigionieri tutti quelli, che alle mani gli capitassero, e travagliasse con ogni suo potere i Genovesi seguaci del Pontefice. Era allora Federico in grande e felice stato, e potentissimo di gente e di denaro; tenendo al suo soldo cinque numerosi eserciti.

(Matteo Paris, pag. 493 e 495 scrive, che fossero sei eserciti, dicendo: Habuit enim sex exercitus magnos, populosos, et formidabiles; ed annovera i luoghi, ov'eran posti, ed i Generali che li comandavano. Vedasi Struvio Syntag. Hist. Germ. dissert. 20 § 15 pag. 658).

Perciocchè oltre a quello, che campeggiava in Faenza, e l'altro, che avea inviato in Liguria, teneva il terzo nella Marca d'Ancona e nella Valle di Spoleto, del quale, come si vede nelle Pistole di Pietro delle Vigne, era general Capitano Marino d'Evoli. Era il quarto in Palestina a difesa di que' luoghi, governato da Rodolfo suo Maresciallo, e del quinto era Capitano suo figliuol Corrado, in Alemagna ragunato per andare in soccorso di Bela Re d'Ungheria contro i Tartari, ch'eran poco innanzi usciti dagli ultimi confini della Scizia, ed aveano a guisa d'un diluvio scorsa e soggiogata la maggior parte dell'Asia: e così vittoriosi e potenti si divisero in più eserciti, uno dei quali passato in Europa avea vinto i Polacchi, i Russiani ed i Bulgari; onde il Re Bela, chiedendo soccorso a Federico, fu cagione, che non sol facesse dal figliuolo Corrado assembrar grosso esercito di Tedeschi per aiutar quel Re, e scacciare i Tartari da' confini di Lamagna, ma ancora, che ne scrivesse a' Senatori di Roma, dolendosi, che la discordia fra se e Gregorio il distogliea dall'andar di persona a così importante impresa, richiedendogli, che procacciassero di porlo con lui in concordia, come a pieno si scorge nel primiero libro delle Pistole di Pietro delle Vigne.

Intanto, entrato l'anno 1241, Federico per togliere ogni sospetto, che il Papa potesse per mezzo de' Frati rendere insidie nel Reame, fece scacciare di suo ordine da quello tutti i Frati Cordeglieri, e quei di S. Domenico, rimanendone sol due di loro, naturali del medesimo Reame, per monastero, e la città di Benevento fu prestamente assediata, siccome scrive Riccardo, la quale avendo per nove mesi continui sostenuto valorosamente l'assedio, alla fine da fame costretta si rese, e furono per ordine dell'Imperadore abbattute le sue mura e le torri insino al suolo, e tolte l'armi a' cittadini.

Nello stesso tempo Giovanni Colonna Cardinal di S. Prassede Legato di Gregorio nella Marca, venuto con lui in discordia, divenne partigiano di Federico, e gli sottopose buon numero delle sue castella presso Roma. Erano, mentre ancor durava l'assedio di Faenza, ritornati di là da' monti, e d'Inghilterra e di Scozia in Genova i Cardinali con grosso numero di Vescovi, Arcivescovi, ed altri Prelati per venire al Concilio, e trovarono in quella città Gregorio di Romagna, parimente Legato del Pontefice, da lui inviato a' Genovesi per lo stesso affare del Concilio. Or questi Prelati temendo di gire per terra a Roma per le gravi minacce di Federico, conchiusero di far cotal passaggio su le galee de' Genovesi condotte da Guglielmo Ubriachi loro Ammiraglio, non ostante, che Federico gli avesse invitati a venire a lui; perciocchè bramava, o fargli consapevoli delle sue ragioni riversando la colpa della discordia al Pontefice, o distorgli da gire nel Concilio; onde imbarcati su la detta armata de' Genovesi ebbero all'incontro il Re Enzio con venti ben armate galee, tra quelle del Reame, e quelle de' Pisani, che vennero in suo soccorso sotto il comando di Ugolino Buzaccherini da Pisa espertissimo Capitano di mare375; ma venute alle strette le due armate il giorno terzo di maggio tra Porto Pisano, e l'isola di Corsica non lungi dall'isoletta della Meloria (per non aver voluto li Capitano de' Genovesi allargarsi in mare, con più lungo viaggio sfuggendo l'incontrarsi co' nemici, giunger senz'altro intoppo in Roma) per lo valor de' soldati Regnicoli e de' Pisani, e del lor Capitano ne ottenne Enzio notabil vittoria. Furono in quell'occasione fatti prigionieri i tre Legati, e tutti i Prelati, che eran colà convenuti, e grosso numero d'Ambasciadori di diversi Principi e città, che anch'essi andavano al Concilio, con mettere a fondo tre galee nemiche, e prenderne ventidue, tredici delle quali fur particolarmente prese da vascelli regnicoli, e l'altre da' Pisani, e con fare altresì ben quattromila Genovesi prigioni, essendo stato fra i Prelati cattivi l'Arcivescovo di Roano con altri molti Vescovi inglesi e francesi, ed altri Prelati minori: alcuni de' quali furono crudelmente mazzerati in mare presso la Meloria, ed altri posti in prigione in Napoli, in Salerno, ed in altri luoghi della Costa di Amalfi, ove molti di essi di fame e di stento miseramente perirono, e gli altri furono rimessi in libertà ad istanza di Lodovico Re di Francia, del Re d'Inghilterra e di Balduino Imperadore di Costantinopoli. Vedesi ancora un'epistola376 di Federico scritta ad alcuni suoi Baroni, ove particolarmente favella della presa di Faenza, e di cotal vittoria ottenuta dalle sue galee, la quale così comincia: Adaucta nobis continuae felicitatis auspicia, etc.

Dopo il quale avvenimento, Andrea di Cicala, che era Gran Giustiziere e General Capitano del Reame, d'ordine del suo Signore convocò tutti i Prelati regnicoli a Melfi di Puglia, e da loro volle consignati in suo potere tutti gli arredi delle loro chiese, così i vasi d'argento ed oro, come le gemme, e le vesti di seta, di porpora, e l'altre cose destinate al culto divino, gran parte delle quali condotta in una chiesa di S. Germano, fu data in custodia a dodici uomini de' più agiati, e migliori di quella terra, essendosi particolarmente tolte due tavole, una d'oro e l'altra d'argento purissimo dall'altar di S. Benedetto in Monte Cassino, con altri preziosi abbigliamenti ornati d'oro e di gemme, e vasellamento d'argento, e danari contanti in grosso numero; ma di queste sì profanamente ragunate spoglie, alcune furono ricomprate da' luoghi onde erano state tolte, e l'altre fur condotte a Grottaferrata per farne moneta in servigio dell'Imperadore; il quale soggiogata Faenza, e tutti gli altri luoghi di Romagna, e lasciato il figliuolo Enzio suo Vicario in Lombardia passò nella Marca, ed assalito Fano, Assisi, e Pesaro, non potè insignorirsene; onde posti a ruina i lor territorj, ne andò a Spoleti, che con Narni, ed altri luoghi dell'Umbria tantosto se gli diedero, mentre il Conte Simone di Chieti suo Capitano con un'altra parte dell'esercito avea parimente preso Chiusi, e Viterbo; poi verso Roma prese e distrusse Monte Albano, Tivoli ed altre castella, sollecitatone dal Cardinal Colonna, che come detto abbiamo, era divenuto ribello e nemico del Pontefice, il quale afflitto da tanti mali, dopo aver creato Senatore di Roma Matteo Rosso uomo d'avvedimento e valore, acciocchè s'opponesse a' moti del Cardinal Giovanni e dell'Imperadore, poco stante infermando d'una grave malattia, per affanno e per dolore trapassò di questa vita a' 21 agosto, secondo scrive Riccardo da S. Germano.

Morto il Pontefice Gregorio, Federico scrisse sue particolari lettere al Re d'Inghilterra, e ad altri Re e Signori di Cristianità, dicendo che sperava per la morte di Gregorio d'impor fine alle discordie, che avea avute con la Chiesa, e gire in lor compagnia contro i Tartari, che, come abbiam detto, in quei tempi travagliavano l'Ungheria, l'Alemagna ed altri luoghi de' Cristiani. E ragunati dopo la morte di Gregorio i Cardinali per creare il nuovo Papa, non essendo più che dieci, spedirono Ambasciadori a Federico, perchè si fosse contentato di mandare con quelle condizioni che gli fossero parute convenevoli i due Cardinali, che teneva prigioni; il perchè fattigli condurre a Tivoli da Teobaldo di Dragone, gl'inviò liberi in Roma con giuramento, siccome scrive il Sigonio, d'aver a ritornare in prigione fatta la novella elezione, fuorchè, se alcuno di loro fosse creato Pontefice. Così, lasciato buon numero di soldati in Tivoli, per la via di Campagna venne nel Regno, e fermatosi all'Isola, comandò che s'edificasse una nuova città all'incontro di Cepparano, e ne diede la cura a Riccardo di Monte Negro Giustiziero di Terra di Lavoro, comandando agli uomini d'Arce di S. Giovanni in Carico, dell'isola di Ponte Scellerato, e di Pastena, che dovessero colà andare ad albergare; e per operarj del nuovo edificio volle, che vi andasse certo numero d'uomini de' vassalli di Monte Cassino, e di quello di S. Vincenzo a Vulturno, del Contado di Fondi, di Comino, e del Contado di Molise, scambiandosi in giro settimana per settimana. Ma Riccardo, che ciò scrive, non fa menzione nel detto luogo del nome imposto alla novella città, se non che, per quanto egli poco appresso dice, e per quel, che si legge nella Cronaca del Re Manfredi, fu nominata Flagella, quasi volesse con tal nome inferire, che era fondata per travagliar Cepparano, e gli altri circostanti luoghi della Chiesa; nondimeno di tal città non appare oggi reliquia, nè vestigio alcuno, nè trovo essere stata altra volta menzionata ne' tempi appresso, o perchè non finisse d'edificarsi, o perchè fosse disfatta poco dopo il suo cominciamento.

Mentre Federico per S. Germano, Alifi e Benevento se n'andò in Puglia, con aver comandato, che tutti i mobili raccolti dalle Chiese fossero a lui condotti a Foggia, elessero i Cardinali, ch'eran ragunati al Conclave in Roma, trenta giorni dopo la morte di Gregorio, per nuovo Pontefice Goffredo Castiglione milanese Cardinal Vescovo Sabinense, vecchio ed infermo, ma di somma bontà, a cui poser nome Celestino IV, il quale appena diciassette giorni dopo la sua elezione passati, e prima di consegrarsi, di questa vita trapassò; onde i Cardinali venuti fra di loro in discordia, non crearono per lungo tempo altro Papa, con grave danno della Chiesa, anzi molti di loro temendo della fierezza di Federico, fuggitisi nascostamente di Roma, in Alagna, ed in altri luoghi si ricoverarono.

Venuto poscia il mese di dicembre, l'Imperadrice Isabella dimorando coll'Imperador suo marito in Foggia, soprappresa da improviso male, in breve tempo morì, e fu sepolta in Andria.

Nel seguente anno 1242 Federico impose un'altra grossa taglia di moneta nel Regno, e tolto l'Ufficio di Giustiziero di Terra di Lavoro a Riccardo di Monte Negro, vi fu creato in suo luogo Gisulfo da Narni. Fece poscia abbatter tutte le torri, ch'erano in Bari, per aver sospetta la fede de' Baresi, e mandò suoi Ambasciadori a Roma a comporre la pace fra' Cardinali, che colà erano, e trattar dell'elezione del nuovo Pontefice, il Gran Maestro de' Teutonici, l'Arcivescovo di Bari e Maestro Ruggiero Porcastrello.

Nello stesso tempo Errico, che lungamente fu prigione in Puglia nel Castel di S. Felice, e poi condotto in Calabria nella Rocca di Nicastro, e di là a Martorano, morì quivi in prigione di natural morte, secondo che scrive Riccardo da S. Germano. Ma Giovanni Boccaccio Autore vicino a quei tempi, e chiaro per la dottrina e per l'altre virtù, che in lui fiorirono, ne' casi degli uomini illustri, dice, che mentre Errico era ancor sostenuto in Martorano, fu dal Padre, mosso oggimai a compassion di lui, ordinato, che gli fosse innanzi condotto per riporlo in libertà: onde Errico, che di ciò nulla sapea, temendo non il padre avesse mandato a prenderlo per saziare in più fiera guisa la sua crudeltà contro di lui, mentre da' suoi Custodi era a cavallo menato all'Imperadore, al valicar d'un ponte del fiume, che tra via ritrovò, di suo volere con tutto il cavallo in esso si gittò, e prestamente affogato morì: della cui morte, comunque ella s'avvenisse, certa cosa è che Federico grandemente si dolse, piangendo morto colui, che mentre visse avea così acerbamente travagliato. Tal dimostrazione appunto ne fece egli con sue lettere appo tutti i Prelati del suo Regno, dolendosi della morte di lui, e dicendo loro, che celebrassero pompose esequie per un mese con Messe ed altri sacrificj a Dio, in emenda de' falli del morto figliuolo, rapportate da Riccardo, che cominciano: Fridericus, etc. Abbati Cassinensi, etc. Misericordia, etc.

Lasciò Errico, di Margherita figliuola di Leopoldo Duca d'Austria, detto il Glorioso, sua moglie, secondo che scrive Giovanni Cuspiniano, due figliuoli gemelli, cioè Errico e Federico: a' quali, ed alla madre Margherita non volendo Iddio, che alcuno di cotal disavventurata Casa sopravvivesse, i medesimi infortunj di Errico avvennero, perciocchè i figliuoli in età di dodici anni furono col veleno fatti morir da Manfredi, e Margherita sopravvivuta al padre, al marito, ed a' suoi fratelli, che tutti senza prole finirono, e rimasta erede del Ducato d'Austria, come unico germe di quel lignaggio, si rimaritò con Ottochiero figliuolo del Re di Boemia, col quale non generò figliuoli; anzi venuta seco in processo di tempo in grave discordia, fu da lui repudiata; ed Ottochiero sotto pretesto d'averne avuta dispensa dal Pontefice, il quale avea egli con molti doni ed offerte invano a ciò sollecitato, s'ammogliò di nuovo con Cunigonda nipote di Bela Re d'Ungheria, e confinata Margherita in Austria nella Terra di Krembs, poco stante ne la fece anche col veleno morire, per la qual cosa succedute gravissime guerre, venne alla fine il Ducato d'Austria in potere della Casa de' Conti d'Aspurg, da' quali preso il cognome d'Austria, fino a' nostri tempi col dominio di altri Regni e province, è felicemente posseduto.

373.. Ricc. ad ann. 1239.
374.. Ricc. ann. 1239.
375.. Sigon. de Reg. Ital. l. 18 ann. 1241.
376.. Petr. de Vineis epist. fol. 107.
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Litres'teki yayın tarihi:
22 ekim 2017
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