Sadece LitRes`te okuyun

Kitap dosya olarak indirilemez ancak uygulamamız üzerinden veya online olarak web sitemizden okunabilir.

Kitabı oku: «Senilità», sayfa 5

Yazı tipi:

Il vecchio lasciò guardare il gesso e si volse a considerare il critico. Fu un caso che Stefano si presentò quale scultore e non quale ispettore commerciale. Il vecchio, un originale ricco come un personaggio di fiaba, gli commise il proprio busto da prima, poi un monumento funebre e infine lo ricordò nel testamento. Il Balli ebbe perciò del lavoro per due anni e del denaro per dieci.

Amalia disse: – Come dev’essere bello di conoscere delle persone tanto intelligenti e tanto buone.

Il Balli protestò. Descrisse il vecchio con sentita antipatia. Quel mecenate pretensioso gli era stato eternamente accanto imponendogli di fornire ogni giorno quella data quantità di lavoro. Vero borghese privo di un gusto proprio, non aveva amato dell’arte che quanto gli veniva spiegato, dimostrato. Ogni sera il Balli era stanco di lavorare e di parlare, e gli era parso talvolta d’essere capitato in quel posto d’ispettore commerciale cui era sfuggito solo per un caso. Aveva preso il lutto quando il vecchio era morto, ma, per piangerlo più allegramente, non aveva toccato argilla per molti mesi.

Come era bello il destino del Balli: non era neppure obbligato a riconoscenza per i benefici che gli piovevano dal cielo. La ricchezza e la felicità erano i portati del suo destino; perché avrebbe dovuto sorprendersene o esserne grato a chi era inviato dalla provvidenza a portargli i suoi doni? Amalia, incantata, stava a sentire quel racconto che le confermava la vita essere ben differente di quella che aveva conosciuta. Era naturale che a lei e al fratello fosse stata tanto dura e naturalissimo che al Balli fosse toccata tanto lieta. Ella ammirò la felicità del Balli e amò in lui la forza e la serenità che erano le sue prime grandi fortune.

Invece il Brentani stava ad udire con amarezza e invidia. Pareva che il Balli si vantasse della fortuna come di propria virtù. A Emilio non era toccato mai niente di lieto anzi neppure niente d’inaspettato. Anche la sventura gli si era annunziata da lontano, si era delineata avvicinandosi; egli aveva avuto il tempo di guardarla lungamente in faccia, e quando ne era stato colpito – la morte dei suoi più cari o la povertà – egli vi era già preparato. Perciò aveva sofferto più a lungo ma con meno intensità e le tante sventure non lo avevano mai scosso dalla sua triste inerzia ch’egli attribuiva a quel destino disperantemente incolore e uniforme. Ed egli non aveva mai ispirato niente di forte, né amore, né odio; il vecchio tanto ingiustamente odiato dal Balli non era intervenuto nella sua vita. La gelosia, nel suo animo, crebbe in modo ch’egli ne provò persino per l’ammirazione che al Balli dedicava Amalia. Il pranzo divenne molto animato perché anche lui vi collaborò. Lottò per conquistarsi l’attenzione di Amalia.

Ma non vi riuscì. Che cosa avrebbe potuto dire che stesse degnamente accanto alla bizzarra autobiografia del Balli? Nient’altro che la sua passione presente, e non potendo parlare di quella, immediatamente egli fu confinato alla seconda parte ch’era sua per destino. Lo sforzo fatto da Emilio non produsse altro che qualche idea che andò ad ornare il racconto dell’amico. Il quale poi, senz’esserne consapevole, sentì la lotta e divenne sempre più vario, colorito, animato. Mai Amalia era stata l’oggetto di tante attenzioni. Ella stava ad ascoltare le confidenze che le faceva lo scultore, e non s’ingannava: le erano fatte proprio per conquistarla ed ella infatti si sentiva tutta sua. Per la mente della grigia fanciulla non passarono speranze per l’avvenire. Era proprio del presente che ella gioiva, di quell’ora in cui ella si sentiva desiderata, importante.

Uscirono insieme. Emilio avrebbe voluto andarsene col Balli, ma ella gli ricordò la promessa fattale il giorno innanzi di condurla con sé. Quella festa non doveva ancora terminare. Stefano la spalleggiò. A lui pareva che l’attaccamento per Amalia avrebbe potuto combattere nel Brentani l’influenza di Angiolina, e non ricordava più che pochi minuti prima aveva lottato per porsi tra fratello e sorella.

Ella fu pronta in un batter d’occhio, e aveva trovato anche il tempo di rassettare sulla fronte i ricci dei capelli fini ma piuttosto variamente macchiati che coloriti. Quando, infilando i guanti, invitò il Balli ad uscire, ebbe per lui un sorriso col quale pregava di piacergli.

Sulla via ella era più insignificante che mai, vestita tutta di nero, una piccola piuma bianca nel cappellino. Il Balli scherzò sulla piuma. Disse però che gli piaceva e seppe celare il malumore che lo colse all’idea di dover attraversare la città accanto a quella donnetta di un gusto tanto perverso da porre un segnale bianco a sì piccola distanza da terra.

L’aria era tepida ma, coperto di una fitta bianca nebbia, tutta una cappa dello stesso colore, il cielo era veramente invernale e Sant’Andrea con quegli alberi dai lunghi rami nudi, secchi, non ancora tagliati, e il suolo bianco per la luce impedita e diffusa, sembrava un paesaggio di neve. Riproducendolo e non potendo ridare la mitezza dell’aria, un pittore avrebbe stampata quell’erronea illusione.

– Fra noi tre conosciamo tutta la città – mormorò il Balli. Sul passeggio avevano dovuto rallentare il passo. Così festiva e romorosa e ufficiale, nel grande triste paesaggio e accanto al vasto mare bianco, quella folla era poco seria; aveva del formicaio.

– E’ lei che conosce tutti, non noi, – disse Amalia che ricordava d’essere venuta spesso a quel passeggio senz’aver avuto per ciò da stancarsi troppo nei saluti. Tutte le persone che passavano avevano il saluto amichevole o rispettoso per il Balli, e i saluti gli venivano anche dagli equipaggi. Ella si sentiva bene accanto a lui e gioiva di quella passeggiata trionfale come se una parte della riverenza che veniva dimostrata allo scultore fosse stata destinata a lei.

– Guai se non fossi venuto! – disse il Balli rispondendo con un bel saluto misurato ad una vecchia signora che s’era sporta dalla carrozza per vederlo. – La gente sarebbe ritornata a casa delusa. – Si era sicuri di trovarlo al passeggio della domenica ch’egli festeggiava come un operaio col Brentani il quale gli altri giorni era chiuso in ufficio.

– Ange! – mormorò Amalia ridendo con discrezione. L’aveva riconosciuta alla descrizione che gliene era stata fatta e al turbamento di Emilio.

– Non ridere! – pregò Emilio con calore e confermando la scoperta di Amalia. Anche lui vedeva qualche cosa di nuovo: il sarto Volpini, un esile omino più insignificante ancora per colpa della splendida figura femminile accanto alla quale marciava con un suo passo allungato con isforzo e vanto. I due uomini salutarono ed il Volpini rispose con esagerata gentilezza. – Ha il colore di Angiolina, – rise il Balli. Emilio protestò: come si poteva confrontare la paglia del Volpini con l’oro di Angiolina? Si volse e vide che l’Angiolina china, parlava al suo compagno il quale guardava in alto, finalmente non gobbo. Parlavano certo di loro.

Soltanto più tardi, quando si trovarono di nuovo in città e in procinto di dividersi, Amalia che improvvisamente era ammutolita sentendosi di nuovo vicina alla sua abituale solitudine, per dire qualche cosa e rompere il silenzio che già incombeva su lei, domandò chi fosse l’uomo che accompagnava Angiolina. – Suo zio – disse il Brentani, serio serio, dopo una lieve esitazione, mentre Stefano lo guardava con occhio ironico vedendolo arrossire. L’occhio innocente della sorella lo faceva vergognare. Come Amalia sarebbe stata sorpresa che il grande amore del fratello, quell’amore pel quale ella già tanto aveva sofferto, fosse fatto a quel modo.

– Grazie! – disse Amalia congedandosi da Stefano. Oh, quale ricordo dolce di quelle ore le sarebbe rimasto se, per disgrazia, non si fosse accorta che in quel momento il Balli non poteva parlare perché in lotta con uno sbadiglio che gli paralizzava la bocca. – Ella s’è annoiato. Tanto più la ringrazio. Umile e buona tanto, commosse Stefano il quale si sentì subito di volerle bene. Spiegò che lo sbadiglio in lui era affare di nervi. Le avrebbe provato ch’egli non s’annoiava in loro compagnia, se lo sarebbero trovato molto spesso fra’ piedi.

Infatti mantenne la parola. Sarebbe stato difficile dire perché egli ogni giorno facesse quelle scale per andare a prendere il caffè dai Brentani. Era gelosia, probabilmente; egli lottava per conservarsi l’amicizia d’Emilio. Ma Amalia non poteva indovinare tutto ciò. Ella riteneva ch’egli venisse più spesso da loro per il più semplice affetto per il fratello, affetto di cui ella stessa godeva perché una parte riverberava su di lei.

Tra fratello e sorella non vi furono più diverbi. Emilio – e cieco com’era non ne ebbe alcuna sorpresa, – sentì che la sorella lo sopportava, lo comprendeva meglio; anzi sentì che la novella benevolenza si estendeva persino al suo amore. Quando egli le parlava di questo, il volto di Amalia si rischiarava, luceva. Ella cercava di farlo parlare d’amore, e non gli diceva mai ch’egli si guardasse o che dovesse lasciare Angiolina. Perché avrebbe dovuto lasciare Angiolina visto ch’ella era la felicità? Un giorno domandò di conoscerla, e più volte ne espresse poi il desiderio; ma Emilio si guardò bene dal compiacerla. Ella non sapeva di quella donna se non ch’era un essere molto differente da lei, più forte, più vitale, e ad Emilio piacque di aver creata nella sua mente un’Angiolina ben diversa dalla reale. Quando si trovava con la sorella, amava quell’immagine, l’abbelliva, vi aggiungeva tutte le qualità che gli sarebbe piaciuto di trovare in Angiolina, e quando capì che anche Amalia collaborava a quella costruzione artificiale, ne gioì vivamente.

Sentendo parlare di una donna che, per appartenere ad un uomo che amava, aveva vinti tutti gli ostacoli, pregiudizi di casta e d’interessi, ella disse in un orecchio ad Emilio: – Somiglia ad Angiolina.

«Oh, le somigliasse! », pensò Emilio mentre atteggiava la faccia a consenso. Poi si convinse che le somigliava di fatto o almeno, che, cresciuta in altro ambiente, le sarebbe somigliata, e finì col sorridere. Perché avrebbe dovuto supporre che Angiolina si sarebbe lasciata fermare da pregiudizi? Attraverso al pensiero nobilitante di Amalia, il suo amore per Angiolina s’adornò in qualche momento di tutte le illusioni.

Invece quella donna che abbatteva tutti gli ostacoli somigliava ad Amalia stessa. Nelle sue mani lunghe e bianche essa sentiva una forza enorme, tale da spezzare le più forti catene. Nella sua vita non c’erano però catene; ella era del tutto libera, e nessuno le chiedeva né risoluzione, né forza, né amore. Come avrebbe finito coll’espandersi quella grande forza chiusa in quel debole organismo?

Intanto il Balli centellinava il caffè, sdraiato nel vecchio seggiolone, in un grande benessere, ricordando che in quell’ora egli aveva avuta la mala abitudine di discutere con gli artisti al caffè. Come si stava meglio là, fra quelle persone miti che lo ammiravano e amavano!

Altrettanto disgraziato fu l’intervento del Balli fra i due amanti. Nella sua breve relazione con Angiolina, egli s’era conquistato il diritto di dirle un mondo d’insolenze ch’ella subiva sorridente, nient’affatto offesa. Dapprima s’era accontentato di dirgliele in toscano, aspirando e addolcendo, e a lei erano sembrate carezze; ma anche quando le capitarono addosso in buon triestino, dure e sboccate, ella non se ne adontò. Ella sentiva – anche Emilio lo sentiva – ch’erano dette senza fiele di sorta, un modo qualunque d’atteggiare la bocca, un’abitudine innocua di muoverla. E quest’era il peggio. Una sera, Emilio, non potendone più, pregò il Balli finalmente di non accompagnarsi a loro. – Soffro troppo di vederla vilipendere a quel modo.

– Davvero? – chiese il Balli facendo tanto d’occhi. Egli, come sempre dimentico, di nuovo aveva creduto di dover comportarsi così per curare Emilio. Si lasciò convincere e per qualche tempo non andò a turbare i loro amori. – Io non so comportarmi altrimenti con una donna simile. – Ma allora Emilio si vergognò e piuttosto che confessarsi tanto debole, si rassegnò a sopportare il contegno dell’amico.

– Vieni talvolta con Margherita.

La cosidetta cena dei vitelli si ripeté di frequente, negli episodi molto simile alla prima, Emilio condannato al silenzio, Margherita e Angiolina in ginocchio dinanzi al Balli.

Una sera però il Balli non gridò, non comandò, non si fece adorare e fu per la prima volta il compagno ch’Emilio avrebbe potuto sopportare. – Come devi sentirti amato da Margherita! – gli disse quest’ultimo al ritorno per dirgli qualche cosa di gradito. Le due donne camminavano a pochi passi da loro.

– Disgraziatamente – disse il Balli con pacatezza, – credo ch’ella ami anche molti altri come ama me. E’ un animo gentilissimo. – Emilio cadeva dalle nuvole. – Sta zitto adesso! – disse il Balli vedendo che le due donne s’erano fermate per attenderli.

Il giorno appresso, in un istante in cui Amalia aveva dovuto andare in cucina, il Balli raccontò che per un caso, l’errore di un fattorino, egli aveva scoperto che Margherita dava degli appuntamenti ad un altro – precisamente un artista – disse egli con rabbia. – Ciò mi rattristò profondamente. E’ un’infamia d’esser trattato così. Mi posi a fare delle indagini e quando credetti di aver scoperto il mio rivale, trovai che nel frattempo erano divenuti due. La cosa diventava molto più innocente. Allora per la prima volta mi degnai di fare delle indagini sulla famiglia di Margherita e trovai ch’era composta della madre e di una caterva di sorelle giovanissime. Capisci? Ella deve provvedere all’educazione di tutte quelle ragazze. – Poi il Balli, con voce profonda dalla commozione, concluse: – Figurati che da me ella non ha voluto accettare un centesimo. Voglio che confessi, mi racconti tutto. La bacierò un’ultima volta, le dirò di non serbarle alcun rancore, e la lascerò conservando di essa il più dolce ricordo. – Poi, subito, fumando egli si rasserenò e quando Amalia rientrò, egli cantarellava a mezza voce:

Pria confessi il delitto e poscia muoia!

La stessa sera Emilio raccontò la storia di Margherita ad Angiolina. Ella ebbe un impeto di gioia che le fu impossibile di celare. Poi capì essa stessa che doveva farsi perdonare da Emilio un tale movimento. Ma fu difficile. Come era doloroso per lui di veder lo scultore conquistarsi giuocando e ridendo quello ch’egli non poteva ottenere a prezzo di tanti dolori!

Del resto egli passava allora un periodo di strana illusione con Angiolina. Un sogno, di quelli cui egli era tanto esposto in piena veglia, gli faceva credere d’essere stato lui il corruttore della fanciulla. Infatti, subito, le prime sere in cui l’aveva avvicinata, egli le aveva tenuti quei magnifici discorsi sulle donne oneste e sull’interesse. Egli non poteva sapere come ella fosse stata prima di venire alla sua scuola. Come non aveva capito che Angiolina onesta significava Angiolina sua? Ricominciò il sermone che aveva interrotto, ma su tutt’altro tono. Ben presto s’accorse che le teorie fredde e complesse non facevano per Angiolina. Lungamente pensò il metodo da seguire per rieducarla. Nel sogno egli l’accarezzava come se già l’avesse resa degna di lui. Tentò di fare altrettanto nella realtà. Infatti il miglior metodo doveva consistere nel farle sentire che dolcezza sia il rispetto per darle il desiderio di conquistarselo. Perciò egli si trovava allora eternamente in ginocchio dinanzi a lei proprio nella posizione in cui sarebbe stato più facilmente abbattuto il giorno in cui Angiolina avesse creduto opportuno di dargli un calcio.

VI

Una sera, al principio di Gennaio, il Balli, con un infinito malumore, camminava soletto l’Acquedotto. Gli mancava la compagnia d’Emilio il quale aveva accompagnata la sorella ad una visita, e Margherita ancora non era stata rimpiazzata.

Il cielo era chiaro ad onta dello scirocco che incombeva già dalla mattina sulla città. Pareva impossibile che a quella temperatura fredda e umida resistesse il tisico carnevale iniziatosi quella sera con un primo ballo mascherato. – Oh, avere qui un cane per far addentare quei polpacci! – pensò il Balli vedendo passare due pierrettes con le gambe nude. Quel carnevale, perché meschino, gli dava un’ira da moralista; più tardi, molto più tardi, anche lui vi avrebbe partecipato, dimentico del tutto di quell’ira, innamorato del lusso e dei colori. Ma intanto ricordava d’assistere al preludio di una triste commedia. Incominciava a formarsi il vortice che per un istante avrebbe sottratto l’operaio, la sartina, il povero borghese alla noia della vita volgare per condurli poi al dolore. Ammaccati, sperduti, alcuni sarebbero ritornati all’antica vita divenuta però più greve; gli altri non avrebbero trovato mai più la quaresima.

Sbadigliò di nuovo; anche il proprio pensiero l’annoiava. – Sa di scirocco – pensò e guardò di nuovo la luna luminosa che poggiava sul monte come su un piedestallo.

Ma il suo occhio si fermò su tre figure che scendevano l’Acquedotto. Lo colpirono perché subito s’accorse che tutt’e tre si tenevano per mano. Un uomo tozzo e piccolo in mezzo, due donne, due figure slanciate, ai lati; pareva un’ironia ch’egli si propose di scolpire. Avrebbe vestite le due donne alla greca, l’uomo in una giubba moderna; avrebbe dato alle donne il riso forte delle baccanti, all’uomo avrebbe stampato in faccia la fatica e la noia.

Ma avvicinatesi le figure, egli dimenticò del tutto quella visione. Una delle donne era Angiolina, l’altra certa Giulia, una ragazza non bella che Angiolina aveva fatta conoscere al Balli e ad Emilio. Non conosceva l’uomo che passò a pochi passi da lui, la testa alta e sorridente, veneranda per una grande barba bruna. Non era il Volpini ch’era fulvo

Giolona rideva di cuore col suo riso sonoro e dolce; certo l’uomo era là per lei, e a Giulia veniva premuta la mano soltanto in grazia sua. Il Balli lo credette fermamente senza però saperne dire il perché, la propria forza d’osservazione lo divertì tanto che dimenticò la noia di tutta la serata. – Ecco un’occupazione originale; farò la spia! – Li seguì tenendosi nell’ombra sotto gli alberi. Giolona rideva assai, quasi ininterrottamente, mentre Giulia, per prendere parte alla conversazione, si protendeva perché i due alla sua destra troppo spesso si dimenticavano di lei.

Presto non ci fu più bisogno di grande forza d’osservazione. A pochi passi dal caffè all’Acquedotto s’erano fermati. L’uomo lasciò la mano di Giulia, che discretamente si trasse in disparte e prese nelle sue ambe le mani di Angiolina. Cercava di ottenere qualche cosa da lei, e ad ogni tratto portava la sua ispida barba accanto alla faccia di Angiolina; da lungi parevano baci. Poscia i tre si riunirono ed entrarono nel caffè.

S’erano seduti nella prima stanza accanto alla porta d’ingresso, ma in modo che il Balli non vedeva che la testa dell’uomo. Quella però in piena luce. Una faccia nera nera incorniciata dalla barba abbondante che gli arrivava fin sotto agli occhi, ma la testa calva e lucente e gialla. – L’ombrellaio di via Barriera! – rise il Balli. Un ombrellaio rivale di Emilio Brentani. Ma tanto meglio perché quel mestiere avrebbe guarito Emilio. Il Balli penso che gli avrebbe saputo rendere l’avventura tanto ridicola che Emilio ne avrebbe riso e non sofferto. Il Balli non dubitava affatto del proprio spirito.

L’ombrellaio guardava solo da una parte e, con la sua coscienza di spia onesta, il Balli volle accertarsi che da quella parte si trovasse Angiolina; perciò entrò. Era proprio dessa che sedeva addossata alla parete; Giulia, seduta in faccia, perfettamente isolata, centellinava da un bicchierino un liquor trasparente e denso. Ma, tuttavia, ad onta della grande attenzione che ci metteva, ella era meno distratta degli altri due. Fu lei ad accorgersi del Balli e a dar l’allarme. Troppo tardi. Egli s’era potuto accorgere che le due mani s’erano unite di nuovo sotto il tavolo ed era stato colpito dall’espressione affettuosa con cui Angiolina guardava l’ombrellaio Emilio aveva ragione; quegli occhi crepitavano come se nella loro fiamma qualche cosa bruciasse. Il Balli invidiò l’ombrellaio. Come egli si sarebbe trovato meglio a quel posto che non al proprio!

Giulia lo salutò: – Buona sera! – Egli fu indignato all’accorgersi ch’ella si aspettava di essere avvicinata da lui. Per poter stare con Emilio e con Angiolina egli l’aveva sopportata per una sera. Lentamente uscì, salutando Angiolina con un breve cenno del capo. Ella s’era quasi rannicchiata al suo posto per sembrare lontana dal suo compagno e guardava il Balli con grandi occhi espressivi, pronta a sorridergli solo ch’egli gliene avesse dato l’esempio. Ma egli non sorrise e, guardando altrove, senza rispondere ad un saluto dell’ombrellaio, passò oltre. «Come siamo stati espressivi! », pensò. «Ella m’ha pregato di non parlare ad Emilio di quest’incontro ed io le ho risposto che gliene avrei parlato non appena lo avessi veduto. »

Guardò di nuovo l’ombrellaio, in mezzo a quella calvizie e a quel pelo una faccia di cuor contento. – Oh, se Emilio l’avesse vista!

– Buona sera signor Balli – sentì dietro di sé un saluto riverente. Si volse. Era Michele. Capitava in buon punto.

Con sùbita decisione, il Balli lo pregò di andare da Emilio Brentani; se era in casa di condurlo subito con sé, e se non c’era di attenderlo finché non fosse venuto. Michele si prese appena il tempo di ascoltare l’ordine e si mise a correre.

Impaziente, il Balli s’appoggiò ad un albero di faccia al caffè. Avrebbe saputo impedire lui che Emilio se la prendesse con l’ombrellaio o con Angiolina. Sperava di saper renderlo calmo e libero per sempre da quel legame.

Giulia era venuta alla porta e guardò attentamente a sé d’intorno; ma, trovandosi in piena luce e il Balli nell’ombra, non lo scorse. Il Balli stette immobile non importandogli di celarsi. Giulia rientrò e uscì poi accompagnata da Angiolina e dall’ombrellaio che ora non osava più tenere per mano la sua amata. Si diressero con passo più celere verso il caffè Chiozza. Fuggivano! Fino al Chiozza il compito del Balli restò facile perché Emilio doveva venire per quella via; ma quando piegarono a destra, verso la stazione, allora il Balli si trovò in grande imbarazzo. L’impazienza lo rese iroso. – Se Emilio non viene in tempo, congedo Michele.

Fino a un certo punto fu aiutato dalla sua ottima vista. – Ah, canaglie! – mormorò irritato accorgendosi che l’ombrellaio si sentiva di nuovo sicuro tanto da riafferrare la mano d’Angiolina. Poco dopo li perdette di vista nell’ombra proiettata dalle alte case, e quando capitò finalmente Emilio, sapendo di non poter più raggiungerli, lo accolse con le parole: – Peccato! Hai perduto uno spettacolo che sarebbe stato salutifero per te. Poi si mise a canticchiare. – Si, vendetta, tremenda vendetta… e, forse sperando ch’essi si sarebbero fermati ad aspettarli, trascinò seco Emilio verso la stazione.

Emilio aveva capito che si trattava di Angiolina. Acconsentì a camminare accanto al Balli facendo delle domande come se non avesse avuto il più lontano sospetto della verità. Poi comprese: il nodo che gli serrava la gola era prodotto dal duro ridicolo che lo colpiva. Oh, prima di tutto liberarsi da quello! Si fermò ostinato. Voleva sapere di che cosa si trattasse altrimenti non si sarebbe mosso di là. Gli dicesse tutto con franchezza. Si trattava di Angiolina nevvero? – Tutto quanto me ne puoi dire tu non arriva certo a quanto ne so io – e rise. – Cessa dunque da questa commedia.

Fu soddisfatto di se stesso specialmente quando si accorse d’aver subito ottenuto dal Balli quello che voleva. Divenuto serio, costui gli raccontò del caso per cui s’era imbattuto in Angiolina e l’aveva colta in flagrante. In un’alcova la cosa non sarebbe potuta essere più chiara. – Quell’uomo era là per Angiolina e non per Giulia, anzi Angiolina era là per lui. Come gli accarezzava le mani e come la guardava! Non era mica il Volpini, sai. – S’interruppe per guardare Emilio ed esaminare se forse la calma che gli scorgeva non fosse derivata dalla presunzione che l’uomo col quale lo si tradiva fosse il Volpini

Emilio continuava a prestar orecchio fingendo di essere sorpreso da tale notizia. – Ne sei poi sicuro? – chiese coscienziosamente. Sapeva che il Volpini non si trovava a Trieste, e perciò non aveva neppure pensato a lui.

– Oh, bella! Conosco il Volpini e poi conosco anche quest’altro. L’ombrellaio di Barriera Vecchia. Quello delle ombrelle ordinarie, colorite. – Qui venne una descrizione particolareggiata dell’ombrellaio alla doppia luce gialla del gas e degli occhi di Angiolina. Calvo e pur tanto nero! – E’ un mostro in natura perché resta nero in qualunque luce lo si vegga. – Il Balli terminò il suo racconto: – Giacché non v’è ragione di aver compassione di te, ne provo unicamente per quella povera Giulia. L’ombrellaio non ha un amico come me cui addossare le brutte appendici delle sue belle avventure. Fu lei la maltrattata! Dovette contentarsi di un bicchierino di rosolio, mentre Angiolina con grande apparato si fece dare un cioccolatte e una grande quantità di focacce.

Ed Emilio sembrava prendere interesse a tutte le spiritose osservazioni dell’amico. Non aveva più neppur bisogno di sforzo per simulare indifferenza; si era quasi cristallizzato nel primo sforzo e avrebbe potuto dormire conservando stereotipato quel sorriso e quella calma. Era tale quella simulazione da penetrare molto più in là dell’epidermide. Invano egli cercava in se qualche cosa d’altro fuori di essa, e non trovava che una grande stanchezza. Nient’altro! Forse la noia di sé, del Balli e d’Angiolina. E pensò: «Quando sarò solo starò certo meglio di così».

Il Balli disse: – Adesso andiamo a dormire. Tu sai già dove potrai trovare Angiolina domani. Le dirai poche parole d’addio e poi la sia finita come tra me e Margherita.

Il suggerimento era buono; tuttavia forse non ci sarebbe stato bisogno di darlo. – Sì, farò così – disse Emilio. Con sincerità aggiunse: – Forse non domani però. – Avrebbe voluto dormire lungamente indomani.

– Va là che sei degno mio amico – disse il Balli con profonda ammirazione. – In una sola sera hai riconquistata tutta la stima che avevi perduta con le sciocchezze commesse nel corso di più mesi. Mi accompagni verso casa mia?

– Un piccolo tratto – disse Emilio sbadigliando. – E’ tardi ed io ero là là per coricarmi allorché fui chiamato da Michele. Evidentemente deplorava quella chiamata intempestiva.

Non si ritrovò neppure quando fu solo. Che cosa gli restava da fare per quella sera? Si diresse verso casa per andare a coricarsi.

Ma, giunto al Chiozza, si fermò a guardare verso la stazione, la parte della città ove Angiolina faceva all’amore con l’ombrellaio. – Eppure – pensò e pensò l’idea e le parole – sarebbe bello ch’ella passasse per di qua ed io potessi subito dirle che fra di noi tutto è finito. Allora sì che tutto sarebbe finito ed io potrei andare a dormire veramente calmo. Per di qua deve passare!

S’appoggiò ad un paracarro e quanto più attendeva, tanto più forte si faceva la sua speranza di vederla quella stessa notte.

Per essere pronto pensò anche le parole che le avrebbe dirette. Dolci. Perché no? – Addio Angiolina. Io volevo salvarti e tu mi hai deriso. – Deriso da lei, deriso dal Balli! Una rabbia impotente gli gonfiò il petto. Finalmente egli si destava e tutta la rabbia e la commozione non lo addoloravano tanto come l’indifferenza di poco prima, una prigionia del proprio essere impostagli dal Balli. Dolci parole ad Angiolina? Ma no! Poche e durissime e fredde. – Io sapevo già ch’eri fatta così. Non mi sorprese affatto. Domandalo al Balli. Addio.

Camminò per calmarsi perché al pensare quelle fredde parole s’era sentito bruciare. Non offendevano abbastanza! Con quelle parole non offendeva che se stesso; si sentiva venire le vertigini. – Così si uccide – pensò – non si parla. – Una grande paura di se stesso lo calmò. Sarebbe stato ugualmente ridicolo anche uccidendola, si disse, come se egli avesse avuto un’idea da assassino. Non la aveva avuta; ma, rassicuratosi, si divertì a figurarsi vendicato con la morte di Angiolina. Quella sarebbe stata la vendetta che avrebbe fatto obliare tutto il male di cui ella era stata l’origine. Dopo, egli avrebbe potuto rimpiangerla, e lo pervase una commozione che gli cacciò le lagrime agli occhi.

Pensò che con Angiolina egli avrebbe dovuto seguire lo stesso sistema adottato col Balli. Quei due suoi nemici dovevano essere trattati nello stesso modo. A lei egli avrebbe detto che non l’abbandonava causa il tradimento ch’egli s’era atteso, ma per il sozzo individuo ch’ella aveva scelto a suo rivale. Egli non voleva più baciare dove aveva baciato l’ombrellaio. Finché s’era trattato del Balli, del Leardi e magari del Sorniani, aveva chiuso un occhio, ma l’ombrellaio! Nell’oscurità studiò la smorfia di schifo con cui avrebbe detta questa parola.

Qualunque parola egli immaginasse di dirigerle, sempre veniva colto da un convulso riso. Avrebbe continuato a parlarle così tutta la notte? Era dunque necessario di parlarle subito. Ricordò ch’era probabile che Angiolina rincasasse dalla parte di via Romagna. Col suo passo rapido egli avrebbe ancora potuto raggiungerla. Non aveva finito di pensare tutto questo e, già, lieto di poter prendere una decisione che tagliasse il dubbio che gli annebbiava la mente, si mise a correre. Il movimento dapprima gli diede un po’ di sollievo. Poi rallentò il passo reso esitante da una nuova idea. Se essi rincasavano da quella parte, non sarebbe stato più sicuro, per ritrovarli, di salire alla via Fabio Severo dalla parte del Giardino Pubblico e discenderne andando loro incontro per via di Romagna? La corsa non gli faceva paura e avrebbe impreso quel giro enorme; ma in quella gli parve di veder passare dinanzi al caffè Fabris Angiolina accompagnata da Giulia e da un uomo che doveva essere l’ombrellaio. A tanta distanza riconobbe la fanciulla saltellante graziosamente come quando voleva piacere a lui. Cessò di correre perché aveva tutto il tempo per raggiungerli. Poté anche pensare senza esasperarsi le parole che le avrebbe dirette subito. Perché circondare quell’avventura di tanti particolari e pensieri strani? Era un’avventura solita, e di là a pochi minuti sarebbe stata liquidata nel modo più semplice.

Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
30 ağustos 2016
Hacim:
260 s. 1 illüstrasyon
Telif hakkı:
Public Domain
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 5, 1 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre