Kitabı oku: «Dalla Terra alla Luna (Prometheus Classics)», sayfa 2

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Capitolo 3 Effetto della comunicazione Barbicane.

È impossibile il dipingere l’effetto prodotto dalle ultime parole dell’onorevole presidente. Quali grida! quali vociferazioni! qual successione di grugniti, di viva, di hip! hip! hip! e di tutte le onomatopee che abbondano nella lingua americana. Era un disordine, un gridío indescrivibile! Le bocche vociavano, le mani battevano, i piedi facevano scricchiolare il pavimento delle sale. Se tutte le armi di quel museo d’artiglieria avessero sparato nello stesso istante, non avrebbero agitato le onde sonore con violenza maggiore. Ciò non può sorprendere. Vi sono cannonieri che fanno quasi tanto strepito quanto i loro cannoni.

Barbicane conservavasi freddo, impassibile in mezzo a quegli entusiastici clamori; forse egli voleva rivolgere ancora qualche parola ai colleghi, giacchè i suoi gesti reclamarono il silenzio, ed il campanello fulminante ripetè più e più volte le sue violenti detonazioni. Non lo si udì neppure. In pochi secondi e’ fu strappato dal seggio, portato in trionfo, e dalle mani de’ fedeli colleghi passò sulle braccia di una moltitudine non meno commossa.

Nulla può sorprendere un americano. Si è ripetuto spesso che la parola impossibile non era francese; ma al certo ci fu scambio di dizionario. In America tutto è facile, tutto è semplice, e quanto alle difficoltà meccaniche sono morte prima di essere nate. Fra il piano di Barbicane e la sua esecuzione non un solo vero Yankee sarebbesi permesso d’intravedere l’apparenza di una difficoltà. Detto fatto.

La passeggata del presidente si prolungò nella sera. Fu una vera marcia trionfale rischiarata dalle faci. Irlandesi, tedeschi, francesi, scozzesi, tutta la gente diversa di cui componesi la popolazione del Maryland, gridavano nella loro lingua materna, e i viva, i bravo frammischiavansi in un inesprimibile slancio.

Appunto come se avesse compreso che trattavasi di lei, la luna brillava allora con una serena magnificenza, facendo impallidire colla sua intensa irradiazione i fuochi circostanti. Tutti i Yankees dirigevano le pupille verso il disco scintillante; gli uni la salutavano colla mano, gli altri la chiamavano con dolci nomi, questi la misuravano collo sguardo, quelli la minacciavano colle pugna; dalle otto a mezzanotte, un ottico di Yonés Hall-street fece la sua fortuna vendendo occhiali. L’astro della notte era occhieggiato come una lady della scelta società. Gli Americani già lo trattavano con libertà da proprietarî. Pareva che la bionda Febe appartenesse ai nostri audaci conquistatori, e già facesse parte del territorio dell’Unione. Eppure non si trattava ancora che di mandarle un proiettile, modo abbastanza brutale per istringere amicizia anche con un satellite, ma molto in uso nelle nazioni incivilite.

Già era suonata la mezzanotte, e l’entusiasmo non scemava; mantenevasi allo stesso diapason in tutte le classi della popolazione; il magistrato, il dotto, il negoziante, il mercante, il facchino, gli uomini intelligenti come gli uomini verdi14 sentivansi turbati nelle loro fibre più delicate; trattavasi di un’impresa nazionale, e però la città alta, la città bassa, le rive bagnate dalle acque del Patapsco, le navi imprigionate ne’ loro bacini rigurgitavano di una folla ebbra di gioia, di gin e di wisky; ognuno conversava, perorava, discuteva, disputava, approvava, applaudiva, dal gentleman steso con noncuranza sul canapè dei bar-rooms davanti alla sua caraffa di sherry-cobbler15, fino al watermann che ubbriacavasi di rompi-petto16nelle tetre taverne del Fells-Point.

Tuttavia, verso le due, il turbamento si calmò. Il presidente Barbicane potè far ritorno a casa sua, stanco, rotto, madido di sudore. Ercole non avrebbe resistito ad un simile entusiasmo. La calca abbandonò a poco a poco le piazze e le vie. I quattro rail-roads dell’Ohio, di Susquehanna, di Filadelfia e di Washington, che convergono a Baltimora, rimandarono il pubblico ai quattro angoli degli Stati Uniti, e la città riposò in una tranquillità relativa.

D’altra parte sarebbe errore il credere, che durante quella sera memorabile Baltimora fosse l’unica città in preda a siffatta agitazione. Le grandi città dell’Unione, Nuova-York, Boston, Albany, Washington, Richemond, Crescent-City17, Charlestone, la Mobile, dal Texas al Massachusset, dal Michigan alle Floride, tutte pigliavano la loro parte in questo delirio. Infatti, i trentamila corrispondenti del Gun-Club conoscevano la lettera del loro presidente, ed aspettavano con eguale impazienza la famosa comunicazione del 5 ottobre. Per cui, la sera stessa, di mano in mano che le parole sfuggivano dalle labbra dell’oratore, correvano sui fili telegrafici, attraverso gli Stati dell’Unione, con una velocità di dugento quarantottomila e quattrocento quarantasette miglia al minuto secondo18. Si può dunque dire con assoluta certezza che nel medesimo istante gli Stati Uniti d’America, dieci volte più estesi della Francia, mandarono un solo grido di trionfo, e che venticinque milioni di cuori, gonfi d’orgoglio, battevano con pari velocità.

L’indomani, mille e cinquecento giornali quotidiani, ebdomadari, bimestrali e mensili, impadronironsi della quistione; l’esaminarono sotto i suoi diversi aspetti fisici, meteorologici, economici e morali, dal punto di vista della preponderanza politica e della civiltà. Essi domandaronsi se la luna era un mondo compiuto, se più non subiva alcuna trasformazione? Rassomigliava alla terra nel tempo in cui l’atmosfera peranco non esisteva? Quale spettacolo offriva quella faccia invisibile alla sferoide terrestre? Sebbene ancor non si fosse trattato che di mandare una palla all’astro delle notti, tutti vedevano là il punto di partenza di una serie di esperienze; tutti speravano che un giorno l’America penetrerebbe gli ultimi segreti di quel disco misterioso, ed alcuni perfino mostrarono di temere che la sua conquista non turbasse di troppo l’equilibrio europeo.

Discusso il piano, non un giornale esternò un dubbio sulla sua eseguibilità; le raccolte, gli opuscoli, i foglietti, i magazines, pubblicati dalle società scientifiche, letterarie o religiose, ne fecero conoscere i vantaggi, e la Società di storia naturale di Boston, laSocietà americana di scienze ed arti d’Albania, la Società geografica e statistica di Nuova York, la Società filosofica americana di Filadelfia, l'Istituzione Smithoniana di Washington, mandarono in migliaia di lettere le loro felicitazioni al Gun-Club, con offerte immediate di servigi e di denaro.

E però, è lecito dirlo, non mai proposta adunò simile numero di fautori; di esitazioni, di dubbî, d’inquietudini non se ne parlò neppure. Quanto agli scherzi, alle caricature, alle canzoni che in Europa, e specialmente in Francia, avrebbero accolto l’idea di mandare un proiettile alla luna, sarebbero ricaduti a danno del loro autore; tutti i life-preservers19 del mondo sarebbero stati impotenti a preservarlo contro la comune indegnazione. Vi sono alcune cose di cui non è lecito ridere nel nuovo mondo.

Impey Barbicane divenne dunque, a cominciare da quel giorno, uno dei maggiori cittadini degli Stati Uniti, presso a poco un Washington della scienza, ed un aneddoto, tra i molti, mostrerà fino a qual segno spingevasi quest’infeudamento subitaneo di un popolo ad un uomo.

Alcuni giorni dopo la famosa seduta del Gun-Club, il direttore di una compagnia inglese annunziò al teatro di Baltimora la rappresentazione di Much ado about nothing20, ma la popolazione della città, vedendo in questo titolo un’allusione offensiva alle idee del presidente Barbicane, invase la sala, spezzò le panchine, e costrinse il disgraziato direttore a cambiare l’avviso. Questi, da uomo di spirito, piegando dinanzi alla publica volontà, surrogò la malcapitata commedia con As you like it21, e per molte settimane fece larghi incassi.

Capitolo 4 Risposta dell'osservatorio di Cambridge.

Però, in mezzo alle ovazioni di cui era fatto segno, Barbicane non volle perdere un istante. Prima sua cura fu di riunire i colleghi negli ufficî del Gun-Club. Quivi, dopo molte discussioni, si convenne di consultare gli astronomi sulla parte astronomica dell’impresa; conosciuta che fosse la risposta, discuterebbesi allora sui mezzi meccanici, e nulla verrebbe trascurato per assicurare l’esito di questo grande esperimento.

Una nota espressa in chiarissimi termini, e contenente speciali domande, fu dunque redatta e presentata all’Osservatorio di Cambridge, nel Massachussets. Questa città, dove fu fondata la prima università degli Stati Uniti, è appunto celebre pel suo Osservatorio astronomico. Ivi trovansi adunati dotti di moltissima vaglia; ivi funziona il potente cannocchiale che permise a Bond di risolvere la nebulosa d’Andromeda, ed a Clarke di scoprire il satellite di Sirio. Questo celebre Istituto giustificava dunque per tutti i rapporti la fiducia del Gun-Club. Due giorni dopo, la risposta, attesa con tanta impazienza giungeva nelle mani del presidente Barbicane.

Era in questi termini:

Il Direttore dell’Osservatorio di Cambridge al Presidente del Gun-Club, a Baltimora.

Cambridge, 7 ottobre.

«Appena ricevuta la vostra pregiata lettera del 6 corrente, diretta all’Osservatorio di Cambridge a nome dei componenti del Gun-Club di Baltimora, i nostri membri si sono immediatamente riuniti, ed hanno reputato conveniente di rispondere come segue:

Le domande che sono state fatte sono queste:

1.° È possibile di mandare un proiettile nella luna?

2.° Qual è la esatta distanza che separa la terra dal suo satellite?

3.° Quale sarà la durata del tragitto del proiettile cui sarà stato impressa una velocità iniziale sufficiente, e per conseguenza in qual momento si dovrà lanciare perchè incontri la luna in un punto determinato?

4.° In qual momento preciso la luna si presenterà nella posizione più favorevole per essere raggiunta dal proiettile?

5.° Qual punto del cielo si dovrà mirare col cannone destinato a lanciare il proiettile?

6.° Qual parte occuperà la luna nel cielo nel momento in cui partirà il proiettile? Sulla prima domanda: È possibile di mandare un proiettile alla luna?

Sì, è possibile di mandare un proiettile nella luna, se si giunge ad imprimere a questo proiettile una velocità iniziale di dodici mila iardi al secondo. Il calcolo dimostra che questa velocità è sufficiente. Di mano in mano che si aumenta la lontananza dalla terra, l’azione del peso diminuisce in ragione inversa del quadrato della distanza, e cioè: per una distanza tre volte maggiore questa azione è nove volte meno forte. E però la pesantezza della palla decrescerà rapidamente, e finirà coll’annullarsi completamente nel momento in cui l’attrazione della luna farà equilibrio a quella della terra, cioè ai quarantasette cinquantaduesimi del tragitto. In tal momento il proiettile non peserà più, e, se varcherà questo punto, cadrà sulla luna per solo effetto dell’attrazione lunare. La possibilità teorica dell’esperienza è dunque assolutamente dimostrata: quanto alla riuscita, dipende unicamente dalla potenza della macchina adoperata.

Sopra la seconda domanda: Qual è la esatta distanza che separa la terra dal suo satellite?

La luna non descrive già una circonferenza intorno alla terra, ma un’ellisse del quale il nostro globo occupa un foco; da ciò la conseguenza che la luna trovasi ora più vicina alla terra, ora più lontana o, in linguaggio astronomico, ora nel suo apogeo, ora nel suo perigeo. Onde la differenza tra la distanza maggiore e la minima è abbastanza considerevole, perchè non si debba trascurarla. Infatti, nel suo apogeo la luna è a duecentoquarantasette mila e cinquecentocinquantatre miglia (99,640 leghe di 4 chilometri), e nel suo perigeo a duegentodiciottomila e seicentocinquantasette miglia soltanto (88,010 leghe), ciò che costituisce una differenza di ventottomila e ottocentonovantacinque miglia (11,630 leghe), o più del nono dello spazio percorso. È dunque la distanza perigea della luna che vuolsi far servire di base ai calcoli.

Sulla terza domanda: Quale sarà la durata del tragitto del proiettile a cui sarà stata impressa una celerità iniziale sufficiente, e, per conseguenza, in qual momento si dovrà lanciare perchè incontri la luna in un punto determinato?

Se la palla conservasse indefinitamente la velocità iniziale di dodicimila iardi al secondo, che le sarà stata impressa alla sua partenza, non impiegherebbe che nove ore circa per giungere alla sua meta; ma siccome questa velocità iniziale andrà continuamente decrescendo, ne risulta, esaminati tutti i calcoli, che il proiettile impiegherà trecento mila secondi, e cioè ottantotto ore e venti minuti per arrivare al punto dove le attrazioni terrestre e lunare si equilibrano, e da tal punto cadrà sulla luna in cinquantamila secondi, o tredici ore, cinquantatre minuti e venti secondi. Converrà dunque di lanciarlo novantasette ore, tredici minuti e venti secondi prima dell’arrivo della luna al punto stabilito.

Sulla quarta domanda: In qual momento preciso si presenterà la Luna nella posizione più favorevole per essere raggiunta dal proiettile?

In relazione a quanto si è detto più sopra, è necessario dapprima scegliere il tempo in cui la Luna sarà nel suo perigeo, e nello stesso tempo passerà allo zenit della nostra posizione; ciò che diminuirà ancora il percorso di una distanza uguale al raggio terrestre, cioè tremila e novecento diciannove miglia, di maniera che il tragitto definitivo sarà di dugentoquattordicimila e novecentosettantasei miglia (86,410 leghe). Ma, se ogni mese la Luna passa al suo perigeo, essa non si trova sempre allo zenit in tal momento. Non presentasi in queste due condizioni che a lunghi intervalli. Bisognerà dunque aspettare la coincidenza del passaggio al perigeo ed allo zenit. Ora, per una fortunata circostanza, il 4 dicembre dell’anno prossimo, la Luna offrirà queste due condizioni: a mezzanotte sarà nel perigeo, cioè alla più breve distanza dalla Terra, e passerà al tempo stesso allo zenit.

Sulla quinta domanda: Qual punto del cielo si dovrà mirare col cannone destinato a lanciare il proiettile?

Ammesse le precedenti osservazioni, il cannone dovrà essere appuntato allo zenit22 del luogo; in tal guisa il tiro sarà perpendicolare al piano dell’orizzonte, ed il proiettile si sottrarrà più rapidamente agli effetti dell’attrazione terrestre. Ma, affinchè la luna salga allo zenit d’un luogo bisogna che questo luogo non sia più alto in latitudine della declinazione di questo astro, o per dire altrimenti, che sia compreso fra lo 0° ed il 28° di latitudine settentrionale o meridionale23. In qualsiasi altro luogo, il tiro dovrebbe essere necessariamente obliquo, ciò che nuocerebbe alla riuscita dell’esperimento.

Sulla sesta domanda: Qual posto occuperà la Luna nel cielo al momento in cui partirà il proiettile?

Nel momento in cui il proiettile sarà lanciato nello spazio, la Luna, che ogni giorno s’avanza tredici gradi, dieci minuti e trentacinque secondi, deve trovarsi lontana dal punto zenitale quattro volte questo numero, ossia cinquantadue gradi, quarantadue minuti e venti secondi, spazio corrispondente al cammino che ella farà durante tutto il tragitto del proiettile. Ma siccome vuolsi parimenti tener conto della deviazione che farà subire alla palla il movimento di rotazione della Tera, e siccome la palla non giungerà alla Luna che dopo aver deviato di una distanza uguale a sedici raggi terrestri, che contati sull’orbita della Luna fanno circa undici gradi, devonsi aggiungere questi undici gradi a quelli che esprimono il già menzionato ritardo della Luna, ossia sessantaquattro gradi, cifra tonda. E però, al momento del tiro, il raggio visuale diretto alla Luna farà colla verticale del luogo un angolo di sessantaquattro gradi.

Tali sono le risposte alle domande state fatte all’Osservatorio di Cambridge dai membri del Gun-Club.

Riassumendo:

1.° Il cannone dovrà essere posto in un paese discosto fra 0° e 28° di latitudine settentrionale o meridionale.

2.° Dovrà essere appuntato allo zenit del luogo.

3.° Il proiettile dovrà essere animato di una velocità iniziale di dodici mila iardi al secondo.

4.° Dovrà essere lanciato il 1.° dicembre del prossimo anno, alle undici ore, meno tredici minuti e venti secondi.

5.° Incontrerà la Luna quattro giorni dopo la sua partenza, il 4 dicembre a mezzodì preciso, nel momento in cui essa passerà allo zenit.

I membri del Gun-Club devono dunque incominciare senza ritardo i lavori necessari per una impresa simile ed essere pronti ad operare al momento prefisso, chè, se lasciassero trascorrere il 4 dicembre, non ritroverebbero la Luna nella medesima condizione di perigeo e di zenit che diciott’anni e undici giorni dopo.

L’ufficio dell’Osservatorio di Cambridge si pone interamente a loro disposizione per le questioni d’astronomia teorica, e colla presente unisce le sue felicitazioni a quelle dell’America intera.

Per l’Osservatorio:

I. M. BELFAST

"Direttore dell’Osservatorio di Cambridge."

Capitolo 5 Il romanzo della Luna

Un osservatore dotato di vista acutissima, e posto in quel centro sconosciuto intorno al quale gravita il mondo, avrebbe veduto miriadi d’atomi riempire lo spazio nell’epoca antica dell’universo. Ma a poco a poco, coll’andare dei secoli, avvenne un cambiamento: una legge di attrazione si manifestò, alla quale obbedirono gli atomi erranti fino allora; questi atomi si combinarono chimicamente secondo le loro affinità, si fecero molecole e formarono quelle masse nebulose di cui sono cosparse le profondità del cielo.

Tali masse furono tosto animate da un movimento di rotazione intorno al loro punto centrale. Questo centro formato di molecole vaghe, cominciò a girare sopra sè stesso condensandosi progressivamente; del resto, secondo le leggi immutabili della meccanica, di mano in mano che il suo volume diminuiva per la condensazione, il suo moto di rotazione acceleravasi, e col persistere di questi effetti ne risultò una stella principale, centro delle masse nebulose.

Guardando attentamente, l’osservatore avrebbe allora veduto le altre molecole della massa comportarsi come la stella centrale, condensarsi a lor modo con un moto di rotazione progressivamente eccelerato, e gravitare intorno ad essa sotto forma di stelle innumerevoli. La nebulosa, di cui gli astronomi contano attualmente quasi cinquemila, era formata.

Tra queste cinquemila nebulose, ve ne ha una che gli uomini hanno chiamato la Via lattea24, che contiene diciotto milioni di stelle, ciascuna delle quali è diventata il centro di un mondo solare.

Se l’osservatore avesse allora specialmente esaminato, tra questi diciotto milioni d’astri uno dei più modesti e meno brillanti25, una stella di quarto ordine, quella che orgogliosamente si chiama il Sole, tutti i fenomeni ai quali è dovuta la formazione dell’universo si sarebbero successivamente compiuti a’ suoi occhi.

Infatti questo Sole, ancora allo stato gazoso e composto di molecole mobili, esso l’avrebbe veduto girante sopra il suo asse per compiere il suo lavoro di concentrazione. Questo movimento, fedele alle leggi della meccanica, sarebbesi accelerato colla diminuzione di volume, e sarebbe giunto un momento in cui la forza centrifuga l’avrebbe vinta sulla forza centripeta, che tende a respingere le molecole verso il centro. Allora un altro fenomeno sarebbe accaduto dinanzi agli occhi dell’osservatore, e le molecole situate nel piano dell’equatore, sfuggendo come la pietra di una fionda la cui corda si spezzi d’improvviso, sarebbe andata a formare intorno al Sole parecchi anelli concentrici, simili a quello di Saturno. A loro volta, questi anelli di materia cosmica, presi da un movimento di rotazione intorno alla massa centrale, si sarebbero spezzati e decomposti in nebulosità secondarie, cioè in pianeti.

Se l’osservatore avesse allora concentrata tutta la sua attenzione sopra questi pianeti, e’ li avrebbe veduti comportarsi esattamente come il Sole e dare origine ad uno o più anelli cosmici, origini di questi astri di ordine inferiore che si chiamano satelliti.

Così dunque risalendo dall’atomo alla molecola, dalla molecola alla massa nebulosa, dalla massa nebulosa alla nebulosa, dalla nebulosa alla stella principale, dalla stella principale al Sole, dal Sole al pianeta, e dal pianeta al satellite, si ha tutta la serie delle trasformazioni subìte dai corpi celesti nei primi giorni del mondo.

Il Sole sembra perduto nelle immensità del mondo stellare, e tuttavia è riunito dalle teorie attuali della scienza alla nebulosa della Via lattea. Centro d’un mondo, per quanto piccolo sembri in mezzo alle regioni eteree, nullameno è enorme, giacchè il suo volume è trecentocinquantamila volte quello della terra. Intorno a lui gravitano otto pianeti, usciti dalle sue viscere fino dai primi tempi della creazione. Sono questi, incominciando dal più vicino di tali astri al più lontano, Mercurio, Venere, la Terra, Marte, Giove, Saturno, Urano e Nettuno. Inoltre, fra Marte e Giove circolano regolarmente altri corpi meno considerevoli, forse gli avanzi erranti di un astro frammentato in più migliaia di pezzi, de’ quali, fino ad oggi, il telescopio ne ha riconosciuti novantasette26.

Tra questi servitori che il Sole mantiene nella loro orbita elittica mediante la gran legge della gravitazione, alcuni possedono a loro volta de’ satelliti. Urano ne ha otto, Saturno otto, Giove quattro, Nettuno tre, forse, la Terra uno; quest’ultimo, uno dei meno importanti del mondo solare, si chiama Luna, ed è lui che il genio audace degli Americani pretendeva di conquistare.

L’astro delle notti, per la sua vicinanza relativa e lo spettacolo rapidamente rinnovato delle sue fasi diverse, a bella prima ha diviso col Sole l’attenzione degli abitanti della Terra; ma il Sole stanca lo sguardo e gli splendori della sua luce obbligano i contemplatori a chinare gli occhi.

La bionda Febe, all’incontro più umana, si compiace di lasciarsi vedere nella sua grazia modesta; ell’è dolce all’occhio, poco ambiziosa; però si permette talvolta di eclissare il fratello, il radiante Apollo, senza mai essere eclissata da lui. I Maomettani hanno compreso la riconoscenza che dovevano a questa fedele amica della Terra, ed hanno regolato i loro mesi sopra le sue rivoluzioni27. I primi popoli professarono un culto particolare alla casta dea. Gli egiziani la chiamavano Iside, i Fenicî Astarte, i Greci l’adorarono sotto il nome di Febe, figlia di Latona e di Giove, e spiegavano i suoi eclissi colle visite misteriose di Diana al bell’Endimione. se vuolsi prestar fede alla leggenda mitologica, il leone di Nemea percorse le campagne della Luna prima della sua apparizione sulla Terra, ed il poeta Ayesianax, citato da Plutarco, celebrò ne’ suoi versi i dolci occhi, il naso vezzosino e la bocca gentile, formati dalle parti luminose dell’adorabile Selene.

Ma se gli antichi compresero bene il carattere, il temperamento, in una parola le qualità morali della Luna dal punto di vista mitologico, i più dotti fra essi rimasero ignorantissimi in selenografia.

Nulladimeno, alcuni astronomi de’ tempi remoti scoprirono certe particolarità, confermate oggi dalla scienza. Se gli Arcadi pretesero di aver abitato la Terra in un’epoca in cui la Luna non esisteva ancora, se Semplicio la credette immobile ed assicurata alla vôlta di cristallo, se Tazio la considerò come un frammento staccato dal disco solare, se Cleareo, discepolo d’Aristotile, ne fece uno specchio terso nel quale riflettevansi le immagini dell’Oceano, se altri infine non videro in essa che un ammasso di vapori esalati dalla Terra, od un globo metà fuoco e metà ghiaccio, che girava sopra sè stesso, alcuni sapienti, in virtù di sagaci osservazioni, in mancanza d’istrumenti d’ottica, presentirono la maggior parte delle leggi che reggono l’astro delle notti. Così Talete di Mileto, 460 anni avanti G.C., emise il parere che la Luna fosse illuminata dal Sole. Aristarco di Samo diede la vera spiegazione delle sue fasi. Cleomene insegnò ch’essa brillava di una luce riflessa. Il caldeo Beroso scoperse la durata del suo movimento di rivoluzione, e spiegò in tal modo il fatto che la Luna presenta sempre la stessa faccia. Infine Ipparco, due secoli prima dell’era cristiana, riconobbe alcune ineguaglianze nei moti apparenti del satellite della Terra.

Queste diverse osservazioni si confermarono in seguito e furono di profitto ai nuovi astronomi. Tolomeo nel secolo secondo, l’arabo Abul-Feda nel decimo, completarono le osservazioni d’Ipparco sulle inuguaglianze che subisce la Luna seguendo la linea ondulata della sua orbita sotto l’azione del Sole. Poi Copernico28, nel quindicesimo secolo, e Tycho Brahe nel sedicesimo, esposero completamente il sistema del mondo e la parte che rappresenta la Luna nell’insieme dei corpi celesti.

A quest’epoca i suoi movimenti erano pressochè determinati, ma poco sapevasi della sua costituzione fisica; fu allora che Galileo spiegò i fenomeni di luce prodotti in certe fasi dall’esistenza di montagne alle quali attribuì un’altezza media di quattromila e cinquecento tese.

Dopo di lui Hevelius, astronomo di Danzica, diminuì le maggiori altezze a duemila e seicento tese; ma il suo collega Riccioli le riportò a settemila.

Herschel, alla fine del diciottesimo secolo, armato d’un potente telescopio, diminuì d’assai le misure precedenti. E’ diede mille e novanta tese alle montagne più alte e ridusse le medie delle diverse altezze a quattrocento tese soltanto. Ma Herschel sbagliavasi ancora, e ci vollero le osservazioni di Schrœter, Lonville, Halley, Nosmyth, Bianchini, Pastorf, Lohrman, Gruithuysen, e soprattutto i pazienti studi dei signori Beer e Mœdeler, per risolvere definitivamente la questione. Grazie a questi dotti, l’altezza delle montagne della Luna è oggi perfettamente conosciuta. I signori Beer e Mœdeler hanno misurato mille e novecentocinque altezze, sei delle quali sono al disopra di duemila e seicento tese, e ventidue al disopra di duemila e quattrocento29.

La loro più alta vetta domina di tremila e ottocento e una tesa la superficie del disco lunare.

Nello stesso tempo completavasi il riconoscimento della Luna; questo astro sembrava crivellato di crateri, e la sua natura essenzialmente vulcanica confermavasi ad ogni osservazione. Dal difetto di rifrazione nei raggi dei pianeti da lui occultati, concludesi che l’atmosfera doveva mancarle quasi assolutamente. Quest’assenza d’aria trae seco l’assenza d’acqua. Appariva quindi manifesto che i seleniti, per vivere in tali condizioni, dovevano avere un’organizzazione speciale, e differire singolarmente dagli abitanti della Terra.

Infine, in virtù di nuovi metodi, gl’istrumenti più perfezionati esaminarono la Luna senza tregua, non lasciando inesplorato un solo punto della sua faccia, e tuttavia il suo diametro è di duemila e centocinquanta miglia30, la sua superficie è la tredicesima parte della superficie del globo31, il suo volume la quarantanovesima parte del volume della sferoide terrestre! ma nessuno de’ suoi segreti poteva sfuggire all’occhio degli astronomi, e questi scienziati portarono ancora più lungi le loro prodigiose osservazioni.

E però osservarono che, durante il plenilunio, il disco mostravasi in certe parti rigato di linee bianche, e durante le fasi rigato di linee nere. Studiando con maggior precisione, giunsero a rendersi esatto conto della natura di queste linee. Erano solchi lunghi e stretti, scavati fra orli paralleli che generalmente mettevano capo ai contorni dei crateri; avevano una lunghezza compresa fra dieci e cento miglia ed una larghezza di ottocento tese. Gli astronomi le chiamarono scanalature, ma tutto ciò che essi seppero fare fu di così chiamarle.

Quanto al sapere se tali scanalature fossero letti disseccati di antichi fiumi o no, non poterono asseverarlo in modo completo. Laonde gli Americani speravano di poter ben determinare un giorno o l’altro questo fatto geologico. Essi riserbavansi parimenti di riconoscere questa serie di bastioni paralleli scoperti alla superficie della Luna da Gruithuysen, dotto professore di Monaco, che la considerò come un sistema di fortificazioni innalzate dagli ingegneri seleniti. Questi due punti ancora oscuri, e molti altri senza dubbio, non potevano essere definitivamente chiariti se non dopo una comunicazione diretta colla Luna.

Quanto all’intensità della sua luce, non c’è più nulla da apprendere in proposito; sapevasi che è trecentomila volte più debole di quella del Sole, che il suo calore non ha azione apprezzabile pei termometri; quanto al fenomeno conosciuto sotto il nome di luce cinerea si spiega naturalmente coll’effetto dei raggi del Sole rimandati dalla Terra alla Luna, e che pare completino il disco lunare quando questi si presenta sotto la forma della prima e dell’ultima fase.

Le cognizioni acquistate sul satellite della Terra erano a tal punto, quando il Gun-Club si proponeva di completarle sotto tutti i punti di vista, cosmografici, geologici, politici e morali.

14.Espressione affatto americana per indicare le persone ingenue.
15.Mistura di rhum, di sugo d’arancio, can-di zucchero, di nella e di noce moscata. Questa bevanda di color giallo aspirasi in caraffe col mezzo di un tubetto di vetro. I bar-rooms sono specie di caffè.
16.Bevanda spaventosa del popolaccio. Letteralmente in inglese: through knock me down.
17.Sopranome della Nuova Orleans.
18.La velocità dell’elettrico.
19.Arme da tasca, fatta con una bacchetta di balena flessibile ed una palla di metallo.
20.Molto strepito per nulla, commedia di Shakespeare.
21.Come vorrete.
22.Lo zenit è il punto del cielo situato verticalmente al disopra della testa dell’osservatore.
23.Infatti non vi sono che le regioni del globo comprese fra l’equatore ed il ventottesimo parallelo, nelle quali la maggior vicinanza della Luna sia allo zenit: al di là del 28° grado, più ci avviciniamo ai poli e più la Luna rimane lontana dal nostro zenit.
24.Scientificamente Galassia, dalla parola greca γαλακτος, che significa latte.
25.Il diametro di Sirio, secondo Vollaston, deve superare dodici volte quello del Sole, cioè, 4,300,000 leghe.
26.Alcuni di questi asteroidi sono tanto piccoli che se ne potrebbe farne il giro nello spazio di un sol giorno camminando al passo di ginnastica.
27.Ventinove giorni e mezzo circa.
28.Vedasi i Fondatori dell’Astronomia moderna, libro ammirabile del signor I. Bertrand, dell’Istituto.
29.L’altezza del Monte Bianco sopra il livello del mare è di metri 4,813.
30.Ottocento sessantanove leghe, cioè poco più del quarto del raggio terrestre.
31.Trentotto milioni di chilometri quadrati.
Yaş sınırı:
0+
Litres'teki yayın tarihi:
02 eylül 2024
Hacim:
210 s. 1 illüstrasyon
ISBN:
9782378075644
Telif hakkı:
Bookwire
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