Sadece LitRes`te okuyun

Kitap dosya olarak indirilemez ancak uygulamamız üzerinden veya online olarak web sitemizden okunabilir.

Kitabı oku: «Istoria civile del Regno di Napoli, v. 9», sayfa 16

Yazı tipi:

§. I. Monaci e beni temporali

Niun altro più illustre e memorando esempio, fa più chiaramente conoscere, che le ricchezze delle Chiese, e de' Monaci ricevono tanto maggior incremento, quanto più crescono le sciagure e le calamità de' popoli, quanto ciò, che si vide accadere nel nostro Regno in tempo delle maggiori sue ruine e miserie; poichè a tali tempi, più che in altri, i miseri mortali ricorrendo a Dio ed a' Santi, o ringraziandoli del mali, o pregandogli che maggiori loro non avvengano, sono più solleciti, che mai di far parte de' proprj averi a' loro Tempj e Sacerdoti. Non videro certamente; i nostri maggiori tempi più calamitosi di quelli, che corsero dal Regno di Filippo II insino alla morte di Filippo IV. Soffrirono, o guerre crudeli, o (quel ch'è peggiore) gravi timori di quelle: incendj del Vesuvio, tremuoti, scorrerie di Banditi, invasioni di Turchi, sedizioni, tumulti, carestie, oppressioni, gravezze intollerabili, pestilenze crudelissime, e tanti altri mali che inorridiscono gli animi sentendoli. E pure in mezzo a tante sciagure, si videro moltiplicare le chiese e' monasteri di Religioni già stabilite, introdotti nuovi Ordini, farsi nuovi e più doviziosi acquisti, ed in fine crescer tanto i loro averi, che poco lor resta dell'impresa di tirar a se quel poco e misero avanzo, ch'è rimaso in poter de' Secolari.

Furono introdotti in questo secolo XVII nuovi Ordini di Religioni. La Congregazione de' Padri Pii Operarj, ebbe fra noi ricetto nell'entrar di questo secolo. D. Carlo Caraffa, Cavalier napoletano e sacerdote, gli diede principio nell'anno 1607 nella chiesa di S. Maria de' Monti posta nel Borgo di S. Antonio di questa città. Ma di poi, il Cardinal Dezio Caraffa Arcivescovo, con assenso del Pontefice Paolo V, concedè loro, nel 1618, la chiesa di S. Giorgio Maggiore, antica parrocchia di Napoli, resa poi Collegiata, e servita un tempo da sette Domadarj prebendati, e da altrettanti Sacerdoti, fra quali si connumeravano ancora l'Archiprimicerio e 'l Primicerio48. Ma minacciando a questi tempi ruina, nè avendo modo di repararla per la molta spesa che vi voleva, parve espediente di concederla a' Padri suddetti. Fu approvata tal congregazione da Gregorio XV, per Breve Spedito in Roma a' 2 d'aprile del 1621, e nel seguente anno 1622 ottenne dal medesimo l'amministrazione di tutti i sagramenti, ed Urbano VIII la confermò poi nell'anno 1635. Fecero presso noi col correr degli anni non piccoli progressi, avendo in Napoli ed altrove fondate altre lor case e fatti non dispregevoli acquisti di beni e di poderi.

Poco da poi nell'anno 1609 vennero a noi i Cherici Regolari Barnabiti di S. Paolo Decollato. Ci vennero da Milano, dove nell'anno 1526 furono istituiti da Giacomo Antonio Moriggia e Bartolommeo Ferrario Milanesi, e Francesco Maria Zaccaria Cremonese, mossi dalle prediche di Serafino Firmano Canonico regolare. Furon chiamati Cherici Regolari di S. Paolo, perché fra gli altri loro istituti era di predicare su l'epistole di S. Paolo; ed i loro regolamenti furon da poi confermati da più Brevi Appostolici nell'anno 1528, e nel 1533. S. Carlo Borrommeo Arcivescovo di Milano li favorì pure, e concedè loro in Milano la Chiesa di S. Barnaba, donde presero anche il nome di Barnabiti. Sparsi poi per molte città di Lombardia e d'Italia, capitarono finalmente in Napoli in quest'anno 1609 dove si diede loro ricetto nella chiesa di S. Maria di Portanova, detta in Cosmodin, anch'ella antica, ed una delle quattro principali parrocchie di questa città49.

Furono pure in questo secolo, nell'anno 1610, istituite da S. Francesco di Sales, Vescovo di Ginevra, le Monache della Visitazione della Vergine, per visitare i poveri e gl'infermi. Ridotte poi a clausura, eran per ciò tenute ricevere quelle donzelle infermicce, che non sarebbero state ammesse in altri monasteri. Queste vennero a noi più tardi, e sopra la Chiesa di S. Maria della Pazienza Cesarea v'han fondato un ben ampio e comodo monastero.

S'introdussero ancora altre riforme d'antiche Religioni. I Riformati di S. Bernardo fondarono una magnifica Chiesa fuori la Porta di S. Gennaro, sotto il nome di S. Carlo. I Riformati di S. Francesco, soccorsi da varj Signori napoletani e spagnuoli, fondarono in amenissimo sito un ben ampio Monastero, con ben architettata Chiesa sotto il nome di S. Maria degli Angeli. I Riformati Carmelitani Scalzi ne fabbricarono un altro nel Borgo di Chiaja, sovvenuti dal Conte di Pennaranda, che somministrò alla fabbrica della Chiesa tremila scudi, e che nell'apertura che se ne fece agli 11 di marzo dell'anno 1664, volle egli intervenire con l'assistenza de' Regj Ministri, tenendovi Cappella Regale. Non meno che i Conti di Lemos coi Gesuiti fu questo Vicerè profuso co' Teresiani. Per la sua pietà, non solo contribuì alle spese del Convento di questi Padri, ma anche sovvenne le Monache Teresiane Scalze per l'ingrandimento del lor Monastero di S. Giuseppe in Pontecorvo.

I Gesuiti, dall'altra parte, accrebbero pure a questi tempi maravigliosamente i loro acquisti. Erano i direttori, non men delle coscienze, che delle case del Signori e de' popolani. Per mezzo delle loro Congregazioni, che d'ogni qualità di persone e di mestiere istituirono ne' loro Collegi e Case professe, tirarono a se la devozione e l'ossequio di ogni sorta di gente. S'intrigavano in tutti i loro affari, regolandoli (per l'opinione che s'avean acquistata di uomini da bene e prudenti) a loro arbitrio e volere. Insino le liti più gravi e di momento, per via d'amicabili composizioni eran rimesse al loro giudicamento; ed il Reggente Marinis nelle sue Resoluzioni, rapporta più arbitramenti di Gesuiti fatti in cause gravissime e di somma importanza. Niun Vicerè, quanto il Conte di Pennaranda, ebbe tanta e sì grande inclinazione alle fabbriche o ristoramenti delle Chiese: non vi fu quasi luogo sagro, che non ricevesse da lui per ciò larghe e copiose limosine. Egli soccorse i Carmelitani nel ristoramento che fecero, e separazione che ottennero del lor Monastero col Torrione del Carmine, perchè non fossero inquietati dalle soldatesche spagnuole che ivi dimoravano. Egli contribuì abbondanti soccorsi per ridurre a fine la fabbrica del Romitorio di Suor Orsola e della Chiesa di S. Maria del Pianto, dove furono seppelliti i cadaveri di coloro che rimaser dalla contagione estinti. Egli soccorse la Chiesa di S. Niccolò al Molo. Ed essendosi in tempo del suo Governo, per le note contese insorte fra Domenicani e Francescani intorno all'Immacolata Concezione (donde per quietar questi romori, fu di mestieri a più Papi stabilire per ciò più Costituzioni e Bolle) dagli Spagnuoli, ch'erano del partito de' Francescani, molto più esaltata la divozione di Nostra Signora sotto questo titolo, egli avidamente ne prese l'opportunità, e fece con molta pompa e solennità in tutte le Chiese sotto questo nome celebrar feste magnifiche; onde s'accrebbe presso i popoli tal divozione, in maniera che non vi fu Chiesa di questo titolo, che non ricevesse abbondanti e profuse limosine dalla pietà de' devoti.

L'esemplo del Capo mosse e Nobili e Popolari a far lo stesso. Molte altre Chiese per ciò o di nuovo si fondarono, ovvero ruinate si ristabilirono. S'aggiunse ancora, che avendo la crudel pestilenza lasciata quasi che vota, la città ed il regno d'abitatori, molti non avendo a chi lasciare i loro patrimonj, gli lasciavano alle chiese ed a monaci, onde vie più crebbero le loro ricchezze. Altri crucciati co' loro congiunti, li quali mal seppero coltivarsi la loro benevolenza, per odio e per far ad essi dispetto, lasciavano i loro averi alle chiese. Vi contribuì non poco eziandio la dottrina de' monaci stessi disseminata e ben radicata a questi tempi, che coloro, i quali aveano rubato in vita, con lasciar in morte i loro beni alle chiese, saldavan con Dio ogni conto; ond'è, che alcuni riflessivi Viaggianti, che stupidi ammirano l'infinito numero delle nostro Chiese e Conventi, e le loro ampie ricchezze, in vece da ciò prenderne argomento di pietà, maggiormente si confermano nel mal concetto, ch'essi hanno de' Napoletani, d'esser gente a rubar sin dalla cuna avvezza; e che per ciò siano in morte cotanto profusi in lasciare alle Chiese morte, perchè in vita molto rubarono alle Chiese vive50.

Per queste cagioni si multiplicarono presso noi le Chiese ed i Monasteri, in guisa, che da ora innanzi non si può più di loro tener minuto ed esatto conto. Pietro di Stefano credea aver fatto un compiuto novero delle Chiese della sola città di Napoli, quando nell'anno 1560 diede fuori il suo volume della descrizione de' luoghi Sacri della Città di Napoli. Ma non passarono sessant'anni, che Cesare d'Engenio, per le tante altre nuovamente costrutte, fu spinto a compilarne un altro, che diede a luce in Napoli nell'anno 1624 sotto il titolo di Napoli Sacra. Ma che perciò? non passarono trent'altri anni, che bisognò a Carlo de Lellis stamparne nell'anno 1654 un terzo volume col titolo: Aggiunto alla Napoli Sacra, ovvero supplemento. E ciò nemmeno ha bastato, perchè ora sono vie più cresciute, sicchè possono somministrare sufficiente materia di tesserne un quarto volume.

Conferirono eziandio in questi tempi agli acquisti delle chiese le stravaganti dottrine de' nostri Dottori, li quali mal adattando le regole antiche a tempi presenti, stravolgendo i sensi delle leggi non ben da essi capite, e niente curando le circostanze de' tempi e la mutazione dello stato delle cose, spinti da imprudente e mal'intesa pietà, favorivano colle loro penne a tutto potere tali acquisti, ed eran tutti inclinati in ampliarne i modi e le cagioni, con detrimento notabile della società civile, e pregiudizio gravissimo del dominio, che ciascun tiene sopra la sua roba. Insegnavan essi, come per indubitato, che i padroni delle case alle chiese vicine, potevan costringersi lor mal grado a venderle alle chiese, se servissero per loro ampliazione: e di vantaggio, che nel prezzo non doveste riguardarsi l'incomodo, o l'affezione del forzato venditore, ma ciò che puramente la cosa sarebbe da' periti valutata. E questo favore non già solo era conceduto alle chiese, ma l'estesero agli atrj, a' portici, alle sacrestie, a' cimiterj, a' chiostri, alle scale, a dormitorj, insino alle cucine, ed a' giardini de' monasterj. Si stese parimente, anche se fra la chiesa e la casa vicina vi frammezzasse una pubblica strada e quel che parrà più strano, sino per far una gran piazza, ed un largo campo avanti l'edificio. Nella famosa lite, che il Cardinal Filomarino nostro Arcivescovo mosse alle Monache del Monastero di D. Regina, per cui Giulio Capone51 che difendeva il Prelato, ne compilò due allegazioni, si pretese dall'Arcivescovo, che dovesser le monache forzarsi a vendergli alcune case, che tenevan davanti al suo palazzo, ancorchè vi frammezzasse una pubblica strada, intendendo abbatterle per slargar ivi un gran campo, perchè quello, che era, non era così ampio sicchè con facilità potessero entrarvi le Carrozze a sei. Il Cardinal di Luca, ch'essendo allora avvocato in Roma, prese la difesa delle monache, stupiva della pretensione, e con sua allegazione, rapportata dal medesimo Capone, confutò quanto da costui erasi allegato in contrario. Ma che prò? fu deciso a favor dell'Arcivescovo, furon le case abbattute ed adeguate al suolo, e la piazza per ciò ampiamente allargata, sicchè ora le carrozze a sei possono avervi in quel palagio comoda e facile entrata ed uscita.

Quindi è avvenuto, che i Conventi, ancorchè nei loro principj assai piccioli, siansi veduti poi occupar tutta una Contrada, dall'un lato all'altro, finchè si giunga alla strada, che discontinui le case, e potendosi con difficoltà trovare in Napoli strada, nella quale non vi sia qualche convento, se non si ripara ad un così grave e ruinoso abuso, potranno per tal mezzo i monaci a lungo andare giungere a comprarsi l'intera città. Nè finirono qui gli acquisii delle chiese e dei monaci; vie maggiori, a proporzion del tempo, se ne videro appresso, insino a' dì nostri, sotto Carlo II, il regno del quale ne' due seguenti libri saremo ora a narrare.

FINE DEL LIBRO TRENTESIMOTTAVO

LIBRO TRENTESIMONONO

La morte del Re Filippo IV, il qual lasciava sotto la Reggenza d'una donna il successore d'età così tenera, fece credere ad alcuni, che dovesse suscitare ne' Regni di Spagna agitati dalla guerra di Portogallo, e mal sicuri della pace con Francia, alterazioni di gran momento; e non essendosi veduta (da poi che questi Regni furono dominati dagli Austriaci) minorità di Re, così infante, nè Reggenza di femmina straniera, e nel governo inesperta, non si sapeva come il genio altiero della nazione spagnuola fosse per soffrirlo; tanto maggiormente che Don Giovan d'Austria, ancorchè amatissimo dal Re, non essendo stato nè pur nominato nel testamento, malamente tollerava vita privata e negletta. Si aggiungeva, che il Consiglio di Stato, avvezzo a grand'autorità, si doleva aver per iscontro la Giunta, che s'arrogava la principal direzion degli affari. Tuttavia, o fosse che l'ambizion de' Grandi, mancando di forze, si sfoghi in vane querele, o che il timor della Francia, ed il rossore di non vincer i Portoghesi, gli contenesse a dovere, la mutazion del Regnante non cagionò romori nè commozioni nei Regni, e molto meno in questo di Napoli, di cui il Re, avutane in quest'anno 1666 l'investitura dal Pontefice Alessandro VII, la cui originai Bolla si conserva nell'Archivio grande della Regia Camera ne commise, come si disse, il governo a D. Pietr'Antonio di Aragona, di cui, e degli avvenimenti accaduti in suo tempo, saremo ora a narrare.

CAPITOLO I
D. Pietr'Antonio d'Aragona ributta la pretension del Pontefice promossa per lo Baliato del Regno. Si muove nuova guerra dal Re di Francia col pretesto della successione del Ducato del Brabante con altri Stati della Fiandra, la qual si termina colla pace d'Aquisgrana

Stabilita la Reggenza in persona della Regina madre, e la Giunta di que' Ministri disegnati dal defunto Re nel suo testamento per lo governo de' Regni, che componevano la Monarchia di Spagna, ed acquetatosi non meno il Consiglio di Stato, che i Grandi alla disposizione fattane dal Re Filippo, non per ciò volle il Pontefice Alessandro VII mancare di promover ora l'antica pretensione, che i suoi predecessori ne' passati turbati tempi s'avean in parte fatto valere in questo Reame, di doverne essi come diretti e soprani Padroni, durante la minor età del Re, prenderne il Governo. Da' precedenti libri di quest'istoria ciascuno avrà potuto conoscere sopra quali deboli fondamenti ella s'appoggi; con tutto ciò alterandosi dalla Corte di Roma l'esempio accaduto nel pontificato di Innocenzio per la minor età dell'Imperador Federico II, la Legazione del Cardinal di Parma nei Pontificati di Martino IV, e d'Onorio IV, nella prigionia di Carlo d'Angiò Principe di Salerno, ed alcuni altri mal adattati esempj, prese in questi tempi nuovamente l'ardire di pretenderlo. Si credette allora da' più savj discernitori delle azioni di quella Corte, che ciò si tentasse, non già con isperanza d'ottenerlo, ma per tenere in cotal guisa sempre viva la pretensione, affinchè in migliori occasioni, secondo che portasser le circostanze e le congiunture de' tempi, se ne potessero, quando che sia, più fruttuosamente un tempo valere. Non tralasciò pertanto, poco dopo l'arrivo di D. Pietro in Napoli, di presentarsi il Nunzio in sua presenza, ed in nome del Papa, ad esporgli le ragioni della Sede Appostolica intorno al Baliato del Regno, e che per conseguenza s'apparteneva al Pontefice di doverlo ora provvedere di Balio, e di Governadore, fin che durasse la minor età di Carlo. Il Vicerè gli rispose, che non faceva mestieri che Sua Santità s'impacciasse di questo Governo: poichè bastantemente s'era provveduto dal Re Filippo nel suo testamento, con istabilire la Reggenza in persona del la Regina, ed era una Giunta per lo Governo di tutti i suoi Stati; ed avendogli il Nunzio lasciata una memoria di queste pretese ragioni, il Vicerè diede incombenza al famoso Marcello Marciano il giovane, che si trovava allora Avvocato Fiscale di Camera, che vi rispondesse.

Questi medesimi ufficj furono passati dal Nunzio di Spagna in quella Corte, al quale furono date le medesime risposte, ed avendo pure colui fatto spargere alcuni scritti, dove si rappresentavano le pretensioni di Roma, furono, non men da alcuni Napoletani, che si trovavano in Madrid, che da valenti Scrittori spagnuoli, confutati, e fatti conoscere vani e deboli i fondamenti sopra i quali appoggiavasi la pretensione. Ma sopra quante scritture uscirono allora così in Ispagna, come in Napoli, la più dotta e vigorosa fu riputata quella del Fiscal Marciano, che dettata in idioma latino comparve fuori sotto questo titolo: De Baliatu Regni Neapolitani52. Così scortasi da' Romani la vigorosa resistenza non meno della Corte di Madrid, che del Vicerè di Napoli, posero alla pretensione per allora silenzio.

Ma non fu tale il successo della pretensione promossa, pure a questi medesimi tempi, dal Re di Francia sopra il Ducato del Brabante con altri Stati della Fiandra, nella qual contesa, ancorchè a riguardo delle scritture rimanessero i nostri superiori, per sostenere la causa migliore; furono però perditori nel successo della guerra e delle armi, che quel Re con tal pretesto mosse in Fiandra. Per la morte del Re Filippo fu dato ad intendere al Re di Francia, giovane allora e di riposo impaziente, che il Ducato del Brabante con alcuni altri Stati della Fiandra, fossero devoluti alla Regina sua moglie, come figliuola del primo letto del Re Filippo, non ostante che avesse egli dal secondo lasciato il Re Carlo figliuol maschio; poichè la consuetudine di que' Paesi era, che nelle successioni, ed eredità si preferisse la femmina del primo letto ai maschi nati del secondo. Il cupido Re ricevè volentieri l'occasione con tal pretesto di poter slargare i confini del suo Regno sopra quello del vicino; ma essendo allora viva la Regina Anna Maria sua madre, non si mosse, facendo solamente palesar la pretensione, esagerandola in alcune scritture per giusta e molto ben stabilita. Ma morta poco da poi la Regina madre, e sciolto con la morte il vincolo d'autorità, ch'ella sopra il figliuolo teneva, non così tosto fece pubblicar colle stampe le pretensioni, che mosse le armi per farsele valere. Scrisse nel di 9 maggio di quest'anno 1667 alla Regina Reggente di Spagna una lusinghevole lettera, nella quale dolendosi, che non essendosi voluti accettare i trattati di un amichevol accordo, ch'egli avea proposti per la composizione di tal affare, si vedeva costretto d'uscire alla fine di quel mese in Campagna, per proccurare di porsi in possesso di quel, che giustamente se gli apparteneva nei Paesi Bassi per parte della Regina sua sposa, o di altro equivalente, ma con tutto ciò, ch'erasi da lui ordinato all'Arcivescovo d'Ambrun suo Ambasciadore, che le presentasse una scrittura, di suo ordine fatta stendere, nella quale si contenevano le ragioni, ove si fonda il suo diritto; affinchè fattala esaminare, possa venire ad abbracciare i medesimi mezzi, che le avea fatti proporre, e che anche al presente le faceva, di aggiustar tal differenza con alcuno amichevole accordo.

Si conobbe da questa lettera, che si cercavan pretesti per invader le Fiandre preventivamente, per non dar luogo a difesa; poichè nel medesimo istante che si proponeva accordo, si protestava, che per la fine del mese si sarebbe posto in campagna, e che prima che si potesse leggere la scrittura inviata, non che esaminarsi, era risoluto d'andare ad impossessarsi colla forza delle pretese province o del loro equivalente, sopra gli altri Stati del Re Cattolico. Nè i fatti discordarono dalle parole, perchè nella fin del mese, ponendosi egli alla testa del suo esercito, giunse sulle frontiere della Fiandra, e diviso l'esercito in più corpi, nell'istesso tempo che fece pubblicar un libro in diverse lingue delle pretese ragioni della Regina sua moglie, attaccò più piazze di quella provincia.

Gli Spagnuoli, dall'altra parte, esagerando cercarsi dal Re Lodovico più tosto speziosa, che giusta cagione di muovere l'armi; ribattevano con vigore le pretese ragioni, sostenendo con più vigorose scritture in contrario, che le Consuetudini o gli Statuti, particolari non potevano giovare nella successione sovrana degli Stati, in cui troppo ripugna all'uso ed alla natura delle cose, che in pari grado, dalle femmine si pretenda togliere a' maschi la corona di capo. Ma essi non erano così ben forniti di arme, quanto di ragioni, per potersi difendere dalla forza. La Regina Reggente turbata all'improvvisa intimazione, che le fu fatta guerra, si raccommandava con lagrime a' suoi ministri; ed avendo un dì fatto introdurre il fanciullo Re nel Consiglio, gli fece dire con voci puerili nella propria favella, che commossero gli animi di tutti: Io son'innocente, assistetemi53.

Risoluti per tanto gli Spagnuoli ad una valida difesa, nell'istesso tempo, che ne proccuravano i mezzi, non tralasciavano di disingannare i popoli delle vantate ragioni de' Franzesi, facendole apparire per vane ed ingiuste: esagerando le oppressioni, che dalla Francia si facevano ad un Re fanciullo, e così strettamente congiunto all'invasore.

In Fiandra da un Ministro del Re Cattolico erasi data già alle stampe nel principio di quest'anno una scrittura, nella quale si dimostrava la vanità della pretensione, affinchè cessassero i romori del volgo, per le voci che andavansi seminando da Franzesi circa la pretesa successione della Regina di Francia nel Ducato del Brabante ed in altre province; e nell'istesso tempo s'assicurassero que' popoli, di dover essere conservati sotto l'antichissimo dominio de' loro legittimi Principi. Ma quantunque gli argomenti in quella rapportati (ancorchè brevi e piani) fossero conchiudenti ed efficaci, non perciò s'arrestavano i Franzesi dal lor proponimento, anzi oltre all'armi, con grossi volumi s'accingevano a sostener la lor causa: onde si stimò, che la scrittura di Fiandra, se bene per que' Popoli, dove vi era particolar notizia delle lor leggi, sarebbe stata bastante, così per l'altre Nazioni avrebbe potuto giudicarsi scarsa; e che perciò fosse bene di proccurare, che le ragioni del Re Carlo si comprovassero con maggior copia, e si dimostrassero con maggior vigore.

Può ben Napoli darsi il vanto, che le migliori scritture, che uscirono intorno a questo soggetto in difesa delle ragioni del Re di Spagna, furono quelle dettate dall'incomparabile nostro Giureconsulto Francesco d'Andrea, allora celebre e rinomato Avvocato de' nostri Tribunali. Il Vicerè D. Pietro d'Aragona non ebbe a questi tempi soggetto migliore di lui per appoggiargli questa difesa, e perchè con vigore ributtasse le pretensioni de' Franzesi. Comandato pertanto costui da D. Pietro, s'accinse all'impresa, ed a' 28 febbrajo del medesimo anno avendo ridotta a fine una dotta scrittura in idioma latino, con titolo: Dissertatio de Successione Ducatus Brabantiae, la presentò al Vicerè, che la ricevè con molta stima, ordinandogli, che l'avesse sottoscritta, com'egli fece in sua presenza, affinchè dovendola inviare in Ispagna col suo nome, già per tutta Europa diffuso e celebrato, acquistasse ella maggior peso ed autorità. Non si stimò in questi principj di darla alle stampe, per non dar motivo a' Franzesi, che per mezzo delle stampe non aveano ancora pubblicate le loro scritture, di dire, che fossero stati i nostri i primi a provocarli al cimento. Ma l'esito poi dimostrò, ch'essi intanto non l'aveano pubblicate, per attaccarne improvvisi; poichè, come si disse, nella fine di maggio s'ebbe avviso, che il Re di Francia era giunto co' suoi eserciti sulle frontiere della Fiandra, e che nel medesimo tempo avea fatto pubblicare di suo ordine un libro in diverse lingue, delle pretese ragioni, in nome della Regina sua moglie, sulla maggior parte di quelle province, il qual libro poco da poi comparve in Napoli in lingua Spagnuola con questo titolo: Tratado de los Derechos de la Reyna Christianissima sobre varios Estados de la Monarchia de Espanna.

Il Vicerè, tosto che l'ebbe in mano, l'inviò all'Andrea con ordine di rispondervi; ed allora fu, che apprendosegli più largo campo di mostrare la sua gran dottrina, la perizia nell'istorie, e la sua peregrina erudizione, diede fuori alle stampe in Italiana favella quella cotanto rinomata Risposta al Trattato delle Ragioni, etc.54 stampata In Napoli in questo medesimo anno 1668. Quivi con vigorosi argomenti dimostrò, la cotanto esagerata consuetudine del Brabante e delle altre province, non potere aver luogo nella successione del principato e della sovranità; e che quella non si regolò mai da tal consuetudine, ma si differì sempre con legge ed osservanza contraria. E poichè i Franzesi, per torsi l'opposizione della amplissima rinunzia fatta dalla lor Regina, in tempo che si maritò con Luigi, aveano proccurato con vari argomenti di farla vedere nulla ed invalida: egli con risposte vigorose abbattè i loro sofismi e con fortissime ragioni sostenne la validità e fermezza di quella: ciò che non avea fatto nella prima scrittura, parendogli, che ciò sarebbe stato in certo modo pregiudicare alla causa, se dove vi era total chiarezza, che non poteva alla Regina spettarle ragione alcuna, si fosse fatta gran forza in dimostrare, che validamente avesse potuto rinunziarla. Rispose parimente con tal occasione questo insigne Giureconsulto ad un altro libro fatto pubblicare in Francia d'altre pretensioni sopra tutte le province Belgiche, e sopra quasi tutti i Regni e Principati dell'Europa, composto da un tal Aubery Avvocato della Corte del Parlamento di Parigi, che fu stampato nel medesimo tempo dell'invasion della Fiandra sotto questo titolo, Delle giuste pretensioni del Re sopra l'Imperio. E con profonda dottrina ed esatta perizia dell'istoria fece vedere, che il Ducato dei Brabante colle vicine Province, non tiene alcuna dipendenza dalla Corona della Francia; nè che quel Re possa pretender di giustificarne la conquista, come rappresentante le ragioni di Carlo Magno; le quali egli sostiene, che oggi risiedano nella Augustissima Famiglia Austriaca.

Uscirono ancora altre dotte scritture in risposta del libro de' Franzesi, e fra le altre una giudiziosissima, scritta in lingua franzese da un pubblico Ministro col titolo: Bouclier d'Etat, et de Justice; etc. la qual fu tradotta in idioma spagnuolo, e subito stampata.

(Alle scritture pubblicate da' Franzesi furon date da più Scrittori vigorose risposte, che si leggono raccolte nell'Appendice del Diario Europeo Tom. XV, XVI e XVIII, e memorate da Struvio55. Al libro d'Auberes stampato in Parigi l'anno 1667 col titolo, des justes Pretentions du Roi sur l'Empire, con note apposte, fu risposto da Errico Kippingio; siccome contro del medesimo uscirono, Axiomata Politica Gallicana, ed il libro di Nicolò Martino, intitolato Libertas Aquilae Triumphantis; al Traité des Droits de la Reine Très-Chrêtienne, etc. di cui fu Autore l'istesso Auberes, fu risposto con due altre scritture, una intitolata: Dialogue sur les droits de la Reine Très-Chrêtienne, atque deductio, ex qua clarissimis argumentis probatur contra Gallos, non esse jus devolutionis in Ducatu Brabantiae; e l'altra, la Verité defendue des sophismes de la France. Sei anni dopo Pietro Gonzales de Salcedo diede fuori un volume in foglio colla data di Brusselles del 1613, dettato in idioma spagnuolo, che poi fu tradotto in Franzese con questo titolo: Examen de la verité, ou Réponse aux Traités publiés en faveur des droits de la Reine Très-Chrêtienne sur divers Etats de la Monarchie d'Espagne. Al quale però nell'anno seguente 1614 fu risposto da Giorgio Abusson, con opposto libro, che ha il titolo: la défense du droit de Marie Therese d'Autriche Reine de France à la succession des Couronnes d'Espagne).

Ma di quanto a questi tempi ne corsero a giudicio di tutti, era riputata la più dotta, la più vigorosa, e la più elegante quella del nostro Francesco Andrea.

Ma mentre i nostri Giureconsulti difendevan con tanto vigore la giustizia del loro Principe, e sostenendo la causa migliore, s'eran resi in queste contese superiori a' Giureconsulti franzesi, eran dall'altro canto i nostri superati dalle armi nemiche più numerose e forti: sorpresero intanto i Franzesi Douay, Tournay, Lilla, Furnes, Dixmude, Courtroy, Oudennarde, Alost, Carleroy, ed altre Piazze di minor nome, nè l'inverno, che sopraggiunse, gli fece cessar dalle armi, anzi in questa stagione occuparono con occulte intelligenze in un momento tutta la Contea di Borgogna.

Questa improvvisa mossa de' Franzesi ridusse finalmente gli Spagnuoli ad aver pace con li Portoghesi, per potersi opporre con maggior vigore colle armi, siccome aveano fatto colle scritture, a' Franzesi. Era con la morte del Re Filippo, se non abolita la memoria della rivolta di Portogallo, estinta però l'avversione, che tenevano gli Spagnuoli all'accordo; onde ora facilmente vi si accomodarono, e fu quello conchiuso non con altri patti e capitolazioni, se non con quel Pretoriano editto: Uti possidetis ita possideatis: rimase con uguali condizioni ad amendue i Regni di Castiglia e di Portogallo ciò che possedevano avanti la loro unione, fuor che Ceuta, che trovandosi in mano de' Castigliani, fu loro permesso di ritenerla.

Stabilita la pace co' Portoghesi, fu nell'istesso tempo, che pubblicossi con le solite cerimonie in Napoli, dichiarata la guerra a' Franzesi, e furono pubblicati bandi, che tutti que' Franzesi, che si trovavano nel Regno, uscissero fra brevi giorni da quello; e dal Vicerè si fecero sequestrare i beni, che possedevano in esso il Duca di Parma, ed il Principe di Monaco, come aderenti alla Corona di Francia, la quale minacciando pure d'assalire l'Italia per mare e per terra, costrinse il nostro Vicerè di rinforzare con mila ottocento fanti spagnuoli ed italiani le Piazze della Toscana, e di far venire da Alemagna un Reggimento di soldati tedeschi. Fu da ciò impedito ancora di poter mandare in Levante nel principio della campagna di quest'anno 1668 la squadra delle galee del Regno al soccorso di Candia: di che il Pontefice molto rammaricossi; e considerando, che per questa guerra mossa da' Franzesi venivano impediti i soccorsi ai Veneziani, i quali con molto valore sostenevano la difesa di quell'Isola, cinta di stretto assedio da' Turchi, pose ogni studio, congiunto con gli altri Principi d'Europa, di ridurre quelle due emole Nazioni a concordia.

48.V. Eugen. Nap. Sac. pag. 43
49.V. Eugen. Nap. Sac. pag. 48
50.Bossuet Politic. lib. 7 part. 2 propos. 11.
51.Capone Controv. for. contr. 1.
52.V. Toppi in Biblioth. p. 256 et Nicod.
53.Nani Istor. Ven. t. 2 I. 10 ami. 1667.
54.Risposta al Trattato delle Ragioni della Regina Christianissima, sopra il Ducato del Brabante, con altri Stati della Fiandra.
55.Syntagm. Hist. Germ. Dissert. 37 § 21.
Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
22 ekim 2017
Hacim:
400 s. 1 illüstrasyon
Telif hakkı:
Public Domain
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre