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Kitabı oku: «La coscienza di Zeno», sayfa 25

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– E non ci sono anch’io qui? – Poi l’avarizia mi suggerì di attenuare da bel principio il mio sacrificio:

– Non c’è Ada? Non c’è nostra suocera? Non possiamo unirci per salvarti?

Egli si levò e mi si appressò con l’evidente intenzione di abbracciarmi. Ma era proprio questo ch’io non volevo. Avendogli offerto il mio aiuto, avevo ora il diritto di rampognarlo, e ne feci l’uso più largo. Gli rimproverai la sua attuale debolezza eppoi anche la sua presunzione durata fino a quel momento e che l’aveva tratto alla rovina. Aveva agito di propria testa non consultandosi con nessuno. Tante volte io avevo tentato di avere sue comunicazioni per trattenerlo e salvarlo ed egli me le aveva rifiutate serbando la sua fiducia per il solo Nilini.

Qui Guido sorrise, proprio sorrise, il disgraziato! Mi disse che da quindici giorni egli non lavorava più col Nilini essendosi fitto in capo che il grugno di costui gli portasse sventura.

Egli era caratterizzato da quel sonno e da quel sorriso: rovinava tutti attorno a sé e sorrideva. M’atteggiai a giudice severo perché per salvare Guido bisognava prima educarlo. Volli sapere quanto egli avesse perduto e m’arrabbiai quando mi disse di non saperlo esattamente. M’arrabbiai ancora quand’egli mi disse una cifra relativamente piccola che poi risultò rappresentare l’importo che bisognava pagare alla liquidazione del quindici del mese da cui distavamo di soli due giorni. Ma Guido asseriva che fino alla fine del mese c’era del tempo e che le cose potevano mutarsi. La scarsezza del denaro sul mercato non sarebbe durata eternamente.

Gridai:

– Se a questo mondo manca il denaro, vuoi riceverne dalla luna? – Aggiunsi che non bisognava giocare neppure per un giorno di più. Non si doveva rischiare di veder aumentare la perdita già enorme. Dissi anche che la perdita sarebbe stata divisa in quattro parti che avremmo sopportate io, lui (cioè suo padre), la signora Malfenti e Ada, che bisognava ritornare al nostro commercio privo di rischi e che non volevo mai più vedere nel nostro ufficio né il Nilini né alcun altro sensale di cambio.

Egli, mite, mite, mi pregò di non gridare tanto, perché avremmo potuto essere sentiti dai vicini.

Feci un grande sforzo per calmarmi e vi riuscii anche a patto di poter dirgli a bassavoce delle altre insolenze. La sua perdita era addirittura l’effetto di un crimine. Bisognava essere un bestione per mettersi in frangenti simili. Proprio mi pareva ch’era necessario egli subisse intera la lezione.

Qui Guido mitemente protestò. Chi non aveva giocato in Borsa? Nostro suocero, ch’era stato un commerciante tanto solido, non era stato un giorno solo della sua vita privo di qualche impegno. Eppoi – Guido lo sapeva – avevo giocato anch’io.

Protestai che fra gioco e gioco c’era una differenza. Egli aveva rischiato alla Borsa tutto il suo patrimonio, io le rendite di un mese.

Mi fece un triste effetto che Guido tentasse puerilmente di liberarsi della sua responsabilità. Egli asserì che il Nilini lo aveva indotto a giocare più di quanto egli avesse voluto, facendogli credere di avviarlo ad una grande fortuna.

Io risi e lo derisi. Il Nilini non era da biasimarsi perché faceva gli affari suoi. E – del resto – dopo di aver lasciato il Nilini, non si era egli precipitato ad aumentare la propria posta col mezzo di un altro sensale? Avrebbe potuto vantarsi della nuova relazione se con essa si fosse messo a giocare al ribasso ad insaputa del Nilini. Per riparare non poteva certo bastare di cambiare di rappresentante e continuare sulla stessa via perseguitato dallo stesso malocchio. Egli volle indurmi finalmente a lasciarlo in pace, e, con un singhiozzo nella gola, riconobbe di aver sbagliato.

Cessai dal rampognarlo. Ora mi faceva veramente compassione e l’avrei anche abbracciato se egli avesse voluto. Gli dissi che mi sarei occupato subito di provvedere il denaro che io dovevo fornire e che avrei potuto anche occuparmi di parlare con nostra suocera. Egli, invece, si sarebbe incaricato di Ada.

La mia compassione aumentò quand’egli mi confidò che volentieri avrebbe parlato con nostra suocera in vece mia, ma che lo tormentava di dover parlare con Ada.

– Tu sai come son fatte le donne! Gli affari non li capiscono o soltanto quando finiscono bene! – Egli non avrebbe parlato affatto e avrebbe pregata la signora Malfenti d’informarla lei di tutto.

Questa decisione l’alleggerì grandemente e uscimmo insieme. Lo vedevo camminare accanto a me con la testa bassa e mi sentivo pentito di averlo trattato con tanta rudezza. Ma come fare altrimenti se lo amavo? Doveva pur ravvedersi, se non voleva andare incontro alla sua rovina! Come dovevano essere fatte le sue relazioni con la moglie se temeva tanto di parlare con lei!

Ma intanto egli scoperse un modo per indispettirmi di nuovo. Camminando aveva trovato di perfezionare il piano che gli era tanto piaciuto. Non soltanto egli non avrebbe avuto da parlare con la moglie, ma avrebbe fatto in modo di non vederla per quella sera, perché sarebbe subito partito per la caccia. Dopo quel proposito, fu libero da ogni nube. Pareva fosse bastata la prospettiva di poter recarsi all’aria aperta, lontano da ogni pensiero, per avere l’aspetto di trovarvisi diggià e di goderne pienamente. Io ne fui indignato! Con lo stesso aspetto, certo, avrebbe potuto ritornare in Borsa per riprendervi il giuoco nel quale rischiava la fortuna della famiglia e anche la mia.

Mi disse:

– Voglio concedermi quest’ultimo divertimento e t’invito di venire con me a patto che tu prenda l’impegno di non rammentare con una sola parola gli avvenimenti di oggi.

Fin qui aveva parlato sorridendo. Dinanzi alla mia faccia seria, si fece più serio anche lui. Aggiunse:

– Vedi anche tu che ho bisogno di un riposo dopo un colpo simile. Poi mi sarà più facile di riprendere il mio posto nella lotta.

La sua voce s’era velata di un’emozione della cui sincerità non seppi dubitare. Perciò seppi rattenere il mio dispetto o manifestarlo solo col rifiuto del suo invito, dicendogli che io dovevo restare in città per provvedere al denaro necessario. Era già un rimprovero il mio! Io, innocente, restavo al mio posto, mentre lui, il colpevole, poteva andare a spassarsela.

Eravamo giunti dinanzi alla porta di casa della signora Malfenti. Egli non aveva più ritrovato l’aspetto di gioia per il divertimento di alcune ore che l’aspettava e, finché rimase con me, conservò stereotipata sulla faccia l’espressione del dolore cui io l’avevo richiamato. Ma prima di lasciarmi, trovò uno sfogo in una manifestazione d’indipendenza e – come a me parve – di rancore. Mi disse ch’era veramente stupito di scoprire in me un tale amico. Esitava di accettare il sacrificio che gli volevo portare e intendeva (proprio intendeva) ch’io sapessi ch’egli non mi riteneva impegnato in alcun modo e ch’ero perciò libero di dare o non dare.

Son sicuro di aver arrossito. Per levarmi dall’imbarazzo gli dissi:

– Perché vuoi ch’io desideri di ritirarmi quando pochi minuti or sono senza che tu m’abbia chiesto nulla, mi son proferto di aiutarti?

Egli mi guardò un po’ incerto eppoi disse:

– Giacché lo vuoi, accetto senz’altro e ti ringrazio. Ma faremo un contratto di società nuovo del tutto, perché ognuno abbia quello che gli compete. Anzi se ci sarà lavoro e vorrai continuare ad attendervi, dovrai avere il tuo salario. Metteremo la nuova società su tutt’altra base. Così non avremo più da temere altri danni dall’aver occultata la perdita del nostro primo anno d’esercizio.

Risposi:

– Questa perdita non ha più alcuna importanza e non devi pensarci più. Cerca ora di mettere dalla parte tua nostra suocera. Questo e null’altro per adesso importa.

Così ci lasciammo. Io credo di aver sorriso dell’ingenuità con cui Guido manifestava i suoi più intimi sentimenti. Egli m’aveva tenuto quel lungo discorso solo per poter accettare il mio dono senz’aver da manifestarmi della gratitudine. Ma io non pretendevo nulla. Mi bastava di sapere che tale riconoscenza egli proprio me la doveva.

Del resto, staccatomi da lui, anch’io sentii un sollievo come se fossi andato appena allora all’aria libera. Sentivo veramente la libertà che m’era tolta per i propositi di educarlo e rimetterlo sulla buona strada. In fondo il pedagogo è incatenato peggio dell’alunno. Ero ben deciso di procurargli quel denaro. Naturalmente non so dire se lo facessi per affetto a lui o ad Ada, o forse per liberarmi da quella piccola parte di responsabilità che poteva toccarmi per aver lavorato nel suo ufficio. Insomma avevo deciso di sacrificare una parte del mio patrimonio e ancora oggidì guardo a quel giorno della mia vita con una grande soddisfazione. Quel denaro salvava Guido e a me garantiva una grande tranquillità di coscienza.

Camminai fino a sera nella più grande tranquillità e così perdetti il tempo utile per andar a rintracciare alla Borsa l’Olivi cui dovevo rivolgermi per procurarmi una somma così forte. Poi pensai che la cosa non fosse tanto urgente. Io avevo parecchio denaro a mia disposizione e quello bastava intanto per partecipare alla regolazione che si doveva fare il quindici del mese. Per la fine del mese avrei provveduto più tardi.

Per quella sera non pensai più a Guido. Più tardi, e cioè quando i bambini furono coricati, m’accinsi varie volte a dire ad Augusta del disastro finanziario di Guido e del danno che doveva riverberarne a me, ma poi non volli seccarmi con discussioni e pensai sarebbe meglio mi riservassi di convincere Augusta nel momento in cui la regolazione di quegli affari sarebbe stata decisa da tutti. Eppoi mentre Guido stava divertendosi sarebbe stato curioso che io mi fossi seccato.

Dormii benissimo e, alla mattina, con la tasca non molto carica di denaro (ci avevo l’antica busta abbandonatami da Carla e che fino ad allora religiosamente avevo conservato per lei stessa o per qualche sua erede e qualche po’ di altro denaro che avevo potuto prelevare da una Banca) mi recai in ufficio. Passai la mattina a leggere giornali, fra Carmen che cuciva e Luciano che s’addestrava in moltipliche e addizioni.

Quando ritornai a casa all’ora della colazione, trovai Augusta perplessa e abbattuta. La sua faccia era coperta da quel grande pallore che non si produceva che per dolori che le provenivano da me. Mitemente mi disse:

– Ho saputo che hai deciso di sacrificare una parte del tuo patrimonio per salvare Guido! Io so che non avevo il diritto di esserne informata…

Era tanto dubbiosa del suo diritto che esitò. Poi riprese a rimproverarmi il mio silenzio:

– Ma è vero ch’io non sono come Ada, perché mai mi sono opposta alla tua volontà.

Ci volle del tempo per apprendere quello ch’era avvenuto. Augusta era capitata da Ada quando stava discutendo la quistione di Guido con la madre. Vedendola, Ada s’era abbandonata ad un gran pianto e le aveva detto della mia generosità ch’essa assolutamente non voleva accettare. Aveva anzi pregata Augusta d’invitarmi a desistere dalla mia profferta.

M’accorsi subito che Augusta soffriva della sua antica malattia, la gelosia per la sorella, ma non vi diedi peso. Mi sorprendeva l’attitudine assunta da Ada:

– Ti parve risentita? – domandai facendo tanto d’occhi per la sorpresa.

– No! No! Non offesa! – gridò la sincera Augusta. – Mi baciò e abbracciò… forse perché abbracci te.

Pareva un modo di esprimersi assai comico. Essa mi guardava, studiandomi, diffidente.

Protestai.

– Credi che Ada sia innamorata di me? cosa ti salta in testa?

Ma non riuscii a calmar Augusta la cui gelosia mi seccava orribilmente. Sta bene che Guido a quell’ora non era più a divertirsi e passava certamente un brutto quarto d’ora fra sua suocera e sua moglie ma ero seccatissimo anch’io e mi pareva di dover soffrir troppo essendo del tutto innocente.

Tentai di calmare Augusta facendole delle carezze. Essa allontanò la sua faccia dalla mia per vedermi meglio e mi fece dolcemente un mite rimprovero che mi commosse molto:

– Io so che ami anche me, – mi disse.

Evidentemente lo stato d’animo di Ada non aveva importanza per lei, ma il mio ed ebbi un’ispirazione per provarle la mia innocenza:

– Ada è dunque innamorata di me? – feci ridendo.

Poi staccatomi da Augusta per farmi veder meglio, gonfiai un po’ le guancie e spalancai in modo innaturale gli occhi così da somigliare ad Ada malata. Augusta mi guardò stupita, ma presto indovinò la mia intenzione. Fu colta da uno scoppio d’ilarità di cui subito si vergognò.

– No! – mi disse, – ti prego di non deriderla. – Poi confessò, sempre ridendo, ch’ero riuscito di imitare proprio quelle protuberanze che davano alla faccia di Ada un aspetto tanto sorprendente. Ed io lo sapevo perché imitandola m’era parso di abbracciare Ada. E quando fui solo, più volte ripetei quello sforzo con desiderio e disgusto.

Nel pomeriggio andai all’ufficio nella speranza di trovarvi Guido. Ve l’attesi per qualche tempo eppoi decisi di recarmi a casa sua. Dovevo pur sapere se era necessario di domandare del denaro all’Olivi. Dovevo compiere il mio dovere per quanto mi seccasse di rivedere Ada alterata una volta di più dalla riconoscenza. Chissà quali sorprese mi potevano ancora provenire da quella donna!

Sulle scale della casa di Guido m’imbattei nella signora Malfenti che pesantemente le saliva. Mi raccontò per lungo e per largo quanto fino ad allora era stato deciso nell’affare di Guido. La sera prima s’erano divisi circa d’accordo nella convinzione che bisognava salvare quell’uomo che aveva una disdetta disastrosa. Soltanto alla mattina Ada aveva appreso ch’io dovevo collaborare a coprire la perdita di Guido e s’era recisamente rifiutata di accettare. La signora Malfenti la scusava:

– Che vuoi farci? Essa non vuole caricarsi del rimorso di aver impoverita la sua sorella prediletta.

Sul pianerottolo, la signora si fermò per respirare e anche per parlare, e mi disse ridendo che la cosa sarebbe finita senza danno per nessuno. Prima di colazione, lei, Ada e Guido s’erano recati per averne consiglio da un avvocato, vecchio amico di famiglia e ora anche tutore della piccola Anna. L’avvocato aveva detto che non occorreva pagare perché per legge non vi si era obbligati. Guido s’era vivamente opposto parlando di onore e di dovere, ma senza dubbio, una volta che tutti, compresa Ada, decidevano di non pagare, anche lui avrebbe dovuto rassegnarvisi.

– Ma la sua ditta alla Borsa sarà dichiarata bancarotta? – dissi io perplesso.

– Probabilmente! – disse la signora Malfenti con un sospiro prima d’imprendere la salita dell’ultima scala.

Guido dopo colazione usava di riposare e perciò fummo ricevuti dalla sola Ada in quel salottino ch’io conoscevo tanto bene. Al vedermi essa fu per un istante confusa, per un solo istante, ch’io però afferrai e ritenni, chiaro, evidente, come se la sua confusione mi fosse stata detta. Poi si fece forza e mi stese la mano con un movimento deciso, virile, che doveva cancellare l’esitazione femminea che l’aveva precorso.

Mi disse:

– Augusta ti avrà detto come io ti sia riconoscente. Non saprei ora dirti quello che sento perché sono confusa. Sono anche malata. Sì, molto malata! Avrei di nuovo bisogno della casa di salute di Bologna!

Un singhiozzo l’interruppe:

– Ti domando ora un favore. Ti prego di dire a Guido che neppure tu sei al caso di dargli quel denaro. Così ci sarà più facile d’indurlo a fare quello che deve.

Prima aveva avuto un singhiozzo ricordando la propria malattia; singhiozzò poi di nuovo prima di continuare a parlare del marito:

– È un ragazzo, e bisogna trattarlo come tale. Se egli sa che tu consenti di dargli quel denaro, s’ostinerà ancora maggiormente nella sua idea di sacrificare anche il resto inutilmente. Inutilmente, perché oramai sappiamo con assoluta certezza che il fallimento in Borsa è permesso. L’ha detto l’avvocato.

Mi comunicava il parere di un’alta autorità senza domandarmi il mio. Come vecchio frequentatore di Borsa, il mio parere, anche accanto a quello dell’avvocato, avrebbe potuto avere il suo peso, ma non ricordai neppure il mio parere seppure ne avevo uno. Ricordai invece che venivo messo in una posizione difficile. Io non potevo ritirarmi dall’impegno che avevo preso con Guido: era in compenso di quell’impegno, che m’ero creduto autorizzato di gridargli nelle orecchie tante insolenze, intascando così una specie d’interessi sul capitale che ora non potevo più rifiutargli.

– Ada! – dissi esitante. – Io non credo di potermi disdire così da un giorno all’altro. Non sarebbe meglio che tu convincessi Guido di fare le cose come le desideri tu?

La signora Malfenti con la grande simpatia che sempre mi dimostrava, disse che intendeva benissimo la mia speciale posizione e che del resto, quando Guido si sarebbe visto messo a disposizione soltanto un quarto dell’importo di cui abbisognava, avrebbe pur dovuto adattarsi al loro volere.

Ma Ada non aveva esaurite le sue lacrime. Piangendo con la faccia celata nel fazzoletto, disse:

– Hai fatto male, molto male di fare quell’offerta veramente straordinaria! Ora si vede quanto male hai fatto!

Mi pareva esitante fra una grande gratitudine e un grande rancore. Poi soggiunse che non voleva si parlasse mai più di quella mia offerta e mi pregava di non provvedere quel denaro, perché essa m’avrebbe impedito di darlo o avrebbe impedito a Guido di accettarlo.

Ero tanto imbarazzato che finii col dire una bugia. Le dissi cioè che quel denaro io l’avevo già procurato e accennai alla mia tasca di petto dove giaceva quella busta dal peso tanto lieve. Ada mi guardò questa volta con un’espressione di vera ammirazione di cui forse mi sarei compiaciuto se non avessi saputo di non meritarla. Ad ogni modo fu proprio questa mia bugia per la quale non so dare altra spiegazione che una mia strana tendenza a rappresentarmi dinanzi ad Ada maggiore di quanto non sia, che m’impedì di attendere Guido e mi cacciò da quella casa. Avrebbe potuto anche avvenire che a un dato punto, contrariamente a quanto appariva, mi fosse stato chiesto di consegnare il denaro che dicevo di avere con me, e allora che figura ci avrei fatta? Dissi che avevo degli affari urgenti in ufficio e corsi via.

Ada m’accompagnò alla porta e m’assicurò ch’essa avrebbe indotto Guido di venire lui da me per ringraziarmi della mia bontà e per rifiutarla. Fece tale dichiarazione con tale risolutezza che io trasalii. A me parve che quel fermo proposito andasse a colpire in parte anche me. No! In quel momento essa non mi amava. Il mio atto di bontà era troppo grande. Schiacciava la gente su cui s’abbatteva e non c’era da meravigliarsi che i beneficati protestassero. Andando all’ufficio cercai di liberarmi del malessere che m’aveva dato il contegno di Ada, ricordando che io portavo quel sacrificio a Guido e a nessun altro. Che c’entrava Ada? Mi ripromisi di farlo sapere ad Ada stessa alla prima occasione.

Andai all’ufficio proprio per non avere il rimorso di aver mentito una volta di più. Nulla mi vi attendeva. Cadeva dalla mattina una pioggerella minuta e continua che aveva rinfrescata considerevolmente l’aria di quella primavera esitante. In due passi sarei stato a casa, mentre per andare all’ufficio dovevo percorrere una strada ben più lunga ciò ch’era abbastanza fastidioso. Ma mi pareva di dover corrispondere ad un impegno.

Poco dopo vi fui raggiunto da Guido. Allontanò dall’ufficio Luciano per restare solo con me. Aveva quel suo aspetto sconvolto che l’aiutava nelle sue lotte con la moglie e che io conoscevo tanto bene. Doveva aver pianto e gridato.

Mi domandò che cosa mi paresse dei progetti di sua moglie e di nostra suocera ch’egli sapeva m’erano già stati comunicati. Gli parvi esitante. Non volevo dire la mia opinione che non poteva accordarsi con quella delle due donne e sapevo che se avessi adottata la loro, avrei provocate delle nuove scene da parte di Guido. Poi mi sarebbe dispiaciuto troppo di far apparire esitante il mio aiuto e infine eravamo d’accordo con Ada che la decisione doveva venire da Guido e non da me. Gli dissi che bisognava calcolare, vedere, sentire anche altre persone. Io non ero un tale uomo d’affari da poter dare un consiglio in argomento tanto importante. E, per guadagnare del tempo, gli domandai se voleva che consultassi l’Olivi.

Bastò questo per farlo gridare:

– Quell’imbecille! – urlò. – Te ne prego lascialo da parte!

Non ero affatto disposto di accalorarmi alla difesa dell’Olivi, ma non bastò la mia calma per rasserenare Guido. Eravamo nell’identica situazione del giorno prima, ma ora era lui che gridava e toccava a me di tacere. È quistione di disposizione. Io ero pieno di un imbarazzo che mi legava le membra.

Ma egli assolutamente volle io dicessi il mio parere. Per un’ispirazione che credo divina parlai molto bene, tanto bene che se le mie parole avessero avuto un effetto qualunque, la catastrofe che poi seguì sarebbe stata evitata. Gli dissi che io intanto avrei scisse le due quistioni, quella della liquidazione del quindici da quella di fine mese. In complesso al quindici non si aveva da pagare un importo troppo rilevante e bisognava intanto indurre le donne a sottostare a quella perdita relativamente lieve. Poi avremmo avuto il tempo necessario per provvedere saggiamente all’altra liquidazione.

Guido m’interruppe per domandarmi:

– Ada m’ha detto che tu hai già pronto il denaro in tasca. L’hai qui?

Arrossii. Ma trovai subito pronta un’altra bugia che mi salvò:

– Visto che a casa tua non accettarono quel denaro, lo depositai poco fa alla Banca. Ma possiamo riaverlo quando vorremo, anche subito domattina.

Allora egli mi rimproverò di aver cambiato di parere. Se proprio io il giorno prima avevo dichiarato di non voler aspettare l’altra liquidazione per mettere in regola tutto! E qui egli ebbe uno scoppio d’ira violenta che finì col gettarlo privo di forze sul sofà! Egli avrebbe gettato fuori d’ufficio il Nilini e quegli altri agenti che lo avevano trascinato al giuoco. Oh! Giuocando egli aveva bensì intravvista la possibilità della rovina, ma mai più la soggezione a donne che non capivano niente di niente.

Andai a stringergli la mano e se lo avesse permesso lo avrei abbracciato. Non volevo nient’altro che vederlo arrivare a quella decisione. Niente più giuoco, ma il lavoro di ogni giorno!

Questo sarebbe stato il nostro avvenire e la sua indipendenza. Ora si trattava di passare quel breve duro periodo, ma poi tutto sarebbe stato facile e semplice.

Abbattuto, ma più calmo, egli poco dopo mi lasciò. Anche lui nella sua debolezza era tutto pervaso da una forte decisione.

– Ritorno da Ada! – mormorò ed ebbe un sorriso amaro, ma sicuro.

L’accompagnai fino alla porta e l’avrei accompagnato fino a casa sua se egli non avesse avuta alla porta la vettura che l’attendeva.

La Nemesi perseguitava Guido. Mezz’ora dopo ch’egli m’aveva lasciato, io pensai che sarebbe stato prudente da parte mia di recarmi a casa sua ad assisterlo. Non che io avessi sospettato che su lui potesse incombere un pericolo, ma ormai io ero tutto dalla parte sua e avrei potuto contribuire a convincere Ada e la signora Malfenti ad aiutarlo. Il fallimento in Borsa non era una cosa che mi piaceva ed in complesso la perdita ripartita fra noi quattro non era insignificante, ma non rappresentava per nessuno di noi la rovina.

Poi ricordai che il mio maggior dovere era oramai non di assistere Guido, ma di fargli trovare pronto il giorno appresso l’importo che gli avevo promesso. Andai subito in cerca dell’Olivi e mi preparai ad una nuova lotta. Avevo escogitato un sistema di rifondere alla mia firma il grosso importo in varii anni, versando però di lì ad alcuni mesi tutto quello che ancora restava dell’eredità di mia madre. Speravo che l’Olivi non avrebbe fatte delle difficoltà, perché io fino ad allora non gli avevo mai domandato più di quanto mi fosse spettato per utili ed interessi e potevo anche promettere di non inquietarlo mai più con domande simili. Era evidente che pur potevo sperare di ricuperare da Guido almeno parte di quell’importo.

Quella sera non seppi trovare l’Olivi. Era appena uscito dall’ufficio quand’io vi entrai. Supponevano si fosse recato alla Borsa. Non lo trovai neppure colà e allora mi recai a casa sua ove appresi che si trovava ad una seduta di un’associazione economica nella quale occupava un posto onorifico. Avrei potuto raggiungerlo colà, ma oramai s’era fatto notte, e cadeva ininterrotta una pioggia abbondante che convertiva le vie in tanti ruscelli.

Fu un diluvio che durò per tutta la notte e di cui per lunghi anni non si perdette il ricordo. La pioggia cadeva tranquilla, tranquilla, addirittura perpendicolarmente, sempre nella stessa abbondanza. Dalle alture che circondano la città scese il fango che, associato alle scorie della nostra vita cittadina, andò ad ostruire i nostri scarsi canali. Quando mi decisi a rincasare dopo di aver atteso inutilmente in un rifugio che la pioggia cessasse e quand’ebbi chiara la visione che il tempo s’era assestato nella pioggia e ch’era vano di sperare un mutamento, si camminava nell’acqua anche movendosi sulla parte più alta del selciato. Corsi a casa bestemmiando e fracido fino alle ossa. Bestemmiavo anche perché avevo perduto tanto buon tempo per rintracciare l’Olivi. Può essere che il mio tempo non sia poi tanto prezioso, ma è sicuro ch’io soffro orrendamente quando posso constatare di aver lavorato invano. E correndo pensavo: «Lasciamo tutto per domani quando sarà chiaro e bello e asciutto. Domani andrò dall’Olivi e domani mi recherò da Guido. Magari mi leverò di buon’ora, ma sarà chiaro e asciutto». Ero tanto convinto della giustezza della mia decisione che dissi ad Augusta che da tutti si era stabilito di rimandare ogni decisione alla dimane. Mi cambiai, mi rasciugai e con le comode e calde pantofole sui piedi torturati, dapprima cenai eppoi mi coricai per dormire profondamente fino alla mattina mentre ai vetri delle mie finestre batteva la pioggia grossa come funi.

Così seppi solo tardi gli avvenimenti della notte. Dapprima apprendemmo che la pioggia aveva finito col provocare in varie parti della città delle inondazioni, poi che Guido era morto.

Molto più tardi seppi come poté accadere una cosa simile. Alle undici di sera circa, quando la signora Malfenti si fu allontanata, Guido avvertì la moglie ch’egli aveva ingoiata una quantità enorme di veronal. Volle convincere la moglie che era condannato. L’abbracciò, la baciò, le domandò perdono di averla fatta soffrire. Poi, ancora prima che la sua parola si convertisse in un balbettio, l’assicurò ch’essa era stata il solo amore della sua vita. Essa non credette per allora né a quest’assicurazione né ch’egli avesse ingoiato tanto veleno da poter morirne. Non credette neppure ch’egli avesse perduti i sensi, ma si figurò che fingesse per strapparle di nuovo dei denari.

Poi, trascorsa quasi un’ora, vedendo ch’egli dormiva sempre più profondamente, ebbe un certo terrore e scrisse un biglietto ad un medico che abitava non lontano dalla sua abitazione. Su quel biglietto scisse che suo marito abbisognava di pronto aiuto avendo ingoiato una grande quantità di veronal.

Fino ad allora non c’era stata in quella casa alcun’emozione che avesse potuto avvisare la fantesca, una vecchia donna ch’era in casa da poco tempo, della gravità della sua missione.

La pioggia fece il resto. La fantesca si trovò con l’acqua a mezza gamba e smarrì il biglietto. Se ne accorse solo quando si trovò alla presenza del dottore. Seppe però dirgli che c’era urgenza e lo indusse a seguirla.

Il dottor Mali era un uomo di circa cinquant’anni, tutt’altro che una genialità, ma un medico pratico che aveva fatto sempre il suo dovere come meglio aveva potuto. Non aveva una grande clientela propria, ma invece aveva molto da fare per conto di una società dai numerosissimi membri, che lo retribuiva poco lautamente. Era rincasato poco prima ed era arrivato finalmente a riscaldarsi e rasciugarsi accanto al fuoco. Si può immaginare con quale animo abbandonasse ora il suo caldo cantuccio. Quando io mi misi ad indagare meglio le cause della morte del mio povero amico, mi preoccupai anche di fare la conoscenza del dottor Mali. Da lui non seppi altro che questo: quando giunse all’aperto e si sentì bagnare dalla pioggia traverso l’ombrello, si pentì d’aver studiato medicina invece di agricoltura, ricordando che il contadino, quando piove, resta a casa.

Giunto al letto di Guido, trovò Ada del tutto calmata. Ora che aveva accanto il dottore, ricordava meglio come Guido l’avesse giocata mesi prima simulando un suicidio. Non toccava più a lei di assumersi una responsabilità, ma al dottore il quale doveva essere informato di tutto, anche delle ragioni che dovevano far credere in una simulazione di suicidio. E queste ragioni il dottore le ebbe tutte come prestava nello stesso tempo l’orecchio alle onde che spazzavano la via. Non essendo stato avvisato che lo si aveva chiamato per curare un caso di avvelenamento, egli mancava di ogni ordigno necessario alla cura. Lo deplorò balbettando qualche parola che Ada non intese. Il peggio era che, per poter imprendere un lavacro dello stomaco, egli non avrebbe potuto mandar a prendere le cose necessarie, ma avrebbe dovuto andar a prenderle lui stesso traversando per due volte la via. Toccò il polso di Guido e lo trovò magnifico. Domandò ad Ada se forse Guido avesse sempre avuto un sonno molto profondo. Ada rispose di sì, ma non a quel punto. Il dottore esaminò gli occhi di Guido: reagivano prontamente alla luce! Se ne andò raccomandando di dargli di tempo in tempo dei cucchiaini di caffè nero fortissimo.

Seppi anche che, giunto sulla via, mormorò con rabbia:

– Non dovrebbe essere permesso di simulare un suicidio con questo tempo!

Io, quando lo conobbi, non osai di fargli un rimprovero per la sua negligenza, ma egli l’indovinò e si difese: mi disse che rimase stupito all’apprendere alla mattina che Guido era morto, tanto che sospettò fosse rinvenuto e avesse preso dell’altro veronal. Poi soggiunse che i profani d’arte medica non potevano immaginare come nel corso della sua pratica il dottore venisse abituato a difendere la sua vita contro i clienti che vi attentavano non pensando che alla loro.

Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
30 ağustos 2016
Hacim:
540 s. 1 illüstrasyon
Telif hakkı:
Public Domain
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