Kitabı oku: «Gloria Primaria»
GLORIA ASSOLUTA
(LE ORIGINI DI LUKE STONE—LIBRO 4)
J A C K M A R S
Jack Mars
Jack Mars è l’autore bestseller di USA Today della serie di thriller LUKE STONE, che per ora comprende sette libri. È anche autore della nuova serie prequel LE ORIGINI DI LUKE STONE, e della serie spy thriller AGENTE ZERO.
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I LIBRI DI JACK MARS
SERIE THRILLER DI LUKE STONE
A OGNI COSTO (Libro 1)
IL GIURAMENTO (Libro 2)
SALA OPERATIVA (Libro 3)
CONTRO OGNI NEMICO (Libro 4)
OPERAZIONE PRESIDENTE (Libro 5)
IL NOSTRO SACRO ONORE (Libro 6)
REGNO DIVISO (Libro 7)
SERIE PREQUEL CREAZIONE DI LUKE STONE
OBIETTIVO PRIMARIO (Libro 1)
COMANDO PRIMARIO (Libro 2)
MINACCIA PRIMARIA (Libro 3)
GLORIA ASSOLUTA (Libro 4)
SERIE DI SPIONAGGIO DI AGENTE ZERO
AGENTE ZERO (Libro 1)
OBIETTIVO ZERO (Libro 2)
LA CACCIA DI ZERO (Libro 3)
UNA TRAPPOLA PER ZERO (Libro 4)
DOSSIER ZERO (Libro 5)
IL RITORNO DI ZERO (Libro 6)
ASSASSINO ZERO (Libro 7)
UN'ESCA PER ZERO (Libro 8)
UN RACCONTO DELLA SERIE AGENTE ZERO
CAPITOLO UNO
14 ottobre 2005
18:11 fuso orario del Libano (11:11 fuso orario della Costa Orientale)
Tripoli
Libano settentrionale
"Cosa dice?"
Il tiratore alto, magro e biondo fissava attraverso il mirino telescopico del fucile QBU-88 di fabbricazione cinese. L'uomo aveva passato le ultime ventiquattr'ore a familiarizzare intimamente con quell’arma. Era un’evoluzione di un vecchio fucile da cecchino russo, il Dragunov. Quell’uomo aveva già sparato con un Dragunov in passato. Questo era migliore.
L'allievo aveva superato il maestro. I cinesi erano i più grandi imitatori al mondo. Copiano tutto quello che fai e lo fanno meglio.
L'uomo giaceva a pancia in giù in una fitta vegetazione su un altopiano che dominava la città di Tripoli e il fucile era proprio davanti a lui, sorretto da un cavalletto. Nella sua mente, cercò di immaginare il muso scuro di questa cosa che spuntava dai cespugli. Era sicuro di essere praticamente invisibile, per quanto possibile.
Alla sua sinistra, e sotto di lui, antichi edifici di pietra, in molti colori scrostati e sbiaditi, sfilavano come soldati lungo il ripido fianco della collina verso un mare di un colore blu intenso.
Il nome del bandito non era Kevin Murphy. Il suo passaporto canadese portava il nome Sean Casey. La sua patente di guida dell'Ontario riportava lo stesso nome. Un canadese di nome Sean Casey era un'identità molto buona, molto rassicurante.
Era solo un avventuroso canadese giramondo, che visitava destinazioni fuori dai sentieri battuti come la seconda città fatiscente, lacera, ma comunque molto bella del Libano, arroccata come un gioiello sulla costa mediterranea.
Non c'è niente da vedere qui.
Solo un minuto prima, il sole era scivolato dietro il mare in uno spettacolare tripudio di giallo e arancione, con solo un lampo di verde alla fine. L'uomo armato che non si chiamava Murphy aspettava sempre quel lampo verde. L'aveva notato in così tanti luoghi che ormai aveva perso il conto.
Nel cerchio del mirino telescopico di quest’uomo che non si chiamava Murphy, c'era un altro uomo con una barba nera, striata di bianco. Indossava un copricapo a scacchi bianchi e rossi. Il suo nome era Abdel Aahad. Era sulla cinquantina, era un soldato della guerra radicale sunnita e leader della milizia che aveva operato fuori da questa città, trascurata negli ultimi vent'anni. Ma non per molto ancora.
Aahad era seduto presso un patio a circa novecento metri di distanza, diciamo nove campi da calcio, o forse tre piani più in basso. Era un tiro difficile, proprio al limite del raggio d'azione di quell’arma. Il dislivello lo rendeva ancora più complicato. La leggera brezza proveniente dal mare lo rendeva addirittura azzardato.
Il sole era tramontato. Presto sarebbe arrivato il crepuscolo. Se quello sparo avesse dovuto risuonare, lo avrebbe fatto proprio in quel momento.
Disse semplicemente: “Colpisci la testa e anche il corpo morirà”.
Il nostro uomo che non si chiamava Murphy non guardò il suo compagno, un ragazzo di nome Ferjal.
Ferjal era una recluta di Hezbollah. Non ancora diciottenne, faceva cose folli e pericolose da quando ne aveva quattordici o quindici. Dimostrava non più di dodici anni. Era accanto al suo compagno nei cespugli, in una posizione accucciata di allerta che molti uomini, in tantissime parti del mondo, usavano ancora.
Agli americani non serviva saper tenere quella posizione. Gli americani avevano una piccola e ingegnosa invenzione chiamata "sedia".
L’uomo il cui nome non era Murphy sapeva che Ferjal aveva un auricolare in un orecchio e stava ascoltando la conversazione in Arabo che avveniva in quel lontano patio di pietra. Abdel Aahad aveva molti amici in questo mondo, ma l'uomo seduto con lui nel patio non era uno di loro.
“Davvero? Ha detto questo?"
"Sì. Conosci questa frase?"
L’uomo si strinse leggermente nelle spalle. Non distolse lo sguardo dal mirino.
“L'ho sentita al contrario. Uccidi il corpo e la testa morirà, mi sembra più corretta. In molti casi, uccidi la testa e il corpo morirà è un’affermazione falsa. È molto difficile avvicinarsi alla testa, e comunque ne cresce sempre una nuova. Il corpo, invece…"
"Il contesto è il presidente americano", disse Ferjal.
L’uomo che non si chiamava Murphy fissava i movimenti della mascella di Abdel Aahad mentre parlava. Molto, molto lentamente, spostò l'obiettivo del suo mirino appena sopra la tempia di Aahad, e appena un po' a sinistra. Aahad era molto lontano. Il pesante colpo sparato da quell’arma era perforante, quindi non c'era da preoccuparsi. Il cranio umano era tutt'altro che un'armatura. Tutto quello che doveva fare era colpire la testa di Aahad da qualche parte, e questa sarebbe scoppiata come un pomodoro maturo.
Ma la traiettoria era piatta e avrebbe perso un po' di potenza lungo il percorso, quindi doveva mirare solo un po' più in alto. La brezza dell'acqua avrebbe anche alterato leggermente la traiettoria, spingendo il proiettile … di poco… verso… destra.
"È una fantasia, in questo caso", disse.
L’uomo non vide Ferjal annuire. Lo percepì.
"Sì. Un sogno fantastico. Immaginano di catturare il presidente americano e di portarlo in un luogo in cui è in vigore la legge della Sharia wahabita. Quindi lo processeranno davanti ai giudici e lo condanneranno per omicidio, spionaggio contro uno stato musulmano e degenerazione apostata davanti agli occhi del mondo e davanti ad Allah. Sono molto fieri di questa idea".
L’uomo che non si chiamava Murphy non era convinto. "Non è musulmano, quindi non credo possa essere apostata".
"No, forse no", disse Ferjal. “Ma è un prostituto, un abortista e da molti anni promotore di comportamenti degenerati tra gli uomini. È il direttore del circo degenerato americano. Ovviamente è colpevole di omicidio e spionaggio".
L’uomo rise piano. Sembrava che il ragazzo avesse già processato il presidente Americano. "E dove si svolgerà il processo?"
“Dicono a Mogadiscio, Somalia. L'Unione delle Corti Islamiche ha sequestrato la città, forse temporaneamente. Sono credenti molto conservatori. Ci sono altri luoghi possibili, ma questo è il più probabile. Le terre tribali del Pakistan occidentale. Lo Yemen controllato dai sunniti, forse. Sicuramente non l'Arabia Saudita. Gli infidi sauditi restituirebbero certamente l'uomo alle autorità americane. Sanno da che parte conviene stare".
"Ha detto tutto questo o queste sono le tue opinioni?"
“Ha detto Somalia. Il resto sono mie opinioni. Ma sono ben informato".
Il tiratore sorrise. Ferjal gli piaceva. Aveva preso in simpatia questo ragazzo.
Il lavoro di Ferjal era quello di guidarlo fino al luogo predisposto, ottenere il via libera, poi riportarlo via da lì senza che nessuno se ne accorgesse. Ferjal avrebbe dovuto anche recuperare la pistola in un secondo momento, prenderla e farla sparire.
L’uomo in incognito indossava guanti tattili sottili nell'improbabile caso che qualcun altro trovasse per primo la pistola. Lui non esisteva. Ma aveva impronte digitali e aveva un DNA. L'esercito degli Stati Uniti aveva queste informazioni nel suo database, e questo significava che anche altri le avevano. Non aveva mai toccato quell’arma a mani nude.
Non che fosse importante. Nessuno l’avrebbe trovata. Ferjal sapeva fare il suo lavoro.
Ferjal era anche bravo a commentare gli avvenimenti in modo divertente. Condiva le sue traduzioni con detti e motti pseudo americani che, secondo lui, la gente pronunciava in arabo.
I capi di Ferjal a Beirut, essendo sciiti, non amavano i sunniti. Si stavano preparando per una guerra contro Israele lungo il confine meridionale, e a loro non piaceva tutta quella “spazzatura sunnita militante”, come Abdel Aahad, che andava in giro libero di fare ciò che voleva, come pugnalarli alle spalle mentre erano impegnati in altre faccende.
Quindi stavano ripulendo un po' la zona.
Avevano portato l’uomo che non si chiamava Murphy in una casa imbiancata di calce, butterata dal fuoco delle mitragliatrici, solo due giorni prima. Uno studioso barbuto con gli occhiali era seduto su una semplice sedia pieghevole, mentre il nostro uomo era in piedi.
Lo studioso gli comunicò che l’obiettivo era Aahad. Non era una buona notizia. Aahad era un problema e lo era stato per molti anni. Era un piantagrane e, tra le altre cose, un traditore del suo paese. Lo avevano avvertito più volte, ma senza successo.
Era ora che Aahad se ne andasse.
"Ventimila dollari americani", aveva detto il sicario allo studioso. "Quindici per me, cinque per il ragazzino". Quindicimila dollari non erano niente per lui, praticamente meno di zero, una cifra per la quale quasi non valeva la pena alzarsi dal letto.
Cinquemila dollari invece sarebbero stati l’importo più grande che il giovane Ferjal avesse mai visto in vita sua. Probabilmente era quello che suo padre guadagnava in sei mesi.
Tutto in un solo giorno di lavoro.
"Sai bene", aveva detto lo studioso barbuto, "il sacrificio che i fratelli del confine meridionale fanno ogni giorno? Vivono in buchi sottoterra. Fanno una coraggiosa battaglia contro le pattuglie sioniste, mentre vengono cercati da elicotteri da combattimento sionisti".
"Sono molto coraggiosi", aveva risposto il sicario. "E sono sicuro che il tuo amico Allah li ricompenserà quando arriveranno…"
"Sai quanto cibo, armi e conforto possiamo fornire a quei fratelli per ventimila dollari?"
"È una raccolta fondi?" disse il tiratore. “Perché sinceramente, non capisco. Se sono troppi soldi, assegna questo compito a uno dei fratelli del confine meridionale. Sono sicuro che lo farebbero solo per la gloria".
Lo studioso scosse la testa. “Questo è un lavoro per un tiratore esperto. È un colpo sparato da una distanza molto lunga. Abbiamo bisogno del migliore".
Il tiratore si strinse nelle spalle. "Il migliore dovrete pagarlo".
Ora, sul fianco della collina, l'oscurità stava calando. Non c'era quasi più tempo. La pistola cinese aveva un buon soppressore di luminosità, con un lungo silenziatore montato sopra. Il tiratore aveva testato il setup il giorno precedente. Era molto bello, niente flash, pochissimo suono. Tuttavia, avrebbe sprigionato una sottile linea di fumo. Non sarebbe stato più di uno sbuffo dai cespugli, ma poteva essere abbastanza per far uccidere sia lui che Ferjal.
Ma non se lo sparo fosse avvenuto nell'oscurità.
"Quando spari?" Chiese Ferjal. Non era impazienza. Era curiosità.
Il sicario aveva la sensazione che Ferjal fosse fuori di sé per tutti quei soldi. Cinquemila dollari. Erano troppi soldi. Sembrava quasi sperare che questo lavoro non andasse a buon fine. Probabilmente voleva restituire la sua parte.
Da parte sua, il tiratore pensava che non avrebbe preso alcun incarico per un po' dopo quello. Il Libano era un bel paese, ma cominciava a pensare di aver esaurito la pazienza dei locali.
Inspirò profondamente, poi espirò lentamente.
Abdel Aahad era PROPRIO LÌ, mentre le ultime luci del giorno svanivano rapidamente. Pelle abbronzata, occhi da cacciatore, barba folta. Dietro di lui e alla sua destra, uno dei suoi uomini stava accendendo una torcia. Al momento l'elettricità di Tripoli era fuori uso. L'elettricità a Tripoli mancava spesso. A quanto pare, in quei giorni erano più le ore in cui non arrivava che quelle in cui era funzionante.
La torcia non era una distrazione. Semmai, lo avrebbe aiutato. La sua luce brillava sul viso di Aahad.
La brezza cessò. Accadeva spesso quando il sole tramontava. Il calore si stabilizzò come se qualcuno avesse premuto un interruttore.
Il sicario riportò il mirino leggermente a sinistra.
Devi dirlo a Stone.
Il pensiero sorse spontaneo, da una profondità oscura illeggibile nella sua mente. Cosa dovrei dire a Stone? Che negli ultimi minuti della sua vita, un morto che camminava si fosse lasciato andare a qualche pio desiderio di far processare il presidente degli Stati Uniti in un tribunale di islamici fondamentalisti? Ridicolo.
Non c'era bisogno di farlo sapere a Luke Stone. Luke Stone pensava che il sicario fosse morto. Tutti pensavano che l’ex Murphy fosse morto. Era una buona cosa che tutti lo credessero morto.
Scacciò l'idea. Non c'era niente da dire. Nient'altro che inutili chiacchiere.
Si concentrò di nuovo sul patio.
Non avrebbero visto niente da laggiù. Non avrebbero sentito niente. Non avrebbero potuto dire da dove era giunto lo sparo. All'inizio avrebbero pensato che fosse partito da vicino, ma non era così. La sua mente fece un rapido calcolo.
Velocità del proiettile, circa 930 metri al secondo. Distanza, presumibilmente, 800 metri. Perdita di potenza… beh, non era uno studioso di balistica. Diciamo solo che un secondo intero dopo aver premuto quel grilletto, si sarebbero scatenati paura, confusione e caos.
Poi, un attimo dopo, sarebbe iniziata la caccia.
"Sei pronto?" disse il sicario. "Sei pronto a portarmi via da qui?"
"Sì", disse Ferjal, con un tono serio. Il sicario poteva sentire il corpo del ragazzo irrigidirsi.
"Ho il via libera?"
“Ho il potere di darti il via libera sin dall'inizio. Puoi sparare quando sei pronto".
Adesso non c'era nessun altro oltre ad Aahad. La sua faccia era al centro del mirino. Aahad stava parlando. Stava parlando a qualcuno dell'accordo, di come si sarebbe verificato.
Aahad era intelligente ed esperto. Sapeva il fatto suo. Era furbo. Era spietato. In tutti questi anni era rimasto vivo e un passo avanti ai suoi nemici.
La luce della torcia gettava il suo riflesso rossastro sul viso di Aahad.
Non avrebbe potuto presentarsi un momento migliore, nemmeno se il nostro uomo avesse potuto pianificarlo nel dettaglio.
Il tiratore sussurrò qualcosa a bassa voce.
Inspirò ed espirò di nuovo.
Premette il grilletto. L’arma scattò verso la sua spalla.
Ci fu un debole suono sordo.
Il proiettile volò nell'aria.
Abdel Aahad era un uomo intelligente e un avversario pieno di risorse.
Ma ora non più.
Pochi secondi dopo l’uomo il cui nome non era Murphy correva accucciato, con la mano stretta attorno alla spalla del ragazzo, con il favore del buio.
CAPITOLO DUE
Ore 17:55 del fuso orario della Costa Orientale
Contea di Queen Anne, Maryland
Sponda orientale della baia di Chesapeake
"Venerdì sera", disse Luke Stone.
Luke e Becca si sedettero al tavolo del patio. Il sole stava tramontando sulla baia, in un tripudio di rosso, giallo e arancione. Era una serata fresca e frizzante. Gli alberi cominciavano a cambiare le foglie. Luke adorava quel periodo dell'anno. Indossava una maglietta sottile e dei jeans, lasciando che la brezza gli facesse venire la pelle d'oca. Becca indossava un pullover di pile giallo.
Becca sospirò contenta. "Venerdì sera", disse in tono di conferma. Fecero tintinnare i bicchieri, come a brindare a quel programma.
Avevano appena cenato, avevano ordinato pizza da asporto da un locale piuttosto rinomato. Luke era al terzo bicchiere di vino rosso.
Il bambino dormiva in grembo a Becca, avvolto in un pile azzurro, con un berrettino di maglia e una coperta.
Ah, il bambino.
Gunner aveva già cinque mesi. Stava crescendo a passi da gigante. La sua testa era enorme e ricoperta di folti riccioli biondi. Aveva penetranti occhi azzurri, era molto forte e riusciva già a tenere su da solo quel testone gigante.
Osservava e gorgogliava, come se non vedesse l'ora di parlare. E amava giocare a bubusettete. Poteva giocare per ore e ore e ridere di gioia ogni volta.
Tutto per lui era motivo di mistero e di incanto. Proprio l'altro giorno, Luke aveva detto ad alta voce "Gunner" e poteva giurare che il bambino si fosse voltato a guardare, come se avesse riconosciuto il suo nome.
La vita era bella.
"Dovrei portarlo dentro", disse Becca. “Inizia a fare freddo”.
Luke annuì. "Penserò io a sparecchiare. Rimarrò qui ancora un po'".
Becca fece il giro del tavolo, lo baciò sulla fronte e poi si incamminò su per la collina verso la casa, tenendo il bambino in braccio. Luke la guardò allontanarsi.
Trovarsi lì era idilliaco. Gli dispiaceva doversene andare.
Gli era stato concesso un mese di ferie. Era un regalo da parte di Don Morris. Don aveva deliberatamente rallentato l'operazione di investigazione in merito agli eventi che avevano avuto luogo sulla piattaforma petrolifera artica Martin Frobisher.
Alla fine, proprio la settimana precedente, Luke era stato sollevato da tutti gli incarichi, aveva ricevuto un encomio dall'agenzia per la Frobisher, e probabilmente ne avrebbe ricevuto un altro in segreto per aver disinnescato la bomba nucleare di Zio Joe. L'incidente di Zio Joe, come lo chiamerà un giorno la storia, era stato classificato come Top Secret per i successivi settantacinque anni.
Ma tutte le cose belle finiscono, compresa quella sospensione dal servizio. Luke era atteso al quartier generale dello Special Response Team il lunedì successivo, molto presto al mattino. E ciò significava che quello era il loro ultimo fine settimana in quel casolare, un bellissimo posto antico che era appartenuto alla famiglia di Becca per più di un secolo.
Era un edificio rustico. Era piccolo e chiaro che fosse stato costruito alla fine del diciannovesimo secolo per persone minute, non nel ventunesimo secolo per persone alte come Luke Stone. I soffitti erano bassi. La scala al secondo piano era stretta. Le assi del pavimento scricchiolavano. La porta della cucina aveva una molla troppo tesa e, se la lasciavi andare, si chiudeva sbattendo con forza ogni volta.
Luke adorava quel posto. Forse era il suo posto preferito al mondo.
Adorava che si trovasse sul mare e amava la vista panoramica sulla baia di Chesapeake che si poteva vedere dal promontorio. Niente avrebbe potuto batterlo.
Sospirò. Bisognava tornare alle miniere di sale. Beh, anche quello poteva andare.
Il suo cellulare squillò.
Diede un'occhiata al display illuminato. La chiamata in ingresso veniva da un numero non registrato in rubrica.
Non erano molte le persone al mondo ad avere il numero di quel telefono. Solo in rarissime occasioni arrivava una telefonata da un numero sconosciuto.
Era riluttante a rispondere alla chiamata, ma forse era una buona notizia. Forse le ferie gli erano state prolungate. Prese il telefono e rispose.
"Luke Stone", disse.
"Sai chi sono?" disse una voce. "Se lo sai, non pronunciare il mio nome".
Era la voce di un uomo, e ovviamente Luke capì subito di chi si trattasse. Nonostante ciò, gli servì un po' per elaborare l'informazione. Un fantasma lo stava chiamando dall'oltretomba.
Tre settimane prima, Luke ed Ed erano andati a New York City e avevano partecipato al funerale di un uomo di nome Kevin Murphy. Era stato celebrato in una vecchia chiesa cattolica nel Bronx. Successivamente, avevano assistito alla sepoltura in un cimitero vicino.
Era stato chiamato un uomo in kilt a suonare la cornamusa. Era stata organizzata una scorta d'onore, ma la salma non aveva ottenuto la sepoltura presso il cimitero nazionale di Arlington: era stato un eroe di guerra diverse volte, ma era scomparso, era stato accusato di diserzione e aveva concluso la sua carriera militare con un congedo disonorevole.
Luke ed Ed erano rimasti dietro alla folla. Una donna sulla settantina, vestita completamente di nero, era seduta davanti. Era rimasta ferma e impassibile quando un membro della guardia d'onore le aveva consegnato la bandiera americana piegata in tre.
Nel suo patio sul retro, Luke riuscì finalmente a parlare. Era rimasto senza parole per un lungo momento.
"Tua madre pensa che tu sia morto".
"Le farò uno squillo", rispose la voce.
"È troppo tardi. Ti ha già seppellito".
“Deve essere stato qualcun altro. Mia madre sarebbe capace di uccidere qualcuno anche solo per avere un corpo da seppellire".
La madre di Murphy aveva seppellito una bara vuota. La moschea di Beirut dove era morto Murphy era bruciata da due settimane. I prodotti chimici nel seminterrato avevano preso fuoco durante i bombardamenti e non era stato possibile estinguere l'incendio. Dozzine di cadaveri si trovavano ancora all'interno di quella moschea, ma nessuno era stato recuperato.
"Dove ti trovi?" Disse Luke.
"In giro", rispose la voce. "Hai letto le notizie dal Medio Oriente oggi?"
"Forse".
“Un uomo è stato colpito alla testa. Aveva potenti avversari, che stanno cercando di preparare il terreno per una partita importante. L'uomo era un po' famoso, ma era più che altro un elemento di disturbo. Non è stata altro che la rimozione di una pedina. Hanno chiamato un uomo per farlo".
Luke l'aveva letto. Il nome dell'uomo era Abdel Aahad. Aveva goduto di una lunga carriera come uomo d'azione nelle infinite guerre civili del Libano. Quella carriera era finita bruscamente quella mattina, con un colpo alla testa tirato da lontano. I suoi potenti avversari erano sicuramente Hezbollah. E la grande partita a cui si stavano preparando era Israele.
Naturalmente, l'intera cosa aveva attirato l'attenzione di Luke. Anche Luke era stato in Libano un mese prima. E Murphy era morto lì, mentre era in missione e stava lavorando per Luke. Luke si era sentito molto in colpa per questo, fino a circa due minuti prima.
Murphy non era morto. Murphy non sarebbe mai morto.
"Cosa posso fare per te?" Disse Luke.
"Nada. Sto bene. Ho un'informazione, tutto qui. Potrebbe essere qualcosa, potrebbe non essere nulla. Stavo per dimenticarla, ma poi ho pensato che non fosse molto corretto. Sono ancora dalla vostra parte. Dovevo dirlo a qualcuno. Quindi ho deciso di chiamarti".
"Sono tutto orecchie", disse Luke. Murphy si era detto dalla loro parte. Aveva finto di essere morto e sembrava suggerire di aver appena compiuto un assassinio su commissione per conto di un'organizzazione terroristica. Nonostante tutto…
"Sai, puoi ancora tornare".
"È fantastico e apprezzo l'offerta. Ma ascolta solo un secondo, ok? Quella pedina? Stava chiacchierando fino all'ultimo secondo. In realtà, non ha potuto finire la frase".
Murphy rimase in silenzio per un attimo. Sembrava che ci fosse un rumore, una voce forte, che riecheggiava in sottofondo.
"Di cosa stava parlando?" Disse Luke.
“Stava dicendo di voler catturare “El Numero Uno”, un pezzo grosso. Di portarlo da qualche parte dove vigesse la legge della Sharia e metterlo sotto processo".
"Un pezzo grosso, eh?"
"Proprio lui", disse la voce. "Il grande vecchio, lo Yankee Doodle Dandy, il grande esperimento liberale".
Murphy stava parlando del presidente degli Stati Uniti. Il nuovo presidente, Clement Dixon, era il più anziano nella storia americana e ritenuto il più liberale degli ultimi decenni. Murphy non era il tipo a cui piacevano i liberali. Un incidente della storia aveva messo Dixon in carica. Aveva passato la maggior parte della sua vita adulta a gridare e chiamare a gran voce vari presidenti dalle sale del Congresso.
"La parte migliore è che il luogo con la legge della Sharia che hanno in mente è il Mog".
"Mogadiscio?" Disse Luke.
"Conosci qualche altro Mog?"
Mogadiscio. Ottobre 1993. Era successo prima che arrivasse Luke: l'aveva mancato per poco più di un anno. Ma ogni Army Ranger e ogni membro della Delta Force conosceva la storia della battaglia notturna che ebbe luogo lì. I Rangers, Delta, il 160° Reggimento dell'aviazione per operazioni speciali (Night Stalkers) e la Decima Divisione Montana avevano perso complessivamente diciannove uomini.
"Sembra un po' inverosimile", disse Luke.
"Spero che il mio istinto si sbagli, ma di solito non succede. Ma ho pensato che avrei dovuto riferirvelo comunque".
"Non credo che la pedina in questione abbia mai avuto quel tipo di potere".
"Nessuno può dire di averlo", disse la voce. “Forse qualcuno pensa di averlo. Le persone a volte si spingono oltre e finiscono per fare dei pasticci".
Luke ci pensò a lungo.
Quella voce echeggiante apparve di nuovo in sottofondo. Questa volta era più forte. Sembrava un annuncio trasmesso in aeroporto. Zero guardò l'orologio. Erano le 18:00 passate. Se Murphy aveva qualcosa a che fare con l'assassinio di Aahad poteva trovarsi ancora in Libano, sette ore prima.
"Guarda, devo scappare", disse la voce.
"Dove sei?" Disse Luke per la seconda volta.
"Non posso dirtelo".
"È un po' tardi per un volo di linea, non è vero?"
“Non saprei. Buon lavoro su quell'altra cosa a nord, però. Ne ho sentito parlare. Le persone parlano. Ed è stato bello parlare con te".
"Ascolta, Murph…"
Ma aveva già riattaccato.
Luke fissò il telefono per un momento. Alla sua sinistra, il sole era appena calato nella baia. Un'ampia striscia gialla illuminava l'orizzonte. Era l'ultimo spiraglio di quella giornata. Presto avrebbe lasciato il posto a una bella notte d'autunno.
Il Presidente? Rapito e portato davanti a un tribunale islamico? Non era l'idea più facile da digerire. E non era un'informazione semplice da riferire.
Chi glielo aveva detto? Come lo aveva scoperto?
“Oh, me l’ha dtto Murphy. Sai, quello che è morto? Ne ha sentito parlare mentre assassinava un leader della milizia sunnita. Sì, ha deciso di restare in Libano dopo la sua morte. Immagino che ora lavori come mercenario".
Non avrebbe funzionato.
In ogni caso, il presidente degli Stati Uniti si trovava con Don Morris in quel momento, in un viaggio ufficiale verso Puerto Rico. Don Morris, il leggendario guerriero, co-fondatore della Delta Force, nonché fondatore e direttore della squadra speciale dell'FBI, aveva fatto una buona impressione sul nuovo presidente dalla mentalità liberale.
Il presidente potrebbe essere più al sicuro con Don Morris appollaiato sulla sua spalla? Luke ne dubitava. Sorrise al pensiero di quella strana coppia.
Si alzò e cominciò a portare via i piatti della cena.
Poi si fermò. Si immobilizzò, mentre calava la notte. Guardò di nuovo il telefono. Numero sconosciuto. Era Murphy.
Luke aveva cercato di portarlo a bordo della squadra speciale e, in verità, la prestazione di Murphy era stata eccezionale. Più che eccezionale. Non era propriamente un investigatore, ma se lo lasciavi libero in una situazione che richiedesse un combattimento faceva sempre del suo meglio. Il problema non erano le sue performance.
Il problema erano la sua instabilità e le sue mancanze. Il problema era la sua tendenza a scomparire. Il problema erano i suoi modi misteriosi.
Ma era ancora vivo, e se aveva richiamato non era sparito completamente.
E quelle informazioni…
Luke sospirò. Era inverosimile. Non poteva essere vero. Nonostante ciò…
Compose rapidamente un numero. Il telefono squillò tre volte, poi una profonda voce femminile rispose.
“Che fai, Stone? Non devi tornare fino a lunedì. Non riesci ad aspettare ancora due giorni, eh?"
Trudy Wellington.
Luke sorrise. “Stavi dormicchiando? Hai la voce assonnata".
"Proprio no. Perché mi disturbi?"
“Cosa succede laggiù? Qualcosa di nuovo? "
Luke la immaginò alzare le spalle dall'altro lato del telefono. "Niente di che. La Corea del Nord ha lanciato un falso allarme missilistico oggi, inviando i corridori attraverso i loro tunnel di comunicazione con codici di lancio fittizi. Seul avrebbe potuto essere colpita da una raffica di trentamila armi convenzionali nel corso di quindici minuti, milioni di morti o non sarebbe potuto accadere nulla. E non è successo nulla".
“C'è altro?”
“Oh, i russi hanno bombardato un nascondiglio di Al Qaeda in Daghestan. O una festa di matrimonio. Dipende a chi chiedi".
"Qualcosa di meglio?" Disse Luke. "Qualcosa di più?"
"È il gioco delle venti domande, Stone?"
"Niente che riguardi il presidente?"
“Solo il solito, per quanto ne so. Pazzi solitari che non arriveranno mai a meno di dieci miglia da lui caricano manifesti su internet. Le milizie di Backwoods, piene di diabetici di mezza età asmatici e infiltrate al cento per cento da informatori, si stanno esercitando per la prossima Guerra Civile, che inizierà pochi istanti dopo che lo avranno assassinato. Inoltre, i religiosi islamici stanno implorando Allah di colpirlo a morte con un ictus o un infarto coronarico. Ha molti ammiratori. Direi che i pazzi di ogni genere lo odiano, più o meno".