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Kitabı oku: «Una vita», sayfa 9

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– Bisognerebbe riflettere a lungo.

– Ci vuole tanto? Racconteremo la sua vita, – e qui si trovava ancora perfettamente nella prima idea. – Naturalmente invece che impiegato la faremo ricco e nobile, anzi soltanto nobile. La ricchezza serbiamo per la chiusa del romanzo.

Con un solo balzo leggiero la prima idea era stata abbandonata del tutto.

– Bisognerebbe lasciar tempo all’immaginazione!

– Ah! sì! – disse Annetta con la sorpresa di uno scolaretto cui venisse ricordata una massima dimenticata. – Sa cosa faremo? Ognuno per suo conto, indipendentemente del tutto dall’altro, metterà in carta le sue idee. Poi le confronteremo e ci metteremo d’accordo.

La proposta piacque immensamente ad Alfonso ed ebbe delle espressioni di gioia tanto ingenua che fece sorridere Annetta dalla compiacenza. Gli balenarono alla mente alcune buone idee per il romanzo ch’egli riteneva di aver compreso come dovesse essere per risultare conforme al desiderio di Annetta. Non vedeva che queste piccole buone idee, non il tutto. Non pensava del resto alla stampa e al pubblico. Per il momento non mirava ad altro che a fare buona figura con Annetta.

Parlarono dei lavori che fino allora avevano fatto. Annetta descrisse un suo romanzo, la biografia di una donna unita a un uomo non degno di lei. Si trattava di un’anima d’artista che col tempo faceva sì che il carattere del marito mutasse, e i due finivano coll’intendersela e vivevano insieme per molti anni in una felicità perfetta.

Ad Alfonso l’argomento non piaceva, ma Annetta accentuava che non poteva dire tutto quanto aveva scritto, che qui aveva descritto con grande accuratezza un paesaggio, là un’abitazione e Alfonso si mise ingenuamente ad ammirare quello che non c’era.

Alfonso descrisse il suo lavoro sulla morale. Parlandone gli pareva di averlo fatto tutto e seguendo un sistema opposto a quello di Annetta descrisse anche quello che non aveva fatto. Le indicò il nocciuolo dell’opera, la negazione anzitutto della morale come tutti l’intendono fondata su una legge religiosa o sul bene individuale.

– Se in una società fondata sulle nostre idee morali, – disse Alfonso – si trovasse un individuo avente l’energia di porsi al disopra di tutte queste idee, starebbe meglio di tutti, naturalmente avendo l’intelligenza superlativa occorrente per agire con astuzia e abilità nelle circostanze anormali nelle quali ben presto si troverebbe.

Annetta lo guardava meravigliata della singolare arditezza di tale assioma esposto con quella voce ch’ella fino a poco tempo prima non aveva udito che in un balbettio timido e tronco. Poi, con meno parole e meno energia, egli parlò anche del nuovo fondamento ch’egli voleva dare alla morale. L’esposizione della prima parte del suo lavoro aveva fatto impressione e non poteva sperare di ottenere un effetto eguale con l’altra in cui non si trattava di annientare delle leggi ma di fabbricarne, cosa noiosissima.

La gioia di vedersi legato in qualche modo ad Annetta fu tale che credette di poter correre a casa e stendere alla brava tutto l’argomento di un romanzo, fissandone anche i capitoli. Era cosa sorprendente quella di essere divenuto tutto ad un tratto il collaboratore di Annetta, e quando ripensava ai sentimenti per lui che nella settimana precedente egli le aveva attribuiti, gli sembrava cosa addirittura incredibile. Se si fosse imbattuto subito in Macario gli avrebbe gettato le braccia al collo per ringraziarlo della grande felicità di cui gli andava debitore e con l’espansione che dà la felicità gli avrebbe raccontato della proposta di Annetta e del valore ch’egli attaccava a tale proposta.

Intanto quella stessa sera una parte del suo entusiasmo venne raffreddato. Stese l’argomento nel minimo spazio possibile: «Un giovane nobile impoverito viene a cercare fortuna in città… perseguitato dal principale e dai compagni… amato da costoro perché con atto intelligente salva la casa da grossa perdita… sposa la figlia del principale.» L’argomento in sé non era originale di molto, ma quello che più gli dispiacque fu la chiusa del romanzo che da Annetta non era stata neppure proposta per quanto naturalmente derivasse dalle premesse. Quel matrimonio poteva sembrare una proposta e allarmare Annetta rendendolo sospetto di scopi simili a quelli del loro eroe. S’accorse inoltre, allorché ebbe la penna in mano, che non sapeva per bene che cosa veramente Annetta volesse. S’erano ambidue accontentati di mezze parole, egli perché nella sua felicità non s’era rammentato della cosa insignificante ch’era il romanzo, Annetta forse perché tanto inesperta da non sapere tutto quello che occorreva per fare un romanzo.

Si rivolse a Macario pregandolo di comunicare i suoi dubbî ad Annetta. Macario aveva l’accesso libero in casa Maller e poteva parlare con lei prima del mercoledì.

Ma Macario parve ne avesse poca voglia. Non celò la sua sorpresa all’udire della loro intenzione di fare un romanzo in collaborazione. Quantunque Alfonso si fosse già moderato, avesse compreso che non era dignitoso di dimostrare troppa gioia e gli sembrasse anche che gli era riuscito di apparire molto freddo, Macario lo guardò con un cattivo sorriso ironico dicendogli:

– Le mie congratulazioni!

Alfonso accompagnò Macario al suo ufficio. Macario sembrava molto distratto e quando egli gli disse con serietà che si sentiva onorato dalla proposta di Annetta e che voleva corrispondere a tanta fiducia con un lavoro continuo e accurato, Macario si coprì la bocca con la mano come se avesse avuto da celare uno sbadiglio. Alfonso era abbastanza buon osservatore per non credere a quello sbadiglio; aveva veduto sotto la mano la bocca aperta ma inerte, non contratta dal movimento istintivo. Macario era geloso! Tanto la distrazione quanto lo sbadiglio erano affettati, intesi a nascondere un’ira, un dolore.

Alfonso continuò a parlare col medesimo calore perché quando s’accorgeva di qualche cosa che gli si voleva nascondere, sua prima cura era di dissimulare d’essersene accorto.

– Mi faccia il piacere di dire alla signorina Annetta ch’io sono disposto a cominciare subito il lavoro, ma che mi occorrerebbe di sapere un poco più precisamente quello che ho da fare.

– Va bene! – disse Macario che ad Alfonso sembrò un poco più pallido del solito – quando avrò l’occasione di vederla, glielo dirò.

Gli dispiacque di aver parlato con Macario. Certo era che sull’amicizia di Macario egli non poteva più contare. Forse Macario non amava Annetta, Alfonso non poteva saperlo, ma era geloso di lui anche se solo per carattere geloso. Egli non aveva capito prima questo carattere perché era la prima volta che a Macario poteva aver dato ragioni di gelosia. Per il suo spirito e per la sua posizione sociale, Macario doveva essersi sentito sempre superiore a lui, ed era probabilmente appunto per avere più di spesso la soddisfazione di sentire e far sentire tale superiorità che aveva ricercato la sua compagnia. Probabilmente Macario lo aveva portato in casa Maller supponendolo tanto timido da non poter giungere giammai alla confidenza e all’amicizia di Annetta.

S’era dunque confidato ad un nemico e già gli aveva dato la possibilità di nuocergli, perché era probabile che Annetta desiderasse non si risapesse del loro progetto. Per quanto avesse voluto simulare freddezza, la sua gioia doveva essere trasparita e Macario era uomo capace di descriverla con esagerazioni ad Annetta. Lo vedeva riferire qualche frase sollevando quella sua mano talvolta più maligna della sua lingua e si figurava che bastasse per togliergli l’amicizia di Annetta, conquistata con tanta fatica. Si rammentava come era stato trattato quell’impiegato che aveva osato di corteggiare Annetta.

Anche quegli otto giorni furono poco aggradevoli, perché il timore di venir tacciato di poca delicatezza gli tolse la gioia dell’improvvisa amicizia di Annetta. Aveva atteso inutilmente di giorno in giorno qualche comunicazione da Macario in risposta alla domanda che gli aveva fatta; dunque costui non si curava neppure di celare il suo malvolere! Sembrava lo evitasse, perché in tutta la settimana non gli riuscì di vederlo.

Si recò da Annetta ansioso di apprendere come si fosse contenuto Macario; lo avrebbe appreso dall’accoglienza che gli sarebbe stata fatta.

Era adunata nel tinello tutta la compagnia composta di Fumigi, Spalati, Prarchi e Macario, e vi rimase per una mezz’ora anche Maller. Macario salutò Alfonso con un sorriso non cattivo, Annetta gli strinse la mano con calore. La sua amicizia non era diminuita dall’ultimo mercoledì. Alfonso venne portato improvvisamente ad altre idee ma non poté neppure gioire di essere stato tolto alle sue preoccupazioni perché la presenza di Maller lo disturbava, per quanto ne avesse avuto una stretta di mano amichevole per saluto.

Francesca sedeva in disparte sul canapè, con un ricamo in mano. Alfonso la salutò andando a lei che si alzò per dare maggior calore alla sua parola come sempre asciutta e alquanto brusca. Non si trovava mai in imbarazzo la signorina Francesca. Egli l’aveva udita parlare amichevole e allegra oppure irritata, sempre però brevemente con un fare deciso da persona che non si lascia imporre. Maller sedeva alla destra di Annetta, Spalati alla sinistra. Costui era sempre seduto accanto ad Annetta e sembrava che molto ci tenesse.

Alfonso, quantunque più degli altri turbato dalla presenza di Maller, poté notare quanto costoro mutassero il loro contegno per tale presenza.

Era l’epoca in cui quando si parlava di letteratura necessariamente si discuteva di verismo e di romanticismo, comoda questione letteraria a cui tutti potevano prendere parte.

Maller era partitante del verismo, però, volendo sembrare piuttosto spiritoso che dotto, confessava che i veristi gli piacevano più che altro perché non erano morali. Del resto faceva mostra di disprezzarli perché pensava che coi loro metodi fosse facile di giungere alla popolarità.

Spalati, di cui le massime, per quanto Alfonso ne sapesse, non dovevano troppo bene accomodarsi ai gusti di Maller, trovò subito il punto di vista dal quale poteva consentire al giudizio di Maller:

– Sì, ella che legge unicamente per diletto ha ragione di trovarci gusto.

Prarchi volle fare troppo. Volle provare a Maller, che lo negava, che il piacere che trovava a leggere quegli autori immorali derivava da un senso artistico inconscio.

– Ella crede di amarli per la ragione che dice, ma è certo che, senza ch’ella se ne accorga, sono i pregi artistici di quei libri che glieli fanno piacere.

– Sarà come ella dice, – disse Maller che sembrava di non comprendere che i due letterati facevano del loro meglio per lusingarlo – non capisco però perché certe pagine, che io mi so, più mi piacciano. Saranno forse le più artistiche.

Se aveva compreso che lo si voleva adulare, derideva allegramente gli adulatori.

Quando Maller aveva cominciato a fare le sue confessioni letterarie, Annetta disse ad alta voce ad Alfonso:

– Stia attento perché ne sentirà delle grosse.

Alfonso stette meno attento precisamente perché agitato dalla frase che in quel generale discorrere gli perveniva come un regalo inaspettato.

Maller ben presto si alzò e salutò tutti con un inchino. Si diresse verso Francesca seguito dallo sguardo attento di Alfonso. Sembrava che Francesca non si accorgesse ch’egli si avvicinava, ma quando le fu vicino, senza curarsi di affettare sorpresa, alzò gli occhi dal lavoro, lo guardò calma e gli stese la manina ch’egli altrettanto calmo strinse nella sua:

– Perché si rovina la vista facendo di tali lavori?

Ella ritirò la mano ch’egli ancora avrebbe trattenuto:

– Non mi fa male.

Quando Maller passò ancora una volta dinanzi al tavolo per uscire, gli uomini si alzarono per salutare. L’unica che alla sua uscita non aveva né da sentirsi sollevata né da mutare contegno era Annetta.

Soltanto all’atto di congedarsi, Annetta sottovoce chiese ad Alfonso a che punto fosse il romanzo.

– Non ho saputo far nulla perché c’è il guaio che ancora non so che cosa fare.

Dopo aver riflettuto per un istante, Annetta gli disse a bassa voce:

– Venga domani alle sette; può?

– Certo! – e si sentì battere il cuore.

Così a bassa voce si davano anche gli appuntamenti amorosi.

XII

Alfonso venne accolto da Santo sulle scale.

– L’attendevo, – disse costui sorridendogli con grande amicizia.

Lo trattava con rispetto, lasciandogli il passo alle porte e inchinandoglisi profondamente dopo di avergli aperta la porta della biblioteca. Anche alla banca coglieva ogni occasione per provargli la sua deferenza.

In biblioteca trovò Annetta e Francesca, questa sul suo eterno ricamo, quella scrivendo.

– Facevo il primo abbozzo, – gli disse Annetta. – Venga, venga, mi aiuterà perché da sola non ci riesco.

Gli pose d’innanzi la carta, piccola e elegante carta da lettera, e una penna.

– Starà maluccio ma il posto è sufficiente quando c’è tanta voglia di fare come da noi due.

Il tavolo era troppo basso e non c’era posto perché ella non s’era curata di asportare giornali. Francesca supplì alla dimenticanza di Annetta.

– Capisco che se non vi aiuto, da soli non ne verreste a capo.

Prese un fascio di giornali e lo gettò in un canto.

Sembrava che le relazioni fra le due donne fossero migliorate. Francesca non aveva più l’aspetto da sofferente quantunque sul suo volto, ch’era sempre pallido, soltanto le labbra fossero meno bianche, e Annetta non evitava di rivolgerle la parola.

– Bada di non voler mettere la tua idea nel romanzo, perché si può ammettere di fare un romanzo in due ma non in tre.

Avevano anzi il desiderio di rivolgersi la parola di spesso come due persone che ad ogni istante bramano di rammentarsi che non si tengono più il broncio.

– Un paio di parole di prefazione! – disse Annetta con qualche gravità. – Vorrei spiegarle il metodo che penso si dovrebbe seguire nel lavoro per non lasciarvi troppo chiare le traccie di due menti, di due intenzioni differenti. Naturalmente che prima di tutto bisognerà far sì che le due intenzioni sieno meno differenti che sia possibile. Sarà la cosa più difficile, ma con qualche concessione da una parte e dall’altra credo che ci si arriverà. In quanto al metodo, bisognerà semplicemente dividere il lavoro.

Con mano nervosa tracciò dei cerchi sulla carta che aveva dinanzi per render chiara quest’idea della divisione. Aveva però delle esitazioni, almeno essa lo asseriva, per spiegare come la divisione dovesse venir fatta nel caso concreto, perché temeva che la parte ch’ella gli riserbava fosse trovata da lui inferiore di troppo.

– Dica senza riguardi, – le disse Alfonso con un sorriso e arrossendo, – di lavorare m’importa assai, ma non tanto da farmi dimenticare ch’è già un onore per me di essere stato chiamato a suo collaboratore.

Il complimento non era stato detto male e Annetta ringraziò.

– Ecco, ella ha idee buone, questo lo sappiamo, e a lei daremo da proporre e sviluppare idee. Io che conosco meglio la società farò il dialogo e farò la descrizione. Ella visse già sempre fra libri.

Anche quest’osservazione era stata fatta per consolarlo di avergli negato la conoscenza della società. Molto lusingato, Alfonso accettò la proposta. Ogni singolo capitolo doveva venir fatto da lui prima e poi rifatto da Annetta.

– Spero almeno di essere da tanto di poter riconoscere e lasciare intatte le buone idee. – Più modesta non si poteva essere. – Oh! questo è stabilito! – ed ebbe un sospiro di soddisfazione come se con ciò parte del romanzo fosse stata terminata.

– Passiamo ora a stabilire il soggetto!

Anche qui bisognava fare delle premesse. Era necessario tenersi presente, avvertì Annetta, che a loro occorreva il successo. Avrebbero pubblicato con uno pseudonimo ma, se non c’era il successo, il piacere di tale pubblicazione sarebbe stato troppo piccolo. Non desideravano la gloria futura e non pensavano affatto alla posterità, ma volevano il pronto successo.

– Anche per raggiungere questo successo io so il metodo. Non ci vuole mica tanto, sa! Sono stata ad osservare per qualche anno quali opere avessero riportato il maggior successo a teatro o nel mondo dei lettori ed ho trovato che tutte erano fatte secondo la stessa ricetta: L’orso domato. Fa poco che l’orso sia uomo o donna, bisogna che venga domato per forza di amore.

Anche Alfonso dovette convenire che gli era già accaduto di commuoversi su lavori siffatti, commozione però che mai non aveva diminuito il suo disprezzo per il lavoro e per l’autore. Non era però il momento di far mostra di tale disprezzo. Giammai Annetta non gli era piaciuta tanto. China a scrivere, i capelli bruni, lisci, ravviati semplicemente, nella mano leggiadra la penna, la vedeva per la prima volta del tutto dimentica della sua bellezza, noncurante di piacere o meno, le labbra chiuse e la fronte increspata, la testa nobile in nobile atteggiamento.

Tutto accettò Alfonso. Con rapidità fenomenale ella aveva steso l’indicazione in succinto del contenuto dei primi dieci capitoli, poi, in due parole, l’idea generale degli altri. Egli non vi scorgeva né una posizione né un’idea originale, ma dinanzi al primo entusiasmo di Annetta ogni più piccolo dubbio sarebbe sembrato offensivo. Del resto gli sarebbe sembrato prematuro di dare dei giudizii; l’esecuzione poteva migliorare il soggetto.

Quando si trovò solo dinanzi al lavoro che s’era obbligato di fare ne sentì anche più fortemente la volgarità. L’orso era di genere femminino questa volta. Annetta aveva proposto il romanzo di una giovine nobile che per essere stata tradita da un duca, nella prima ira, acconsente di sposare un ricco industriale. Non lo ama però e lo tratta con disprezzo. La virtù e l’alterezza dell’industriale, un brav’uomo di una robustezza di muscoli grande quanto la mitezza del suo carattere, finiscono col trionfare dell’avversione della moglie e i due vivono felicemente insieme per lunghi e lunghi anni. Nell’abbozzo di Annetta erano segnate delle «scene» là dove le sembrava di avere dei punti di grande effetto, e così somigliava anche maggiormente all’abbozzo di una commedia, la commedia di ogni sera.

Però il primo capitolo quantunque saltasse a piè pari in argomento, perché Annetta diceva che le lunghe preparazioni annoiano il pubblico, era indicato con parole tanto poco precise che Alfonso poté farne un capitolo di suo gusto.

«Clara, una contessina, apprende che il duca sposa la figliuola di un bottegaio; sua disperazione.» Bisognava raccontare i precedenti di tale situazione ed era quindi un altro romanzo in cui Alfonso aveva la mano libera. In poche parole espose lo stato d’animo della madre che riceve l’annuncio del matrimonio del duca e ne dà comunicazione alla figlia non sapendo quale tempesta tale notizia debba sollevare nel cuore della povera fanciulla, la quale sopporta il colpo con dignità e si sfoga soltanto quando si ritrova sola nella sua stanza. Là però, oltre che sfogarsi, pensa con dolore ai tempi passati, alla prima fanciullezza trascorsa col duca ch’era suo cugino, un bambino feroce che spesso l’aveva battuta ma che se ne era fatto amare. E giù una descrizione che ad Alfonso sembrò riuscita, dolce come un idillio. Erano brevi tocchi come se l’autore fosse stato persona che per altre gravi preoccupazioni non avesse saputo rivolgere tutta la sua attenzione al racconto e avesse lasciato correre la penna sulla carta, dandole ad ogni tratto la direzione e non inquietandosi di troppo se presto l’abbandonava. Egli sapeva che a questo modo tutto il romanzo non poteva venir condotto, ma intanto il capitolo era fatto.

Lo consegnò ad Annetta il mercoledì e Annetta raccontò a tutta la compagnia del lavoro ch’ella ed Alfonso imprendevano a fare. Spiegò poi a Spalati e a Prarchi perché non avesse scelto loro invece di Alfonso. Al primo disse che non lo aveva scelto perché col proprio professore si lavorava timidamente; aveva escluso Prarchi invece perché troppo risolutamente verista. Prarchi asserì ch’era meno verista di quanto egli stesso si dicesse e che per l’occasione avrebbe saputo sacrificare tutto quello che nelle sue opinioni vi fosse stato di esagerato. Parlò seriamente, proprio come se fosse stato ancora in tempo di convincere Annetta a recedere dalla sua risoluzione. Poi si mise a ridere:

– Per l’occasione sarei stato capace di collaborare ad un romanzo del tutto romantico.

Alfonso notò questo detto come un avvertimento per lui.

Fumigi accompagnò Alfonso per un tratto di via. S’informava con timidezza sul loro modo di lavorare e sembrava s’interessasse molto all’argomento del romanzo, ma quando affettando indifferenza e guardando altrove chiese quante volte alla settimana si trovassero insieme, Alfonso provò la stessa sorpresa che gli aveva dato lo sbadiglio di Macario:

– Sono dunque tutti innamorati di Annetta?

Come erano rimasti d’accordo, andò da Annetta la sera dopo. La trovò in biblioteca che scriveva. Vedendolo fece un movimento d’impazienza soddisfatta. Poi però spinse in disparte il manoscritto e cercò di parlare d’altro, del tempo meravigliosamente mite per quella stagione. Alfonso, che non conosceva alcun motivo ad esitazioni, con un sorriso che domandava compatimento le chiese come le fosse piaciuto il suo capitolo. Era già poco lusinghiero ch’ella per prima non ne avesse intavolato il discorso.

– Non mi piacque! – gli disse Annetta guardandolo amichevolmente in modo da attenuare la crudezza della sua frase. – È bello di certo, ne riconosco i pregi, ma è grigio.

Gli raccontò che s’era messa a correggerlo ma che non le era riuscito, e che risolutamente aveva dovuto rifarlo perché doveva confessare che neppure allora sapeva per bene che cosa a quel capitolo mancasse.

– È fatto tutto di un pezzo!

Con questa espressione critica si entusiasmò perché sapeva che le cose fatte tutte di un pezzo meritavano lode, e ad Alfonso il cuore batté più leggiero.

– È però grigio, molto grigio. Chi vuole che legga volentieri queste filze di pensieri senza interruzione e senza ornamento? E poi ella racconta troppo poco; descrive continuamente anche quando crede di raccontare. Con questa premessa come faremo noi a andare avanti? C’è descrizione per mille parole e racconto per una, mentre era preferibile che fosse viceversa. Era più importante di esporre la base del romanzo, le prime idee di Clara al matrimonio con quell’industriale e il vecchio amore di costui per essa, che di descrivere quel salotto che il lettore non ha più da rivedere e dare tanti particolari sull’infanzia di Clara.

Gli lesse il suo lavoro. Evidentemente per un gentile riguardo, qualche parola, qualche frase di Alfonso era conservata, ma parole e frasi tanto poco importanti ch’egli non seppe essergliene grato; precisamente quelle parti di cui più gli sarebbe importato non avevano trovato grazia.

Finito di leggere, Annetta lo guardò in attesa di un entusiastica approvazione, mentre ad Alfonso con grande sforzo riuscì di mormorare una lode che fu troppo fredda. La diminuì ancora, perché non sapendo nascondere il dispiacere di aver lavorato tanto, inutilmente e non trovando prontamente una via per dare sfogo a questo dispiacere senza offendere Annetta, quando gli sembrò di averla trovata la batté risolutamente non curandosi di esaminare prima dove andasse a finire. Non parlò del lavoro proprio o di Annetta in concreto, ma dopo aver detto che infatti quello di Annetta doveva piacere di più, attaccò le teorie, i propositi di Annetta. Era verissimo che con quelle teorie si sarebbe arrivati al successo, ma negava che valesse la pena di sagrificare ogni superiore scopo artistico a questa fame di un successo effimero.

– Scusi! – lo interruppe Francesca che zitta fino ad allora sembrava non seguisse il filo del discorso, – dal suo volto mi è sembrato di capire che il lavoro di Annetta non le sia dispiaciuto. Non dovrebbe quindi essere antiartistico nel modo che ella dice.

Ad Alfonso sembrò che Francesca accompagnasse la sua frase di un’occhiata che voleva forse invitarlo all’assenso e ne fu tanto sorpreso che non seppe subito distogliere lo sguardo da lei. Aveva collaborato anche Francesca a quel capitolo che lo difendeva? Era ora troppo chiaro che gli veniva imposto di ammirarlo ed egli con la buona grazia che seppe vi si adattò. Disse che il capitolo gli era piaciuto, che combatteva soltanto la massima. Il capitolo invece gli era sembrato brutto, nudo, declamatorio, e lo umiliò di essere costretto a fare quella dichiarazione esplicita; aveva abdicato al diritto di dire la sua opinione. Ebbe la meraviglia di vedere come Annetta non avesse alcun dubbio sulla sincerità della sua dichiarazione. Era dunque stabilito, ella gli disse, quel capitolo rimaneva intatto e per gli altri capitoli si sarebbe andati d’accordo nel modo istesso.

E infatti nel modo istesso ma più facilmente si andò d’accordo per il secondo e per il terzo capitolo. Alfonso li fece cercando d’imitare Annetta e Annetta li rifece senza molto curarsi della prima versione.

C’era in questa situazione una parte aggradevole per Alfonso. Conquistata e fatta riconoscere la sua superiorità, Annetta, essendosi accorta probabilmente che la sommissione costava molto ad Alfonso, volle compensarnelo dimostrandogli maggiore amicizia, talvolta anche una protezione commossa da persona superiore, una specie di affetto materno. Lo derideva per le sue debolezze, lo descriveva come un piccolo orso che non sapeva fare complimenti e che mancava di diplomazia; una sera disse agli amici del mercoledì, lui presente, che probabilmente c’erano già stati filosofi maggiori di Alfonso, ma nessuno che come lui avesse preso sul serio la filosofia e vivesse conformemente ai suoi dettami. Ne derivò – questo però quando furono a quattr’occhi – l’aggettivo di «rospo». Rospo quando balbettava mezza frase e non sapeva dirla tutta, rospo quando diceva che un successo letterario valeva poco perché veniva fatto dagl’ignoranti, infine rospo gli diceva quando egli le portava il suo abbozzo fatto per esser gettato via. Gli diceva questa parola con un sorriso così buono, guardandolo con ammirazione come un originale meritevole di venir studiato… ma non letto, sì che egli stava rigido, parlava poco, smozzicava le parole per meritarsi più volte tale qualifica. Ella rimase sempre ferma al suo primo giudizio, che Alfonso bensì disponesse di un maggior numero d’idee elevate, ma che non sapesse unirle a farne un buon romanzo. Era troppo greve e troppo grigio. Prima o poi si sarebbe conquistato un bel nome con qualche buona opera filosofica ma con romanzi no, era cosa troppo leggiera per lui.

Però le noie del lavoro non erano piccole. Al secondo capitolo c’era una scena coniugale terribile fra Clara e il marito nella stanza nuziale, ma al terzo già, e ciò per volere espresso di Annetta, ambidue gli sposi sapevano di amarsi, mentre una grande, immensa fierezza li teneva ancora divisi. Tutto il resto del romanzo doveva trattare di queste due fierezze che bisognava domare perché questo era l’argomento del romanzo. Almeno avesse trattato di queste due fierezze, ma Annetta voleva innestare al romanzo mille altre storielle che coll’argomento principale nulla avevano da fare. Entravano in scena il suocero dell’antico fidanzato, il bottegaio, la moglie del nobile, la rivale di Clara, poi anche un fratello di Clara e una sorella dell’industriale i quali finivano con lo sposarsi, e infine diversi altri personaggi che prendevano parte a una commediola politica, un’elezione fatta per ingrossare la novelluccia a romanzo. Alfonso aveva proposto di omettere tutta questa roba inutile e di lasciare le due fierezze che Annetta aveva volute, una di fronte all’altra a sbrigarsela fra di loro; ne poteva ancora risultare una buona analisi della fierezza. Ad Annetta la proposta sembrò addirittura comica. Capitolo per capitolo doveva comporsi di lunghe chiacchierate, lotte fra le due donne, Clara e la moglie del nobile; ogni capitolo poi doveva essere adornato da una o più occhiate di amore fra marito e moglie. Si restava sempre là.

Il lavoro, per Alfonso, cominciava a somigliare straordinariamente al lavoro bancario. Alla sera vi si metteva con uno sbadiglio, lottando col sonno, unicamente attento a tenersi strettamente a quanto Annetta gli aveva ordinato di fare, lieto quando aveva terminato. Talvolta la noia del lavoro era tale che finiva coll’andare da Annetta senz’aver fatto nulla. All’ultima ora non aveva lavorato, risolvendo di mandare a scusarsi il giorno appresso e rinunziare di vederla per quel giorno pur di non aver da scrivere quella roba. Ma non sapeva rinunziare a vederla e andava da lei trovando qualche altra scusa.

Annetta lo accoglieva sempre gentilmente e non gli moveva un solo rimprovero. Gli faceva leggere quello ch’ella aveva fatto e poi lo lasciava parlare d’altro. Non le dispiaceva di sentirlo parlare. Egli non aveva più che timidezze di proposito perché aveva capito che certe timidezze con Annetta era bene di conservarle. Quando stava per lasciarle si rammentava degli avvertimenti di Macario, di quel piccolo cenno di Francesca, infine del contegno di Spalati, il più vecchio amico di Annetta, il quale se si prendeva delle libertà, lo faceva sempre con un aspetto tanto più rispettoso quanto la parola era libera. Era tanto abile Spalati che le mancava di rispetto soltanto quando l’adulava. Le sue adulazioni pigliavano in tal modo un aspetto ardito che le faceva apparire sincere. Era capacissimo di dirle ch’ella usava troppo l’aggettivo come Victor Hugo. Alfonso aveva capito il metodo, e il contegno gli era facilitato dalla comodità di poter simulare il carattere che gli era stato attribuito. Dimostrando disprezzo per le forme esteriori, gli era lecito di trascurarne qualcuna, e poi non era il culto di tali forme che Annetta esigeva. Occorreva saper dimostrarle a tempo debito un briciolo di ammirazione o di entusiasmo.

Erano le serate più divertenti quelle in cui del romanzo nulla affatto si parlava, ma Alfonso s’accorse che a lungo andare la lentezza nel lavoro poteva dispiacere ad Annetta. Ne venne avvisato anche da Francesca che una seconda volta dimostrò di volerlo dirigere nella sua relazione con Annetta.

Lo accolse essa una sera, Annetta essendo ancora nella sua stanza.

Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
30 ağustos 2016
Hacim:
440 s. 1 illüstrasyon
Telif hakkı:
Public Domain
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