Kitabı oku: «Le Tessere Del Paradiso», sayfa 6
Da qualche settimana gli era stata affidata l’ospitalità di un maestro d’arte di nome Alessio, un greco su cui pendeva già una condanna a morte per omicidio e a cui era stata commissionata la realizzazione del rivestimento in mosaico della sala di rappresentanza del Re. Ma come convincere un prossimo condannato a morte a diventare lo strumento del suo arbitrio? Non certo col denaro. Dunque Amjad si ricordò di aver sentito dire che quell’uomo era ossessionato da una donna, colei che avrebbe voluto incontrare prima di morire. Ecco perciò come plagiarlo al suo volere: Amjad avrebbe pagato i servigi sanguinari di Alessio offrendogli la possibilità di vedere il soggetto che bramava incontrare.
La stessa sera, quella del cinque, per mezzo della lusinga e dell’inganno l’eunuco entrò in confidenza col maestro d’arte e questi cominciò a fidarsi di lui. Appena due giorni dopo, Amjad giudicò quel rapporto ormai maturo per indirizzare colui che riteneva un vero assassino contro il suo nemico. Tuttavia fu adesso che l’odio dell’eunuco dovette essere convogliato su qualcuno che finora non aveva valutato.
Nel pomeriggio si presentò in udienza privata il gaito Luca, colui che mesi or sono gli aveva soffiato il posto al servizio della Regina.
Questi gli disse:
«Tutta Balarm47 ti ride dietro, Mattia.»
«Sono stato aggredito e derubato… Balarm dovrebbe piangere sé stessa per le condizioni in cui versa!»
«Perché non hai indicato i responsabili?»
«A quest’ora quei ceffi saranno già fuggiti via tra i monti… se li denunciassi non rientrerebbero mai in città. Lascerò che le acque si calmino e che tornino a Balarm per colpirli con la massima severità.»
«E non ti turba per intanto che perfino a Palazzo si parli di te? Ho sentito dire che questa mattina hai minacciato e corrotto i manovali che vengono per i mosaici della sala, affinché qua dentro il tuo nome non sia oggetto dei loro rozzi discorsi.»
«Tu comprendi sempre troppo… non a caso ti appellano gaito benché tu gaito non lo sia.»
«Sono stato per anni gaito dell’esercito preferito dal Re… il suo harem! Ora però offro i miei servigi alla donna che tu hai servito per lunghi anni. Ed è proprio la Regina che oggi mi ha inviato da te, per sincerarsi delle tue condizioni. Sì, Mattia, la tua umiliazione è giunta fino alle stanze più recondite del Palazzo.»
Amjad, il quale immaginava che Margherita di Navarra l’avesse cancellato pure dal cuore, rimase sorpreso e perplesso.
«L’animo della Regina è incline al perdono; dovresti saperlo.» aggiunse il gaito Luca.
Amjad allora sospettò che quello fosse a conoscenza del fatto incriminato nel litigio avuto con la consorte del Re.
«Congetturi su un passato che non ti appartiene e parli di perdono…»
«Se dopo dieci anni di servizio la Regina ha deciso che non saresti più entrato nei suoi appartamenti, il motivo dev’essere stato serio.» addusse il gaito Luca, sorridendo provocatoriamente.
«Non abbastanza serio da non poterci passare sopra. Oggi sei qui in vece sua perché si è interessata di me, e forse la prossima settimana richiederà che io ritorni al mio posto.»
Contrariamente a ciò che Amjad si sarebbe aspettato di sentire, l’altro gli poggiò una mano sulla spalla e gli disse:
«Può darsi… ed è per questo, benché sia stato investito ad una posizione inferiore a quella che ricoprivo, che sarà mio interesse impedirtelo.»
«Solo perché ti chiamano gaito credi di esserlo anche sulla volontà della Regina?»
«No, ma sono sicuro di esserlo sulla tua libertà… Lascia che renda noto che un eunuco del Re, consacrato al Cristo e legato con voto di fedeltà a questo Regno, si renda colpevole di apostasia e tradimento, tramando con i saraceni d’Africa. So tutto, Mattia, tutto quel che basta per mandarti al patibolo sulla riva del fiume.»
Il viso di Amjad cambiò colore, e le sue mani, mentre osservava il gaito Luca allontanarsi, presero a tremare. Per certo una minaccia maggiore rispetto a quella rappresentata da Vittore si materializzava nell’eunuco rivale.
Quello era un lunedì e Amjad sapeva che la Regina si sarebbe incontrata con Majone nella locanda presso la porta di Sant’Agata. Sapeva inoltre che il gaito Luca, vincolato da un rapporto di fedeltà simile a quello di cui godeva precedentemente lui, avrebbe accompagnato la sua signora. Amjad ragionò che avrebbe messo a tacere il gaito Luca proprio quella sera e proprio in quel luogo.
Amjad si presentò nuovamente da Alessio e quindi, mostrandogli i graffi sul collo, quelli stessi che Vittore gli aveva provocato tramite la collana di conchiglie, lo persuase ad uccidere il gaito Luca, accusando quest’ultimo di crimini mai commessi.
Amjad aveva fatto fare una doppia chiave per la serratura della locanda e ne aveva conservato la copia quando aveva restituito l’originale alla Regina. Adesso quell’azione fatta per l’eventualità di un ricatto si rivelava utile. Tuttavia, senza ombra di dubbio, la sua chiave più efficace risultava essere la capacità di penetrare nella mente e nel cuore di chi lo credeva un uomo fragile e sincero. Amjad chiaramente indossava molte maschere.
Capitolo 11
Notte del 10 Novembre 1160 (555 dall’egira) Balermus
Risolta con successo la pratica del gaito Luca, Amjad poteva adesso dedicarsi a quello che era sotto gli occhi di tutti, la sua umiliazione pubblica ad opera di Vittore. A ricordargli che la cosa andava risolta immediatamente ci pensò un tale Mahmud, ufficiale disertore dell’esercito di Guglielmo che si era avvicinato alla sedizione predicata da Amjad. Questi gli parlò a nome di tutti e gli disse che se lui non avesse sistemato la questione al più presto sarebbe stato estromesso da quella fratellanza e la cosa sarebbe stata risolta a modo loro. A Mahmud non importava un bel niente di Vittore e della reputazione dell’eunuco, tuttavia Naila conosceva i loro nomi e non poteva rischiare che questa parlasse ai cristiani per consegnarli tutti ad una sicura condanna a morte. Amjad lo sapeva… per quelli come Mahmud spezzare il collo delicato di una giovane donna era un gioco semplice. Doveva agire prima che quelli impugnassero la questione. Ragionò di venire a capo del problema in una sola notte; avrebbe vendicato l’affronto di Vittore e fatto rinsavire la sorella dalla pazzia che l’aveva colta.
Parlò ad Alessio nella sala del Re e ancora una volta, facendogli false promesse e avanzando fantasiosi pericoli, lo convinse ad armare il suo braccio contro Vittore. Tuttavia Amjad si era accorto che il maestro d’arte fosse più credulone e ingenuo che spregiudicato e cinico, qualità indispensabili per un assassino… e che dunque, se era riuscito a far fuori il gaito Luca, per certo avrebbe potuto ben poco contro l’uomo del porto. Ragionevolmente l’eunuco avrebbe dovuto assoldare qualcun altro, qualcuno dallo spirito più fermo. Si presentava nondimeno l’occasione per risolvere i problemi collaterali scatenati dall’assassinio del gaito Luca. Alessio infatti era stato visto in viso da Majone e questo costituiva la più temibile delle minacce. Amjad doveva liberarsi di Alessio e della possibilità che tramite questi giungessero a lui. Doveva tagliare tutti quei fili che portavano al suo nome, eliminando necessariamente ogni testimone. Se Alessio avesse ucciso Vittore: bene… e se Vittore avesse ammazzato Alessio: poco male.
La notte del dieci Amjad accompagnò il mosaicista greco presso la casa di Vittore. Dopodiché, accertatosi che l’assassino non avesse sbagliato porta, si dileguò intento a compiere la seconda parte del suo piano. Prima che il crimine che stava per consumarsi presso la piazza del porto generasse confusione per le vie di Palermo, Amjad corse all’abitazione di Naila.
Una carrozza trainata da due cavalli giunse davanti la casa della giovane nel momento in cui Amjad bussò per la prima volta alla porta. Lo scambio di sguardi col cocchiere indicava che costui era lì per volontà dell’eunuco.
Aprì la serva e questa, con grande sorpresa, esclamò:
«A quest’ora della notte, mio Signore? Dev’essere successo qualcosa!»
«La signorina dorme?»
«Dorme, com’è normale che sia.»
Dunque Amjad spinse la porta ed entrò.
Ad ogni modo i toc toc avevano svegliato anche Naila e questa ora se ne stava pochi passi alle spalle della serva, vestita degli abiti della notte.
«Amjad, fratello mio, ho provato a cercarti ogni giorno per tutti questi giorni.» esordì Naila con uno strano gioco di parole.
«Prendi il mantello e andiamo!» ordinò perentorio lui.
«Dev’essere successo qualcosa se vieni a trovarmi nel cuore della notte.»
«È successo che devo aver cresciuto una prostituta!»
La serva, che non aveva mai sentito il padrone rivolgere parole di disprezzo alla sorella, ne risultò terrorizzata. La luce della candela retta dalla donna della servitù fu subito tremolante, così come il polso di chi la reggeva. Il viso pulito di Naila, ancora morbido e da bambina, produsse ora un’espressione di dolore.
«Parli così per via di Vittore… lo so.» comprese ed ammise Naila.
Presto Amjad le mollò uno schiaffo.
«Non pronunciare il nome di quell’infedele!» gridò anche.
Lei si resse il viso tra le mani e prese a piangere.
«È così grave che io mi sia imbattuta in qualcuno che desidera prendersi cura di me?»
Amjad la guardò deluso e rispose:
«Avevi già chi si prendeva cura di te.»
«Tu e la tua gelosia, Amjad! Non ho sostituito il tuo amore con quello di un altro.»
«Non darmi lezioni, Naila! Voi donne il tradimento lo portate nel cuore e mascherate il vostro male con questa stupida parola: amore.»
Naila alzò il tono della voce e insistette:
«Io non ti ho tradito, Amjad! Si rimane fratello e sorella anche quando si finisce tra le braccia di un estraneo.»
«Noi eravamo più di un fratello e una sorella, lo sai. Quante volte ci giurammo fedeltà… quante volte!»
«Erano le promesse di una ragazzina, Amjad… una ragazzina che conosceva ancora solo l’amore del miglior fratello del mondo.»
«Io non avrei mai tradito quel giuramento.»
«Tu, Amjad, non avresti potuto… Oggi, però, non puoi gettare su di me lo stesso biasimo con cui sei stato marchiato nel fisico. Sei tu l’eunuco Mattia… non io.»
«Un male che giurasti avresti portato insieme a me.»
«Ma io non ne sono stata in grado, non dopo aver conosciuto Vittore. Perdonami, Amjad… perdonami!»
Adesso, comprendendo che le ragioni di quell’amore non si potevano scardinare con i sensi di colpa, l’eunuco del Re cambiò argomento e chiese:
«Hai detto delle nostre riunioni a quell’infedele?»
«No, non sono così stupida.»
«Perché allora mi hai mentito riguardo a questo luogo?»
«Per non mettere in difficoltà te e i tuoi amici quando avreste scoperto che frequentavo un cristiano.»
«Ciò che paventavi è realmente successo.»
«Lo so, ed è per questo che questa notte mi chiedi di lasciare questa casa.»
«Per questo e perché comprendo che sei cresciuta troppo per tenerti ancora a bada. È stata colpa mia se ti sei infatuata di quel pescivendolo. Io ho creduto che per te, Naila, non arrivasse mai la primavera, ma mi sbagliavo. Sei come tutte le altre e la stagione della monta non ti ha colta impreparata… Tuttavia, sorella, sai bene cosa succede quando una bestia di razza viene lasciata libera durante l’estro… Rischia di incrociarsi con bestie selvagge e indegne. Perciò ti ho combinato la cosa, affinché il sangue della nostra stirpe non venga insozzato da quell’essere selvaggio e indegno.»
«Il tuo discorso vale per le bestie… non per gli esseri umani. Non sposerò nessuno che non sia Vittore!»
«Per darti all’apostasia?»
«Quante figlie di rispettabili credenti hanno cambiato la lingua in cui pregano Dio in nome della convenienza? E in questa terra ci si sposava tra islamici e cristiani anche quando comandavano gli emiri. Me lo hai detto tu, Amjad.»
«In Sicilia i fedeli degni e convinti sono stati sempre troppo pochi… Quell’uomo ti ha già deviata, poiché sai bene che non è una questione di lingua. Tu bestemmi!»
«Tu stesso, fratello, compari davanti al Re indossando una croce d’oro e presenzi a tutte le feste dei cristiani per dare una parvenza di devozione.»
«Non ho scelto io di essere Mattia… prego tuttavia cinque volte al giorno, poiché il canto del muezzin48 lo sento nell’anima.»
«E perché allora io non posso fare lo stesso, praticare nel segreto ciò che non do a vedere sotto il sole?»
«Perché tu puoi scegliere!»
«È l’amore che mi costringe.»
«Perciò ti ho data ad un uomo che sappia attenuare i tuoi bollori.»
«Non mi muoverò da questa casa, Amjad; Vittore è già l’uomo di cui parli! Rinnegami davanti ai tuoi amici, se questo serve a cancellare la vergogna che ti ho procurato, ma non costringermi a nulla. So bene quello che è successo sabato al mercato. Vittore mi ha promesso che si scuserà pubblicamente non appena avrà modo di rincontrarti.»
Dunque Amjad sorrise e, colto da una strana soddisfazione, spiegò:
«Quel venditore di gusci di cozze potrebbe essere già morto a quest’ora.»
Naila rimase di pietra. Il volto del fratello improvvisamente cambiò i suoi connotati. Per la prima volta Naila vide un Amjad diverso, un uomo che giudicò semplicemente “malvagio”.
Disperata cercò di passare oltre il fratello e oltre la porta, presumibilmente per correre verso l’uomo che amava. Amjad però la trattenne e, mentre lei si dimenava e gridava, ordinò alla serva di salire in carrozza e al cocchiere di accorrere per dargli manforte. Alla fine Amjad la spuntò. Naila venne domata per mezzo di un abbraccio soffocante, lo stesso gesto che, figurativamente, per tutti quegli anni le aveva impedito di staccarsi dalla morbosa ossessione del fratello.
Dopo non molto la carrozza si trovò a passare per la porta di Sant’Agata. Qui alcuni uomini armati di torce e spade intimarono al cocchiere di fermarsi. Amjad comprese subito che non si trattava di guardie reali e temette l’agguato e la rapina. Sapeva di dover agire con naturalezza, seppure di naturale lui avesse ben poco, essendo chiaramente un ricco eunuco al servizio di Sua Maestà.
Due di quei ceffi aprirono la portiera e fissarono dentro, soffermandosi per mezzo di una lampada sul viso di ognuno. Dunque, accorgendosi che tra i passeggeri non vi fosse chi cercavano, persero l’interesse che dapprima avevano manifestato.
«Sono stata rapita e costui è il mio rapitore!» urlò Naila un attimo prima che quelli chiudessero la portiera.
Perciò uno di quei due, un biondo giovane che aveva le sembianze di un nobile, tornò ad avvicinarsi e chiese ad Amjad:
«È vero quanto dice questa fanciulla?»
«Ella è mia sorella… e sì, Signore, l’ho costretta a seguirmi controvoglia.» spiegò con impareggiabile calma Amjad, consapevole che la verità fosse la cosa più saggia da dire.
«Perché?» domandò di nuovo quello.
«Intende sposare un uomo che non è al pari del nostro lignaggio.»
«Non è vero, Signore… egli non è mio fratello!» sostenne ancora Naila.
Il tizio allora fece segno all’altro di tenerli d’occhio e andò a consultarsi con un’altra figura che si muoveva nell’ombra della notte. Si avvicinò dunque quello che doveva essere il capo, un nobilotto pressoché trentenne che brandiva determinato la sua spada.
«Siete uno degli eunuchi?» chiese.
«Sì.» rispose Amjad, gonfiandosi nel frattempo il petto per mettere in bella mostra il grosso crocifisso che portava al collo.
«Un eunuco del Re che rapisce una giovane donna… Per farne cosa? Per il denaro di cui già è ricco? Per il sollazzo per il quale non possiede nessuna voglia e potenza?» fece riflettere l’ultimo giunto al suo sottoposto.
«Dove siete diretti?» chiese poi questi ad Amjad.
«A Platia49.»
E dunque intervenne l’altro:
«Intendete scollinare i monti con questo mezzo? La strada per Platia diventa per molti tratti impraticabile.»
«Sbriglieremo i cavalli e proseguiremo in sella.»
«Da chi portate vostra sorella? Conosco tutti a Platia.»
Amjad sapeva che non poteva rivelare il nome del saraceno a cui avrebbe concesso la mano di Naila, non dopo aver mostrato il crocifisso.
«Dalle monache! Dove sennò?» intervenne nuovamente il capo, togliendo Amjad dal pericolo.
«La carrozza ci intralcia il passaggio e la visuale… Andate pure!» liquidò spazientito sempre colui che era sopraggiunto per ultimo.
Naila, delusa e spaventata, non disse più nulla. Amjad, invece, non appena ripresero il cammino, fece:
«Mi spezzi ancora una volta il cuore, sorella. È anche per questo che non posso avere pietà. Consiglierò al nostro amico di ammansirti con la verga e con la frusta, per darti quella disciplina che mi rammarico di averti negato.»
PARTE III – LA SPIAGGIA DI MADREPERLA
Capitolo 12
Fine agosto A.D. 1160, dintorni di Balermus
Si dovrebbe stare sempre attenti a parlare di prosperità… La prosperità e la miseria di un popolo sono spesso giudicate in funzione alle alterne vicende dei facoltosi, ma, tristemente, nessun cronista si è mai preso il tempo di valutare il contenuto delle tasche della gente comune. Gli Altavilla avevano creato sì una nazione prospera, ma sarebbe stolto concludere che non esistessero più i poveri.
Vittore apparteneva proprio ai miserabili di Sicilia. Pescatore figlio di pescatore e discendente chissà fino a quale generazione da gente che aveva praticato lo stesso mestiere. Faceva parte dei cristiani dell’Isola che da secoli parlavano il latino del popolo e che potevano essere giudicati, insieme a quelli che si esprimevano in greco, come i veri indigeni di Sicilia. Inoltre, già ai tempi del primo Ruggero, la famiglia di Vittore era stata tra quelle che avevano abbandonato il rito orientale per abbracciare la stessa confessione praticata dai normanni e dal papa.
Vittore aveva la tempra e il carattere di chi ha dovuto lottare contro tutto e tutti: contro la nobiltà che desidera imporre l’asservimento, contro i dannati alla ricerca di un tozzo di pane, contro le tasse del Re e contro le forze della natura. Era figlio del mare che sostenta la vita, figlio del vento che sospinge le vele e figlio della terra che l’aveva partorito. Sapeva che il fato domina tutto: dai capricci delle correnti marine ai terremoti, dalle eruzioni del Mons Jebel50 all’alternarsi delle stirpi e dei governanti. Tuttavia, grazie al suo fisico e alle sue abilità, era scampato alla morte un paio di volte; adesso perciò si era convinto che al di là del destino egli potesse dir la sua in ciò che succede sotto il cielo. Vittore era il poveraccio più presuntuoso di Palermo e per tale motivo non tirava solo a campare, ma si dava da fare in tutto e per tutto per ribadire il proprio stato di uomo libero e fiero. Oltre al suo mestiere di pescivendolo e pescatore, quando imperversava la tempesta e le barche restavano a riposo sulla discesa per il mare, si recava sulle spiagge del contado per raccogliere le più belle conchiglie che le onde avevano vomitato sulla battigia. Ne faceva monili e piccole gioie, oggetti di modesto pregio destinati alle ragazze del popolo. Non c’era una sola persona tra la gente comune che non conoscesse Vittore, il “venditore di conchiglie”. Per via dei suoi modi, egli era inoltre l’amico di tutti gli uomini e il sogno di tutte le fanciulle illibate di Palermo.
Gli ultimi giorni di agosto tutti i cittadini rimasero rinchiusi al di qua delle proprie porte e finestre, segregati a casa a causa del meteo avverso. Il forte vento scoperchiava i tetti, le copiose piogge allagavano le vie più basse e il mare grosso impediva a pescatori e marinai di prendere il largo. Un susseguirsi di temporali di fine estate che ogni pomeriggio si ripresentarono funesti, giungendo come tenebre dal mare e a volte prendendo le sembianze di vere e proprie trombe d’aria.
Vittore, com’era solito fare, aspettò che vi fosse mezza giornata di tregua ed uscì per fare il pieno delle sue famose conchiglie. Si recò dunque in una delle calette che risultano schiacciate tra il mare e il fianco settentrionale del Bel Grin51, la “montagna vicina”, quella che domina Palermo con la sua ombra. Qui vide che le mareggiate avevano disseminato sulla spiaggia, pure a molti passi dalla battigia, una bianca distesa di gusci… preziosa madreperla da rivendere al mercato. Immerso tra le valve iridescenti delle ostriche, che avrebbe intagliato per farne medaglioni, e le complesse spirali dei gasteropodi, con cui avrebbe fatto dei ciondoli, sorrise, comprendendo che il bottino fosse ghiotto. Dopo alcuni minuti si accorse che in un angolo riparato della spiaggia, presso le rocce, era stato stipato un mucchietto di conchiglie pregevoli, le più grosse e belle viste quel giorno. Comprese che qualcuno fosse passato prima di lui, tuttavia, credendosi il padrone della spiaggia e del monopolio delle conchiglie, cominciò ad arraffarne quante ne poté.
«Ehi, ehi!» urlò qualcuno.
Adesso Vittore vide sbucare da dietro la macchia mediterranea due giovani donne. Una di queste veniva correndo per la trazzera che si districava tra le asperità ai piedi del monte.
«Ehi, ehi!» urlò nuovamente questa.
Vittore sembrava non sentirla e continuava imperterrito nella sua opera di scarto e raccolta.
«Ci ho messo un’ora per trovare quei gusci.» argomentò la donna.
Lui perciò sorrise e le rivolse le spalle.
«Ci ho messo un’ora per trovare quei gusci!» ripeté alterata lei.
E Vittore, sbruffone com’era, la guardò e, facendo l’occhiolino, rispose:
«Grazie.»
«Voi mi derubate!» accusò ancora.
Vedendo allora che lui non si curava di niente e che si allontanava con gli oggetti contesi nella sacca, la donna raccolse la conchiglia di una lumaca di mare e gliela gettò addosso, prendendolo sulla nuca.
Vittore smise di sorridere e questa volta, prestandole attenzione, le disse:
«Sono stato educato con voi, Madonna. Vi ho ringraziato per quello che non vi appartiene e vi ho trattato con rispetto nonostante le vostre accuse.»
«Quelle conchiglie le ho raccolte io… ma non per darle a voi!»
«Voi non avete cosa farvene… io ci campo! Ma potete sempre pagarmele se le volete.»
A questo punto l’altra donna, una più adulta e giudiziosa, trattenne la prima per il braccio e la rimproverò in arabo.
«Dovreste ascoltare la vostra serva… meglio lasciar perdere!»
«La spiaggia è di tutti e sono giunta prima io.» rintuzzò tuttavia lei, replicando in tal maniera sia alla serva che al raccoglitore di conchiglie.
«La spiaggia è mia e vi giunsi anni or sono… Ora, se volete scusarmi, Signore mie… io ho da lavorare.»
Improvvisamente un tuono echeggiò su tutta la superficie del mare e per il fianco scosceso del Bel Grin. Si addensarono allora i nuvoloni e qualche goccia di pioggia cominciò a bagnare la rena della caletta.
Dunque le due donne si dettero una mossa per rientrare e passarono a lato di Vittore.
«Spero che abitiate in queste contrade, altrimenti dovete essere impazzite se credete di rientrare a Palermo prima che sopraggiunga la tempesta. Questa mattina ho impiegato quasi due ore per arrivare fin qui, e io porto calzoni e scarpe robuste.»
Le due si consultarono.
«Potete stare lì a discutere quanto volete, ma state perdendo solo tempo.» ribadì Vittore.
«Dove si rintanano quelli come voi in queste occasioni?» chiese la giovane.
E lui indicò la montagna, mentre un forte vento prese a soffiare dalla direzione del mare, tanto forte da scoprire i capelli delle due. Vittore perciò prese ad inerpicarsi sul declivio fino a giungere sull’ingresso ampio e spazioso di una caverna.
«Vostro marito non vi vedrà tornare se non prima di sera.» la buttò lì Vittore, una volta al sicuro.
«Verrà a cercarmi quando non mi vedrà rientrare.»
«O forse si consolerà con le altre sue mogli!» esclamò il venditore di conchiglie, ridendo altezzoso allo scopo di screditare le usanze dei saraceni.
«In tal caso sappiate che sono la prediletta di un uomo molto potente.»
Vittore, che intanto si era seduto, la guardò dalla testa ai piedi. Effettivamente la ragazza era molto carina… aveva grandi occhi neri e labbra carnose e sanguigne per natura. Era abbastanza slanciata, anche se il benessere le aveva donato dei fianchi rotondi ed un seno prosperoso. Era agghindata e abbigliata come le signore dei ricchi funzionari del Re, ma tradiva il suo stato civile per via di quella disinvoltura tipica di chi non ha conosciuto la costrizione del matrimonio.
«Esco per raccogliere conchiglie e mi ritrovo con una perla tra le mani… Chiederò un riscatto a vostro marito, così anche voi saprete quanto gli state a cuore.»
«Non sapete quello che dite.»
«Non è in mio potere farvi quello che mi aggrada mentre ve ne state nella mia caverna?»
«Non parlate seriamente.»
Vittorie si era fatto serio ed ora si metteva in piedi minaccioso.
Quindi la serva, la quale quasi non se la faceva sotto, spronò l’altra ad andarsene finché ne erano in tempo.
«Dovevate pensarci prima… Adesso, invece di frignare, andate a chiamare il vostro signore e ditegli di portare con sé duecento tarì e cinquanta mute di seta.» ordinò Vittore proprio alla serva.
«Non fate sul serio.» ripeté con un pizzico di fiatone la giovane che era padrona dell’altra.
«Non appena la vostra serva partirà, noi cercheremo un altro rifugio; questa montagna è piena di caverne.»
«Il mio signore può fare dislocare molti uomini armati, tanti da circondare questa montagna e passare al setaccio ogni crepa e vallone.»
«Questo monte, che voi saraceni chiamate Jebel Grin, ha la fama di nascondere chi non vuole farsi trovare. Numerosi sono coloro che ne hanno scalato l’erta via che conduce alle sue cime alla ricerca della vergine figlia di Sinibaldo, per ottenere una benedizione, ma nessuno ad oggi è mai riuscito a trovarla. Se non si riesce a trovare una donna rinchiusa in una caverna, che mai potranno fare contro chi conosce questa montagna come le sue tasche? È più facile che si imbattano in Rosalia de’ Sinibaldi… credetemi. Tuttavia, se voi dite che vostro marito è tanto ricco e potente, allora facciamo quattrocento tarì e cento mute di seta!»
«Lasciateci andare e vi farò avere quanto chiedete.» rispose con un filo di ingenuità la giovane.
Vittore scoppiò a ridere.
«Con quale motivazione tornereste a portarmi quanto vi chiedo? Allora non si tratterebbe più di un riscatto, ma di una vera e propria opera pia da parte vostra. Poco fa, sulla spiaggia, avete chiesto dove si rintanano quelli come me… ma so che intendevate dire dove si rintanano “le bestie” come me. Conosco la considerazione che la gente come voi ha verso il popolo.»
«Vi giuro che non intendevo appellarvi a quel modo. E poi, credete che la mia gente riceva meno disprezzo?»
«Voi lo meritate! Avete spadroneggiato su questa terra per secoli. Tanta prosperità e tanta rovina adesso; la vostra bilancia è colma! Che possiamo dire invece noi poveri cristi? Messi in croce da sempre… noi che conosciamo il sapore delle suole dei sandali saraceni così come dei calzari normanni. Ad ogni modo, affinché sappiate che una bestia, un lupo come me, può anche non sbranare un innocente agnellino come voi solo perché ne ha l’occasione, vi assicuro che non vi torcerò un capello e che vi lascerò andare non appena smetterà di piovere.»
«La vostra anima è trasparente e la vostra fama vi precede. So bene chi siete: Vittore, il venditore di conchiglie! Di voi si parla in bene, perciò non ho creduto un solo momento alla vostra recita.»
«No, invece vi sbagliate… non sulla mia identità, sono davvero Vittore. Voglio però darvi una lezione. Non lasciatevi ingannare dalla fama della gente… un altro non vi avrebbe trattato con lo stesso rispetto, dal momento che l’occasione è veramente ghiotta. Giudicate invece la fame, quella che io non possiedo perché ho troppo orgoglio per dire che mi manca qualcosa che non mi sia riuscito a guadagnare.»
«Vi comprerò le conchiglie più belle!» esclamò d’impulso lei, toccata nel cuore dai discorsi di Vittore.
Tali parole distesero la conversazione, provocando sui visi di entrambi una perpetua espressione di serenità. Fuori intanto il cielo sembrava volersi congiungere col mare per come imperversava il temporale.
«Ecco come fare del bene a qualcuno come me! Come vi chiamate, Madonna?» chiese lui, tornando a sedersi sul sasso lasciato poco prima e invitando le due donne a fare lo stesso di fronte.
«Naila.»
«Cosa ci fa una delle figlie dei saraceni così lontano da casa?»
«Sfuggo alla noia.»
«Godete di un’inusuale fiducia da parte di vostro marito.»
«Egli è in viaggio.»
«Foste stata mia moglie…» accennò la sua contrarietà Vittore.
«Forse vostra moglie non si sarebbe annoiata. Voi non partite in lunghi viaggi di affari…»
«Io però non posso darle lunghi abiti di seta prodotta negli opifici reali e monili in metallo pregiato.»
«Ma forse quello che basta a vostra moglie sono le vostre forti braccia e la vostra intraprendenza.»
«Dite così solo per farmi piacere.»
«Non sminuite la mia analisi. Oggi avete ospitato due povere donne spaventate nella reggia più consona alla situazione. E sappiamo che con la vostra presenza non può accaderci nulla di spiacevole. Vostra moglie, qualora l’aveste davvero, dovrebbe sentirsi molto fortunata.»
La serva si accostò dunque all’orecchio di Naila e le disse preoccupata qualcosa. Giudicava quelle lusinghe eccessive, in quanto rivolte ad un uomo, a qualcuno appartenente ad un partito non alla sua altezza, e per giunta facente parte dei miscredenti.
Naila allora posò delicatamente le dita della mano sulle labbra della serva, indicandogli in tal maniera di tacere.
Vittore aveva già compreso di avere dinanzi a sé una testa calda, una donna raffinata nell’aspetto, ma anche priva di controllo. Una donna rischiosa quindi, di quelle che riescono ad ammaliare gli uomini per poi trascinarli nella pericolosità della loro natura. Vittore provò un misto di attrazione e sospetto. Per certo si trattava di una di quelle donne alla ricerca di svago, ma che non bisogna mai fare entrare nel proprio cuore.
«Venite a trovarmi al mercato. Potrete comprare le conchiglie che mi avete aiutato a raccogliere… collane, bracciali e orecchini. Vi farò un ottimo prezzo.»
Naila accolse l’invito ad uscire da casa per recarsi al mercato dei pescivendoli come la cosa più eccitante che le fosse accaduta negli ultimi tempi. Vittore certo era un bell’uomo e a Naila non erano sfuggiti i robusti bicipiti e i lineamenti virili, tuttavia non le sarebbe mai saltato in mente di guardarlo come se fosse più di un conoscente. Amjad non le avrebbe perdonato neppure quelle poche ore passate insieme a causa del maltempo, figuriamoci se avesse supposto che ci fosse dell’altro… E poi Naila non era così ingenua da non considerare tutte le differenze che intercorrevano tra lei e quell’uomo del popolo. Non fu quindi l’ingenuità la causa che pochi mesi dopo avrebbe fatto deragliare interamente i sentimenti della sorella dell’eunuco e pure il suo buonsenso. Naila era completamente consapevole di dove stesse andando a parare volta dopo volta nelle sue frequentazioni al mercato del porto. Per certo l’assenza di educazione genitoriale aveva formato un carattere poco incline alle inibizioni e alle proibizioni. Inoltre Amjad l’aveva viziata e con il suo esempio l’aveva resa vulnerabile alle tentazioni. Dopo anni passati ad ascoltare le confidenze lussuriose del fratello, a poco erano serviti gli sforzi fatti negli ultimi tempi per impartirle la retta via della fede. Naila aveva infatti recepito con entusiasmo intellettivo il risveglio islamico di Amjad, ma nel suo cuore non avevano mai smesso di albergare i desideri mai sopiti del suo risveglio come donna. Naila sognava l’amore e le forti braccia di un uomo sin da quando aveva compreso che l’affetto per Amjad fosse solo un pallido surrogato del sentimento di passione che nasce tra due esseri umani in età adulta… ora il venditore di conchiglie ricalcava perfettamente ciò che aveva desiderato.