Kitabı oku: «Istoria civile del Regno di Napoli, v. 5»
LIBRO DECIMOTTAVO
Morto Federico, prese immantenente il governo di questi Regni Manfredi suo figliuolo, lasciato dal padre per l'assenza di Corrado, ch'era in Alemagna, Balio e Governadore de' medesimi con assoluto potere ed autorità. Manfredi fu un Principe, in cui s'univano tutte le doti e virtù paterne, e lo Scrittor Anonimo delle sue gesta, dice essere stato chiamato Manfredi, perch'egli era la mano e la mente di Federico. Egli nudrito nella Camera imperiale, e careggiato, e tenuto in pregio dal padre più degli altri figliuoli, crebbe colle medesime idee; ed avrebbe certamente emulato la gloria e la grandezza paterna, se la sorte l'avesse fatto nascere suo figliuol primogenito, e di legittimo matrimonio; ma preferendo l'ordine della successione Corrado primo nato, al quale fu conforme il paterno testamento, Federico non potè far altro, che ammetterlo alla successione in mancanza di Corrado, e d'Errico senza figliuoli, e durante l'assenza del primo, lo creò Balio in Italia e nel Regno di Sicilia.
Nel raccontar le vicende di questo Principe, e' suoi generosi fatti, mi valerò dell'Anonimo Scrittor contemporaneo, la di cui Cronaca si legge ora impressa ne' volumi dell'Ughello1, e la autorità sua è riputata grandissima, non pure da Agostino Inveges, dal Tutini, e da altri più moderni Scrittori, ma anche da Oderico Rainaldo ne' suoi Ecclesiastici Annali. Narra adunque questo Scrittore, che gli andamenti, e le virtù di Manfredi furono cotanto conformi a quelle del padre, che ancorchè la morte de' Principi soglia negli Stati sovente esser cagione di gravissimi turbamenti, nulladimanco per la prudenza di Manfredi non fu veduto interrompimento alcuno, come se un medesimo spirito governasse: non si vide nè alla Corte, nè tra gli Ufficiali mutazione; ed avendo fatto gridare il nome del Re Corrado nel regno di Puglia, mandò Errico suo fratel minore a governar in sua vece la Sicilia e la Calabria2, perchè i Siciliani e' Calabresi, veduta la regal persona di Errico, si contenessero nell'ubbidienza, e lo riputassero come l'istessa persona di Federico.
Ma breve tempo durò questa tranquillità, e ben si prevedevano i turbini e le tempeste, che da Innocenzo IV romano Pontefice erano per moversi. Questi persuaso, che per la sentenza della deposizione interposta nel Concilio di Lione, fosse Federico con tutta la sua posterità decaduto da' Reami di Sicilia e di Puglia, pretese che come Feudi della Chiesa romana fossero a quella ricaduti per la contumacia del medesimo; onde intesa la sua morte, si risolvè partir da Lione, e ripassare in Italia; ed intanto scrisse a tutte le città principali, ed a' Baroni dell'uno e l'altro Regno, ch'alzassero le bandiere della Chiesa; e giunto a Genova sua patria, proccurò movere i Genovesi a danno di questi Reami. Manfredi avuta di ciò novella non tardò, cavalcando per tutto il Regno con una buona banda di soldati Saraceni, dissipare queste Papali insidie, e facendo gridare il nome del Re Corrado, racchetò le turbolenze, e confermò gli animi nell'ubbidienza del proprio Principe; ma non fu però, che questi moti non dassero fomento ad una occulta congiura, che poi si scoperse nelle province di Puglia e di Terra di Lavoro. In Puglia si ribellarono Foggia, Andria e Barletta. In Terra di Lavoro, Napoli e Capua. Accorse tosto Manfredi in Puglia, e col suo estremo valore e coraggio ripresse la fellonia di quelle città, ed usando moderazione e clemenza concedè perdono a que' cittadini, riducendogli nell'ubbidienza di Corrado3.
Avendo in cotal guisa renduta la pace e tranquillità a quella provincia, tosto passò in Terra di Lavoro: ridusse sotto le sue insegne Aversa, che posta in mezzo tra Capua e Napoli, dava indizio di sospetta fede: cinse di stretto assedio Capua, devastando insino alle mura il suo territorio; e Nola ch'era già passata nel partito delle due ribellanti città, non avendo voluto rendersi, fu espugnata, e presa. Ma niun'altra città mostrò in tal congiuntura più ostinazione, quanto Napoli. Dimenticatisi così subito i Napoletani d'aver Federico resa la lor città celebre per la nuova Accademia ivi stabilita, e per li magnifici edificj che v'eresse, i quali furono i primi fondamenti onde poi si rendesse capo e metropoli sopra tutte le altre, con somma ingratitudine, morto lui, si ribellarono dal suo figliuolo, e resero la lor città al Pontefice Innocenzio, alzando le bandiere della Chiesa: il di cui esempio seguì Capua, ed i Conti di casa d'Aquino, che a quel tempo possedevano quasi tutto quello, ch'è tra il Volturno e 'l Garigliano.
Manfredi, scoverta la poca fede de' Napoletani, avea mandati prima a loro più messi, esortandogli a non dover macchiare con tanta indegnità la loro fama; ma essi mostrando di non poter negare d'ubbidire al Pontefice, il quale gli minacciava terribili anatemi ed interdetti, apertamente gli fecero intendere, che amavano meglio di sottoporsi al dominio della Chiesa, che star interdetti e scomunicati, aderendo al partito di Corrado, cui senza l'investitura del Papa, non potevan riconoscere per loro legittimo Re. Per la qual cosa Manfredi, vedendo indarno essersi da lui adoperati questi mezzi, deliberò di ridurgli per forza; ed avendo assediata la città dalla parte del Monte Vesuvio, cominciò a devastare tutto il territorio di quel contorno, depredando infino alle mura, per obbligare i Napoletani ad uscire dalla città, per attaccargli in campo aperto, non avendo forze bastanti per assalire la città cinta di ben forti e ben difese mura. Ma i Napoletani deludendo l'arte coll'arte, non vollero in conto alcuno partirsi dalla città, niente curandosi del devastamento, che faceva Manfredi de' loro campi: il quale ciò vedendo, pensò per altra parte cingerla di assedio, e collocato il suo esercito nella Solfatara vicino Agnano4 quivi cominciò a devastare, e depredare tutto quel territorio, per allettare i Napoletani ad uscire dalla città, già che vedevano l'esercito nemico tra que' monti e quelle balze in luogo, donde con difficoltà poteva scampare, se fosse stato inseguito. Ma i Napoletani, fermi nel loro proponimento, non vollero abbandonare la città, ed esporsi a battaglia; ed ancorchè Manfredi gli avesse più volte sfidati alla pugna, non vollero in conto alcuno uscire; onde avendogli dopo l'invito aspettati tre giorni, levò l'assedio, ed avendo devastati tutti que' luoghi, partissi da quivi, e s'incamminò in altre parti di Terra di Lavoro per mantenere in fede que' Popoli, acciocchè non seguitasser l'esempio di Napoli, e di Capua,
CAPITOLO I
Corrado di Alemagna cala in Italia: giunge per l'Adriatico in Puglia, ed abbatte i Conti d'Aquino: Capua se gli rende, e Napoli vien presa per assalto e saccheggiata
Ma ecco, che mentre Manfredi con tanta vigilanza ed accortezza era tutto inteso a rompere i disegni del Pontefice, vennegli avviso, che Corrado Re di Germania, pochi mesi dopo la morte del padre, essendosi disbrigato dalle guerre d'Alemagna, se ne calava con potente esercito di Tedeschi in Italia in quest'anno 12515; ed in fatti essendo giunto in Lombardia trovò le forze de' Ghibellini tanto abbassate, che fu astretto d'indugiare alquanto, per poter poi entrare con più sicurtà nel Regno; onde chiamati a se tutti i Capi di quel partito, ordinò, che tra loro facessero un giusto esercito, del quale avesse ad esser Capo Ezzelino Tiranno di Padova, e che avesse da abbatter tanto la parte Guelfa, che Papa Innocenzio non potesse valersene, e contender con lui della possessione del Regno. Ed avendo in cotal modo stabilite le cose di Lombardia, con provvido consiglio determinò di passare al Regno per mare; perocchè vedendo tutte le città di Romagna e di Toscana tenersi dalla parte Guelfa, non confidava di passare senza impedimento, e dubitava che il suo esercito tenuto a bada, non venisse a disfarsi per mancamento di danari e di vittovaglie6. Mandò adunque a' Veneziani per navi e galee per potere passare in Puglia, i quali per lo desiderio di vederlo presto partito di là, gli mandarono tutte le navi ch'e' volle nelle marine del Friuli, dove imbarcato comodamente con tutto l'esercito, giunse in pochi dì con vento prospero alle radici del monte Gargano, e diede in terra all'antica città di Siponto, non molto discosto dal luogo, dove è oggi la città di Manfredonia7.
Quivi comparvero Manfredi, che l'attendeva, e tutti i Baroni di quella provincia ad incontrarlo. Ed essendosi Corrado da lui informato dello stato delle cose del Regno, e della contumacia di Napoli, di Capua, e de' Conti d'Aquino, avendo commendata molto l'industria, e vigilanza di Manfredi, deliberarono insieme di dover prima d'ogni altra impresa, debellare i Conti d'Aquino, i quali posti fra Garigliano e Vulturno potevano somministrare al Papa pronto ajuto; ed all'incontro occupati que' luoghi, co' quali serravasi ogni strada di poter venire soccorso a Capua ed a Napoli si sarebbe facilitata l'espugnazione di quelle due città cotanto importanti. Si mosse perciò il Re Corrado seguitato dal Principe Manfredi con tutto il suo esercito per la via di Capitanata, e del Contado di Molise contra que' ribelli8.
Il Papa, che da Genova era passato a Milano, indi a Ferrara e Bologna, ed erasi finalmente fermato in Perugia, schivando d'andare in Roma, perchè i Romani erano pieni di fazioni; e molti aderivano a Corrado, fatto consapevole dell'angustie, nelle quali si trovavano i Conti d'Aquino, premendogli molto la lor salute, mandò subito in lor soccorso alcuni soldati da Perugia, promettendo ancora di mandar loro maggiori ajuti; ma fu tanta la forza, ed il valore dell'esercito di Corrado, accresciuto poi da Manfredi con gran numero di Saraceni venuti da Lucera e da Sicilia, che que' ribelli in pochi dì furono debellati; e le principali città a loro soggette saccheggiate ed arse, tra le quali fu Arpino, Sessa, Aquino, S. Germano, ed altri castelli di quel contorno9.
Da poi che Corrado ebbe espugnato que' ribelli, e ridotte alla sua ubbidienza quelle città, andò sopra Capua, ove non ritrovò resistenza alcuna, per la paura, e per l'esempio fresco delle terre arse e saccheggiate: onde tosto a lui si rese10. Così tutta l'ira di Corrado e tutta la sua forza si raggirò contro la città di Napoli, la quale arditamente determinò di contrastare al Re sdegnato, e seguire le parti della Chiesa, per la speranza, che lor porgeva il Papa di presti soccorsi, e per la gran paura d'essere data in preda a' Tedeschi e a' Saraceni. Accampato dunque Corrado vicino alla città, la cinse di stretto assedio, perchè non potesse andare vettovaglia agli assediali; e vedendo, che alcuni Ministri del Papa mandavan qualche volta navilj con cose da vivere, ordinò a Manfredi, che facesse vestire le galee, ch'erano in Sicilia.
I Napoletani, fra questo tempo, non mancarono di mandar più volte Ambasciadori al Papa per soccorso, i quali ritornaron sempre carichi di benedizioni, e di promesse, ma vuoti d'ogni ajuto, perchè Ezzelino avea sollevata la parte Ghibellina in Lombardia; ed i Guelfi, tra' quali il Papa avea molti parenti e seguaci, non potevano partirsi dalla difesa delle cose loro; ed i Guelfi di Toscana e di Romagna, ancorchè fossero liberi, avendo estinta in tutto la parte Ghibellina, come suol accadere nelle felicità, erano venuti in discordia fra loro. Nè dalla città di Genova patria del Pontefice, della quale ei confidava molto, poteva sperarsi ajuto; poichè si trovava a quel tempo aver mandata la sua armata contra gl'Infedeli; onde veniva a togliersi ogni comodità di poter soccorrere gli assediati d'altro, che di parole.
In fine essendo giunte alla marina di Napoli le galee di Sicilia, si tolse ogni speranza di soccorso: nè questo bastò a far piegare l'ostinazione degli assediati, perchè si tennero tanto, che ormai non potevano più sostenere in mano l'armi; in tal modo erano per la grandissima fame estenuati, onde i vecchi della città cominciaron a persuadere, che si mandasse per trattare di rendersi a patti, e così si eseguì. Ma Corrado, il qual sapeva l'estrema necessità loro, rigettò gli Ambasciadori; ed avendo con macchine diposte intorno alla città, e con cave sotterranee scosse le mura della medesima: in quest'anno 1253 la costrinse a rendersi, solo col patto della salute delle persone11.
La città fu messa a sacco, nè si tralasciò atto alcuno di crudeltà, e di rigore dall'irato Re; scaccionne l'Arcivescovo, ed entrato dentro volle, che per mano de' proprj cittadini fossero buttate a terra dai fondamenti le forti mura di quella città, per le quali, dice Livio, che si sgomentò Annibale cartaginese. E dopo esser quivi dimorato due mesi, che consumò in punire severamente l'infedeltà de' Napoletani, fece ritorno in Puglia, seco menando Manfredi, al quale volle, che si dasse il secondo grado dopo lui.
§. I. Primo invito d'Innocenzio fatto al fratello del Re d'Inghilterra alla conquista del Regno
Innocenzio avendo scorto che Corrado avea depresse le città sue amiche, e sotto la sua ubbidienza era tornato il Regno di Puglia, riputando che tutti i suoi sforzi sarebbero vani per opporsi agli eserciti formidabili di Corrado, pensò (giacchè svanito era il disegno di poterlo per se conquistare, siccome erano riuscite sempre infelici le spedizioni fatte da' romani Pontefici sopra di quello) d'invitare alla conquista del Reame Riccardo, o come altri lo chiamarono, Ciarlotto fratello d'Errico III Re d'Inghilterra e Conte di Conturbia, prode e valoroso Capitano. Inviò per tanto in Inghilterra Alberto Notajo appostolico per trattare sopra le condizioni dell'investitura offertagli da Innocenzio. Ma narra Matteo Paris in quest'anno 1253 che più cose fecero svanire questi trattati. Primieramente perchè Ricciardo temè della potenza di Corrado, nè si credette d'uguali forze per poterlo da quivi discacciare. II. La parentela, che vi era tra loro, essendo Corrado, com'egli dice, nato da Elisabetta inglese, sorella del Re Errico e moglie di Federico II, nel che va di gran lunga errato; perchè Corrado fu figliuolo di Jole, non già d'Elisabetta; onde l'istesso Paris altrove, cioè nel 1258 rapporta un'altra cagione, perchè fu rifiutata l'investitura, dicendo che Ricciardo non volle accettarla se non sotto queste due condizioni. I. Che per la sua conquista gli fosse data la metà delle Decime solite raccogliersi per li Crocesignati nella guerra Santa. II. Che il Papa gli consignasse alcuni castelli del Reame da lui fortificati per la ritirata de' suoi soldati. Al che non volendo il Pontefice Innocenzio acconsentire, svanì questa prima investitura, e si trattò poi dell'altra in persona d'Edmondo suo nipote, come diremo più innanzi. Ciò che convince l'errore del Collenucio e di Paolo Pansa nella vita di Innocenzio IV che volle seguirlo, ove disse, che il Papa investì Ciarlotto fratello del Re d'Inghilterra, il qual accettò, e che perciò nelle lettere si scrivea Re di Sicilia.
(Lunig nel suo Codice Diplomatico12, rapporta un Breve d'Innocenzio drizzato a Lodovico IX Re di Francia, che porta la data di Perugia dell'anno 1252 resogli da Alberto Notajo, offerendogli il Regno per Carlo suo fratello. Ma questo Breve o è apocrifo, o fu posteriore; poichè in quest'anno Alberto fu mandato in Inghilterra a quel Re, e non in Francia al Re Lodovico).
CAPITOLO II
Corrado insospettito di Manfredi lo spoglia d'ogni autorità e de' suoi Stati; avvelena il suo minor fratello Errico; ed egli poco da poi se ne muore da consimil morte; onde Manfredi assume di nuovo il Baliato del Regno
Intanto Corrado per le crudeltà usate alle città debellate ed a Napoli, e per lo genio suo aspro e severo, era entrato in grandissimo odio e malevolenza presso ogni grado ed ordine di persone; ed affatto ignudo di quelle virtù civili e militari, che ornavano l'animo di Federico suo padre, riusciva a' suoi sudditi molto pesante e duro il suo imperio. All'incontro Manfredi uomo d'ingegno e di valore, con destrezza mirabile andava mitigando l'azioni crudeli del Re, per acquistarsi benevolenza da' Popoli e da' Baroni; talchè in breve nacque opinione per tutto il Regno, che tutto quel male, che lasciava di fare il Re, e l'esercito de' Tedeschi, fosse per intercessione, e benignità di Manfredi.
Occultava ancora questo Principe con mirabile dissimulazione il dispiacere, che Corrado insospettito di lui gli avea dato per molti torti fattigli; poichè scorgendolo d'elevati pensieri e d'animo regio, ed atto più a dominare, che a governare come Balio il Regno, venne in sospetto non la sua potenza e l'amore che s'avea acquistato de' Popoli, lo facessero aspirare al Regno. Deliberò per tanto trovar modi d'abbassarlo, ciò che non volendo far apertamente un dì gli disse, ch'avea in pensiero di rivocare tutte le donazioni, che l'Imperador suo padre avea fatte nel suo testamento, come quelle, ch'erano dannosissime allo Stato, e portavan detrimento grandissimo alla sua Corona; e perchè gli altri Baroni con animo pacato il sopportassero voleva incominciar da lui, acciocchè dal suo esempio s'inducessero gli altri. Con non dissimil arte simulò Manfredi di crederlo, e mostrandosi con prontezza di secondarlo, volle esser il primo spontaneamente a rinunciar in sue mani il Contado di Monte S. Angelo, e la città di Brindisi, che per ragion del Principato di Taranto possedeva13.
Tolsegli ancora di tempo in tempo, secondo se gli presentavano le congiunture, li Contadi di Gravina, di Tricarico e di Montescaglioso, che possedeva per concessione di Federico suo padre; e sol gli rimase il Principato di Taranto assai diminuto; ed affinchè nemmeno da quel Principato rimastogli potesse riceverne profitto, e gli riuscisse inutile, impose agli uomini di quello una pesante, e gravissima general colletta, la quale faceva egli esigere, ed applicare al suo regio Erario. Rimosse dal Principato suddetto il Giustiziero, che soleva recarsi da Manfredi, e vi pose il suo, siccome a tutte l'altre province del Regno praticavasi. Tolsegli ancora il mero imperio e potestà che Federico gli avea conceduto sopra quel Principato, e ordinò che il Principe sopra di quello non avesse altra giurisdizione, che nelle cause civili solamente14; poichè in questi tempi non soleva a' Baroni concedersi il mero imperio sopra i Feudi, ma solamente ad alcuni Grandi e della Casa regale, o suoi congiunti per ispezial favore e grazia del Re rare volte si concedeva: ciò che poi a' tempi d'Alfonso I d'Aragona cominciossi a dare a quasi tutti i Baroni; onde nacque, che ora non vi è Barone, ancorchè picciolo, che non l'abbia.
Nè fermossi qui l'astio di Corrado contro quel Principe; ma volendolo ridurre all'estrema bassezza per liberarsi da ogni sospetto, sotto mendicate occasioni e pretesti, comandò che dal Regno uscissero tutti i suoi congiunti ed affini, ch'e' teneva del lato materno. Ne mandò via Gualdano Lancia, che avea così bene e con tanta fedeltà e prudenza servito l'Imperador Federico, onde n'era stato da quello creato suo Vicario in Toscana, ove per molti anni avea con molta fede esercitato quel supremo comando. Il medesimo fece con Federico Lancia suo fratello, con Bonifacio di Anglono zio materno di Manfredi, con tutti gli altri suoi consanguinei ed affini, e con esso loro le mogli, madri, sorelle, figliuoli e figliuole grandi e piccoli, che si fossero. I quali tutti usciti dal Regno, essendosi ricovrati in Romania presso Costanza Imperatrice di Costantinopoli sorella di Manfredi, mandò Corrado Bertoldo Marchese di Honebruch in Romania far intendere all'Imperadore, che gli avrebbe fatto un dispiacer grandissimo, se ritenesse presso di se quegli esuli; onde fu duopo a quell'Imperadore che gli facesse partire anche da' suoi Stati15.
Tutte queste offese sofferiva il Principe Manfredi con una prudenza e dissimulazion d'animo maravigliosa; poichè non perciò tralasciava con ilarità di ajutarlo, e di seguirlo in tutte l'imprese, come fece in Terra di Lavoro, quando debellò i Conti d'Acquino, in Capua ed in Napoli, ed ora in Puglia, simulando il suo acerbo dispetto; e nell'istesso tempo con astuzia grandissima cattivandosi i Baroni ed i Popoli, era nell'amore e benevolenza di quelli.
Accadde a questo tempo, che mentre era Corrado in Melfi, Errico suo fratello, che non avea più che dodici anni, venne in Sicilia a visitarlo; ed ancorchè l'Anonimo non faccia autor Corrado di tanta scelleratezza, non mancano però gravi Autori, che rapportano, che per mezzo di Gio. Moro Capitano saraceno, ch'Errico avea seco portato da Sicilia, lo facesse crudelmente avvelenare. Coloro che narrano avere Corrado fatto morire Errico per torgli il Regno di Sicilia, dicendo che Federico non poteva, nè dovea separarlo dal Regno di Puglia, errano all'ingrosso; poichè Federico non il Regno di Sicilia, ma quello di Gerusalemme, ovvero Alcarense ad elezion di Corrado gli avea lasciato nel suo testamento: e Manfredi mandò Errico in Sicilia per contenere i Siciliani nell'ubbidienza di Corrado, come si è di sopra narrato. Altri credono che l'avesse fatto morire, per avere la maggior parte del tesoro dell'Imperador Federico, che era in suo potere. Che ne sia, narra Matteo Paris16, che Corrado diede non leggieri sospetti d'esser egli stato autore della morte di quell'innocente fanciullo; poichè da allora in poi non mostrò Corrado il suo volto così sereno e giocondo come prima. E negli Atti d'Inghilterra, ultimamente fatti imprimere dalla Regina Anna, si legge una lettera di Corrado scritta nell'anno 1254 al Re d'Inghilterra zio d'Errico, nella quale, per togliere questo romore che s'era sparso d'averlo fatto avvelenare, diedegli l'avviso della morte di suo nipote, con sentimenti molto appassionati, fingendo molta afflizione e dolore, per la morte di quel Principe; ma Papa Innocenzio, fomentando l'inimicizia nata perciò tra Corrado ed Errico, offerì il Regno di Sicilia ad Edmondo figliuolo d'Errico, ch'era ancor fanciullo.
(Presso Lunig17, si leggono alcune lettere d'Alberto Legato d'Innocenzio in Inghilterra, per le quali dassi l'Investitura del Regno ad Edmondo, e la conferma del Papa nel 1254 coll'avviso, che dà ad Alberto di tal conferma. Ma questo trattato per la morte d'Innocenzio rimase interrotto).
E notasi in questi Atti, che Innocenzio non tralasciò cos'alcuna, per impegnar il padre a mettersene in possesso, fino a dar ordine al Clero d'Inghilterra di prestar denari a questo Principe, e d'impegnar perciò i beni delle loro Chiese. Ma da poi tutto questo denaro fu dissipato, ed impiegato ad altri usi dal medesimo Papa; onde questo secondo trattato anche rimase in tutto svanito.
Avendo intanto Corrado in cotal guisa ridotte le città del Regno fluttuanti sotto la sua obbidienza, si disponeva di passare altrove verso le parti dell'Imperio; ma ecco, che mentre nella Primavera di quest'anno 1254 s'accingeva a tal viaggio, ne' campi vicino Lavello fu assalito da mortal febbre, che in pochi giorni nel più bel fiore della sua età, non avendo più che 26 anni, a' 21 maggio lo tolse a' mortali18, avendo durato il suo regno poco più che tre anni: onde di questo Principe nè leggi, nè altro attinente alla politia di queste province, abbiamo.
Pure gli Scrittori dalla parte Guelfa, infesti non meno a Federico, che alla sua progenie, narrano, che Manfredi per mezzo d'un medico lo facesse avvelenare, con isperanza, morto Errico e lui, non essendovi della linea di Federico altri, che Corradino, che era nato l'anno avanti, figliuolo d'esso Corrado, potesse agevolmente occupare l'uno e l'altro Regno: e che Corrado, non sapendo, che moriva di veleno, fattogli dare da Manfredi, lasciasse nel suo testamento erede Corradino e Balio l'istesso Manfredi.
Ma se dobbiamo prestar fede all'Anonimo Scrittor contemporaneo, nè avremo Manfredi per Autore di tale scelleratezza, nè per Balio lasciato da Corrado.
Narra questo Scrittore, che mentre Corrado era infermo, Bertoldo Marchese di Honebruch, allora potentissimo per lo favore de' Tedeschi, vedendo l'inclinazion di Corrado, ch'era di lasciar Manfredi per Balio del Regno, con sottil arte dimandò a Manfredi se volesse assumere quel peso, per iscorgere l'animo suo. Manfredi conoscendo l'arte del Marchese, gli rispose, ch'egli non avrebbe accettato il Baliato, ma che ben se lo meritava la prudenza del Marchese, al quale in ciò per ogni rispetto dovea cedere: ciò che fece con somma astuzia, così per non esporsi all'odio de' Tedeschi, come anche perchè conoscendo, che Bertoldo, come insufficiente, tosto avrebbe con sua vergogna avuto a soccombere al grave peso, i Magnati del Regno avrebbero chiamato lui per Balio, come seguì. Bertoldo, ricevuta questa risposta, avendo al moribondo Corrado riferito che Manfredi non avrebbe accettato il Baliato, fece che il Re nominasse lui per Balio del Regno.
Fece Corrado prima di morire il suo testamento, nel quale avendo lasciato erede il piccolo Corrado suo figliuolo, e Balio il Marchese di Honebruch, fra l'altre cose, prevedendo gli sconvolgimenti, che avrebbe potuto cagionargli Innocenzio IV, raccomandò al Balio, che proccurasse usar ogni studio d'ottener per Corradino la grazia e la pace della Sede Appostolica, per non vedere implicato quel fanciullo in nuove guerre col Pontefice.
Il Marchese avendo assunto il Baliato, e postosi in mano tutto il tesoro della Camera regia, volle ubbidire al testamento del Re, e mandò Legati al Pontefice Innocenzio, chiedendogli in nome di Corradino la pace e la sua buona grazia, siccome Corrado aveagli raccomandato nel suo testamento. Innocenzio che, morto Corrado, credeva aver per le mani la più opportuna congiuntura d'impossessarsi del Regno, reputò questa Legazione più tosto un'argomento della debolezza della parte Regia, che atto di devozione; onde rendutosi più animoso che mai, rispose a' Legati, che in tutte le maniere egli voleva prender la possessione del Regno devoluto già alla Chiesa romana: che venuto alla pubertà Corradino, quando fosse maggiore, allora si sarebbero esaminate le sue pretensioni, e che forse, se la Sede Appostolica ne l'avesse reputato degno, gli avrebbe conceduta la sua grazia19.
Questa risposta fece avvertito il Marchese ed i Baroni del Regno, che l'animo del Papa era già tutto rivolto ad occupare il Regno, e ben tosto se ne videro gli effetti; poichè cominciava già a ragunare un conveniente esercito per invaderlo; ed oltre di ciò si erano scoverti alcuni trattati, che teneva con molti Baroni affezionati della Chiesa, perchè l'ajutassero alla conquista; i quali mal soddisfatti del governo del Marchese, e dell'insolenza de' Tedeschi, amavano meglio sottoporsi al dominio della Chiesa, che vivere oppressi sotto la loro servitù. Il Marchese volle riparare all'imminente invasione; ma scoverto, che molti Baroni, da' quali egli sperava ajuto, s'erano dati dalla parte del Pontefice, e che l'esercito Papale era già per invadere i confini del Regno, atterrito dall'impresa, avvilissi in maniera, che pentitosi d'aver assunto il Baliato, quello, non senza suo rossore, rifiutò, e vergognosamente depose20.
I Conti e' Baroni e gli altri Magnati del Regno, che erano rimasi fermi nella fede del Re, vedendo il Marchese aver abbandonato il governo, tosto ricorsero al Principe Manfredi, pregandolo e scongiurandolo, che per non veder ruinato il Regno, ed esposto a perdersi, riprendesse egli il Baliato, a cui di ragion s'apparteneva. Manfredi ripugnava, dicendo che ora che le cose erano in istato pur troppo calamitoso, non voleva perdere il suo onore; ma i Baroni incessantemente rampognandolo, e protestandosi che sarebbe il Regno perduto, finalmente l'indussero a pigliarne il governo. Movea ancora un'altra ragione fortissima, perch'essendosi sparsa la voce che Corradino fosse morto, il Papa era entrato in maggior speranza d'occupare il Regno. All'incontro Manfredi, che reputava, secondo il testamento dell'Imperador Federico suo padre, dover egli succedere ne' suoi Stati, determinò di prenderne il governo, affinchè se il pupillo vivea, gli avrebbe per lui amministrati, e per lui ripressi gli sforzi dell'emolo Innocenzio, se all'incontro fosse vero il rumore della morte, con facilità se ne sarebbe potuto incoronare21.
Avendo adunque Manfredi assunto il Baliato del Regno, si fece giurare fedeltà dall'istesso Marchese, dalli Conti, Baroni, e da tutti i fedeli del Regno, in cotal maniera, che se vivea il picciolo Re, giurassero a lui come general suo Balio; se fosse morto, avessero da ora a riputarlo per loro Re e signore del Regno22.