Kitabı oku: «È L'Amore Che Ti Trova», sayfa 3
CAPITOLO 4 – L’ASCENSORE
Candice camminava barcollando, sostenuta da Emma che la aiutava ad andare avanti. Quest’ultima si chiese per un attimo in che guaio si fosse cacciata volendo fare la salvatrice. Non aveva osato chiedere soccorso alla sua migliore amica, mandandole un messaggio. Non voleva che Charlotte vedesse il triste spettacolo che il suo capo stava offrendo. La sua amica le aveva già confessato di avere una certa ammirazione per Candice ed Emma non voleva rovinare l’immagine che se ne era fatta. Inoltre, per l’orgoglio di Candice, sapeva che era meglio che nessuno dei suoi dipendenti la vedesse in condizioni così deplorevoli.
Aveva chiamato un taxi per tornare all’albergo, anche se si trovava nelle vicinanze. Non si era persa nessuna fase dell’ubriachezza di Candice. Quest’ultima si era confidata, in modo abbastanza deprimente, sui suoi figli, che non erano ben riusciti. Aveva anche parlato di suo marito che la tradiva, senza nemmeno nasconderlo, con donne più giovani di lui, e aveva una relazione stabile con una delle sue assistenti. Candice temeva che alla fine l’avrebbe lasciata per quella ‘puttana’, come lei l’aveva soprannominata. Emma non aveva immaginato neanche per un secondo che la sua serata sarebbe andata così, a fare la psicologa improvvisata per una ricca donna d’affari. Provava compassione per quella donna che, dietro una spessa corazza, nascondeva una persona ferita e umiliata che aveva avuto una vita difficile, nonostante tutti i soldi che possedeva.
Candice si era mostrata nella sua vera luce. In tutta la sua vulnerabilità e senza andare per il sottile. Emma non poteva che rispettare quell’audacia, anche se incoraggiata dall’alcol. L’alcol era diventato una stampella per lei. Un modo come un altro per sfuggire alla realtà che stava diventando troppo difficile. Sotto quella facciata fredda e forte si nascondeva un’anima sofferente. Una donna con una sete irrimediabile di amore. Chi non aveva bisogno di essere amato? Emma era la prima. Eppure, come quella donna che indossava una maschera per tenere le persone lontane da sé, anche lei faceva tutto il possibile per evitare che gli altri le si avvicinassero troppo. Charlotte era una delle poche che accettava nella sua cerchia ristretta. Non dava nessuna relazione per scontata.
“Qual è il numero della sua stanza?” chiese, entrando nell’ascensore.
“Allora… wait a minute. It’s… ho… I think…”
Candice, appoggiata a Emma, cercò nella borsa e tirò fuori la sua smart card, che le consegnò. Emma constatò che non era al suo stesso piano e compose il numero corretto corrispondente al piano della camera di Candice. La trascinò lungo il corridoio fino al numero 349 e infilò la smart card. Quando aprì la porta notò che sembrava più una suite che la piccola stanza che lei e Charlotte condividevano. Avrebbe dovuto immaginare che, con i suoi mezzi finanziari e il suo status, si concedeva dei lussi.
“È arrivata a destinazione”, le disse piano, spingendo Candice all’interno della camera.
“Grazie mille”, mormorò lei.
“Se la caverà?”
La donna le sorrise, poi la abbracciò premendola contro di sé per alcuni secondi prima di baciarla sulla guancia e allontanarsi. Il suo respiro puzzava di alcol, il che fece fare una smorfia a Emma.
“Va tutto bene, Emma”, rispose infine, trovando la direzione del letto, impeccabilmente fatto, per sdraiarsi vestita.
Emma si avvicinò per assicurarsi un’ultima volta che la donna stesse bene, ma stava già russando. Tirò su una delle coperte e la pose su Candice, che socchiuse gli occhi per alcuni istanti prima di richiuderli, con un sorriso sulle labbra. Andò a mettere la borsa di Candice su una poltrona nell’angolo della stanza. Poi si diresse verso l’uscita e spense la luce lasciando immediatamente l’area. Dopo aver composto il suo numero di piano si appoggiò alla parete. La porta si chiuse e lei chiuse gli occhi finché l’ascensore non si fermò e lasciò entrare Gabriel Jones. Nonostante l’evidente stanchezza sul viso, l’uomo sorrise calorosamente a Emma.
“Le due quebecchesi, giusto?” disse con un sorrisetto agli angoli della bocca che sciolse la giovane donna.
Emma annuì e ricambiò il sorriso. L’uomo si ricordava di lei e le aveva anche rivolto la parola, cosa che non aveva fatto durante il loro breve incontro mattutino. Ne rimase colpita.
“Grande serata?” chiese timidamente sorridendogli.
“Sì. Chi avrebbe mai detto che un seminario potesse essere ancora più estenuante che fare ventiquattro ore al pronto soccorso?” reagì lui in tono ironico.
“Lei è un medico?”
Le stava per rispondere quando l’ascensore fece uno strano rumore e si fermò improvvisamente durante la discesa. Emma fu proiettata, suo malgrado, verso Gabriel e lo spinse involontariamente contro la parete alla sua sinistra. Farfugliò delle scuse, annusando en passant il profumo fresco e vivo che emanava, piacevolissimo alle narici. Il suo odore fece affiorare in lei l’immagine di un insegnante di francese del liceo che portava un profumo simile e per il quale aveva avuto una cotta passeggera. Si allontanò rapidamente dall’uomo, confusa.
“Sta bene?” chiese lui preoccupato.
“Sì, sorpresa, ma sto bene. Credo che l’ascensore ci abbia lasciati a piedi”, rispose Emma arrossendo.
Gabriel prese il telefono rosso per le emergenze e compose il numero di servizio per notificare il guasto. Scambiò qualche frase, poi riattaccò.
“Penso che rischiamo di passare molto tempo qui”, disse, “c’è un ragazzo nuovo alla reception e sembrava completamente perso. Richiederà assistenza immediata.”
Emma respirò lentamente. Cercava di mantenere la calma nonostante il panico che stava crescendo in lei. Ritrovarsi in un posto chiuso e senza via d’uscita la rendeva un po’ nervosa.
“Con un po’ di fortuna, potrebbe essere solo un piccolo guasto…”
“Lo spero. Ho un aereo domattina molto presto per tornare a casa. Non che non sia contento di essere bloccato qui con una signorina così graziosa”, disse Gabriel con un sorriso seducente.
Non volendolo, Emma rise al commento, ma preferì non dire nulla. Doveva essere un donnaiolo, vista la sua abilità nel parlare. Continuava a sentire il disagio di essere bloccata in un ambiente senza finestre e senza possibilità d’uscita. Imitò Gabriel quando lui decise di sedersi per terra e usare il telefono per controllare le sue e-mail. Udì la suoneria del suo e si mise a cercare in fondo alla borsa per trovarlo, togliendo nel frattempo alcuni oggetti strani che normalmente non si trovano nella borsa di una donna, sotto lo sguardo divertito del suo compagno d’ascensore. Quando finalmente mise le mani sul cellulare, notò un messaggio lasciato da Ian, che si affrettò a leggere. « Mi dispiace per stasera. Un’emergenza. I miei pensieri erano con te. Baci.» Emma fece una smorfia senza rendersene conto.
“Cattive notizie?”
“No, per niente. Qualcuno che mi ha dato buca e si è scusato.”
“Meglio tardi che mai, direi. Non è molto bello far aspettare qualcuno.”
Emma mantenne il suo sguardo su Gabriel. Lo trovava molto piacevole da contemplare e, all’opposto di Ian, sembrava un tipo piuttosto serio. Indossava un completo nero. Aveva aperto i primi tre bottoni della camicia e sciolto il papillon. Un chiaro segno che la sua serata era terminata. Fissò per un attimo la piccola cicatrice che aveva sulla fronte. Una linea dritta, orizzontale, sopra il suo occhio sinistro. Si chiese come se la fosse fatta. Pensò che probabilmente anche quello era stato giocando a hockey. Cosa che trovò esilarante, poiché non sapeva nemmeno se si interessasse di quello sport o se lo avesse mai praticato. Emma si divertiva immensamente a lavorare con la fantasia. Non che vivesse in un mondo parallelo, ma era nella sua indole inventare storie che finiva per mettere sulla carta. Per il piacere di creare aneddoti e personaggi più vivi di quelli reali.
“Credo nelle seconde possibilità”, gli rispose tornando a guardare il suo telefono per leggere il secondo messaggio che aveva ricevuto.
“Ci credo anch’io. La vita spesso ci offre più di una chance, ma sovente sono le persone a non saperne fare buon uso”, rispose lui. Poi decise di cambiare argomento: “Come sta la signorina Riopel?” ponendo il telefono al proprio lato.
“Charlotte?”
Emma sentì affiorare una punta di gelosia. Era peraltro normale: gli uomini continuavano a ricordarsi di Charlotte. Le chiedevano regolarmente il suo numero di telefono, se avessero qualche possibilità o se frequentasse qualcuno. Anche se amava molto la sua migliore amica, a volte ciò diventava pesante. Anche lei avrebbe voluto suscitare l’interesse degli uomini. D’altra parte, era consapevole che la sua amica emanava un’aura di sesso, di piacere senza vincoli e spesso quello era tutto ciò che un uomo comune voleva. In quel campo avrebbe sempre vinto. Ma sapeva anche che la forza di Charlotte poteva essere una debolezza. Lei, Emma, era più mite, più discreta, mirava a relazioni più serie e non faceva a gara sul numero di amanti che passavano per il suo letto.
“Sì, Charlotte. Abbiamo passato un momento piacevole insieme, ieri sera. È riuscita a divertirmi con la sua vivacità di spirito e il suo umorismo…”
Emma sospirò e posò il telefono vicino a sé guardando Gabriel. Lui aspettò, osservandola attentamente.
“Presumo che stia bene. Almeno stava bene l’ultima volta che le ho parlato. Vuole che le dia il suo numero, immagino.”
Emma sapeva che Charlotte accettava i numeri degli altri e raramente dava il suo.
Le sue parole erano uscite d’impulso, senza che le potesse soppesare prima. Gabriel assunse un’aria perplessa e immerse il suo sguardo, ora divertito, in quello della sua compagna di ascensore. Capiva di aver toccato un tasto delicato senza volerlo.
“È carino da parte sua, ma no, grazie. Quando voglio il telefono di una ragazza glielo chiedo direttamente. Non sono un adolescente, le donne non mi spaventano. Lei, Emma, ha un fidanzato?”
Gabriel la guardò più intensamente. Quando il suo sguardo si posò sulla sua bocca, leggermente carnosa, sorrise per la buffa espressione imbronciata che aveva assunto. Capì che era dovuta all’irritazione di averlo sentito chiedere di Charlotte. Aveva solo chiesto educatamente notizie per riempire una conversazione tra due estranei costretti a condividere uno spazio così ristretto. Anche se le due donne dovevano essere molto amiche, aveva intuito che c’era una piccola rivalità tra loro. Charlotte era riuscita a ravvivare la sua attenzione il giorno prima, ma trovava Emma molto più attraente e interessante. Aveva un aspetto misterioso e serio che meglio corrispondeva alla sua natura. Sprigionava qualcosa di più profondo, meno superficiale, che lo spingeva a voler sapere di più sul suo conto. Sembrava anche avere una personalità più simile alla sua di quella di Charlotte.
“No, non ho un ragazzo.”
“E quanti anni ha?”
Emma rise brevemente. Gabriel non poté fare a meno di paragonare la sua risata a una dolce melodia.
“Non sa che non bisogna fare questa domanda a una signora?” rispose fingendosi severa.
“Sono davvero imperdonabile. Sono anche molto curioso”, disse, alzando entrambe le mani e scherzando.
“E lei quanti anni ha?”
“Trentanove, per la precisione.”
In quel momento suonò il telefono di Gabriel. Rispose al secondo squillo. Si mise a parlare in inglese ed Emma si alzò in piedi per non dare l’impressione di ascoltare la conversazione. Era praticamente inevitabile in uno spazio così limitato. Gabriel riattaccò dopo un paio di minuti. Da uomo, posò gli occhi sui glutei tondeggianti della donna e sulla sua vita sottile e ben definita. Immaginò molto bene le sue mani prenderla per i fianchi, ma scacciò rapidamente l’immagine dalla testa. Era stanco e non era affatto da lui abbandonarsi a tali pensieri in una situazione del genere. Ciò non gli impedì di ammirare il seno della giovane donna, evidenziato dalla canottiera a V che indossava.
“Poco fa, ha per caso detto di essere un medico?”
“Sì, sono un cardiologo”, rispose lui distogliendo lo sguardo.
Quel contesto lo imbarazzava. Emma non gli era indifferente e temeva che lei potesse capire l’effetto che stava provocando in lui. Si alzò e tornò al telefono di emergenza per avere il punto della situazione. Passandole accanto, la sua mano sfiorò quella di Emma e sentì un turbamento. Emma guardò l’uomo e immaginò per un attimo di passare le dita tra i suoi folti capelli. Il desiderio di essere Charlotte, per una notte, si insinuò in lei. Un’innocua avventura durante un viaggio di lavoro. Perché frapponeva così tante barriere? Non lo sapeva. Gabriel aveva riattaccato bruscamente e sembrava irritato. Alzò gli occhi verso di lei e le diede spiegazioni, cercando visibilmente di essere rassicurante.
“Non riescono ancora a far ripartire l’ascensore. Dicono che c’è un guasto meccanico fuori dal loro controllo. Faranno il dovuto, ma ci ritroveremo al buio. Toglieranno la corrente il tempo di mandare qualcuno a fare le verifiche necessarie.”
“Che fortuna!” mormorò Emma risedendosi e prendendo il telefono per scrivere a Charlotte della situazione.
Gabriel si sedette accanto a lei, continuando a fissarla, anche se la luce se ne era ormai andata ed era buio. Il suo cellulare in tasca vibrò e lo tirò fuori per metterlo accanto a sé. La sua mano sfiorò di nuovo quella di Emma, che aveva fatto la stessa cosa con il suo telefono. Respiravano all’unisono. Gabriel prese l’iniziativa, arrischiando un gesto di approccio. Posò la mano su quella di Emma e lei la chiuse invece di toglierla. Sentì il suo viso avvicinarsi al suo. Gabriel si fermò a pochi centimetri, come se stesse aspettando il permesso, poi baciò la giovane donna, che non fece alcuna resistenza. Rispose al suo bacio con ardore. Con passione. Il momento fu magico. Emma aveva dimenticato completamente Ian e Charlotte. Aveva dimenticato dov’era. Si stava solo godendo quell’istante. Carpe diem. Il dono che la vita le offriva. Il bacio che Gabriel le stava dando non poteva essere paragonato a nulla che avesse mai provato prima. Le trasmetteva un desiderio che non aveva mai sentito. Assaporò il suo profumo mentre le baciava il collo, provocandole una pioggia di formicolii al basso ventre. Tutto il suo essere sprizzava eccitazione e aveva la netta sensazione che il tempo si fosse fermato. L’unico rumore che udiva era il battito sincronizzato del loro cuore.
Anche se non poteva guardarlo negli occhi nell’oscurità, gli sorrise come se lui potesse vederla. La situazione era eccitante. Capiva quello che provava Charlotte. Pensò a Pierrot Lafortune, un ex compagno di classe con cui aveva fatto sesso sui sedili posteriori della sua auto, nel parcheggio di un centro commerciale, durante le prime ore della notte. Doveva avere avuto diciotto anni. Era stato l’unico momento della sua vita in cui aveva corso il rischio di essere sorpresa. Eppure non era niente in confronto a quel momento. Era all’apice dell’estasi, non si controllava più. Riportò tutta la sua attenzione su Gabriel e le sue carezze, sotto i suoi vestiti, che le procuravano migliaia di brividi. Gemette mentre le passava la mano sotto la maglia e le sfiorava il ventre con la punta delle dita. Gabriel voleva farla eccitare e sapeva che sfiorarle la pelle, così morbida, l’aiutava nel suo compito. Il respiro di Emma accelerò profondamente quando lui le infilò le dita nei pantaloni, lentamente, toccandola timidamente alla ricerca di un punto sensibile per lei.
Lei iniziò a sbottonare i pantaloni del suo compagno e a far scorrere la cerniera, continuando a baciarlo intensamente. I suoi movimenti erano esitanti, un po’ goffi, ma fu in grado di raggiungere i suoi scopi. Si sollevò un po’ mentre lui le abbassava i pantaloni e le mutandine con una mano più abile della sua.
“Stai bene? Tutto bene?” mormorò Gabriel, guardando molto da vicino la giovane donna.
I due non si vedevano molto nell’oscurità quasi totale. La situazione si faceva ancora più eccitante in quanto li spingeva a ricorrere a sistemi differenti, tutti ugualmente stimolanti, per procurarsi piacere e scoprirsi. Gabriel riusciva a intravvedere i suoi contorni, ma non di più. Con l’elettricità completamente staccata non avevano alternative al momento, ed era forse meglio così per entrambi in quella nuova esperienza.
Il tempo si era fermato. Gabriel era ritornato il ragazzo di un tempo. Un tempo così lontano ormai. Si trovava in ascensore, tra le braccia di una perfetta sconosciuta incontrata per caso nello stesso ascensore. Una donna che riteneva troppo bella per lui. Che sembrava portare in sé una vulnerabilità e una forza che lo turbavano. Era stato raramente un amante, solitamente un innamorato. Non capiva cosa stesse succedendo e non gliene importava granché. Gli ultimi mesi erano stati per lui difficili sul piano sentimentale e non pensava di poter provare una passione di cui più spesso aveva letto nei libri che vissuto in prima persona.
“È tutto perfetto”, rispose lei sorridendo.
Se avesse potuto guardarsi allo specchio, il riflesso che avrebbe visto sarebbe stato di un volto sicuramente arrossato per l’eccitazione del momento. Gabriel si frugò nelle tasche dei pantaloni, poi tirò fuori il portafoglio: cercava un preservativo. Era piuttosto difficile nell’oscurità totale ed ebbe l’idea di prendere il telefono per fare un po’ di luce.
Emma, vicina a lui, gli accarezzava il fondo schiena e i glutei, baciandogli la spalla. Non era nemmeno sicuro di avere un preservativo, ma gli apparve un sorriso sul viso quando trovò ciò che stava cercando. Sfortunatamente, il suo sorriso svanì altrettanto rapidamente nel vedere la data di scadenza sulla confezione.
“Merda”, sbuffò in inglese.
Emma si chinò, afferrò la sua borsa e cercò direttamente in un taschino sul fondo, chiuso da due bottoni, per tirare fuori un preservativo che porse a Gabriel. Li portava sempre con sé. Sorrise pensando a quelli scaduti del suo amante, testimoni della sua mancanza di esperienza nelle avventure di una notte. Gabriel lo prese e l’aiutò ad alzarsi. La baciò accarezzandole il seno e la vita. Poi la spinse dolcemente contro la parete e mise il preservativo. Emma si voltò di spalle, appoggiandosi saldamente al muro mentre Gabriel le metteva le mani intorno ai fianchi e la teneva con fermezza, per poi penetrarla perdutamente in un colpo solo. I due amanti si unirono in una passione fugace che sarebbe probabilmente rimasta impressa nei loro ricordi.
Emma e Gabriel si erano abbandonati ai lori impulsi, superando la loro zona di comfort. Per una notte diventarono l’opposto di quello che erano abitualmente, ed era perfetto così. Si donarono l’uno all’altra senza promesse. Per un po’, Emma lasciò fare a Gabriel. Le sue mani esperte percorrevano tutto il suo corpo, scoprendo punti ancora inesplorati e dando vita a sensazioni in lei che non aveva mai provato. Si perse tra le braccia rassicuranti e protettive del suo amante. Scacciò via tutti i pensieri che le venivano in mente su ciò che sarebbe accaduto, per concentrarsi sul qui e ora.
Gabriel, da parte sua, aveva trovato in Emma ciò che probabilmente aveva cercato per tutta la vita: un riparo. Sapeva che non poteva aspettarsi nulla da quella avventura, ma aveva l’impressione di aver ritrovato una parte di sé persa da troppo tempo. Si sentiva come una barca che tornava al porto dopo un’assenza interminabile. Emma rappresentava il faro che lo guidava e gli permetteva di tornare all’ormeggio. Non aveva più voglia di navigare, ora voleva una cosa sola: gettare l’ancora.
CAPITOLO 5 – IAN
Ian guardava l’ampia selezione di fiori presenti nel negozio e non sapeva cosa scegliere. Il suo cuore tentennava tra una rosa rossa e un bouquet di margherite. Era ancora all’antica e amava regalare fiori alle donne che frequentava. Ce l’aveva con se stesso per non essere andato all’appuntamento con Emma il giorno prima. Doveva essere arrabbiata con lui e a ragione, dato che non aveva risposto agli ultimi messaggi che le aveva mandato. Non cercava mai di fare supposizioni, ma questa volta era facile indovinare. Aveva deciso di passare dal suo hotel e scusarsi di persona. Era l’unico modo sicuro per sapere quello che provava la giovane donna nei suoi confronti. Ian era stato sul punto di uscire il giorno prima, quando era arrivata Lilly senza preavviso, mandando all’aria tutti i suoi piani. Non aveva potuto raggiungere Emma e gli era stato difficile liberarsi anche solo per avvertirla della sua assenza. Era pienamente consapevole che nessuna ragazza con un po’ di dignità gli avrebbe dato un’altra possibilità. Ma la sua intuizione lo portava a lei e seguiva sempre il suo istinto.
Finì per scegliere il bouquet. Tirò fuori una banconota da venti dollari dalla tasca dei jeans, tutta sgualcita, e la porse alla cassiera con il suo perenne sorriso incantatore. Era quello che offriva a tutte le sue potenziali conquiste. Lei arrossì e gli diede il resto, sorridendo stupidamente. Ian pensò che in un altro momento le avrebbe fatto sicuramente delle avance e le avrebbe chiesto il suo numero di telefono, ma ora c’era solo Emma nei suoi pensieri. Dopo essere uscito dal negozio si accese una sigaretta, controllando il cellulare per la decima volta in quindici minuti per vedere se l’oggetto dei suoi desideri gli aveva scritto, ma non c’era alcun messaggio. Si diresse allora verso l’hotel dove alloggiava, ripetendo a mente le scuse che aveva preparato. Ci teneva a rendere plausibile la storia che si era inventato.
Finalmente arrivò davanti all’edificio. Quando spinse la porta della hall vide Emma insieme a Candice, Charlotte, Alice ed Elvie. Si avvicinò timidamente e sorrise a Candice, che aveva alzato lo sguardo per esaminarlo.
“Dica?” chiese secca, guardando l’uomo da cima a fondo.
Ian indicò Emma, che gli dava le spalle e sembrava molto impegnata a parlare con Charlotte. Candice posò delicatamente la mano sull’avambraccio della giovane donna e le fece cenno di voltarsi. Emma si voltò e fece una smorfia trattenuta quando vide Ian mostrarle il mazzo di fiori che le aveva comprato prima di arrivare. Il giovane percepì il suo disagio.
“Ciao Ian”, disse tranquillamente, distogliendo lo sguardo.
“Ciao”, disse lui porgendole i fiori e avvicinandosi per darle un bacio sulla guancia. Continuò dicendo: “Possiamo parlare, Emma?”
Candice mostrò, senza nemmeno nasconderlo, segni di impazienza, prima di rispondere alla giovane donna. Era visibilmente contrariata per il fatto che uno sconosciuto andasse a mischiare questioni personali con quelle professionali.
“Vi do cinque minuti. Non uno di più, Emma. Abbiamo un sacco da fare. Ti aspettiamo fuori.”
Charlotte fece un occhiolino alla sua amica appena percettibile, prima di seguire le sue colleghe fuori. Ian si avvicinò a Emma e le posò una mano sulla vita per prenderla da parte. Di riflesso lei si allontanò, sottraendosi alla vicinanza che lui cercava di stabilire.
“Non hai risposto ai miei messaggi”, disse Ian gentilmente, cercando di evitare un tono accusatorio.
“Quali? Quello che mi hai mandato quando avevo sprecato il mio tempo ad aspettarti?”
Lui chinò la testa, sentendosi colpevole. Sapeva di essere in torto.
“Beh, ci sono anche quelli di stamattina, dove ti imploravo di perdonarmi. Ti dicevano quanto avessi bisogno di vederti…”
“Così tanto che ieri non ti sei presentato e ho dovuto aspettare fino ad arrendermi di fronte all’evidenza che non saresti venuto. Il tuo messaggio è arrivato tardi. Sono in viaggio qui, avrei potuto fare qualcos’altro ieri sera.”
Emma distolse lo sguardo, evitando attentamente quello del giovane. Non voleva incontrare gli occhi di Ian. Qualcosa in lei era cambiato. Ian, dal canto suo, non pensava di dover lottare così tanto per ricevere il suo perdono. Fiori e belle parole erano spesso bastati in passato, ma si rese conto che Emma era diversa dalle altre donne che aveva conosciuto fino a quel momento. Non era una donna arrendevole.
“No, non ho ricevuto niente. La batteria del mio telefono è completamente scarica e non ho portato il caricabatterie. Senti Ian, non credo che…”
“Emma, ti prego, dammi un’altra possibilità. Ho rovinato tutto. Ne sono pienamente consapevole. Ieri ho avuto un imprevisto. Sono stato un irresponsabile per non aver trovato due minuti per cancellare l’appuntamento, ma sono stato colto completamente di sorpresa. Ho bisogno di conoscerti. Non sei il tipo di donna che un uomo vorrebbe lasciare andare così. Potremmo andare al ristorante stasera… ti invito. Ti tratterò come la regina che meriti di essere.”
Emma si morse il labbro inferiore fissandosi le scarpe, evitando sistematicamente di guardare Ian. Si sentiva ancora attratta da lui, ma l’avventura che aveva vissuto la sera prima aveva in qualche modo cambiato le sue percezioni.
“Non è possibile. Parto domani. Stasera ho un ricevimento. Non credo sia una buona idea iniziare qualcosa che non potremmo continuare.”
Ian non si dava per vinto. Si fece insistente.
“Posso venire a trovarti a Montreal? Potremmo passare qualche giorno insieme e conoscerci meglio. Dammi il tuo indirizzo…”
Tirò fuori un modesto taccuino dalla tasca posteriore dei pantaloni, strappò un foglio e glielo porse. Tirò fuori anche una piccola matita che teneva nella spirale del taccuino. A Emma non piacque la sua insistenza e si sentì sempre più intrappolata. La magia della prima notte era sparita. Annotò il suo indirizzo e-mail e gli restituì foglio e matita.
“È tutto quello che posso fare per il momento. Scrivimi. Vedremo. Devo andare al lavoro, è una giornata impegnativa. Ti risponderò, te lo prometto.”
Ian attirò la giovane donna verso di sé e la baciò furtivamente sulla bocca. La sentì irrigidirsi al contatto con lui per poi allontanarsi piuttosto in fretta. Lui non aveva alcuna intenzione di arrendersi. Candice, che aveva scelto quel momento per tornare dentro a chiamare Emma, non si era persa nulla della scena che si era appena prodotta.
“Ce ne stiamo andiamo”, disse freddamente, indicando la porta con la mano.
Emma fece un sorriso dispiaciuto a Ian e si diresse verso Candice, che sembrava furiosa. Si sentiva ancora più a disagio con la donna, visibilmente arrabbiata, che con il suo amico. Aveva la netta sensazione di aver dato un’impressione di sé, durante quel breve periodo contrattuale, completamente sbagliata. Non capiva perché, all’improvviso, gli uomini la corteggiassero. Non era il momento giusto, sperava di fare bella figura e ottenere ulteriori ingaggi con la rivista dove lavorava Charlotte, per passare più tempo con lei e anche per arrotondare le sue entrate.
Ian, impotente, seguì la giovane donna con lo sguardo finché non scomparve dalla vista. Di solito positivo, aveva ora dei dubbi, data la reazione di Emma. Non prevedeva niente di buono con lei se non riusciva a cambiare la situazione. Forse lasciarsi trasportare dalla corrente lo avrebbe aiutato un po’. Sentiva che poteva facilmente innamorarsi di quella donna. Aveva bisogno di andare fino in fondo a ciò che ardeva in lui, anche a rischio di farsi un po’ male. Dopotutto, non sarebbe stata la prima volta.
***
Emma si sedette vicino a Charlotte, che consultava la sua agenda, sentendo l’occhio freddo di Candice su di sé. La donna la osservava attentamente senza dire nulla, cosa che la metteva ancora più a disagio. Elvie e Alice erano intente a conversare. Evitò con cura di incrociare lo sguardo del loro capo. Non voleva lasciarsi toccare dal giudizio che sembrava provenire da lei.
“È incredibile che tu abbia passato tre ore chiusa dentro l’ascensore. Non riesco ancora a crederci”, disse Charlotte chiudendo la sua agenda e riprese: “Io sarei semplicemente andata in panico!”
“Un altro aneddoto da aggiungere alla mia lista”, rispose Emma a bassa voce.
“Eri sola?” chiese Elvie, improvvisamente interessata alla conversazione.
Emma era imbarazzata. Giocò di riflesso con un bottone della camicia, mentre fissava l’interruttore che permetteva di alzare e abbassare il finestrino dell’auto. Ricordava la notte prima con Gabriel. Si erano salutati senza promesse, con un ricordo delizioso. Momenti magici. Lui le aveva lasciato il suo biglietto da visita e lei il proprio.
Aveva tenuto quel segreto per sé, come un sogno che si fa e si conserva gelosamente. Avevano preso le loro cose, si erano rivestiti e avevano aspettato che tornasse la luce. Lei si era addormentata sulla sua spalla, lui le aveva accarezzato i capelli e la nuca tutto il tempo. Un gesto tenero. Quello di un innamorato, non di un amante passeggero.
Quando l’ascensore era ripartito l’aveva svegliata con un bacio sulla fronte, dolcemente. E, prima di andarsene, l’aveva baciata focosamente. Con una passione che Emma non aveva mai conosciuto. Una leggera fitta al cuore le diceva che non l’avrebbe più rivisto. Doveva già essere tornato alla sua vita normale. Una vita che immaginava occupata, con tante ore di lavoro e di attività e nemmeno un minuto per sé o per pensare a lei. Sicuramente, per lui era stata solo una breve storia e aveva già voltato pagina. Era quello che credeva. E forse era meglio così. Tuttavia, trovava difficile riprendere il corso della sua vita dopo aver vissuto un momento così forte con un semplice sconosciuto. Eppure non era la prima persona a vivere una cosa del genere e certamente non sarebbe stata l’ultima. Era cambiata dalla sera prima. Era cresciuta.
“Ero con quel medico di Montreal”, rispose finalmente, prima di guardare fuori.
“Chiudetemi in uno spazio chiuso con lui in qualsiasi momento”, scherzò Charlotte.
Emma sentì una punta di gelosia al pensiero che Charlotte potesse fare qualcosa con Gabriel, ma scacciò rapidamente quell’idea.
“Eri in buona compagnia, nel caso avessi avuto un malore”, osservò Elvie.
“Si stima che il 4-5% della popolazione soffra di claustrofobia. Lo sapevate che…”, iniziò Alice.
“No, va bene, Alice. Niente dettagli, per favore!” tagliò corto Charlotte.
Candice rimase in silenzio. Alla fine distolse lo sguardo da Emma e si mise a studiare le sue dipendenti con aria pensierosa. Stava analizzando la situazione. Emma era sollevata che avesse finalmente smesso di fissarla, ma si chiedeva comunque perché lo facesse. Poi cominciò a pensare a Ian. Il suo interesse per lui era molto meno forte di quanto non fosse inizialmente.
Ücretsiz ön izlemeyi tamamladınız.