Kitabı oku: «A Ogni Costo», sayfa 4
“Da dove viene il denaro?”
Swann sorrise e alzò un dito. “Adesso viene il bello. Viene da una piccola banca offshore specializzata in conti numerari anonimi. Si chiama Royal Heritage Bank, e ha sede sulla Grand Cayman.”
“Riesci ad hackerarlo?” chiese Luke. Vide di sfuggita l’aria di disapprovazione di Trudy.
“Non ce n’è bisogno,” disse Swann. “La Royal Heritage appartiene a una risorsa della CIA di nome Grigor Svetlana. È un ucraino che faceva parte dell’Armata Rossa. Ha avuto qualche guaio con i russi vent’anni fa, dopo la sparizione di alcuni armamenti sovietici che poi sono riapparsi nei mercati neri dell’Africa Occidentale. Non parlo di pistole. Parlo di contraeree, artiglieria controcarri, più un po’ di missili cruise a bassa altitudine. I russi erano pronti ad appenderlo per il collo. Non avendo dove andare, si è rivolto a noi. Ho un amico a Langley, e i conti della Royal Heritage Bank, per nulla anonimi, sono in realtà un libro aperto per la comunità dell’intelligence americana. Certo, la maggior parte dei clienti della Royal non ne è al corrente.”
“Quindi sai a chi appartiene il conto che procede con i trasferimenti.”
“Sì.”
“Okay, Swann,” disse Luke. “Capisco. Sei molto sveglio. Ora arriviamo al punto.”
Swann fece un gesto verso gli schermi del computer. “Lo stesso Bryant era il titolare del conto che faceva i trasferimenti. È il conto su quel monitor a sinistra. Potete vedere che ha circa $209,000 adesso. Stava trasferendo un po’ qui e un po’ là dal conto numerario al suo conto corrente locale, probabilmente per uso personale. E se andiamo indietro di qualche mese, vediamo che il conto offshore di Bryant era stato creato il 3 marzo con un trasferimento di $250,000 da un altro conto della Royal Heritage, quello sul monitor di destra.”
Luke guardò il conto di destra. C’erano più di quarantaquattro milioni di dollari.
“Qualcuno ha assunto Bryant,” disse.
“Precisamente,” disse Swann.
“Chi è?”
“È quest’uomo.” Sullo schermo apparve una fototessera. Mostrava un uomo di mezz’età con capelli scuri che si stavano incanutendo. “Questo è Ali Nassar. Cinquantasette anni. Cittadino iraniano. Nato a Teheran in una famiglia benestante e influente. Ha studiato alla London School of Economics, poi alla Harvard Law School. È tornato a casa e ha preso un’altra laurea in legge, questa dall’università di Teheran. Quindi può lavorare sia negli Stati Uniti che in Iran. È stato coinvolto in negoziazioni commerciali internazionali per la maggior parte della carriera. Vive qui a New York e attualmente è un diplomatico iraniano delle Nazioni Unite. Ha completa immunità diplomatica.”
Luke si grattò il mento. Poteva sentire la corta barba crescere. Cominciava a essere stanco. “Fammi capire bene. Nassar ha pagato Ken Bryant, presumibilmente per avere accesso all’ospedale, e per ottenere informazioni sulle misure di sicurezza e su come evitarle.”
“Presumibilmente, sì.”
“Quindi probabilmente sta guidando una cellula terroristica qui a New York, è complice nel furto di materiale pericoloso e di almeno quattro omicidi, e non può essere perseguito dalla legge americana?”
“Pare proprio così.”
“Okay. Sei già nel conto, vero? Vediamo a chi altro manda soldi.”
“Mi ci vorrà un po’.”
“Va bene. Nel frattempo mi occupo di una faccenda.”
Luke guardò Ed Newsam. La faccia di Newsam era dura, gli occhi opachi e vuoti.
“Dimmi, Ed, ti va di fare un giro con me? Forse dovremmo fare una visita al signor Ali Nassar.”
Newsam sorrise, ma aveva un’aria più che altro accigliata.
“Mi pare divertente.”
Capitolo 10
6:20 a.m.
Centro Wellness del Congresso - Washington D.C.
Non era facile da trovare.
Jeremy Spencer si trovava di fronte a una serie di porte serrate in acciaio grigio in uno scantinato del Rayburn House Office Building. Le porte erano nascoste in un angolo del parcheggio della metropolitana. Pochissime persone erano a conoscenza dell’esistenza di questo posto. Ancor meno persone sapevano dove fosse. Si sentiva uno scemo, ma bussò alla porta comunque.
Qualcuno premette un pulsante e lo fece entrare. Spinse la porta, provando quella familiare sensazione di incertezza nello stomaco. Sapeva che la palestra del congresso era off-limits per chiunque eccetto i membri del Congresso degli Stati Uniti d’America. Eppure, nonostante la violazione del protocollo di lunga data, era stato invitato a entrarci.
Oggi era il più importante giorno della sua giovane vita. Viveva a Washington da tre anni, e stava facendo carriera.
Sette anni prima, era un morto di fame dell’Upstate New York che viveva in una roulotte. Poi era stato uno studente con piena borsa di studio alla State University di New York a Binghamton. Invece di rilassarsi e godersi la corsa, era diventato presidente del campus dei repubblicani e cronista per il giornale della scuola. Ben presto si era messo a scrivere su Breitbart e Drudge. Ora, a ciò che gli pareva dopo un respiro profondo, era un reporter di Newsmax che scriveva direttamente dal Campidoglio.
Non era una palestra di lusso. C’erano alcuni attrezzi cardiovascolari, un po’ di specchi e un po’ di pesi su uno scaffale. Un signore anziano in t-shirt e pantaloni sudati, con addosso gli auricolari, camminava su un tapis roulant. Jeremy entrò nel silenzioso spogliatoio. Svoltò l’angolo, e davanti a lui c’era l’uomo con cui era venuto a parlare.
L’uomo era alto, sui cinquantacinque, con capelli d’argento. Era davanti a un armadietto aperto, così Jeremy lo vide di profilo. La schiena era dritta, e la grande mascella si protendeva in avanti. Indossava una t-shirt e i pantaloncini, entrambi fradici dall’allenamento. Le spalle, le braccia, il petto e le gambe, ogni muscolo era definito. Aveva l’aria di un capo.
L’uomo era William Ryan, rappresentante della Carolina del Nord con un mandato di nove anni, e speaker della Camera. Jeremy sapeva tutto di lui. La sua era una famiglia ricca da generazioni. Possedevano piantagioni di tabacco da prima della Rivoluzione. Il suo trisavolo era stato un senatore degli Stati Uniti durante la Ricostruzione. Si era laureato come primo della sua classe al college militare The Citadel. Era affascinante, elegante, ed esercitava il potere con un’aria di confidenza e di diritto così totali che erano pochi nel suo partito a prendere in considerazione l’idea di opporglisi.
“Signor speaker?”
Ryan si voltò, vide Jeremy lì, e fece comparire un sorriso luminoso. La t-shirt era blu scuro, con lettere rosse e bianche. AMERICANO ORGOGLIOSO era tutto quello che dicevano. Allungò la mano per una stretta. “Scusa,” disse. “Sono ancora un po’ sudato.”
“Nessun problema, signore.”
“Okay,” disse Ryan. “Basta con il signore. In privato puoi chiamarmi Bill. Se ti sembra troppo difficile, chiamami col mio titolo. Ma voglio che tu sappia una cosa. Ti ho richiesto io, e ti darò un’esclusiva. Più tardi oggi pomeriggio, potrei tenere una conferenza stampa con tutti i media. Ancora non lo so. Ma fino ad allora, per tutto il giorno, le mie opinioni su questa crisi andranno a finire sotto la tua firma. Che ne dici?”
“Dico che mi va benissimo,” disse Jeremy. “È un onore. Ma perché proprio me?”
Ryan abbassò la voce. “Sei un bravo ragazzo. Ti seguo da un po’. E voglio darti un consiglio. In via assolutamente ufficiosa. Dopo oggi, non sarai più un cane da guerra. Sei un giornalista stagionato. Voglio che stampi quello che sto per dire parola per parola, ma a partire da domani, voglio che diventi leggermente più… nuancé, diciamo. Newsmax è fantastico per quello che è, ma tra un anno ti vedrò al Washington Post. È dove abbiamo bisogno di te, e andrà così. Ma prima, la gente deve credere che sei maturato e cresciuto fino a diventare un chiamiamolo giusto ed equilibrato reporter mainstream. Ciò che hai o non hai non è importante. È tutta una questione di percezioni. Capisci quello che dico?”
“Credo di sì,” rispose Jeremy. Il sangue gli rombava nelle orecchie. Quelle parole erano eccitanti e terrificanti allo stesso tempo.
“Tutti abbiamo bisogno di amici ai piani alti,” disse lo speaker. “Incluso io. E ora spara.”
Jeremy tirò fuori il telefono. “Il registratore è accesso… adesso. Signore, è a conoscenza del massiccio furto di materiale radioattivo che è avvenuto durante la notte a New York City?”
“Più che a conoscenza,” disse Ryan. “Come ogni americano, sono profondamente preoccupato. I miei assistenti mi hanno svegliato alle quattro del mattino con la notizia. Siamo in stretto contatto con l’intelligence, e monitoriamo la situazione da vicino. Come sai bene, mi sono adoperato per far approvare una dichiarazione di guerra da parte del Congresso contro l’Iran, dichiarazione che il presidente e il suo partito hanno bloccato a ogni votazione. Ci troviamo in una situazione in cui l’Iran sta occupando il nostro alleato, la sovrana nazione dell’Iraq, e il nostro personale deve attraversare i posti di blocco iraniani per entrare e uscire dalla nostra ambasciata sul posto. Non credo che si sia verificata una serie di eventi così umilianti dalla crisi degli ostaggi in Iran del 1979.”
“Crede che il furto sia stato compiuto dall’Iran, signore?”
“Per prima cosa, chiamiamolo per quello che è. Che una bomba esploda o meno in una metropolitana, si tratta di un attentato terroristico sul suolo americano. Almeno due addetti alla sicurezza sono stati uccisi, e la grande città di New York è in stato di allarme. Secondo, non abbiamo ancora sufficienti informazioni per individuare i terroristi. Ma sappiamo che la debolezza sul piano mondiale incoraggia questo tipo di attacchi. Dobbiamo mostrare la nostra vera forza, e dobbiamo agire uniti come paese, destra e sinistra, per difenderci. Invito il presidente a unirsi a noi.”
“Che cosa pensa che dovrebbe fare il presidente?”
“Il minimo sarebbe dichiarare lo stato di emergenza nazionale. Dovrebbe investire le forze della legge di poteri speciali temporanei, finché non riusciamo a prendere i terroristi. Questi poteri dovrebbero includere sorveglianza non autorizzata, così come perquisizioni casuali e sequestri presso tutte le stazioni ferroviarie, degli autobus, presso i terminal, gli aeroporti, le scuole, le piazze pubbliche, i centri commerciali e gli altri centri di attività. Deve poi agire immediatamente per salvaguardare tutte le altre scorte di materiale radioattivo, ovunque negli Stati Uniti.”
Jeremy fissava gli occhi feroci di Ryan. Il fuoco che vi vedeva era quasi sufficiente a farlo scappare via.
“Ed ecco la cosa più importante. Se si scopre che gli attentatori sono iraniani o pagati dall’Iran, allora deve o dichiarare la guerra o fare un passo indietro e permettere a noi di farlo. Se si tratta davvero di un attacco da parte dell’Iran, e di fronte a questa informazione il presidente insiste nel bloccare i nostri sforzi per proteggere il paese e i nostri alleati nel Medio Oriente… quale scelta mi lascia? Avvierò io stesso le procedura d’impeachment.”
Capitolo 11
6:43 a.m.
Settantacinquesima Strada vicino a Park Avenue - Manhattan
Luke sedeva nel retro di un SUV dell’agenzia con Ed Newsam. Erano dall’altra parte di una tranquilla strada costeggiata da alberi, di fronte a un elegante, alto e moderno edificio con doppie porte in vetro e un usciere in guanti bianchi all’ingresso. Mentre osservavano, l’usciere teneva la porta aperta per una donna bionda e magra in abito bianco che usciva con un cane. Luke odiava questi edifici.
“Be’, c’è almeno una persona in questa città che non sembra preoccuparsi di un attentato terroristico,” disse Luke.
Ed si stravaccò sul sedile. Sembrava mezzo addormentato. Con i pantaloni cargo beige e la t-shirt bianca dipinta sulle sue qualità cesellate, la testa come una palla da biliardo e la barba quasi corta, Ed non dava l’impressione di un agente federale. Certamente non somigliava a nessuno che questo edificio avrebbe lasciato entrare.
Pensando ad Ali Nassar, Luke era infastidito dalla sua immunità diplomatica. Sperava che Nassar non cercasse di avvantaggiarsene. Luke non aveva pazienza per le negoziazioni.
Il telefono di Luke suonò. Lo guardò. Premette il bottone.
“Trudy,” disse. “Come posso aiutarti?”
“Luke, abbiamo nuove informazioni,” disse. “Sul corpo che tu e Don avete trovato all’ospedale.”
“Dimmi tutto.”
“Ibrahim Abdulraman, trentun anni. Cittadino libanese, nato a Tripoli da una famiglia molto povera. Scarsa educazione, se ne ha avuta una. Si è arruolato nell’esercito a diciotto anni. In breve tempo è stato trasferito nel carcere di Abū Salīm, dove ha lavorato per molti anni. In prigione è stato implicato in violazioni dei diritti umani, inclusi tortura e omicidio di oppositori politici. Nel marzo del 2011, mentre il regime cominciava a collassare, fuggì dal paese. Deve aver sentito puzza di bruciato. Un anno dopo era a Londra, a lavorare come guardia del corpo per un giovane principe saudita.”
Le spalle di Luke si accasciarono. “Mmm. Un torturatore libanese che lavora per un principe saudita? Che finisce morto mentre ruba materiale radioattivo a New York? Chi era veramente questo tizio?”
“Non ha storia di legami con estremisti, e sembra non avesse neanche fedi politiche. Non è mai stato un soldato scelto per alcun esercito, e sembra non si sia sottoposto ad alcun addestramento avanzato. A me pare che fosse un opportunista, un gorilla mercenario. È scomparso da Londra dieci mesi fa.”
“Okay, ridimmi il nome.”
“Ibrahim Abdulraman. E, Luke? C’è qualcos’altro che devi sapere.”
“Dimmi.”
“Non ho trovato io questa informazione. È sul megaschermo della sala principale. Questo Myerson del NYPD non mi ha dato i dati identificativi quando li aveva, e la ricerca l’hanno portata avanti loro. Hanno rilasciato l’informazione a tutti senza neanche dirlo a noi. Ci stanno sbattendo fuori.”
Luke guardò Ed e girò gli occhi all’insù. L’ultima cosa che voleva era essere coinvolto in una gara a chi piscia più lontano tra agenzie. “Okay, va bene…”
“Senti, Luke. Sono un po’ preoccupata per te. Rimarrai senza amici qui, e dubito che un incidente internazionale ti aiuterà. Perché non passiamo i dettagli del trasferimento bancario ai piani alti e lasciamo che sia la Sicurezza Interna a occuparsene? Possiamo scusarci per la violazione, dire che siamo stati troppo zelanti. Se incontri quel diplomatico adesso, ti esponi troppo.”
“Trudy, sono già arrivato.”
“Luke…”
“Trudy, adesso riattacco.”
“Cerco di aiutarti,” disse la donna.
Dopo aver riattaccato, guardò Ed.
“Sei pronto?”
Ed si mosse appena. Fece un cenno in direzione dell’edificio.
“Sono nato per fare queste cose.”
*
“Posso aiutarvi, signori?” disse l’uomo mentre entravano.
Un lampadario scintillante pendeva dal soffitto di fronte alla lobby. A destra, c’erano un sofà e un paio di sedie di marca. C’era un bancone lungo il muro sinistro, con un altro usciere dietro di esso. Aveva un telefono, un computer e un ammasso di schermi. Aveva anche una piccola televisione sintonizzata sui notiziari.
L’uomo pareva sui quarantacinque anni. Gli occhi erano rossi e venati, non necessariamente iniettati di sangue. I capelli erano tenuti all’indietro dal gel. Sembrava che fosse appena uscito dalla doccia. Luke pensò che lavorasse lì da tanto di quel tempo che avrebbe potuto bere tutta la notte e lavorare dormendo. Probabilmente era in grado di riconoscere ogni singola persona che fosse mai entrata o uscita da questo posto. E sapeva che Ed e Luke qui non c’entravano nulla.
“Ali Nassar,” disse Luke.
L’uomo prese il telefono. “Signor Nassar. L’attico. Chi devo annunciare?”
Senza dire una parola, Ed scivolò oltre il banco e schiacciò la cornetta del telefono, troncando la connessione. Ed era grande e grosso come un leone, ma quando si muoveva era fluido ed elegante come una gazzella.
“Non devi annunciare nessuno,” disse Luke. Mostrò all’usciere il distintivo. Ed fece lo stesso. “Agenti federali. Dobbiamo fare qualche domanda al signor Nassar.”
“Temo che al momento non sarà possibile. Il signor Nassar non accetta visitatori prima della 8 del mattino.”
“Allora perché hai alzato la cornetta?” chiese Newsam.
Luke guardò Ed. Era una domanda furba. Ed non sembrava il tipo da gruppo di dibattito, ma questa volta forse c’aveva preso.
“Hai guardato i notiziari?” chiese Luke. “Sono sicuro che hai sentito delle scorie radioattive scomparse. Abbiamo ragioni di credere che il signor Nassar possa saperne qualcosa.”
L’uomo guardava dritto di fronte a sé. Luke sorrise. Aveva appena avvelenato la fonte di Nassar. L’usciere era il centro della comunicazione. Entro domani, ogni singola persona dell’edificio avrebbe saputo che il governo era venuto a interrogare Nassar sulle sue attività terroristiche.
“Sono desolato, signore,” cominciò l’uomo.
“Non devi essere desolato,” disse Luke. “Tutto quello che devi fare è garantirci l’accesso al piano attico. Se non lo fai ti arresterò subito per intralcio alla giustizia, e ti porterò via da qui in manette. Sono sicuro che non vuoi che accada, e io neanche. Quindi dacci la chiave o il codice o quello che è, e poi torna al tuo lavoro. Ah, sappi che se manometti l’ascensore mentre siamo dentro, non solo ti arresterò per intralcio, ma anche per complicità in quattro omicidi e in furto di materiale pericoloso. Il giudice stabilirà una cauzione di dieci milioni di dollari, e tu marcirai a Rikers Island in attesa di processo per i prossimi dodici mesi. Ti suona attraente la prospettiva…” Luke lesse il nome sulla targhetta.
“John?”
*
“Volevi davvero arrestare quell’uomo?” chiese Ed.
Era un ascensore di vetro che si muoveva attraverso un tubo rotondo, anch’esso di vetro, nell’angolo sudoccidentale dell’edificio. A mano a mano che salivano, il panorama della città toglieva il fiato, fino a frastornare. Presto poterono godere della vista di un’ampia distesa con l’Empire State Building proprio davanti a loro e l’edificio delle Nazioni Unite alla loro sinistra. A distanza, una riga di aeroplani luccicava nel sole del primo mattino mentre si avvicinavano all’aeroporto LaGuardia.
Luke sorrise. “Arrestarlo per cosa?”
Ed ridacchiò. L’ascensore continuava a muoversi, sempre più su.
“Vecchio mio, sono stanco. Stavo andando a letto quando Don mi ha chiamato.”
“Lo so,” disse Luke. “Anch’io.”
Ed scosse la testa. “È da un po’ che non faccio tirate così. Non ne sentivo la mancanza.”
L’ascensore raggiunse l’ultimo piano. Si sentì un suono caldo, e le porte si aprirono.
Uscirono su un ampio corridoio. Il pavimento era di pietra lucida. Direttamente davanti a loro, a nove metri, c’erano due uomini. Erano grossi tizi in giaccia e cravatta, dalla pelle scura, forse persiani, forse di qualche altra etnia. Stavano bloccando una serie di doppie porte. A Luke la cosa non importava granché.
“Pare che il nostro usciere l’abbia fatta, quella telefonata.”
Uno degli uomini nel corridoio agitò la mano. “No! Dovete tornare indietro. Non potete venire qui.”
“Agenti federali,” disse Luke. Si avvicinarono agli uomini.
“No! Non avete giurisdizione. Vi vietiamo l’accesso.”
“Credo che non mi prenderò la briga di mostrargli il distintivo,” disse Luke.
“Già,” disse Ed. “Non ce n’è ragione.”
“Al mio via, okay?”
“Certo.”
Luke aspettò un attimo.
“Via.”
Erano a un metro e mezzo dagli uomini. Luke si avvicinò al suo e sferrò il primo pugno. Era sorpreso di quanto lentamente sembrava muoversi. L’uomo era di dodici centimetri più alto di lui. Aveva l’apertura alare di un grosso uccello. Bloccò il pugno facilmente e afferrò Luke al polso. Era forte. Spinse Luke più vicino.
Luke alzò un ginocchio verso l’inguine, ma l’uomo lo bloccò con la gamba. Gli mise una grossa mano attorno alla gola. Le dita si serravano come gli artigli di un’aquila, scavando nella carne vulnerabile.
Con la mano libera, la sinistra, Luke lo colpì agli occhi. Indice e medio, uno per occhio. Non era un colpo diretto, ma funzionò. L’uomo lasciò andare Luke e indietreggiò. Gli occhi gli piangevano. Sbatté le palpebre e scosse la testa. Poi sorrise.
Ci sarebbe stata una lotta.
Ecco arrivare Newsam, come un fantasma. Afferrò la testa dell’uomo con entrambe le mani, e la sbatté con forza contro il muro. La violenza fu intensa. Alcune persone sbattono la testa dell’avversario contro il muro. Ed Newsman lo fa come se stesse cercando aprire una breccia nel muro con la testa dell’uomo.
Bang!
Il viso dell’uomo trasalì.
Bang!
La mascella gli divenne floscia.
Bang!
Gli occhi gli girarono all’insù.
Luke alzò una mano. “Ed! Okay. Credo che basti così. È a posto. Mettilo giù piano. I pavimenti sembrano di marmo.”
Luke guardò l’altra guardia. Era già stesa sul pavimento, gli occhi chiusi, la bocca aperta, la testa appoggiata al muro. Ed li aveva liquidati entrambi. Luke non aveva fatto nulla.
Luke prese un paio di fascette di plastica dalla tasca e si accucciò sul suo uomo. Gli legò le caviglie. Strinse forte, come fosse un maiale pregiato. Alla fine qualcuno sarebbe venuto a tagliargliele via. Quando l’avrebbero fatto, il tizio probabilmente non avrebbe avuto sensibilità ai piedi per un’ora.
Ed faceva lo stesso con il suo uomo.
“Sei un po’ arrugginito, Luke,” disse.
“Io? No. Non dovrei neanche fare a pugni. Sono stato assunto per il cervello.” Poteva ancora sentire il punto della gola in cui l’uomo aveva stretto la mano. Avrebbe fatto male, domani.
Ed scosse la testa. “Ero nella Delta Force, come te. Ci sono entrato due anni dopo l’operazione Stanley agli avamposti di combattimento nel Nurestan. Se ne parlava ancora. Di come vi hanno lasciati lì e di come siete stati annientati. Al mattino, solo tre uomini stavano ancora combattendo. Tu eri uno di quelli, no?”
Luke grugnì. “Non sono a conoscenza dell’esistenza di…”
“Non dirmi cazzate,” disse Ed. “Secretata o meno, la storia la conosco.”
Luke aveva imparato a vivere la sua vita in compartimenti stagni. Raramente parlava dell’incendio alla base. Era accaduto un secolo prima, in un angolo dell’Afghanistan orientale così remoto che anche solo piazzarci delle truppe di terra doveva voler dire qualcosa. Era storia antica. Che nemmeno sua moglie conosceva.
Ma Ed era stato della Delta, perciò… okay.
“Sì,” disse. “Ero lì. Informazioni sbagliate ci hanno messo lì, ed è diventato il peggior incubo della mia vita.” Indicò i due uomini sul pavimento.
“In confronto questo sembra un episodio di Happy Days. Abbiamo perso nove bravi uomini. Appena prima del tramonto, siamo rimasti senza munizioni.” Luke scosse la testa. “È stato orribile. La maggior parte dei nostri ormai era già morta. E i tre fra noi che ce l’hanno fatta… Non so se siamo mai veramente tornati. Martinez è paralizzato dalla vita in giù. L’ultimo di cui ho sentito, Murphy, un vagabondo, entra ed esce dal reparto psichiatrico della Virginia.”
“E tu?”
“Io ho ancora gli incubi sull’accaduto.”
Ed stava fasciando i polsi del suo uomo. “Conoscevo un tizio che doveva ripulire tutto dopo che l’area era stata sgombrata. Ha detto che hanno contato 167 corpi su quella collina, esclusi i nostri. C’erano 21 morti tra i nemici per combattimento corpo a corpo all’interno del perimetro.”
Luke lo guardò. “Perché me lo stai dicendo?”
Ed scrollò le spalle. “Sei un po’ arrugginito. Non vergognarti di ammetterlo. E sarai anche intelligente. E sarai pure bassetto. Ma hai anche i muscoli, proprio come me.”
Luke scoppiò a ridere. “Okay. Sono arrugginito. Ma non mi chiamare bassetto.” Rise, alzando lo sguardo sull’enorme ossatura di Ed.
Anche Ed rise. Frugava le tasche dell’uomo sul pavimento. In pochi secondi, trovò quello che stava cercando. Era una scheda elettronica per la serratura digitale montata sul muro accanto alle doppie porte.
“Entriamo?”
“Dopo di te,” disse Ed.