Kitabı oku: «Gloria Primaria», sayfa 5
CAPITOLO NOVE
Ore 12:20 fuso orario della Costa Orientale
Stanza delle Decisioni
Casa Bianca, Washington, DC
"Un altro incubo", disse Thomas Hayes sottovoce. "Finirà mai questa storia?"
Hayes, vicepresidente degli Stati Uniti, si diresse a grandi passi per i corridoi dell'ala ovest verso l'ascensore che lo avrebbe portato alla Stanza delle Decisioni.
Aveva appena ricevuto la notizia. Non solo c'era stato un attacco terroristico lungo il percorso del corteo presidenziale nella vecchia San Juan, ora sembrava che l'Air Force One, con Clem Dixon a bordo, fosse stato dirottato.
Le falle nelle misure di sicurezza avevano lasciato Hayes senza parole. Erano necessari seri provvedimenti, e sarebbe stato lui a occuparsene. Poteva quasi arrivare a supporre che i servizi segreti, o forse qualche altra agenzia, avessero deliberatamente permesso che accadesse. Clem Dixon era il presidente più liberale dai tempi di LBJ. Loro, chiunque essi fossero, potevano volerlo morto.
Hayes non si fidava delle forze di sicurezza militari o civili degli Stati Uniti. Non aveva mai nascosto questo fatto.
Non aveva nemmeno mai nascosto il fatto che avesse dei progetti per la presidenza. Ma non voleva ottenerla in quel modo. Clem Dixon era un amico. Ed era un alleato. Durante i suoi decenni alla Camera, il suo impegno per la giustizia economica, ambientale e razziale era stato di grande ispirazione per lui. Hayes voleva vedere Dixon all'apice della sua carriera di presidente. E solo in un secondo momento avrebbe voluto prendere il suo posto.
Ma ovviamente i media non lo avrebbero presentato in questo modo. Nemmeno i suoi avversari a Washington. No. Avrebbero cercato di far sembrare che Thomas Hayes avesse dirottato l'aereo. E Dio non voglia che Clem muoia…
Penserebbero che Thomas Hayes e Osama bin Laden siano cugini e che si nascondano insieme per creare complotti contro il governo.
Una falange di persone camminava con lui, davanti a lui, dietro di lui, tutt'intorno a lui: aiutanti, stagisti, agenti dei servizi segreti, personale di vario genere. Non aveva idea di chi fossero metà di quelle persone. Tutti erano molto più bassi di lui: di almeno venti centimetri o forse più. Era come un dio in mezzo a loro, un guerriero, e loro sembravano gnomi.
Queste persone vogliono distruggermi.
Il pensiero gli balenò in mente all'improvviso. Era quasi come se gli fosse stato lanciato addosso. L'idea che qualcuno avrebbe cercato di farlo fallire, o addirittura di distruggerlo, era un intruso sgradito nella sua mente. Era un genere di cose che non gli sarebbero mai venute in mente in passato, fino a poco tempo prima.
Un tempo, si considerava la persona più ottimista che conoscesse. No, non era del tutto corretto. Probabilmente era stato la persona più ottimista d'America.
Fin dall'inizio, era abituato ad eccellere in ogni cosa. Al liceo era stato eletto migliore studente ed era stato presidente del corpo studentesco. Si era laureato con lode sia a Yale che a Stanford. Brillante ricercatore. Presidente del Senato dello Stato della Pennsylvania. Governatore della Pennsylvania.
Adesso era vicepresidente, un lavoro che aveva accettato su richiesta di Clem Dixon. Negli ultimi mesi aveva cominciato a sembrare sempre più un percorso di preparazione al grande evento. Clem era vecchio. Era stanco. Era stato convinto ad accettare il ruolo di presidente e, alcuni giorni, sembrava che non ne fosse poi così entusiasta. Forse non si sarebbe ricandidato alle elezioni al termine di quel mandato.
Ma man mano che Thomas Hayes si avvicinava sempre più all'ambita carica, l'ostilità che percepiva nei suoi confronti si faceva sempre più feroce. È quello che non ti hanno mai detto. Le persone si divertivano a prenderti in giro. Hayes aveva già provato quella sensazione come governatore, ma ciò che stava vivendo come vicepresidente era molto peggiore. Se era già così, come sarebbe stato quando finalmente sarebbe diventato presidente?
Aveva sempre creduto di poter trovare la giusta soluzione a qualsiasi problema. Aveva sempre creduto nel potere della sua leadership. Inoltre, aveva sempre creduto nella bontà intrinseca delle persone. Quelle convinzioni, specialmente l'ultima, stavano svanendo rapidamente con il passare dei mesi.
Poteva sopportare molte ore di lavoro. Poteva gestire i vari dipartimenti e la vasta burocrazia. Sebbene ci fosse poca fiducia, sembrava esserci una certa dose di rispetto tra lui e il Pentagono. Le agenzie governative probabilmente lo odiavano. Ma lui non aveva ancora tentato di smantellarle e loro non avevano ancora cercato di farlo dimettere. Si temevano a vicenda.
Si era abituato ai servizi segreti intorno a lui ventiquattro ore al giorno, che si intromettevano in ogni aspetto della sua vita.
Ma i media avevano cominciato a farlo a pezzi, basandosi sul nulla. Gli attacchi avevano poco a che fare con le sue convinzioni di lunga data o con le sue politiche amministrative. Erano solo attacchi ad hominem alla sua personalità e al suo aspetto.
Erano del livello più basso possibile.
Era un bell'uomo. Lui lo sapeva. Non puoi arrivare a ricoprire posizioni di potere se non sei almeno presentabile. Ma era anche nato con un naso leggermente più grande della media. In altri tempi la gente avrebbe definito il suo un naso "romano". Ora i vignettisti di Washington lo disegnavano grande come un cetriolo. I fumettisti di Filadelfia, Pittsburgh, Harrisburg non l'avevano mai fatto. Il modo in cui alcuni dei fumettisti di Washington lo disegnavano era francamente osceno. Sembrava che stessero cercando di superarsi a vicenda esagerando le dimensioni del naso di Thomas Hayes! Era una delle cose più infantili che avesse mai sperimentato.
Nel frattempo, i redattori editoriali si dilettavano nel prenderlo in giro come membro dell'"élite dei country club", come "liberale in limousine" e come "erede di una generazione di ladri".
Sì, una volta la sua famiglia possedeva acciaierie nella Pennsylvania occidentale e le ferrovie che trasportavano quell'acciaio in tutto il paese. Sì, il suo bisnonno aveva schierato dei teppisti contro i suoi stessi dipendenti. E sì, Thomas Hayes aveva goduto di un'educazione privilegiata grazie a questa ricchezza.
Ma questo significava che non poteva essere favorevole a un salario dignitoso per i lavoratori moderni, o ai diritti delle donne, o alla protezione dell'ambiente, o alla ricerca di soluzioni diplomatiche piuttosto che all'invasione di ogni paese ostile?
Apparentemente, agli occhi dei media, ciò lo rendeva una sorta di ipocrita.
Beh, era meglio che si abituassero. Thomas Hayes era lì per restare. Un giorno sarebbe diventato presidente. Si sperava che non sarebbe stato oggi, ma quel giorno stava arrivando e quando sarebbe arrivato, i media avrebbero dovuto iniziare a trattarlo meglio. Lo avrebbe preteso. La libertà di parola era una cosa. Le prese in giro gratuite erano ben altro.
L'ascensore si apriva sulla Stanza delle Decisioni, di forma ovale. Era uno studio super moderno e allestito in modo tale da ottimizzare al meglio lo spazio: c'erano grandi schermi incastonati nelle pareti ogni due metri e uno schermo per proiezioni gigante sulla parete più lontana all'estremità del tavolo.
Tutti i sedili in pelle al tavolo erano occupati, tranne due. Uno era per Thomas Hayes. L'altro era stato allestito simbolicamente per il presidente degli Stati Uniti. Al vedere quella sedia vuota, Hayes cercò di farsi forza.
Avrebbero riportato Clem Dixon a casa vivo a qualsiasi costo.
La stanza gremita divenne silenziosa. Thomas Hayes, alto un metro e novanta e dalle spalle possenti, attirava l'attenzione. Era sempre stato così. Da giovane, aveva sempre avuto una costituzione robusta ed era stato capitano della squadra di canottaggio, sia al liceo che a Yale.
Tutti gli occhi erano puntati su di lui.
Esaminò la stanza. Il Segretario alla Difesa, Robert Altern, era presente. Il Consigliere per la Sicurezza Nazionale, Trent Sedgwick, era presente. Il Segretario di Stato. Il Segretario degli Interni. Il direttore della CIA. C'era una miriade di altri uomini, compresi militari in uniforme, alcuni dei quali in piedi perché non c'erano più posti a sedere. Se avevano resistito a West Point, meritavano di restare ancora un po'.
Sul tavolo della conferenza c'erano diversi dispositivi radio. Hayes immaginava che ci fossero dozzine di persone ad ascoltare quell'incontro.
Li indicò. "Sono disattivati?"
Si guardò intorno nella stanza osservando diverse paia di occhi, tutti spalancati e spaventati.
Un uomo annuì. "Sissignore".
Un altro uomo in uniforme verde era in piedi all'estremità del tavolo. I suoi capelli erano molto corti. Il suo viso era rasato accuratamente. Generale Richard Stark, Presidente del Consiglio dello Stato Maggiore.
A Thomas Hayes non importava molto di Richard Stark. Non c'era nulla di strano: non gli importava dei militari in generale.
Scivolò nel posto riservato al vicepresidente. L'assenza di Clement Dixon incombeva nella stanza. Lui e Dixon avevano gestito benissimo quelle persone nelle ultime settimane. Come era giusto che fosse. I civili erano responsabili del governo e l'esercito rispondeva ai civili. A volte sembrava che se ne dimenticassero.
Guardò Richard Stark.
"Va bene, Richard", disse. “Tralasceremo tutte le formalità di rito. Dimmi semplicemente cosa succede".
Stark si infilò un paio di occhiali da lettura neri. Guardò i fogli di carta che aveva in mano. Ne spostò uno in cima.
“Poco meno di venti minuti fa”, disse, “abbiamo ricevuto un messaggio da una rete di comunicazioni utilizzata dalla leadership talebana. Abbiamo già utilizzato questo metodo di comunicazione con loro in precedenza. Il messaggio è stato trasmesso dalle terre tribali nell'Afghanistan orientale, negli altopiani lungo il confine con il Pakistan. Abbiamo individuato la posizione della trasmissione, ma le immagini satellitari non mostrano nulla. Forse la trasmissione proveniva da qualche altra parte ed è stata reindirizzata attraverso una stazione remota che ha un ingombro minimo. O forse c'è una struttura sotterranea laggiù…"
"Richard!" disse Thomas Hayes.
Il generale lo guardò.
Questi uomini avevano tutti un brutto vizio. Cercavano sempre di individuare posizioni e potenziali obiettivi. Il mondo intero era per loro un gigantesco bersaglio.
"Non me ne importa niente. Ci penseremo più tardi. Parlami dell'aereo".
Stark annuì. Hayes poteva già vedere che se lui e Stark avessero dovuto collaborare un giorno, ci sarebbe stata una buona quantità di irritazione reciproca.
“Il messaggio che abbiamo ricevuto è che ci sono uomini, attentatori suicidi, a bordo dell'Air Force One. Si trovano nella stiva sotto il livello dei passeggeri e portano con sé esplosivi al plastico, sufficienti per abbattere l'aereo e uccidere tutti a bordo. Capire come siano riusciti ad arrivare lì non è una nostra priorità, ovviamente, ma sembra che ci siano state violazioni della sicurezza all'aeroporto di San Juan. Inoltre, gli attacchi terroristici lungo il corteo presidenziale di questa mattina sono stati più che attacchi. Erano un diversivo sofisticato progettato per seminare confusione e far decollare l'Air Force One senza aver completato i controlli di sicurezza di rito".
Hayes cercò di assimilare le informazioni. Sofisticato.
La parola lo colpì. Per quanto ne sapeva, più di una dozzina di persone erano morte lungo il percorso del corteo e altre centinaia erano rimaste ferite.
Era stato un atto barbaro. Di per sé poteva già essere considerato un attacco terroristico di successo. Ma a quanto pare, era anche sofisticato. Annuì. Ok. Lo capiva.
"Sappiamo per certo che ci sono uomini sull'aereo?"
Stark annuì. “Abbiamo chiesto loro di fornire una prova. Si sono offerti di mandare uno dei loro uomini in cima alle scale tra la stiva e la cabina passeggeri. Abbiamo deciso di non uccidere l'uomo né di prenderlo in custodia. Hanno mantenuto la parola e noi abbiamo fatto lo stesso. Gli agenti dei servizi segreti hanno aperto la porta e l'uomo era già lì. Ciò suggerisce che la prova era predisposta e che i talebani potrebbero non essere in contatto continuo con i dirottatori. L'interazione è durata trenta secondi o meno. L'uomo sembrava essere di origine araba. Indossava un giubbotto suicida pesantemente carico di una catena di quello che un uomo dei servizi segreti con esperienza nelle forze speciali ha stimato essere esplosivo al plastico C-4, o simile. L'agente ha ritenuto che il gruppo fosse costituito da diversi blocchi demolitori M112, o equivalenti, insieme a detonatori standard facilmente infiammabili, possibilmente azoturo di piombo".
Nella stanza si levò un brusio generale.
Richard Stark alzò una mano.
Le chiacchiere cominciarono a diminuire. La stanza era affollata. C'erano troppe persone presenti. Thomas Hayes trovava grave il numero di persone costrette in quello spazio ristretto. Se ci pensava, trovava grave il fatto che la Stanza delle Decisioni alla Casa Bianca, negli Stati Uniti d'America, fosse così piccola.
"Silenzio!" urlò.
Il rumore si spense all'istante.
"Per favore, continua", disse.
"Questo è l'unico contatto che abbiamo avuto finora con i dirottatori", proseguì Stark. "Ma da quella breve interazione, possiamo valutare che c'è un numero imprecisato di aggressori sull'aereo e hanno con sé quelli che sembrano essere esplosivi ad alto potenziale".
"I piloti possono depressurizzare l'area di carico?" Disse Hayes. "Congelarli o far rimanere loro a corto di ossigeno?"
Stark scosse la testa. "È una buona domanda. Sì, si può fare. Ma la comunicazione che abbiamo ricevuto dai talebani avverte chiaramente che gli esplosivi sono già stati dispiegati in tutta la stiva in luoghi vulnerabili e possono essere fatti esplodere con una reazione a catena molto rapidamente. Qualsiasi tentativo di privare la camera di ossigeno o di abbassare la temperatura verrà rilevato e gli aggressori faranno esplodere l'aereo immediatamente".
"Che cosa vogliono?" Disse Hayes. "Dal momento che non hanno fatto saltare in aria l'aereo subito, devono volere qualcosa".
Stark annuì. “Vogliono che l'Air Force One atterri all'aeroporto internazionale Toussaint Louverture di Port-au-Prince, Haiti. Ad Haiti, vogliono che tutti i servizi segreti e altro personale di sicurezza restituiscano le loro armi e lascino l'aereo. Vogliono che i piloti, il presidente e tutti i civili rimangano sull'aereo. Tutto questo deve avvenire sotto la loro supervisione. Poi vogliono che l'aereo decolli di nuovo e si diriga verso una destinazione ancora sconosciuta".
Diverse persone nella stanza scuotevano la testa.
"Non credo che possiamo permetterlo", osservò Hayes.
Ma non ne era sicuro. Certamente, Stark e altri militari nella stanza probabilmente gli avrebbero dato delle opzioni per un tentativo di salvataggio, che probabilmente avrebbe portato a un bagno di sangue.
"Questo è quanto riferito dagli intermediari talebani", disse Stark. "Qualsiasi deviazione dal piano come descritto comporterà la detonazione degli esplosivi e la distruzione dell'aereo".
Stark alzò lo sguardo dalle sue scartoffie e sbirciò al di sopra degli occhiali da lettura.
"Come può immaginare, se l'Air Force One verrà distrutto, la perdita di vite umane sarà significativa".
"Quante persone sono a bordo?
Stark guardò le sue cartelle.
“Ci sono sedici persone attualmente sull'aereo. Otto agenti dei servizi segreti. Due piloti. Un membro di equipaggio di cabina. Il medico dell'Air Force One e un'infermiera. Il presidente, la sua assistente personale e un altro civile. Siamo stati fortunati che il corteo sia stato interrotto e che l'aereo sia decollato bruscamente, lasciando altri ventiquattro membri dell'entourage presidenziale, un pilota aggiuntivo e altri tre membri dell'equipaggio di cabina, a Porto Rico".
"Quanto tempo abbiamo?" Disse Hayes.
"In pratica", disse Stark. "Nessuno. L'aereo dovrebbe essere a Port-au-Prince tra venticinque minuti, forse meno. Sembra chiaro che loro lo sappiano già. Se proviamo a ritardare i tempi, potrebbero decidere di far saltare in aria l'aereo".
"Altre opzioni?"
Stark scosse la testa. "Poche. Finora, non c'è modo di comunicare o negoziare con i dirottatori. Questo è probabilmente voluto in fase di pianificazione, per tenerci all'oscuro e per assicurarsi che i nostri negoziatori non possano comunicare con i dirottatori. Nel frattempo, i nostri accordi con il nuovo governo haitiano hanno portato a ritirare tutte le truppe americane. Non possiamo portare le truppe sul campo in venticinque minuti, e c'è solo un piccolo contingente di consulenti e osservatori delle Nazioni Unite ancora nel paese. Haiti è fondamentalmente uno stato fallito. La loro infrastruttura aeroportuale si sta sgretolando. Le nostre valutazioni suggeriscono che non hanno nemmeno l'equipaggiamento antincendio appropriato in loco e che è probabile che il personale di sicurezza sia scarsamente addestrato, corrotto, incline a esplosioni di violenza incontrollata o tutte queste cose insieme. Non possiamo chiedere alle forze armate o sulla polizia haitiane di eseguire un'operazione per nostro conto".
Hayes fu sorpreso di sentire queste parole uscire dalla bocca di Richard Stark.
"Nessuna squadra di commando delle operazioni speciali?" disse, in tono quasi canzonatorio. "Nessuna squadra di Rangers che si lancia dal cielo?"
Stark era serio. “Operativamente, non funziona. Abbiamo le mani legate e crediamo che i dirottatori abbiano scelto Haiti per questo motivo. Non abbiamo informazioni sugli aggressori. Non abbiamo persone sul posto. Abbiamo una capacità limitata di cooperare con il governo haitiano, e non è chiaro se il governo haitiano controlli anche l'aeroporto. Diverse mine vaganti, signorotti faziosi e mafiosi sembrano esercitare la loro influenza a loro piacimento. Un singolo ritardo, una comunicazione errata o un passo falso potrebbe portare al disastro".
Si fermò e sospirò, abbassando lo sguardo sui suoi documenti. “Per quanto io detesti dirlo, consigliamo di lasciare atterrare l'aereo, far scendere tutti gli agenti dei servizi segreti e poi lasciarlo decollare di nuovo. Possiamo facilmente intercettarlo fino alla sua destinazione finale. Devono atterrare prima o poi. Forse il luogo di arrivo offrirà migliori opzioni per l'interdizione e il salvataggio".
Guardò di nuovo Thomas Hayes.
"Non possono semplicemente far scomparire un aereo così grande".
CAPITOLO DIECI
Ore 13:10 fuso orario della Costa Orientale
Sede della Squadra Speciale
McLean, Virginia
"Figlio di puttana!" disse Don Morris.
Luke fissò il polpo nero sul tavolo della conferenza. La stanza era mortalmente silenziosa mentre Don sbraitava. Luke non l'aveva mai sentito così. In tutti gli anni in cui lo aveva conosciuto, aveva visto Don arrabbiato, era sempre controllato.
Non quella volta.
“Lo stato di preparazione di questo Paese è un disastro. Svolgiamo cortei presidenziale in strade strette costruite nel 1500 e gremite di migliaia di persone. Un attacco terroristico spaventa così gravemente i servizi segreti e l'aeronautica militare che l'aereo decolla senza doppi e tripli controlli di sicurezza preliminari. Non viene mai in mente a queste persone che questi gruppi terroristici non effettuano più un singolo attacco? Gli attacchi sono sempre a catena! Sempre!"
Luke si guardò intorno nella stanza. Trudy. Ed. Swann. Pochi altri. Luke quasi si sentì male. Gli altri non sembravano stare meglio.
Swann sembrava più che malato. Sembrava annebbiato. La moglie di Don era su quell'aereo e nessuno poteva farci niente.
Il respiro di Don usciva rumoroso dall'auricolare. “Gli uomini alla Casa Bianca hanno definito l'attacco sofisticato. Non è sofisticato. Ormai è la procedura operativa standard per questi gruppi. LO SAPPIAMO. Perché continuiamo a imparare cose che già sappiamo?"
Per un secondo, sembrò che stesse soffocando.
"È colpa mia", disse. "Lo so. Ieri sera ho parlato con il governatore portoricano. Dopo qualche bicchiere in più. Oggi sono salito in macchina con lui per chiarire alcuni discorsi. Cose da uomini. Se non l'avessi fatto, sarei stato in macchina con Margaret… Adesso sarei su quell'aereo…"
Esitò un attimo.
"Don, non è colpa tua", disse Trudy.
Non era facile rispondere. Nessuno suggerì che se si trovasse sull'aereo, Don sarebbe impotente come gli agenti dei servizi segreti. Nessuno lo pensava, in ogni caso.
"Don", disse Luke, "parlerò solo per me. Ma voglio che tu sappia che farò qualsiasi cosa, con ogni mezzo disponibile, per riportare Margaret da te sana e salva. Morirò per farlo. Lo farò anche se il mio governo dice di avere altri piani".
Le sue promesse erano sincere. Avrebbe disobbedito agli ordini, sarebbe fuggito ai suoi stessi superiori. Il Presidente era una cosa, e probabilmente era l'uomo più importante della Terra. Ma in quel momento era solo la seconda persona più importante. Se Don era stato come un padre per Luke, allora, in un certo senso, Margaret era stata come…
Non poteva nemmeno pensarci.
Luke era nell'arena adesso. Doveva vincere, ad ogni costo. O morire.
"Farò lo stesso", disse Ed Newsam. Gli occhi di Ed erano feroci, elettrici. Luke pensava che Ed potesse essere l'uomo più pericoloso al mondo. Fu bello sentire che aveva il suo sostegno.
"Anch'io", disse Swann.
"Anche io", disse un ragazzo con i capelli scuri. Luke lo conosceva a malapena. Brian Deckers. Aveva fatto un'incursione in elicottero con Luke nel West Virginia, il giorno in cui avevano trovato il corpo del precedente presidente, David Barrett. Deckers era un bravo ragazzo, si era comportato bene quel giorno.
Era stato bravo. Era importante per Don sapere che erano tutti con lui.
"Atterreranno ad Haiti da un momento all'altro", disse Don. "I servizi segreti sbarcheranno dall'aereo. Poi l'aereo decollerà di nuovo, diretto in un luogo sconosciuto. In questo momento sembra che gestiremo ogni cosa senza sparare un colpo. Forse è meglio così, ma… "
Luke annuì. Era il momento.
"Potrei sapere dove stanno andando", disse.
* * *
Don Morris riattaccò. Chiuse il telefono di scatto e se lo mise in tasca.
Le sue orecchie continuavano a fischiare. Il polso rotto gli faceva male. Aveva una forte emicrania. Ogni volta che si alzava, ondate di vertigini lo investivano. Ogni pochi secondi, la sua vista si oscurava e sentiva che sarebbe svenuto. Dio. Non si era mai sentito così vecchio in vita sua.
Oh, Margaret.
Don si sentiva distrutto. Non aveva niente a che fare con le ferite che aveva riportato quando l'auto si era ribaltata. Era il dolore della separazione, la paura per la sua sicurezza e il sentimento di impotenza. La sua mente correva. Non riusciva a respirare.
Nella sua testa scorrevano molte immagini. Le sue figlie da piccole. I viaggi su strada con la Mustang decappottabile del 1969: il tempo in cui percorsero la Route One in California da Los Angeles a San Francisco e pernottarono a Big Sur, molto prima che l'area fosse sviluppata. La vecchia casa sul lago nel New Hampshire, con il caminetto. La vide giovane, sul molo galleggiante, nel suo costume da bagno alla moda, con i suoi grandi occhiali da sole.
Era così bella. Sorrideva mentre il pomeriggio volgeva a sera e i raggi del sole si riflettevano sulla superficie dell'acqua. Nella sua mente, era quasi lì con lei.
Avevano passato una vita insieme.
Due figlie adulte che ora condividevano il suo terrore.
Aveva chiamato ripetutamente il telefono di Margaret. Ma rispondeva la segreteria telefonica. Era spento? Era stato distrutto? Non lo sapeva.
Non riusciva a pensare con lucidità.
Si guardò a destra e a sinistra. Si trovava in un corridoio bianco nell'ospedale ed era seduto su una sedia. Il corridoio era gremito di persone disperate e terrorizzate, persone che avevano perso i propri cari, persone che stavano per perdere i propri cari.
A una trentina di metri da lui c'era un bagno pubblico. Si mise in piedi sulle gambe vacillando e vi si avvicinò. Aprì la porta.
All'interno, un uomo stava utilizzando un orinatoio. Un altro uomo si stava lavando le mani. C'erano tre gabinetti. Don entrò in uno di essi e si sedette sul water chiuso. Chiuse la porta a chiave.
Rimase seduto per un momento, cercando di respirare profondamente. Gli uomini fuori dal gabinetto si dissero qualcosa in spagnolo. Sembravano tristi. La porta del bagno degli uomini si aprì e si richiuse. Adesso c'era silenzio, si sentiva solo l'acqua che scorreva nel lavandino.
Don sentiva un grosso nodo alla gola. A stento riusciva a respirare. Non riusciva a deglutire. Riusciva a malapena a camminare.
Come avrebbe salvato Margaret in quelle condizioni?
La risposta era semplice. Non lo avrebbe fatto.
Oh. Mio. Dio.
Era inutile, impotente.
Don Morris, veterano del combattimento, pioniere delle operazioni speciali, ex colonnello della Delta Force e fondatore della Squadra Speciale dell'FBI, affondò il viso tra le mani e pianse disperatamente. Per un attimo cercò di trattenersi, ma non servì.
Aprì la bocca in un urlo silenzioso.
Poi pianse come un bambino, ma senza fare rumore, mentre il suo corpo tremava scosso dai singhiozzi.
Ücretsiz ön izlemeyi tamamladınız.