Kitabı oku: «La Proposta Del Miliardario», sayfa 3
Capitolo Quattro
El non riusciva a credere di aver accettato una proposta così rischiosa. Stava perdendo la testa, poco ma sicuro. Sarebbe diventato il fidanzato del capo. No, un attimo, il suo finto fidanzato. Non poteva che andare a finire male. Anche se Remington Marlow gli aveva assicurato che non avrebbe influito sul suo lavoro, El sapeva che era una bomba ad orologeria. E se fosse successo qualcosa a sua madre mentre era in giro a fingere di essere un fidanzato? Ne sarebbe stato devastato.
Sua madre lo aveva convinto a contattare la casa di riposo. El sperava ancora di riuscire a trovare una cura in grado di aiutarla, ma le sue condizioni non stavano affatto migliorando. Durante l'ultima visita il dottore aveva detto che si trattava di settimane, mesi se fossero stati fortunati. Fino a quel momento non lo erano stati… non da quando quella maledetta malattia era tornata con ancora più forza di prima.
Dovette accostare l'auto. Non era lontano da casa ma il pensiero che un giorno sarebbe rientrato e non avrebbe trovato sua madre ad aspettarlo, gli faceva male al cuore. El non sapeva cosa avrebbe fatto senza di lei. Era la sua roccia, la persona su cui poteva sempre contare e la madre migliore che un figlio potesse desiderare. E lo aveva cresciuto completamente da sola. I suoi nonni erano morti anni prima, aveva altri parenti che vivevano lontano e non aveva mai conosciuto nessuno dalla parte di suo padre. Quando sua madre se ne fosse andata, sarebbe rimasto da solo.
Si sfregò una mano sul petto, come se quel gesto potesse alleviare il dolore che lo riempiva. Non esisteva niente al mondo che potesse aiutarlo.
La cosa migliore che poteva fare era stare con lei, prendere un periodo di congedo e interrompere quella stupida idea di fingersi il fidanzato di un miliardario. Il tempo che passava con lei era più importante del denaro. Lo sapeva. E sapeva anche che, se sua madre non lo avesse incoraggiato, avrebbe rifiutato la proposta del signor Marlow.
El fece un respiro profondo e ricominciò a guidare. Doveva preparare la cena per sua madre. Sperava che mentre lui era fuori casa, avesse perlomeno bevuto il brodo, ma le ultime due notti la minestra era rimasta sul comodino, intoccata. Sembrava che sua madre mangiasse solo quando lui la costringeva.
Imboccò il vialetto e parcheggiò, poi entrò in casa. “Mamma?”
Lei non rispose. El appoggiò il cappotto sullo schienale di una delle sedie in cucina e andò verso camera sua. Stava dormendo. Dovette assicurarsi che il suo petto si muovesse per essere sicuro che stesse ancora respirando. Aveva comunque paura di controllare, ogni volta. Sapeva che sarebbe arrivato il giorno in cui non si sarebbe più svegliata. Per quanto brutto da pensare, pregò che se ne andasse in quel modo: senza dolore, senza rendersene conto, in modo quasi pacifico. Se El era stanco di tutto quel dolore, sua madre doveva esserne esausta.
“El.” Girò appena la testa e lo guardò. Un piccolo sorriso le allargava le labbra.
“Sì, mamma, sono qui.”
“Vieni. Siediti.” Batté una mano sul materasso.
El avvicinò una sedia al letto. Sua madre era così fragile. Non era sempre stata così. Crescendo, El aveva pensato che fosse la persona più forte del mondo. Adesso invece era ridotta pelle e ossa.
“Vedo che hai mangiato un po' di minestra.”
“Sono riuscita a camminare un po'. È stato piacevole. Sei diventato bravo a cucinare.”
“Solo grazie a te.” El sorrise, ripensando a quando aveva circa dodici anni. Sua madre gli aveva detto che gli avrebbe mostrato come preparare qualcosa di semplice da cucinare anche da solo, qualcosa di caldo e corposo… una minestra. Era stata una bella giornata. Gli aveva insegnato così tanto.
“Adulatore!” Lei tossì, ridacchiando. “Ora dimmi, hai risposto di sì alla proposta del tuo capo?”
“L'ho fatto, ma forse dovrei ripensarci.” El si mordicchiò il labbro. Era così combattuto.
“Non osare. Io me ne andrò, tesoro. Sappiamo tutti e due che accadrà. Nessuno di noi ha voglia di parlarne, ma dobbiamo farlo.”
“Sono d'accordo, mamma. Ma non stasera.” Le prese una mano e le baciò il dorso. “Pensi di poter mangiare del riso? O un'altra po' di zuppa?”
“Non ho fame, tesoro. Sono solo stanca.” Chiuse gli occhi e nel giro di pochi secondi si riaddormentò. Era spaventoso quanto in fretta riuscisse a cadere in un sonno profondo. Un giorno… semplicemente non si sarebbe più svegliata.
El chiuse gli occhi. Avrebbe voluto piangere ma, se avesse iniziato, non si sarebbe più fermato. E c'erano ancora un paio di cose che doveva fare quella sera prima di andare a letto. Il bagno di sua madre aveva bisogno di essere pulito e non aveva potuto farlo durante il fine settimana. Oltretutto il giorno dopo avrebbe dovuto aiutarla a lavarsi. Era qualcosa che non avrebbe mai pensato di fare, ma se la persona che più amava al mondo aveva bisogno del suo aiuto, lui glielo avrebbe dato totalmente. Sapeva anche che sua madre odiava essere così dipendente da lui. Era sempre stata abituata a fare tutto da sola, aveva dovuto imparare a contare solo su se stessa quando suo padre li aveva lasciati, obbligandola a diventare una madre single che faceva due lavori alla volta, spesso anche tre. Aveva fatto tutto quello per El. Certo, avevano discusso spesso nel corso degli anni, erano pur sempre madre e figlio, ma i momenti belli erano stati molti di più.
La cena. Aveva bisogno di mangiare qualcosa e capire come fare a finire la settimana. Per il momento avrebbe cenato, pulito il bagno, portato fuori la spazzatura, lavato i piatti e poi sarebbe andato a letto. Forse avrebbe avuto le idee più chiare, il mattino seguente, e non avrebbe pensato a quanto fosse figo il suo capo o a quanto sarebbe stato bello vivere con lui. Per davvero, non come un finto fidanzato.
Erano pensieri pericolosi. Remington Marlow poteva avere tutti gli uomini che voleva. Semplicemente non aveva tempo, con tutto il lavoro che aveva travolto la compagnia nell'ultimo periodo, ed El era stata la scelta più facile e veloce, la persona in quel momento migliore a cui chiedere di interpretare quel ruolo. El era stato semplicemente nel posto giusto al momento giusto. La parte difficile sarebbe stata far credere all'anziano Marlow che fossero davvero una coppia. Sperava che Remi avesse un piano anche per quello.
Chiuse la porta della camera di sua madre alle proprie spalle, dirigendosi poi verso la cucina. La domenica precedente aveva preparato il cibo per tutta la settimana quindi aveva vari piatti tra cui scegliere. Optò per una insalata. Non aveva molta fame. Il suo stomaco era un po' sottosopra e preferiva che il cibo che mangiava rimanesse lì. Cosa dice la protagonista del libro preferito di mamma? Qualcosa sul fatto che domani è un altro giorno? Sì, avrebbe seguito quella filosofia, perché sembrava che la sua vita stesse per diventare comunque una sorta di film.
* * * *
Per la prima volta da anni, El aveva paura di andare al lavoro. Forse non era tanto la paura quanto il non sapere quello che sarebbe accaduto. Più tardi, quel giorno, avrebbe cenato con Remi. Se volevano fingere di essere fidanzati, doveva abituarsi a usare il nome del capo. Non sarebbe stato bello chiamarlo signor Marlow davanti a suo padre. Avrebbe interrotto la farsa del finto fidanzato prima ancora che iniziasse. E per quanto tempo avrebbero dovuto fingere? C'erano molte domande che avrebbe dovuto ricordarsi di fare, quando si fossero incontrati.
E non era pronto neppure a passare del tempo col padre di Remi, anche se sapeva che sarebbe successo molto presto.
La cena non sarebbe stata poi così male. Almeno avrebbero mangiato in ufficio, solo loro due. Se avesse sbagliato qualcosa non ci sarebbe stato nessun altro ad assistere. Cosa avrebbero detto a Sara Jo? La donna avrebbe voluto sapere tutto sul perché usciva col capo. Li vedeva insieme ogni giorno. Non avrebbe impiegato molto tempo a fare due più due. Non era stupida. Forse Remi aveva già pensato a una soluzione, oppure avrebbero potuto discuterne e trovarne una insieme. El non voleva mentire alla sua migliore amica. Oltretutto lei avrebbe potuto aiutarli in qualche modo. Non sarebbe stato male avere qualcuno dalla loro parte per dargli una mano in quella che sembrava a tutti gli effetti una sit-com.
È la mia vita. Come diavolo sono arrivato a questo punto? Voleva un'esistenza normale, era forse chiedere troppo?
Raggiunse la propria scrivania senza incontrare nessuno. Era in anticipo. Probabilmente i suoi nervi lo avevano costretto a uscire di casa per iniziare subito la giornata. Aveva bisogno di un caffè, dato che non aveva ancora avuto il tempo di prenderne uno. Era stato impegnato con sua madre, che aveva avuto una brutta nottata, trascorsa facendo avanti e indietro dal bagno. Già mangiava poco, le mancava solo di rigettare quelle poche cucchiaiate di minestra che riusciva a buttare giù. Se avesse continuato in quel modo, sarebbe stata costretta a tornare in ospedale. L'infermiera della casa di riposo sarebbe arrivata il giorno successivo, forse potevano chiedere a lei cosa fare.
La caffettiera della sala relax era vuota, ma se lo era aspettato, visto che sembrava il primo ad essere arrivato. Preparò il caffè e tornò alla scrivania per accendere il computer. Quel mattino doveva controllare il progetto di uno dei suoi colleghi e sapeva che nel pomeriggio ne sarebbe arrivato un altro da sistemare. Il motivo per cui amava tanto il suo lavoro era perché lo costringeva a concentrarsi, tagliando fuori il resto del mondo. Se non lo avesse fatto, avrebbe messo in pericolo delle vite umane. Quel giorno era ancora più contento del proprio lavoro: aveva troppe cose in testa a cui non voleva pensare.
I dipendenti stavano iniziando ad arrivare e l'ufficio sarebbe presto diventato caotico.
L'ora di pranzo arrivò prima che se ne rendesse conto. Voleva andare a casa e aiutare sua madre a mangiare, dal momento che non sarebbe tornato per cena. Finché la donna riusciva a mangiare qualcosa, non aveva importanza se lo faceva a pranzo, a cena o in un qualunque momento della giornata.
El portò la sua tazza di caffè nella sala relax così da poterla lavare. Sara Jo aveva evidentemente avuto la sua stessa idea. El non voleva incontrarla di nuovo, non fino a quando lui e Remi non avessero affrontato e capito come gestire la situazione del “finto fidanzato”.
“Ehi, El. Stai andando a casa? Come sta Kathleen?”
“Non bene, ma sì, sto andando a casa. Ho bisogno di andare da lei. Ne parliamo dopo, d'accordo?” El si voltò verso la porta, senza aspettare la sua risposta.
“Dalle un abbraccio da parte mia.”
“Lo farò.” El agitò una mano e se ne andò.
Ci era andato vicino. Avrebbe tanto voluto rivelarle quello che stava succedendo. Sara Jo era stata al suo fianco fin dall'inizio: la prima volta che era stato diagnosticato il cancro a sua madre, la remissione della malattia e ora il suo ritorno. Era uno dei motivi per cui lo aveva fatto entrare nell'ufficio di Remi il giorno precedente. Sapeva che aveva bisogno di soldi. Ma la possibilità di usare il farmaco sperimentale stava scivolando via. Nel suo stato, sua madre sarebbe potuta non essere più una candidata. Era un fatto che avrebbe dovuto affrontare. Perché quella terribile prospettiva stava diventando ogni giorno più reale. Il fatto che sua madre venisse curata e accudita a casa non lo avrebbe aiutato a nascondere la testa sotto la sabbia riguardo la gravità delle sue condizioni. Non voleva neppure pensarci, figuriamoci parlarne a voce alta. Lo farò domani.
In quel momento, doveva correre a casa e cucinare qualcosa per entrambi. Aveva saltato la colazione e il caffè non aveva fatto altro che aprirgli ancora di più lo stomaco. Aveva davvero bisogno di mangiare un panino, aveva davvero bisogno di affrontare l'inevitabile, aveva davvero bisogno di gestire quello che stava accadendo. Avrebbe dovuto accettare prima quanto fosse grave.
Respira, si impose.
Non importava quanto fosse arrabbiato, non poteva lasciare che sua madre lo vedesse. Tutto ruotava intorno a lei, non a lui. Si fermò davanti alla porta di casa e si prese qualche minuto per ricomporsi prima di aprirla. Doveva cercare di farle bere qualcosa, anche solo dell'acqua, e sperare che non la vomitasse. Avevano delle medicine per la nausea ma, se l'acqua non fosse rimasta al suo posto, non l'avrebbero fatto neppure le pastiglie. Fece un altro sospiro profondo ed entrò. Non c'era un posto al mondo in cui aveva paura di entrare. Tuttavia, quando aprì la porta di casa, si chiese se quello che lo aspettava dentro fosse il suo incubo peggiore.
Capitolo Cinque
Remi passeggiava nel proprio ufficio. La giornata si era trascinata lentamente. Era rimasto bloccato dietro la sua scrivania, lavorando su un sacco di scartoffie. Di solito non gli dispiaceva, ma quel giorno sì, probabilmente a causa della cena che lo attendeva. Sara Jo se n'era andata, una scelta saggia, a suo avviso. Se aveva pensato che fosse successo qualcosa, visto quanto era nervoso, non aveva detto niente. Remi avrebbe aspettato per ordinare del cibo fino a quando non fosse arrivato El, nel caso in cui avesse qualche allergia. Avvelenare un ragazzo di certo non era un buon modo per iniziare il primo appuntamento.
Ma… quello non era un appuntamento. Era un incontro strategico. Una sorta di incontro d'affari, ecco, per capire come muoversi.
Remi viveva in centro, in uno degli appartamenti di lusso che si affacciavano sul capo di baseball. Era fantastico uscire sul balcone quando c'era un evento musicale. E poteva anche vedere buona parte delle partite. Era uno dei vantaggi di stare a casa… cosa che ultimamente non accadeva molto spesso. L'area in cui viveva era ancora in costruzione e l'unica cosa che mancava davvero era un negozio di alimentati. Appena l'avessero costruito, Remi avrebbe potuto raggiungere ogni cosa a piedi nel giro di pochi minuti.
Un paio di colpi alla porta lo fecero trasalire. Per poco non inciampò nella scrivania. Aveva bisogno di prestare più attenzione.
“Avanti.”
El entrò e si chiuse la porta alle spalle. Non che ne avesse bisogno. Erano le cinque passate di martedì, quindi erano già usciti tutti. Di tanto in tanto qualcuno restava fino alle sei, ma solo quando avevano un grande progetto tra le mani ed erano stretti con i tempi.
“Ciao.” El gli rivolse un piccolo sorriso prima di sedersi sulla sedia di fronte alla scrivania.
“Ciao. Non ho ancora ordinato niente. Non ero sicuro che fossi allergico a qualcosa o stessi facendo una dieta.”
“Oh, no, non sono allergico a niente e mangio tutto. Non ho preferenze.”
“Buono a sapersi. Cosa ne dici del cinese? Conosco un posto eccezionale che prepara piatti d'asporto.”
“Suona bene.”
“Cosa ti va?”
El riflettè un momento, poi disse: “Una porzione piccola di zuppa in agrodolce, un paio di egg rolls e pollo in agrodolce con riso bianco. Oh, e del granchio Rangoon.”
“Ottimo. Se vuoi sederti a tavola, io nel frattempo ordino. Poi possiamo iniziare a parlare.”
Perché sono nervoso? Si trattava di un semplice accordo. Non avrebbe dovuto avere niente a che fare col fatto che trovasse El attraente. Dal momento stesso in cui Remi aveva iniziato a lavorare nell'azienda, suo padre non aveva fatto altro che ripetergli di non uscire con i dipendenti. E… quello che stavano facendo contava come “uscire” insieme? Non si frequentavano per davvero. Era un affare, come tanti altri. Solo che quello avrebbe richiesto che El vivesse a stretto contatto con lui. Avrebbero lavorato insieme e Remi avrebbe dovuto comportarsi in modo professionale in modo da non perdere un prezioso dipendente.
Ordinò il cibo e gli dissero che i piatti non sarebbero arrivati prima di un'ora. Quello avrebbe dato loro la possibilità di buttare giù alcuni dettagli. Prese il laptop e si diresse verso il salotto dove aveva fatto accomodare El. Non era niente di speciale: c'erano solo un divano, un piccolo tavolo e un paio di sedie. In quel modo, quando decideva di trascorrere le notti in ufficio per colpa del lavoro, aveva sia un posto comodo dove stendersi che uno dove consumare i pasti. Remi non aveva dei veri e propri orari. I suoi dipendenti potevano anche avere dei limiti agli straordinari da fare, ma Remi avrebbe continuato a lavorare fino a quando non avesse finito ogni cosa.
I vantaggi di essere il capo.
El si schiarì la gola. “Penso che dovremmo dirlo a Sara Jo. Voglio dire, lei capirà comunque che sta succedendo qualcosa. Abbiamo bisogno che stia dalla nostra parte. In questo modo, potrà aiutarci se ne avremo bisogno.”
“È un'idea eccellente. Mi chiedevo come ci saremmo comportati con lei, perché so che siete amici.”
“Sì, non voglio mentirle. E devo confessarti che l'ho già detto a mia madre.”
“Okay. Va bene.” Remi non sapeva come si sentiva davvero in merito, ma non aveva voce al riguardo.
“Non preoccuparti. Non lo dirà a nessuno.”
“Va bene.”
Immagino che andremo dritti al sodo. Aveva pensato che ci sarebbero state un paio di frasi di circostanza, prima, ma gli piacevano gli uomini che non facevano tanti giri di parole.
“Bene. D'accordo. Sì. Ehm… non sono sicuro del motivo per cui hai bisogno di un finto fidanzato. Voglio dire, tu… beh, potresti avere praticamente chiunque.”
“Mio padre vuole che mi sistemi. Credo di avertelo detto prima. Non mi ricordo bene, dato che in quel momento ho detto un sacco di cose tutte insieme. Ma sì, mio padre mi vuole accasato e felice, com'è stato lui con mia madre. Sono troppo impegnato con il lavoro. Non voglio una vera relazione. Tuttavia, se gli dimostro che ci sto perlomeno provando, forse allenterà un po' la presa.”
“Sembra… beh, non deve essere piacevole essere forzato a trovare qualcuno.”
“Sì, ma mio padre è vecchio stampo. Non ha problemi col fatto che io sia gay, ma secondo lui dovrei avere il tipo di relazione in cui sono previsti sia il matrimonio che i figli. Ecco perché ti ho fatto questa proposta. Ho pensato: ci conosciamo già, anche se superficialmente, so che sei un dipendente modello e che hai bisogno degli straordinari. A tal propostito, perché hai bisogno di soldi? Abbiamo bisogno di conoscere quante più cose possibili l'uno dell'altro se vogliamo far riuscire il piano.”
“Debiti, per la maggior parte. Ho solo bisogno di un po' di tempo. Per la verità, non sono sicuro di poter lasciare sola mia madre. Lei ha detto di essere d'accordo con tutto questo, quindi… lo sono anche io.”
“Mi sembra giusto. Dovremmo concordare un certo periodo di tempo. Penso che un paio di mesi dovrebbero bastare, anche tre nel caso in cui sia necessario allungare i tempi. Se ti va bene possiamo cenare con mio padre questo fine settimana. Posso iniziare ad accennargli qualcosa nei prossimi giorni. Credi di riuscire a trasferirti qui in un paio di settimane? Non voglio fare troppo in fretta oppure si insospettirà.”
“Non pensi che sia strano che ti abbia detto di sistemarti e nel giro di pochi giorni te ne esci con un fidanzato?”
“Non credo. Non se gioco bene le mie carte, almeno. Voglio dire, tu lavori qui. Mi ha detto di evitare relazioni con i dipendenti ma spero che penserà che l'attrazione tra di noi è stata troppo grande per riuscire a resistere. Sì, lo so, sembra strano, ma se l'è cercata.” Remi rise.
“Sì, credo che abbia un senso. Okay, quindi… due mesi con la possibilità che diventino di più. Mi trasferirò dopo aver cenato con tuo padre. Pensi davvero che sia una buona idea fare così in fretta?”
“Probabilmente no, ma ci conosciamo già da un po', quindi è diverso.”
“Non proprio. Abbiamo lavorato insieme, ma quanto ci conosciamo davvero? Voglio dire, so che sei il proprietario dell'azienda. So quali sono i piani aziendali, grazie alle email di Sara Jo. Abbiamo interagito a un paio di pranzi di lavoro, ma non ci siamo mai seduti per parlare davvero.”
“Immagino che le cose cambieranno presto, no? Se non viene fuori qualcosa, forse possiamo restare amici. L'inverno sta arrivando, quindi il lavoro rallenterà presto. Forse, dopo questa esperienza, saremo più vicini l'uno all'altro e avrai un nuovo compagno con cui uscire a fare una bevuta quando avrai tempo. Beh… forse hai già tempo.”
Remi si accorse di divagare. Perché è così difficile?
Tuttavia continuò a parlare. “Probabilmente dovremmo parlare dei nostri gusti e cose del genere. Penso che le questioni legali, se così possiamo chiamarle, riguardino principalmente la durata del contratto e il fatto che avrai una stanza tutta tua nell'appartamento. Ma immagino che sia il caso di parlare prima dei soldi.”
“Dio, come suona male. Forse dovrei semplicemente farti un favore,” mormorò El.
“No. Hai bisogno di soldi. Posso guardare quanto lavori adesso e partire da lì. Usare l'importo della retribuzione per gli straordinari e calcolare la durata del contratto per ottenere una cifra.” Remi premette alcuni tasti sul computer per accedere alle buste paga dei dipendenti. Non la gestiva lui stesso ma aveva comunque l'accesso.
Wow, non lo stiamo pagando abbastanza. Almeno non aveva lo stipendio fisso e poteva guadagnare qualche extra con gli straordinari ogni mese. Remi non voleva fargli un'offerta esagerata che lo mettesse in imbarazzo, ma non voleva neanche sottostimare quello che stavano per intraprendere.
“Cosa ne dici di quindicimila dollari? Se lo faccio passare come un bonus aziendale non verrà tassato. Questo è l'importo massimo consentito.”
“Quindici… non posso… penso che sia troppo.”
“Ne vali la pena e mi stai aiutando più di quanto credi.”
“Mi sento lo stesso come se stessi prendendo i tuoi soldi per niente. Voglio dire, tutto ciò che farò sarà trasferirmi da te e fingere di essere il tuo ragazzo. Non cambierà niente, e parte di quel tempo non lo passerò neppure con te. Immagino che potrei cucinare per entrambi e pulire casa tua. Soldi gratis… sembra semplicemente troppo bello per essere vero.”
“Ho una cameriera che viene una volta alla settimana. Se vuoi cucinare, però, puoi assolutamente farlo. Ho una cucina super accessoriata che non viene usata a sufficienza.”
“Va bene. Forse potrei cucinare per te e tuo padre per la nostra cena? Cosa ne pensi? Mi farebbe sentire meglio fare qualcosa. Quello che mi hai offerto è molto più di ciò che otterrei con qualche ora di straordinario, e lo sai bene.”
“Andata. E penso che l'idea di fare la cena nel mio appartamento sia fantastica. A mio padre piacerebbe. Fammi sapere cosa vuoi cucinare e ti farò avere tutto il necessario. C'è qualcos'altro di cui pensi dovremmo parlare? Il cibo che ho ordinato arriverà a momenti, hai tutto il tempo per pensare mentre mangiamo.”
El si fece pensieroso. “Abbiamo stabilito l'importo e il periodo di tempo, e abbiamo già discusso di come potrò tirarmi indietro in qualsiasi momento. Non sono sicuro di quali altri cose siano importanti. Non ho mai fatto niente del genere prima d'ora. Possiamo lasciare aperte le condizioni, nel caso in cui mi venga in mente qualcosa da aggiungere in futuro. E non credo di avere bisogno di un contratto. Mi fido di te. Se non mi fidassi non lavorerei mai per la tua azienda. Mi piace proprio perché le persone sono fantastiche, e sono inclusi anche i miei superiori. Hai sempre trattato tutti nel modo migliore. Non è una cosa così scontata, al giorno d'oggi.” El gli tese la mano.
Remi la strinse subito. Non riusciva a credere alla propria fortuna per essersi imbattuto in El proprio quando ne aveva bisogno. Se non l'avesse fatto, le cose sarebbero potute andare molto peggio.
Un ronzio proveniente dal computer gli fece abbassare lo sguardo. Vide che la porta d'ingresso era stata chiusa a chiave e che il fattorino stava cercando di entrare.
“Il nostro cibo è arrivato. Vado a prenderlo.” Si alzò dal divano, posò il portatile e si diresse verso la porta. La lasciò aperta: l'edificio era tranquillo, non c'era nessuno in giro tranne loro due.
Dopo aver pagato il fattorino ed essere tornato nel suo ufficio, si guardò intorno. Amava passeggiare nell'edificio quando non c'era nessuno. Gli piaceva il fatto che fosse suo. Aveva contribuito a renderlo quello che era oggi. Era orgoglioso della sua compagnia e gli aveva riscaldato il cuore sentire tutte le cose positive che El aveva detto al riguardo. Remi aveva sempre fatto quello che riteneva giusto, e avrebbe fatto la stessa cosa con El. Lo avrebbe aiutato in ogni modo, giurò a se stesso. Al massimo, sarebbero rimasti amici. Remi non ne aveva molti ma sentiva che El sarebbe stato un uomo fantastico da avere al proprio fianco dopo una lunga giornata di lavoro. Il suo stomaco brontolò.
È ora di mangiare.
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