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Kitabı oku: «Istoria civile del Regno di Napoli, v. 6», sayfa 23

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LIBRO VENTESIMOSESTO

Il Regno di Napoli trasferito dagli Angioini in mano d'Alfonso Re d'Aragona, ancorchè passasse sotto la dominazione d'un Re potentissimo per tanti Regni ereditari, che possedeva, per Aragona, Valenza, Catalogna, Majorica, Corsica, Sardegna, Sicilia, il Rossiglione e tant'altri floridissimi Stati: e nuove famiglie, nuovi costumi, e molti istituti portati da Spagna si fossero in quello introdotti; nulladimanco fortunatamente gli avvenne, che da questo magnanimo Re non fosse trattato come Regno straniero, nè reputato forse, come una provincia del Regno di Aragona; ma l'ebbe, come se fosse suo avito Regno, e nazionale; anzi vi erse in Napoli un Tribunal così eminente, che ordinò che a quello dovessero per via d'appellazione portarsi non solo le cause di queste nostre province, ma di tutti gli altri suoi vastissimi Regni.

Sia la sua amenità o grandezza, il tanto numero de' grandi Baroni, la sua eminente nobiltà, siano gli amori della sua cara Lucrezia Alagna egli è evidente, che lo preferì a tutti gli altri suoi dominj, e non si vide mai in tanta floridezza e splendore, quanto negli anni del suo Regnare. Egli fermò in Napoli la sua sede regia, e quivi volle menar il rimanente di sua vita, e finire quivi i suoi giorni: e quasi dimenticatosi degli altri suoi paterni Regni, tutte le sue cure, e tutti i suoi pensieri furono verso questo Reame drizzati. La Sicilia vicina, che divisa dal Regno fin dal famoso Vespro siciliano, ora s'unisce, a lui accrebbe parimente utilità e grandezza. Quindi avvenne che per essersi nella sua persona riuniti questi Regni, cominciò a chiamarsi Re dell'una e l'altra Sicilia, ut et hinc, come dice il Fazzello324, Pontificum Romanorum authoritatem non improbare, et vetustam observationem non negligere videretur, non ignarus, cum eruditissimus esset, illius usurpatam esse, et novitiam vocem. Ciocchè poi usarono gli altri Re suoi successori che dominarono l'uno e l'altro Reame. Ma la principal cagione, onde anche dopo la di lui morte questo Regno mantenesse la sua propria dignità, e che conservasse i suoi proprj Re, e non dipendesse da Principi stranieri, li quali tenendo altrove collocata la Regia loro sede, per mezzo de' loro Ministri soglion governare, come avvenne dal tempo di Ferdinando il Cattolico in poi; fu l'avere Alfonso proccurato per via di legittimazione, d'investiture e acclamazione de' Popoli che il Regno di Napoli, mancando egli senza figliuoli legittimi, non passasse con tutti gli altri Regni ereditarj sotto la dominazione di Giovanni suo fratello e degli altri Re d'Aragona, ma ne fosse investito ed acclamato per suo successore Ferdinando d'Aragona suo figliuolo bastardo, il quale sino a Federico d'Aragona ultimo Re di questa linea, perpetuò per molti anni nella sua discendenza questa successione in guisa che il Regno ebbe insino al Re Cattolico proprj Principi, anzi più che Nazionali; poichè non avendo essi in altre parti altri Stati e dominj, il Regno di Napoli era la loro unica sede e la propria Patria.

Molto dunque deve Napoli ed il Regno ad Alfonso, il quale posponendo gli altri suoi Regni, in questa città fermò il suo soglio, ed all'antica nobiltà normanna, sveva e franzese aggiungendovi altra nuova ch'e' portò di Spagna, di nuove illustri famiglie l'accrebbe e adornò. Egli vi portò i Cavanigli, i Guedara, i Cardenes, gli Avalos e tante altre, che ancora ci restano, e che rischiarano colla nobiltà del loro sangue questo Regno: oltre a' Villamarini, Cardona, Centeglia, Periglios, Cordova e tante altre famiglie nobilissime che son ora tra noi estinte. Egli riordinò il Regno con frequenti Parlamenti, con nuove numerazioni e con migliori istituti e nuovi Tribunali.

Non è mio proponimento, nè sarebbe dell'istituto della mia opera, voler in questa Istoria narrare i magnifici ed egregj suoi fatti: ebbe quest'Eroe particolari Autori, che di lui altamente e diffusamente scrissero, due Antonj, Zurita e Panormita, Bartolommeo Facio, Enea Silvio, poi Papa Pio II, il celebre Costanzo, Spiegello, Gaspare Pellegrino e tanti e sì illustri che empierono le loro carte de' suoi famosi gesti. A noi, perciò che richiede il nostro istituto, basterà rapportare ciò che appartiene alla politia, colla quale questo Principe governò il Regno: che cosa di nuovo fuvvi introdotto, e quali fossero le sue vicende e mutazioni nello stato, così civile e temporale, come ecclesiastico e spirituale.

CAPITOLO I

De' capitoli e privilegi della città e Regno di Napoli e suoi Baroni

Da poi ch'ebbe Alfonso interamente sconfitti coloro della parte Angioina, ed in tutte le parti del Regno fatto correre le sue bandiere, pensò convocare un general Parlamento per dar sesto a molte cose che le precedute guerre avean poste in disordine e confusione. Lo intimò a Benevento, e per questo mandò per tutte le province lettere a' Baroni ed alle Terre demaniali che ad un dì prefisso ivi si trovassero; ma i Napoletani mandarono a supplicarlo che trasferisse il Parlamento nella città di Napoli ch'era capo del Regno, e così fu fatto: v'intervennero due Principi, poichè in questi tempi non ve n'eran più nel Regno, il Principe di Taranto Balzo e quello di Salerno Orsino, il primo Gran Contestabile e l'altro Gran Giustiziere: v'intervennero tutti gli altri cinque Ufficiali della Corona: quattro Duchi, quel di Sessa Marzano, il Duca di Gravina Orsino, il Duca di S. Marco Sanseverino, ed il Duca di Melfi Caracciolo (poichè il Duca d'Atri Acquaviva ed altri Baroni che aveano seguita la parte di Renato, ancorchè chiamati, non s'assicurarono venire innanzi al Re): due Marchesi, quel di Cotrone Centeglia e l'altro di Pescara Aquino: molti Conti, e moltissimi Baroni e Cavalieri dei quali il Costanzo ed il Summonte fecero lungo catalogo.

In questo Parlamento propose il Re che avendo liberato il Regno dall'altrui invasioni, per poterlo nell'avvenire mantener in pace e difenderlo da chi cercasse turbarlo, era di dovere che si stabilisse per tutto il Regno un annuo pagamento per mantenere uomini d'arme per la difensione di quello: consultarono sulla richiesta, e si conchiuse di costituirli un pagamento d'un ducato a fuoco, da pagarsi ogni anno per tutto il Regno, con che il Re dovesse all'incontro dar ad ogni fuoco un tomolo di sale, e levar ogni colletta, colla quale prima si vivea325. Si fece al Re l'offerta con chiedergli ancora alcune grazie. Alfonso l'accettò, promise tener mille uomini d'arme pagati a pace ed a guerra, e diece galee per guardia del Regno, e concedè magnanimamente quelle grazie che gli furon dimandate.

Molti furon i privilegi che si veggono ora impressi in un particolar volume: fra gli altri fu stabilito di dar udienza pubblica in tutti i venerdì a' poveri e persone miserabili: fu lor costituito un Avvocato con annuo soldo da pagarsi dalla Camera del Re: che nella Gran C. della Vicaria in luogo del Gran Giustiziere dovesse continuamente assistere il suo Luogotenente, ovvero Reggente con quattro Giudici per l'amministrazion della giustizia: che alli Baroni si conservassero li privilegj delle giurisdizioni a loro conceduti: che fossero sciolti da ogni pagamento d'adoa: che pagandosi per ciaschedun fuoco carlini diece, se gli somministrasse un tomolo di sale: che s'assegnasse a spese del regio Erario un avvocato a' poveri: ed altri privilegj e grazie concedette non meno alla città di Napoli che a tutte l'Università e Terre del Regno.

L'orme d'Alfonso furon da poi calcate dagli Re suoi successori, i quali in occasioni simili, avendo dal Regno richieste, ed essendo loro state accordate o nuove imposizioni o donativi di somme considerabilissime, concederon essi altre grazie alla città e Regno. Molte se ne leggono di Ferdinando I, d'Alfonso II, di Ferdinando II, di Federico, di Ferdinando il Cattolico, o del suo Plenipotenziario Gran Capitano, di Carlo V e di Filippo II. Tanto ch'essendo nell'anno 1588 cresciuto il lor numero, ebbe il pensiero Niccolò de Bottis di raccoglierle in un volume che fece imprimere in Venezia, e lo dedicò al Presidente de Franchis, allora Consigliere.

Ma in decorso di tempo, essendone state altre concedute dal Re Filippo II, da Filippo III e IV, da Carlo II e ne' nostri tempi dall'Imperador Carlo VI con grande utilità del pubblico si è proccurato nei passati anni, farne altra raccolta in un altro volume che si è fatto imprimere in Napoli (ancorchè portasse il nome di Milano) nell'anno 1719, dove sono stati impressi li rimarchevoli privilegi e segnalatissime grazie concedute ultimamente alla città e Regno dal nostro augustissimo e clementissimo Principe; delle quali secondo l'opportunità se ne farà in quest'Istoria ricordanza.

CAPITOLO II

Successione del Regno dichiarata per la persona di Ferdinando d'Aragona figliuolo d'Alfonso. Pace conchiusa col Pontefice Eugenio IV da cui vengono investiti del Regno

Fu ancora in questo Parlamento dichiarata la succession del Regno per la persona di Ferdinando figliuolo d'Alfonso; poich'essendo notissimo a' più intimi Baroni del Re l'amore che e' portava a questo suo figliuolo, ancorchè naturale, al quale avea spedito privilegio di legittimazione326 dove lo dichiarava abile a potergli succedere in tutti i suoi Stati e particolarmente nel Regno di Napoli; e sapendo di far gran piacere al Re, proposero agli altri di cercargli grazia che volesse designare D. Ferdinando suo futuro successore, col titolo di Duca di Calabria, solito darsi a' figliuoli primogeniti de' Re di questo Regno: onde col consenso di tutti, Onorato Gaetano che fu eletto per Sindico di tutto il Baronaggio, inginocchiato avanti al Re lo supplicò, che poichè S. M. avea stabilito in pace il Regno, e fatti tanti beneficj, per fargli perpetuare, volesse designare per Duca di Calabria e suo futuro successore, dopo i suoi felici giorni, l'illustrissimo Signor D. Ferdinando suo unico figlio327; e 'l Re con volto lieto fece rispondere dal suo Segretario in di lui nome queste parole: La serenissima Maestà del Re rende infinite grazie a voi illustri, spettabili e magnifici Baroni della supplica fatta in favore dell'illustrissimo Signore D. Ferrante suo carissimo figlio, e per soddisfare alla domanda vostra, l'intitola da quest'ora, e dichiara Duca di Calabria immediato erede e successore di questo Regno, e si contenta se gli giuri omaggio dal presente dì. Fu subito con gran giubilo gridato Ferdinando Duca di Calabria e successore del Regno, e da tutti gli Ufficiali e Baroni suddetti gli fu giurato omaggio e ligio di fedeltà ore et manibus; e ne fu fatto pubblico istromento in presenza di molti Baroni in quest'anno 1443 che si legge impresso nel volume de' privilegj suddetti. Nel seguente giorno, il Re con Ferdinando accompagnato dal Baronaggio andò nel monastero delle Monache di S. Ligoro, e poichè fu celebrata con pubblica solennità la messa, diede la spada nella man destra di Ferdinando, e la bandiera nella sinistra, e gl'impose il cerchio Ducale su la testa, e comandando che tutti lo chiamassero Duca di Calabria, e lo tenessero per suo legittimo successore: di che anche ne fu fatto pubblico istromento che parimente ivi si legge.

Ma tutto ciò non bastava per assicurar la successione del Regno nella persona d'un figliuolo bastardo, ancorchè legittimato, se questo giuramento e dichiarazione non fosse stata approvata dal Papa, il quale per l'inimicizia che teneva con Alfonso non gli avrebbe data mai l'investitura; ed il mal animo del Papa era evidente, poichè avendo tutti i Potentati di Italia mandato a congratularsi con lui della vittoria, e della quiete e pace del Regno, solamente il Pontefice Eugenio non vi mandò; anzi mostrò dispiacer grandissimo della ruina di Renato e della sua uscita dal Regno. Perciò Alfonso, che avea bisogno di lui, non solo per istabilire più perfettamente la pace, ma per ottenere l'investitura del Regno per lo Duca di Calabria, rivoltò tutti i suoi pensieri per riconciliarsi con lui, e adoperò ogni mezzo por conseguirlo.

Avea prima Alfonso, come si disse, vedendo l'avversione d'Eugenio, tenuto secreto trattato con Amedeo duca di Savoja Antipapa, e non per altro che per ottenere da quello ciò che dal vero Pontefice non potea conseguire. Lo Scisma che s'era rinovato nella Chiesa dopo la morte di Martino V per lo Concilio di Basilea, avea posto in disordine ogni cosa. Ciò che il Papa Eugenio stabiliva, il Concilio dichiarava nullo; ed all'incontro il Papa tenendo per Conventicola quella radunanza, tuttociò che in quella si determinava, lo dannava ed anatematizzava. Il Concilio citò il Papa e non comparendo, lo dichiarò contumace; finalmente que' Prelati ch'eran rimasi in Basilea, de' quali componevasi il Concilio, lo deposero il dì 25 giugno dell'anno 1439 e deputarono alcuni Commessarj per eleggere un nuovo Papa. I Commessarj elessero Amedeo Duca di Savoja, che, come fu detto, s'era ritirato nella solitudine di Ripaglia, nella Diocesi di Ginevra, dove vivea come Romito. La sua elezione fu confermata dal Concilio, e fu nomato Felice V, il quale tosto portossi in Basilea a presiedere in quello. Papa Eugenio ne teneva aperto un altro in Fiorenza, e vicendevolmente si condennavano l'un l'altro. La Francia continuò a riconoscere Eugenio per Papa. L'Alemagna però cominciava a vacillare, e propose di tenere un nuovo Concilio per giudicare sopra il diritto de' due eletti. Il Re Alfonso durando nell'inimicizia d'Eugenio, per dargli di che temere, mandò Luigi Cescases per suo Ambasciadore appresso Felice, e permise che alcuni Prelati suoi sudditi l'ubbidissero e riconoscessero per vero Pontefice. All'incontro Felice per tirar scovertamente Alfonso nel suo partito, e tutti i sudditi de' di lui Regni alla sua ubbidienza, offeriva a Luigi suo Ambasciadore ch'egli avrebbe confermata l'adozione fattagli dalla Regina Giovanna II, conceduta l'investitura del Regno, ed oltre ciò gli offeriva ducentomila ducati d'oro328. Ma il prudentissimo Re scorgendo che di giorno in giorno il Concilio di Basilea andavasi debilitando, e che Felice erasi a' 20 novembre dell'anno 1442 con una parte de' suoi Cardinali ritirato in Lausana, e che a lungo andare si dissolverebbe ogni cosa: pensò destramente di rivoltarsi alla parte d'Eugenio, e per tenere intanto a bada Felice, fece rispondere dal suo Ambasciadore alla profferta fattagli che li ducentomila ducati d'oro bisognava che se gli pagassero in una paga: che si contentava di ritenersi la città di Terracina per la somma di 305 mila ducati di Camera in parte di ciò che se gli dovea per la guerra mossagli dal Patriarca Vitellesco, quando gli ruppe la tregua, e che allora vi fu condizione che dovesse aver Terracina fin che ne fosse interamente soddisfatto: che se Felice era contento di ciò ed adempiva a queste condizioni, egli non avrebbe mancato di difenderlo e di prestargli co' suoi fratelli ubbidienza; ed oltre a ciò che avrebbe inviati al Concilio suoi Ambasciadori, e proccurato che i Prelati de' suoi Regni ancor vi venissero; ed anche si studierebbe che il medesimo facessero il Re di Castiglia ed il Duca di Milano, e co' suoi fratelli si sarebbe confederato ancora con la Casa di Savoja.

Questi trattati teneva egli aperti con Felice, prolungandogli con destrezza, perchè non si venisse a veruna conchiusione; ma nell'istesso tempo avea dato incarico al Vescovo di Valenza D. Antonio Borgia, che fu Cardinale e poi Papa, detto Calisto III che s'adoprasse con Eugenio per la sua riconciliazione, il quale incominciò a sollecitare il Papa, che si degnasse trattare di pace e ricevere il Re per suo buon figliuolo e buon feudatario. Agevolò ancora il trattato, ed ammollì l'animo d'Eugenio Lodovico Scarampo Patriarca d'Aquileia Cardinal di S. Lorenzo in Damaso suo Camerlengo, con cui solea egli conferire de' più gravi ed importanti affari; onde Eugenio mosso dalle loro insinuazioni, e considerando altresì che non poteva giovare al Re Renato, e che l'inimicizia del Re Alfonso gli poteva nuocere, voltò l'animo alla pace; ed a' 9 aprile di quest'anno 1443 spedì una Bolla di legazione e commessione in persona del Cardinal suddetto, inviandolo a trattare col Re della pace e dell'investitura del Regno da concedersi al medesimo. La Bolla di questa legazione è rapportata dal Chioccarello, e si legge nel primo volume de' suoi M. S. giurisdizionali.

Trovavasi allora il Re a Terracina, dove ricevè il Legato con molto onore; e dopo molti dibattimenti fu a' 14 giugno del detto anno la pace conchiusa con questi patti.

Che il Re con dimenticanza perpetua di tutte l'ingiurie ed offese passate, e con rimessione di quelle, riconoscesse Eugenio per se e per tutti i suoi Regni per unico, vero e non dubbioso Pontefice e Pastor universale di S. Chiesa, e che come a tale gli prestasse egli ed i suoi Regni ubbidienza.

Che dovesse tenere per Scismatici tutti i Cardinali aderenti all'Antipapa Amedeo.

Che all'incontro il Papa dovesse dar l'investitura al Re Alfonso del Regno di Napoli, con la conferma dell'adozione ed arrogazione, che la Regina Giovanna II aveale fatta con clausola, che non gli ostasse avere acquistato il Regno colle proprie armi.

Che trasferisse in Alfonso tutta quella autorità che era stata conceduta da' Pontefici passati agli antichi Re di Napoli; e che abilitasse D. Ferrante Duca di Calabria alla successione dopo la morte del padre. E dall'altra parte il Re si farebbe vassallo e feudatario della chiesa, con promettere d'aiutarla a ricovrare la Marca, la quale si tenea occupata dal Conte Francesco Sforza.

Che quando il Papa volesse far guerra contra Infedeli, avesse il Re da comparire con una buona armata ad accompagnare quella del Papa.

Che il Re dovesse ritenere in nome della chiesa la città di Benevento e di Terracina in governo per tutto il tempo di sua vita, e per lo medesimo tempo lasciava il Re al Papa Città ducale, Acumoli e la Lionessa, terre importantissime della provincia d'Abruzzo.

Che il Re dovesse servire al Papa con sei galee per sei mesi nella guerra contro il Turco. E per ricuperare le città e fortezze che teneva occupate nella Marca il Conte Francesco Sforza, si convenne, che il Re dovesse inviare quattromila soldati a cavallo e mille a piedi.

Che il Papa dovesse concedere la Bolla di legittimazione per D. Ferdinando suo figlio che fosse abilitato per l'investitura, in guisa che tanto egli, quanto i suoi eredi potessero succedere al Regno.

Che al censo, che dovea pagar il Re per l'investitura, s'avessero da scomputare le spese, che si facessero nelle sei galee e nella gente d'arme, che dovean andare alla Marca.

Che le città di Benevento e di Terracina si darebbero in governo a D. Ferdinando e suoi successori perpetuamente, e dell'istesso modo avesse la chiesa in governo la Città ducale, Acumoli e la Lionessa.

Questi capitoli di pace furono a' 14 giugno di quest'anno 1443 conchiusi in Terracina dal Re e dal Legato appostolico Cardinal d'Aquileia; nella conchiusion de' quali intervennero solamente Alfonso Covarruvias famoso Giurista e Protonotario appostolico e Giovanni Olzina Segretario del Re; e sono rapportati dal Chioccarello nel tomo I de' M. S. giurisdizionali.

Papa Eugenio con sua particolar Bolla spedita a' 6 luglio del detto anno, parimente rapportata da Chioccarello, confermò i capitoli suddetti, ed in esecuzione di quelli, in questo medesimo anno, spedì più Bolle rapportate anche dal medesimo Autore.

Primieramente a' 13 luglio diede fuori una Bolla preliminare, colla quale assolvea il Re ed i suoi Ministri da tutte le scomuniche e censure, nelle quali fossero incorsi per le guerre ed offese fatte alla chiesa romana nel tempo dello Scisma, e per l'invasione dei beni ecclesiastici. Dopo tutto ciò, residendo Eugenio in Siena, a' 15 del detto mese spedì la Bolla dell'investitura, per la quale concedè al Re Alfonso l'investitura del Regno di Napoli per se, suoi eredi mascoli e femmine legittimi discendenti dal suo corpo per retta linea.

Di questa investitura variamente parlarono i nostri Autori: Scipion Mazzella329 dice, che abbracciava ancora il Regno d'Ungheria, di cui il Papa ne investì Alfonso per le ragioni di Giovanna sua madre adottiva; e che nella medesima si concedeva ancora, che Ferdinando suo figliuol naturale potesse succedere nel Regno. Il Cardinal Baronio330 credette, che per questa Bolla il Re Alfonso fosse stato da Eugenio investito non solo del Regno di Napoli, ma anche di quello di Sicilia. Ma non men l'uno che l'altro vanno di gran lunga errati. L'investitura non fu che del solo Regno di Napoli, chiamato nelle Bulle pontificie, Regnum Siciliae et Terram citra Pharum. Nè della Sicilia ultra Pharum, e molto meno dell'Ungheria si fece parola, come nè tampoco dell'abilitazione di Ferdinando. Ciò è evidente dalla Bolla, che ora leggiamo impressa nel III tomo del Summonte, e che manuscritta fu dal Chioccarelli ancor inserita fra l'altre di questo Papa nel tomo primo de' suoi M. S. giurisdizionali: dove Eugenio, numerando le cagioni, che lo moveano a dar l'investitura, cioè l'adozione della Regina Giovanna II, li travagli d'Alfonso sofferti in tanti anni per mettersene in possesso, la vittoria riportata de' suoi nemici, la pace data al Regno, la volontà dei Baroni che lo consideravano e che l'aveano ricevuto per loro Re e Signore, datogli ubbidienza e prestatogli il giuramento solito di fedeltà (cose tutte riguardanti il solo Regno di Napoli), i meriti proprj e del Re Ferdinando suo padre, per tutte queste ragioni l'investiva del Regno colle clausole solite, che furono apposte in quella conceduta al Re Carlo I con il censo di ottomila once d'oro l'anno: e che i Baroni e popoli del medesimo Regno non potessero gravarsi di nuove taglie, ma godessero quella libertà, franchigia e privilegi che goderono a tempo del Re Guglielmo II.

Non poteva in questa investitura parlarsi del Regno di Sicilia ultra Pharum, di cui i Re di Sicilia predecessori d'Alfonso, sin dal famoso Vespero Siciliano, non ne richiesero mai investitura; ed Alfonso era a quello succeduto per la morte del Re Ferdinando suo padre sin dall'anno 1416, e di cui era in possesso prima della sua adozione. Lo convincon ancora le parole della Bolla dell'investitura, conceduta pro Regno Siciliae, et tota terra ipsius, quae est citra Pharum, usque ad confinia terrarum ipsius Ecclesiae. Ciò che si conosce più chiaramente dal giuramento di ligio omaggio, che Alfonso poi nell'anno 1445 diede ad Eugenio con queste parole: Ego Alphonsus dei gratia Rex Siciliae plenum homagium, ligium, et vassallagium faciens vobis Domino meo Eugenio Papae IV et Ecclesiae Romanae, pro Regno Siciliae, et tota terra ipsius, quae est citra Pharum331.

Mette poi la cosa in maggior evidenza, e non lascia punto da dubitare la data di questo giuramento, dove per lo Regno di Sicilia, et tota terra citra pharum, non si denota, che questo solo Regno di Napoli. Ecco ciò che ivi leggiamo: Datum Neapoli per manus nostri praedicti Regis Alphons, anno a Nativitate Domini 1445, die vero secundo mensis Junii octavae Indictionis. Regnum nostrorum trigesimo; hujus vero SICILIAE, ET TERRAE CITRA PHARUM anno Regni XI. Non è dunque da dubitare, che questa investitura fu del solo Regno di Napoli, siccome per cosa fuor di dubbio scrissero il Costanzo, il Summonte, il Chioccarelli, e tutti i più rinomati e gravi nostri Autori.

Oltre di questa investitura, nel medesimo anno furono da Eugenio spedite altre Bolle in favor d'Alfonso; nel dì 4 di settembre ne diè una per la quale gli rimette e dona il pagamento di non picciole somme di marche sterline, che era tenuto pagare alla Camera Appostolica per cagion della concessione, ed investitura del Regno di Napoli. E nel dì 29 del medesimo mese con altra Bolla gli rimise tutta la somma di denari, che gli dovea per li censi passati del Regno di Napoli; e tutta la somma, che il Re, e suoi Ufficiali e Ministri in suo nome aveano esatta insino al detto dì, da qualunque ragioni, e crediti della Camera Appostolica, ovvero da prelature e dignità, beneficj e persone ecclesiastiche di qualsivoglia modo. Parimente nel medesimo giorno ne spedì un'altra, colla quale promette al Re di mandargli il Cardinal di S. Lorenzo in Damaso, o altra persona per coronarlo solennemente quando e dove il Re vorrà; ma questa coronazione poi non si fece, non essendo stato Alfonso mai coronato332.

Poi in un medesimo giorno de' 13 decembre del suddetto anno furono spedite nove altre Bolle in favor del medesimo. Per la prima, si concede che la pena della privazione del Regno in caso di contravenzione alli patti dell'investitura, possa permutarsi in pena pecuniaria di ducati 50 mila da pagarsi dal Re alla Camera Appostolica; durante però la vita d'Alfonso. La seconda, gli proroga per due altri anni il tempo di dare il giuramento alla Sede Appostolica per l'investitura del Regno, non ostante, che in quella si dica, doversi dare fra sei mesi, se il Papa sarà in Italia ed essendo fuori d'Italia, fra un anno. La terza, gli rimette le 8 mila once d'oro l'anno, che gli doveva per lo censo, durante però la vita d'Alfonso. La quarta gli dà facoltà di non ricevere i suoi ribelli nel Regno, e di cacciargli, con confiscare i loro beni, non ostante il giuramento dato dal Re per osservanza dell'investitura fattagli, di ricevere detti ribelli nel Regno e di restituire a' medesimi i loro beni, assolvendolo dal detto giuramento. Per la quinta, se gli concede, che se bene nell'investitura vi sia patto, che non possa imponere taglie e collette alle chiese, monasterj, luoghi pii e religiosi, cherici e persone ecclesiastiche, e loro beni, eccetto che ne' casi permessi de jure, ovvero per antica consuetudine di detto Regno, tuttavia che possa il suddetto Re per tutto il tempo della sua vita imponere taglie e collette a detti luoghi e persone ecclesiastiche, essendovi necessità, non ostante li patti di detta investitura. Nella sesta, si dice, che essendosi dal Re Alfonso esposto, che per antica consuetudine del Regno poteva imponer taglie e collette alle chiese, monasterj, Luoghi pii, religiosi, cherici e persone ecclesiastiche e loro beni, e che non era tenuto ricevere, nè ammettere Prelati eletti, nominati e provisti in detto Regno, se probabilissimamente gli eran sospetti di Stato: il Papa gli concede, che possa imporre dette taglie e collette, e non ricevere detti Prelati, se per consuetudine del Regno gli era lecito, non ostante li patti apposti in detta Investitura. Per la settima, ad istanza del detto Re se gli concede e dispensa, che possano anche succedere nel Regno i trasversali, non ostante li patti di detta Investitura, che chiamava solo li mascoli nati e nascituri, legittimamente discendenti per linea retta dal detto Re. Per l'ottava, se gli conferma l'adozione, ovvero arrogazione per figlio e successore nel Regno di Napoli fattagli dalla Regina Giovanna II. L'ultima, rimette al Re li 300 soldati armati, che avea da tenere in campagna, e che avea promesso alla Sede Appostolica a sue spese per tre mesi per cagione dell'Investitura concessagli.

Da poi nel seguente anno 1444 a' 14 Luglio in esecuzione de' capitoli accordati col Cardinal Legato in Terracina, spedì Eugenio la Bolla della legittimazione a favor di Ferdinando Duca di Calabria, per la quale lo legittimò e l'abilitò a succedere nel Regno di Napoli; ed a primo Aprile dell'anno seguente con altra Bolla si commette a Don Giovanni Abate del monastero di S. Paolo di Roma, a ricercare dal Re Alfonso in nome della Sede Appostolica il giuramento ch'era tenuto dare per cagion dell'Investitura, il quale fu dato in mano del medesimo con quelle parole di sopra riferito.

(La formola del giuramento di fedeltà prestato da Alfonso, siccome i Brevi, ed altre Bolle d'investitura e sua estensione a' collaterali, di remission di debiti alla Camera Appostolica, di riunione nel Regno dei Beni distratti e di conferma dell'adozione fatta dalla Regina Giovanna II in favor d'Alfonso, sono rapportate anche da Lunig333, il quale trascrive eziandio una bolla d'Eugenio, spedita in Roma nel mese d'Ottobre del 1443 per la quale gli concede facoltà di potere per tutto il futuro anno 1444 impor taglie e collette, ed esigere sopra tutti i frutti de' Beni degli Ecclesiastici de' suoi Regni la somma di ducentomila fiorini d'oro di Camera; cioè da' Regni d'Aragona, Valenza, Catalogna, Majorica e Minorica fiorini cento quarantamila; dal Regno di Napoli trentamila e da quello di Sardegna diecimila. Comanda, che niun Ordine regolare o secolare sia da ciò esente; ma tutti gli Ecclesiastici, ospedali ed altri luoghi pii debbano contribuire, eccettuandone i soli Cardinali, per quella ragione che Eugenio esprime nella suddetta sua Bolla, dicendo: Venerabilibus Fratribus nostris S. R. E. Cardinalibus, qui in partem nostrae sollicitudinis, divina miseratione vocali, grandia ad eorum statum decenter tenendum expensarum onera quotidie subire noscuntur dumtaxat exceptis).

324.Fazzel. de Reb. Siculis, decad. 1 lib. 1 c. 3.
325.Michael Riccius lib. 4 de Regib. Neap. et Sic. Cum prius unaquaeque Civitas, Oppidumve pro numero, amplitudineque, et opibus, stipendia penderet pro collectas, ut ajunt.
326.Vien rapportato da Chioccar. tom. 1. M. S. giurisd.
327.Capit. Reg. Alphonsi.
328.Zurita Annali d'Aragona.
329.Mazzel. Descriz. del Regno.
330.Baron. Ann. Eccles. discurs. de Monarchia Siciliae, tom. 11.
331.Vien rapportato dal Chioccar. tom. 1. M. S. Giurisd.
332.Tutin. de' M. Giustiz. pag. 78.
333.Tom. 2 pag. 1239, 1246, 1248 e 1249.
Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
28 eylül 2017
Hacim:
470 s. 1 illüstrasyon
Telif hakkı:
Public Domain
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