Kitabı oku: «Il Segreto Dell'Orologiaio»
Il segreto dell'orologiaio
Jack Benton
Traduzione di Francesca Catani
Indice
disponibile e tradotto anche di Francesca Catani
Il segreto dell’orologiaio
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
Capitolo 41
Capitolo 42
Capitolo 43
Capitolo 44
Capitolo 45
Capitolo 46
Capitolo 47
Capitolo 48
Capitolo 49
Capitolo 50
Capitolo 51
Capitolo 52
Capitolo 53
Capitolo 54
Circa l'autore
"Il segreto dell'orologiaio" Copyright © Jack Benton / Chris Ward 2019
Traduzione Italiana di Francesca Catani
Il diritto di Jack Benton / Chris Ward di essere identificato come l'autore di quest'opera è stato da lui rivendicato in conformità con il Copyright, Designs and Patents Act 1988.
Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, memorizzata in un sistema di recupero o trasmessa, in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo senza previa autorizzazione scritta dell'Autore.
Questa storia è un'opera di finzione ed è un prodotto dell'immaginazione dell'autore. Tutte le somiglianze con luoghi reali o con persone vive o morte sono del tutto casuali.
disponibile e tradotto anche di Francesca Catani
L'uomo in riva al mare
Il segreto dell’orologiaio
1
L’escursione non stava andando secondo i piani.
Le imponenti pile di granito di Rough Tor si erano dimostrate essere una pessima bussola, snodandosi senza sosta lungo l’orizzonte, mentre Slim Hardy provava a rimettersi sul sentiero che l’aveva condotto dal parcheggio sino in cima alla collina.
Alla sua destra, un piccolo gregge di pony di brughiera bloccava l’accesso diretto al crinale e alle pile più alte. Con sguardo provocatorio, i pony osservavano Slim in ogni suo passo, mentre li fiancheggiava e si muoveva lentamente lungo il sentiero dissestato e paludoso, facendo attenzione alle pietre in granito che spuntavano tra i ciuffi di brughiera.
Slim sospirò. Era decisamente fuori strada: il lungo crinale di Rough Tor si ergeva dritto davanti a lui e la sommità pianeggiante di Brown Willy, con la sua distesa di rocce, appariva in lontananza, oltre un’ampia e dolce vallata. Per forza dell’abitudine, allungò la mano come per prendere la fiaschetta, che non portava più con sé, così scosse la mano, come per rimproverarsi della smemoraggine, e si sedette su una roccia per riprendere fiato.
Sulla cima del crinale, gli escursionisti che aveva seguito sin dal parcheggio saltavano giù dall’ammasso di pietre e si dirigevano verso Brown Willy. Come i due si allontanarono, Slim provò un improvviso senso di solitudine. In fondo alla discesa, c’erano tre auto nel parcheggio – e quel pastrocchio rosso che chiamava bicicletta – ma degli altri escursionisti, non vi era traccia. All’infuori dei pony, non vi era nessun’altro.
Dopo aver dato un morso ad un vecchio panino e aver bevuto un sorso d’acqua, Slim alzò gli occhi alla cima, lacerato dal dubbio. Lo aspettava un’intensa pedalata, lungo tortuosi e dissestati sentieri di campagna, e la batteria del suo faretto era scarica. Come si girò, però, un raggio di sole trafisse le nuvole e, in lontananza, verso sud, La Manica iniziò a risplendere fra le colline. A nord-ovest, Slim provò ad intravedere l’Atlantico, ma un banco di nebbia aleggiava sui campi, offuscando l’intero panorama, meno un minuscolo triangolo grigio, che forse era l’oceano.
Cimentandosi in un lungo grugnito, rimise lo zaino in spalla e riprese l’escursione, ma, dopo non più di un paio di passi, il suo stivale scivolò su una roccia traballante, facendolo sprofondare fino al ginocchio in una pozza d’acqua sporca. Con una smorfia, Slim liberò il piede dal fango e barcollò fino a raggiungere un lenzuolo di terra asciutta.
Mentre toglieva e svuotava lo stivale sinistro, si lasciò sfuggire un ghigno nostalgico al ricordo di quel paio di calzini di ricambio che aveva lasciato sul letto della camera, così da far spazio al volume preso in prestito dalla libreria della pensione.
Ancora una volta le nuvole lasciarono intravedere velocemente il sole, che illuminò improvvisamente le pile di granito. Il gregge di pony si era spostato al di là della collina, lasciando aperto il passaggio per il crinale.
“Forza,” borbottò fra sé e sé. “Non sei uno che molla, vero?”
All’indossare nuovamente lo stivale, questo cominciò a cigolare, ma, nonostante tutto, dopo quindici minuti e senza perdere la smorfia sul viso, Slim finalmente raggiunse il crinale e si arrampicò sulle pile di granito, sino a raggiungere il punto più alto. La nebbia era salita e nascondeva tutto meno le pendici della collina. Le vecchie cave di caolino a sud-est non erano che fantasmi nella nebbia, avvolte da un lenzuolo grigio appeso sul mondo.
Con la sabbiolina lasciata dal fango – che tra le dita dei piedi sembrava carta vetrata – Slim si limitò a bere un sorso d’acqua prima di intraprendere la strada del ritorno. Una mite giornata primaverile si stava velocemente trasformando in una nottata d’inverno e solamente un’ora di luce lo separava dal buio completo. Anche se la nebbia non aveva ancora raggiunto ed avvolto il parcheggio con i suoi toni grigiastri – una macchia rossa accanto al muretto svelava ancora la posizione della sua bici –, questo sembrava ora più lontano di quanto non lo fosse stato prima il crinale.
Stava fissando il vuoto all’orizzonte, contando le pecore rannicchiate in una conca ai piedi della collina per distogliere la mente dalle gelide folate di vento, quando ancora una volta scivolò su qualcosa.
Cadde bruscamente sulle mani. Era caduto sullo stesso piede, ma questa volta si era slogato la caviglia e un dolore fulmineo gli percorse l’intera gamba. Si sdraiò supino, allargò lo stivale e si mise a massaggiare la caviglia per qualche minuto. Al togliere il calzino fradicio notò il formarsi di un brutto livido e il contatto diretto con l’aria fredda di febbraio lo fece rabbrividire. Perlomeno il terreno qui era asciutto, così si sedette e si mise a fissare la cima, arrabbiato e sconsolato allo stesso tempo. “Sbagliare è umano”, si ricordò di un proverbio che la sua ex-moglie ripeteva sempre, anche se si era dimenticato come finiva.
Si guardò intorno, alla ricerca della roccia su cui era inciampato, e aggrottò la fronte. Qualcosa spuntava dai ciuffi d’erba, svolazzando in aria.
L’angolino di una busta di plastica, logora e ridotta a brandelli, da tempo sbiadita in un color grigiastro. Slim esitò prima di provare a prenderla, ricordandosi che, quando era in servizio in Iraq, una cosa del genere poteva indicare la presenza di mine, essere un segnale per i militanti locali che operavano in quella zona. Qualsiasi tipo di spazzatura era un potenziale segnale di morte e, nelle periferie sporche e decadenti di alcune città, Slim non avrebbe osato fare un altro passo.
Con sua grande sorpresa, la busta oppose resistenza al suo strattone. Con le mani si addentrò nell’erba per palpare con le dita il contenuto della busta: un oggetto duro e spigoloso. Si estendeva, sotto l’erba, per almeno due spanne; il cuore gli iniziò a palpitare. Un vecchio armamento militare? L’altopiano di Dartmoor, a nord-est, veniva usato per esercitazioni militari, ma la Brughiera di Bodmin in teoria era fuori pericolo.
Premette un dito contro la superficie, che cedette leggermente. Era legno, non plastica, né metallo. Non aveva mai visto una bomba fatta di legno.
Cominciò a fare spazio nell’erba, che si piegò facilmente, e sbrogliò l’oggetto avvolto nella busta dal manto erboso. Gli angoli appuntiti e i solchi intagliati catturarono la sua attenzione. Sciolse il nodo che chiudeva la busta ed estrasse l’oggetto.
“Cosa…?”
La busta conteneva un bellissimo ed elaborato orologio a cucù. I delicati intagli del legno avvolgevano il quadrante centrale. Inaspettatamente, l’orologio funzionava ancora: dal nulla, un cuculo saltò fuori da una porticina posizionata sopra il numero 12, e il suo canto stanco si insidiò nelle orecchie folgorate di Slim.
2
“Si tratterrà un’altra settimana, Signor Hardy?”
La Signora Greyson, proprietaria dallo sguardo austero del Bed & Breakfast ‘Sul Lago’, stabilimento che teneva fede solamente a due dei servizi offerti dal nome, lo stava aspettando nel tetro ingresso, quando Slim varcò la porta. Raffreddato e dolorante per via del lungo viaggio e ancora spaventato da una Ford Escort dal motore completamente andato che, sbandando lungo la strada, l’aveva quasi ridotto in carne macinata, aveva sperato di evitare questa conversazione almeno fino a quando non avesse fatto una doccia.
“Non ho ancora deciso,” disse. “Posso farle sapere domani?”
“Ho solo bisogno di sapere se affittare la stanza o meno.”
Slim non aveva visto nessun’altro cliente occupare le altre stanze del B&B. Forzò un sorriso per la Signora Greyson, ma mentre le passò davanti dirigendosi verso le scale, si fermò.
“Non conosce, per caso, qualcuno da queste parti a cui possa chiedere una valutazione?”
“Valutazione? Di cosa?”
Slim alzò il polso, indicando l’orologio comprato al mercatino delle pulci un anno prima. “Pensavo di darlo in pegno,” disse. “Credo sia l’ora di prenderne uno nuovo.”
La Signora Greyson arricciò il naso. “Posso dirglielo io quanto vale. Nulla.”
Slim sorrise. “Non sto scherzando. Apparteneva a mio padre. È un cimelio di famiglia.”
La Signora Greyson scrollò le spalle, come se sapesse che stava imbastendo una bugia. “Sono sicura sarà una perdita di tempo, ma se davvero non sta scherzando, troverà qualcosa a Tavistock. C’è un mercatino ogni sabato. Vendono ogni tipo di ciarpame, senza dubbio troverà qualcuno disposto a prenderselo ad un costo simbolico.”
“Tavistock? Dove si trova?”
“Oltre Launceston, nella contea del Devon.” Disse, arricciando nuovamente il naso, come se trovarsi oltre il confine della Cornovaglia fosse il più atroce di tutti i crimini.
“Conosce un autobus che possa prendere?”
La Signora Greyson sospirò. “Perché semplicemente non affitta un’auto? Che genere di persona viene in Cornovaglia senza un’auto?”
Il genere che non ha più una patente, avrebbe voluto risponderle Slim, ma non lo fece. Quella donna aveva già abbastanza pregiudizi contro di lui senza sapere della sospensione per guida in stato di ebrezza.
“Gliel’ho detto, cerco di muovermi in maniera più sostenibile. Sto cercando di riconnettermi con il mio lato terreno.”
“Buon per lei.” E un altro sospiro. “Beh, l’orario degli autobus lo trova sulla porta della sua stanza, come le ho già detto.”
Slim non ricordava se gliel’avesse già detto o meno. Sì, c’era qualcosa sulla porta, ma era così sbiadito da essere illeggibile e probabilmente non veniva aggiornato da anni.
“Grazie,” disse, porgendo un sorriso.
“Sinceramente, non sa quanto è fortunato che abbiano creato una nuova linea che percorre il nord della Cornovaglia. Una volta, passava un autobus alla settimana per Camelford. Partiva alle due del pomeriggio ogni martedì e si doveva aspettare una settimana per tornare a casa. Rimanere a Camelford per una settimana? Per molti, un’ora è più che sufficiente.”
“Un posto niente male, dev’essere.”
La Signora Greyson non colse la nota di sarcasmo nella risposta di Slim. “Per anni hanno cercato di costruire una tangenziale. Almeno adesso gli autobus partono due volte al giorno. Blair, è stato lui, a risolvere tutto. Le cose sono peggiorate da quando sono tornati i Tory al governo. Ce l’avevano con la piscina sull’oceano di Bude, poi i bagni pubblici di—”
“La ringrazio, Signora Greyson,” disse Slim.
La Signora Greyson fece per tornare in cucina, continuando a borbottare, come se le parole le sgocciolassero da sole dalla bocca, che fungeva da rubinetto semichiuso, mentre smistava tra le mani una manciata di bollette, estratti conto e lettere. Slim stava iniziando a sperare che la conversazione fosse giunta al termine, quando la donna si fermò e si rigirò verso di lui. “Cenerà fuori stasera?”
L’unico alimentari di Penleven chiudeva alle sei e l’unico pub della città serviva da mangiare fino alle otto e trenta. Aveva appena mezz’ora per accaparrarsi un tavolo per uno, o l’alternativa erano dei noodle riscaldati e un panino al tonno, per la terza sera di fila. Tanti motivi lo stavano portando a dilungare il suo soggiorno in Cornovaglia, ma rinunciare ad una cena decente non era uno di questi.
Annuì. “Penso di sì,” disse.
“Beh, non dimentichi la sua chiave,” disse, come aveva ripetuto ogni sera fino ad allora. “Non mi alzerò nel bel mezzo della notte per farla entrare.”
3
Una volta salito nella sua stanza, attentamente curata e sorprendentemente grande per le dimensioni della struttura, Slim tirò fuori l’orologio impacchettato dallo zaino e lo tolse dalla busta di plastica.
Non ne sapeva nulla di orologi. Nel suo appartamento ne teneva solo uno, di plastica e da quattro soldi, che l’ultimo inquilino aveva lasciato lì. Per sapere l’ora, usava sempre il suo vecchio Nokia, o l’orologio da polso di turno, che di solito comprava ad un mercatino e usava fino a quando i graffi sul quadrante non gli impedivano di leggere l’ora.
L’orologio era composto da un rettangolo di legno, intagliato per sembrare una baita di montagna, con uno sporgente tetto a punta e un foro in basso, da cui mancava il pendolo. Il quadrante, con numeri romani in metallo leggermente rovinati, era contornato da incisioni e ghirigori: animali, alberi, simboli che forse rappresentavano il sole e la luna, oppure le stagioni. In un semicerchio sotto al quadrante, c’erano delle linee che sembravano raffigurare una luna inclinata verso l’alto, o forse un ferro di cavallo incompiuto. C’erano anche alcuni graffi indecifrabili. L’intero orologio era stato rivestito di una vernice spessa, che avrebbe dovuto essere levigata e lisciata per ultimarne il design.
Slim scosse la testa perplesso. Non si era mai imbattuto in un orologio fatto a mano prima d’ora. Se qualcuno aveva perso del tempo per creare qualcosa di così complesso, perché metterlo in una busta di plastica e sotterrarlo nella brughiera?
Paradossalmente, anche senza il pendolo, stava ancora ticchettando, anche se le lancette erano un paio d’ore avanti — stava segnando le undici — e il fondo era stato danneggiato dall’acqua nel punto in cui la busta si era rotta. Slim provò a rimuovere il retro per dare un’occhiata all’interno, ma era stato saldamente avvitato e, dal momento che non aveva i propri attrezzi con sé, non voleva disturbare la Signora Greyson di nuovo. Il legno, però emanava un forte odore di muschio di torba bruciato, così come di stantio. Non era affatto da escludere che l’orologio contasse più dei suoi quarantasei anni.
Slim prese un panno umido dal lavabo e diede una ripulita all’orologio. La vernice recuperò velocemente la sua lucentezza regale, con lo svanire di sporco e polvere. Anche gli intagli si fecero più chiari: topi, volpi, tassi ed altri emblemi della fauna inglese si nascondevano tra curve e gli archi degli alberi. Il ticchettio risoluto degli ingranaggi suggeriva che la competenza tecnica eguagliasse quella artistica e che chiunque avesse costruito questo orologio, l’avesse fatto con orgoglio e grande maestria.
Slim sistemò l’orologio sulla cassettiera accanto al letto e prese il cappotto. Era ora di uscire per la sua camminata notturna verso il pub, possibilmente arrivando in tempo per l’ultimo turno di ordini. Non se la sentiva di mangiare dei noodle di pollo e funghi per la terza notte di fila. Non gli dispiacevano i noodle riscaldati in generale, ma il mercatino locale aveva solo quel sapore. Una sera era riuscito ad accaparrarsi un barattolo di fagioli e delle salsicce, per poi scoprire che però erano andati a male da tre mesi.
Mentre camminava sotto la pioggerellina che caratterizzava la Brughiera di Bodmin e i suoi dintorni dopo il tramonto, non riusciva a smettere di pensare all’orologio.
Se al suo posto avesse trovato un sacco pieno d’oro, non ne sarebbe stato altrettanto intrigato.
4
“Comunque, chi è lei, veramente, Signor Hardy?” chiese la Signora Greyson, con la colazione in mano, come se servirla o meno dipendesse dalla sua risposta. “Insomma, si è fermato qui, nel bel mezzo del nulla, nella mia struttura per settimane, e tutti i giorni esce per camminare per la brughiera o vagare per il paese. È qui per un qualche motivo in particolare?”
Slim alzò le spalle. “Sono un ex-alcolista.”
“Che cena al Crown ogni sera?”
“È la mia penitenza,” disse Slim. “Affronto i miei demoni. In più, mi siedo nel salone, lontano dall’alcol.”
“Ma perché qui? Perché Penleven? Se non fosse per la sua incapacità di ricordare le funzioni di base, come prendere le chiavi della porta prima di uscire, penserei che sia una spia sotto copertura.”
Slim alzò le spalle. “Non potevo permettermi di andare all’estero. E la Cornovaglia mia ha sempre affascinato, soprattutto i suoi luoghi scialbi, freddi e tenebrosi che la maggior parte delle persone evita di visitare.”
“Beh, la descrizione perfetta di Penleven,” disse la Signora Greyson con aria leggermente delusa, come se avesse avuto la sua occasione per andarsene e l’avesse sprecata. “Ci sono solo un paio di centinaia di abitanti, ma almeno non siamo una di quelle cittadine fantasma durante l’inverno, come molti dei paesi sulla costa.”
“Cittadine fantasma?”
“Boscastle, Port Isaac, Padstow… hanno solo case vacanze. Prosperano in estate e sono deserte d’inverno. Forse non siamo una comunità molto attiva, ma si incontra sempre un volto amico all’alimentari o al pub.”
Le volte che si era avventurato fuori dal salone del Crown per ordinare la sua cena, Slim non aveva visto molti volti amici, ma, piuttosto, oppressi, mentre sprofondavano nelle loro birre, fissando il vuoto. Forse era l’inverno — di notte, il vento fischiava, facendo sbattere le finestre così forte da temere, alle volte, che si staccassero dal muro, ed era realmente buio sulla via che portava all’albergo, non il buio di città a cui Slim era abituato. O forse era il fatto di non avere molto di cui parlare da queste parti. Il telefono di Slim non prendeva, a meno che non camminasse per un paio di chilometri in direzione dell’A39, ma per qualcuno che aveva più cose da dimenticare rispetto a quelle da aspettarsi, era la situazione ideale.
Come arrendendosi al fatto che la caccia al pettegolezzo, che avrebbe potuto far accrescere la sua notorietà tra gli anziani membri dalla lingua lunga della sua comunità, era giunta al termine, la Signora Greyson servì a Slim la sua colazione e si mise in disparte, con le braccia conserte, ad osservarlo per qualche secondo, per poi voltarsi bruscamente e marciare verso la cucina. Slim era rimasto da solo nell’angusta sala da pranzo dell’albergo, composta da tre tavoli addossati così tanto alla parete da aver lasciato il segno sulla carta da parati, ed uno al centro della stanza, come fosse stato dimenticato lì in mezzo. La Signora Greyson, come atto di sfida contro la sfacciataggine con cui la tormentava con i suoi affari, preparava per Slim il posto peggiore di tutti ogni mattina: un tavolino infilato dietro la porta che portava all’ingresso. Il menù, di cui tre delle quattro opzioni erano state depennate, consisteva unicamente in un fritto di cavolo bollito, con un occasionale contorno di fagioli. Dava così tanto gas che Slim doveva lasciare la finestra aperta di notte.
Almeno il pane tostato era gradevole e il caffè, anche se privo di quel tocco in più che Slim avrebbe aggiunto in passato, era forte e sembrava essere stato preparato il giorno prima, proprio come piaceva a lui.
Mangiò velocemente, ringraziò la Signora Greyson con un urlo e si diresse fuori prima che questa potesse rimetterlo all’angolo. Fu accolto da un vento umido che fischiava dalla Brughiera di Bodmin per qualche chilometro ad est e che impediva alla sua giacca di mantenerlo al caldo e all’asciutto. Anche quando la brughiera era asciutta, Penleven era avvolta dalla pioggerellina di sempre, come se appartenesse ad un microcosmo a parte.
L’autobus, che arrivò con dieci ammissibili minuti di ritardo, lo condusse, dopo un interminabile serpeggiare lungo strette e tortuose stradine tra le valli boscose, alla pianura che ospitava la ridente città di Tavistock. Disposta ai margini di un tratto del fiume Tavy, si configurava come un gradevole incasso di strade storiche, rivestite di negozi sorprendentemente cosmopoliti. Cullato dall’inconsueta presenza umana, Slim ne approfittò per rimpiazzare il vecchio sapone del bagno della Signora Greyson, comprare una maglietta di H&M e pranzare in un fast-food. Tornando agli affari, dopo aver assistito alla partita di rugby su un grande schermo, individuò il mercatino vicino al fiume e chiese in giro di un commerciante di antiquariato. Tre persone consigliarono Geoff Bunce, il proprietario di una bottega nascosta all’angolo poco più avanti, vicino ad un bar ben movimentato.
“Devo far valutare un orologio,” disse Slim a Bunce, il cui girovita e barba bianca lo rendevano un Babbo Natale fuori stagione, aspetto poi accentuato dalle bretelle che gli cingevano la pancia sporgente.
“Mi faccia dare un’occhiata.”
Bunce rigirò l’orologio svariate volte, borbottando fra sé e sé con visibile soddisfazione, stringendo gli occhi di tanto in tanto per lanciare un’occhiata sospetta a Slim.
“Le dispiace se apro il retro?”
“Nessun problema.”
Mentre Bunce si mise al lavoro con il cacciavite, Slim si sedette a lato della scrivania e lasciò vagare lo sguardo verso gli scaffali e scatole colmi di cianfrusaglie. Non tanto antiquariato quanto spazzatura di un passato molto lontano.
“È un amico del vecchio Birch?” chiese Bunce all’improvviso.
“Cosa?”
Bunce mostrò una busta rovinata dall’acqua.
“Il vecchio Birch. Amos.”
Slim alzò le spalle, chiedendosi se Bunce non stesse comunicando in un qualche dialetto cornico. Poi, mosso dalla frustrazione, l’uomo ripeté, “Amos Birch. L’uomo che ha prodotto quest’orologio. Viveva a Trelee, vicino alla Brughiera di Bodmin. Aveva una fattoria. All’inizio vendeva i suoi orologi proprio qui al mercato di Tavistock, prima di diventare famoso. Era un suo amico?”
“Sì, un amico.”
“Quindi immagino che questa le appartenga,” disse, scuotendo la busta come per ricordare a Slim della sua esistenza.
Slim la prese, percependo immediatamente la delicatezza della carta invecchiata insieme all’umidità. Se avesse provato ad aprirla, la busta si sarebbe sgretolata fra le sue dita e ogni messaggio contenuto al suo interno si sarebbe perduto.
“Ah, ecco dov’era andata a finire,” disse, sfoggiando un sorriso poco convincente. “La stavo cercando.”
“Immagino, Signor—?”
“Hardy. John Hardy, ma le persone mi chiamano Slim.”
“Non oserò chiedere il perché.”
“Meglio così. Non è una storia che merita di essere raccontata.”
Bunce sospirò di nuovo. Rigirò l’orologio un’ultima volta. “È incompiuto,” disse, confermando ciò che Slim aveva già ipotizzato. “Immagino che il suo amico Birch glielo abbia lasciato come regalo? Non avrebbe potuto venderlo in queste condizioni, un uomo con la sua reputazione.”
“Sembra che lo conoscesse bene.”
“Eravamo amici ai tempi della scuola. Amos aveva due anni in più di me, ma non c’erano molti bambini. Ci conoscevamo tutti.”
“Una comunità molto affiatata.”
“Non è di qua, vero, Signor Hardy?”
Slim aveva sempre ritenuto di avere una parlata piuttosto neutra, ed era proprio questo che lo rendeva un forestiero in terre dove ci si aspettava un forte accento dell’ovest.
“Lancashire,” disse. “Ma ho trascorso molto tempo all’estero.”
“Esercito?”
“Come faceva a saperlo?”
“I suoi occhi,” disse Bunce. “Infestati da fantasmi.”
Slim fece un passo indietro. Una serie di ricordi indesiderati cominciò a passargli davanti, così se li scrollò di dosso, facendoli svanire.
“Anche lei era nell’esercito?”
“Isole Falkland. Meno ne parlo, meglio è.”
Slim annuì. Almeno avevano un punto d’incontro. “Beh, credo di averle rubato anche troppo del suo tempo—”
“Potrebbe farci qualche centinaia,” disse Bunce improvvisamente, con in mano l’orologio. “Forse qualcosa in più se riesce a metterlo all’asta. Ci sono collezionisti di orologi di Amos Birch, per quanto rari. È incompleto e ha qualche danno estetico, me è comunque un Amos Birch originale. Erano molto ricercati un tempo. Amos creò un’industria artigianale prima che iniziasse ad andare di moda.”
“Un tempo?”
Bunce aggrottò la fronte e Slim sentì le proprie bugie sgretolarsi tutto d’un tratto.
“L’interesse per Amos Birch fu scemando dopo la sua scomparsa.”
“Dopo la…?”
“Ne è al corrente, non è vero, Signor Hardy, che il suo amico risulta scomparso da oltre vent’anni?”