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Nella rete della ladra

Indice

Nella rete della ladra

1. Capitolo Uno

2. Capitolo Due

3. Capitolo Tre

4. Capitolo Quattro

5. Capitolo Cinque

6. Capitolo Sei

7. Capitolo Sette

8. Capitolo Otto

9. Capitolo Nove

10. Capitolo Dieci

A proposito di Kate Rudolph

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Nella rete della ladra

Entrare, rubare la gemma, uscire.

Ma è andato tutto a rotoli e ora Mel è rimasta senza un compenso per il lavoro svolto e si ritrova nel mirino di un leone alfa infuriato.

Luke non se la passa meglio.

Sua sorella è nei guai, lo Smeraldo Scarlatto è sparito e Mel è tornata, pronta a sfidarlo di nuovo. Ma per guarire sua sorella, Luke fa l’impensabile. Chiede a Mel di aiutarlo a salvare la vita di Cassie.

E l’attrazione divampa in fretta fra loro, coinvolgendo le loro vite più di quanto abbiano mai voluto.

L’Alfa derubato è una serie in tre parti che ha come protagonisti Mel, leopardo mutaforma e ladra di straordinaria abilità, e Luke Torres, leone mutaforma, alfa del suo branco. Unisciti a loro mentre compiono rapine, combattono i vampiri, incontrano streghe e imparano a fidarsi, finendo per innamorarsi.

Entangled with the Thief © Kate Rudolph 2015

Cover design di Kate Rudolph.

Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo libro può essere utilizzata, riprodotta elettronicamente o stampata senza autorizzazione scritta, fatta eccezione per brevi citazioni inserite nelle recensioni.

Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi sono frutto dell’immaginazione dell’autrice o sono usati in modo fittizio e non devono essere considerati come reali. Qualsiasi riferimento a fatti realmente accaduti o a persone, in vita o defunte, è puramente casuale.

Pubblicato da Kate Rudolph.

www.katerudolph.net

Creato con Vellum

1

Capitolo Uno

La Crystal Lake Risparmi e Prestiti si trovava un po’ discosta dalla strada principale in un bel complesso di uffici a Crystal Lake, nel Wisconsin. A mezzogiorno di un mercoledì, il traffico dentro e fuori la banca era abbastanza costante. I lavoratori in pausa pranzo venivano a incassare o depositare assegni, e gli impiegati part-time si avvicendavano sui turni. Mel osservava l’andirivieni attraverso lo specchietto retrovisore di un’auto parcheggiata a mezzo isolato di distanza.

Si sistemò il colletto della camicia e controllò l’orologio. Il suo obiettivo era Kathy Pierson, e Mel doveva essere dentro prima di mezzogiorno e mezzo, altrimenti sarebbe saltato tutto. Di buono c’era che questo lavoro non metteva esattamente a dura prova le sue capacità. Era la banca di una piccola città che custodiva beni di una piccola città. Ma ciò significava che nessuno avrebbe cercato lì la cassetta di sicurezza di Tina. Soprattutto visto che sarebbe stata una sistemazione temporanea, o almeno così sospettava Mel. La pietra rivelatrice era l’unico oggetto di Tina che si sarebbe potuto trovare in quella banca, e probabilmente nell’intero Stato. Ma Mel non aveva bisogno di nient’altro da quella strega, non più. Una volta avuta la pietra sarebbe stata sulla buona strada per affrontare l’unica persona che non meritava più di avere un posto dove vivere.

Mel interpretava il ruolo di Helen Undine, mediocre avvocato di Milwaukee in cerca di un assaggio di vita semplice. I suoi capelli erano tirati indietro in uno chignon stretto, non erano ammesse ciocche fuori posto. L’abito era di due tonalità più scuro del beige e, benché costoso, aveva un taglio particolarmente inelegante. Indossava un sottile filo di perle e un vistoso anello di fidanzamento. Helen era una donna... complicata. Esattamente ciò di cui Mel aveva bisogno in quel momento.

Portava scarpe basse, anche se normalmente Helen preferiva i tacchi. Ma era necessario sacrificare qualcosa in nome della comodità, perché correre nella gonna di un tailleur sarebbe già stato abbastanza difficile e Mel non aveva alcun desiderio di incespicare su centimetri inutili.

L’interno della banca non trasmetteva affatto una sensazione di sicurezza. Nell’atrio la scrivania di un addetto alla vendita era libera, e chiunque l’avesse occupata aveva lasciato il computer collegato alla rete interna. La guardia di sicurezza l’accolse con un sorriso e portava solo un Taser, non una pistola. Tre donne sedevano alle postazioni dei cassieri, sebbene una sola stesse assistendo un cliente. Le altre due chiacchieravano e non prestavano attenzione all’entrata.

Mel sorrise quando vide Kathy Pierson attraversare i locali.

La donna effettuava un ultimo controllo alle casse venti minuti prima di finire il suo turno, e l’aveva fatto ogni giorno, da quando Mel studiava i movimenti all’interno della banca. Mel avanzò rapidamente stringendo la valigetta e si scontrò con la direttrice.

“Oh! Mi scusi, mi dispiace molto,” disse Kathy. Studiò Mel brevemente, notando i gioielli e la pelle pregiata della sua valigetta. “Non l’avevo vista. C’è qualcosa che posso fare per aiutarla, oggi?”

Perfetto. Mel si mostrò piuttosto infastidita e la guardò dall’alto in basso, prima di rispondere. “Sì”, tagliò corto, serrando le labbra. “Ho bisogno di accedere alla mia cassetta di sicurezza. Può provvedere lei?” chiese con sussiego.

Kathy irrigidì il collo per la frustrazione. Mel sapeva che, a quell’ora, lei era la sola persona autorizzata ad accompagnare i clienti al caveau, e mancavano pochi minuti perché finisse il turno e potesse tornare a casa. Ma la donna sorrise e non sembrò nemmeno contrariata. “Naturalmente. Ha con sé la sua chiave? E avrò bisogno di registrare il suo ingresso.”

Prese una cartellina da una delle cassiere e la porse a Mel. Helen Undine aveva una firma bella e curata, che si intonava al suo aspetto.

Kathy condusse Mel sul retro dell’edificio, attraverso un cancello sbarrato. La guardia entrò nel caveau insieme a loro. Mel aveva aperto il conto tre giorni prima e con un po’ di chiacchiere era riuscita a procurarsi la cassetta di sicurezza adiacente a quella di cui aveva bisogno. Lei e la guardia inserirono le rispettive chiavi nelle serrature e le girarono simultaneamente. La guardia estrasse la cassetta e la porse a Mel, che ringraziò con un sorriso tirato.

Fu accompagnata in una piccola stanza all’interno del caveau dove avrebbe goduto della privacy necessaria ad esaminare il contenuto della cassetta e a depositarvi ciò che avesse ritenuto opportuno. Sia Kathy che la guardia aspettarono dietro una tenda rossa mentre lei si occupava dei suoi affari. Mel controllò l’orologio. Era nella banca da meno di dieci minuti ed era quasi ora di mettersi al lavoro.

Un urlo squarciò il silenzio. Perfettamente in orario.

Mel si alzò di scatto dalla sedia e si rivolse a Kathy e alla guardia. “Va tutto bene?” chiese.

Kathy si irrigidì, valutando la situazione. Era l’unica manager in servizio, in quel momento. “Devo andare a controllare. Voi due potete aspettare qui durante la mia assenza?”

“Assolutamente, non c’è nessun problema,” disse Mel. “Ovviamente ci sono questioni più importanti.”

Kathy si mostrò indecisa sul da farsi ma poi corse via, lasciando soli Mel e la guardia. Mel iniziò il conto alla rovescia partendo da centoventi, che erano i secondi allo scadere dei quali avrebbe avuto luogo la successiva manovra diversiva. Frugò pigramente nel contenuto della cassetta. C’erano documenti e qualche gioiello di scarso valore, niente di veramente prezioso. Ma c’era abbastanza roba per rendere credibile che ci volesse del tempo a trovare ciò che le serviva. E quella era la cosa importante.

Puntualissima, un’esplosione scosse l’aria, seguita da un sordo crepitio di petardi. Mel sobbalzò, facendo cadere alcuni documenti e fingendo di respirare a fatica per aumentare l’effetto. Uscì come una furia da dietro la tenda, urtando la guardia prima di riuscire a fermarsi. “Cos’è stato?” chiese, mettendo nella sua voce un accenno di panico.

La guardia mise rapidamente mano al suo Taser guardando verso l’ingresso della banca. “Va tutto bene, signora. Qui è al sicuro.” Si allontanò in fretta verso il trambusto senza bisogno di ulteriori sollecitazioni.

Ottimo.

Mel attese qualche secondo, poi aprì la valigetta ed estrasse i grimaldelli. La guardia aveva chiuso la porta interna dietro di sé, il che le garantiva privacy e la libertà di lavorare senza doversi guardare alle spalle.

Si diresse alla cassetta 109 e inserì la chiave della guardia in una delle serrature. Gliel’aveva sfilata quando si erano scontrati dopo l’esplosione. Forzare l’altra serratura fu più facile di quanto avrebbe dovuto, e Mel in meno di un minuto ebbe fra le mani la cassetta di sicurezza contenente il suo compenso per il lavoro dello Smeraldo Scarlatto.

Aprì la cassetta e si bloccò, senza capire bene cosa stava guardando. La richiuse e l’aprì nuovamente, sperando che i suoi occhi l’avessero ingannata.

Non c’era nessun compenso nella cassetta.

C’era solo un biglietto da visita.

Sopra c’era scritto a chiare lettere “LUCIO TORRES” e vi erano riportati un numero di telefono e un indirizzo e-mail. Nessuna ragione sociale, nessun indirizzo fisico. Ma Mel sapeva esattamente dove viveva. Dopo tutto lui era l’uomo a cui aveva rubato lo Smeraldo Scarlatto.

Un mese prima, una strega di nome Tina Anders si era rivolta a lei per rubare la gemma. Era un lavoro difficile, che solo tre persone, inclusa Mel, erano in grado di portare a termine. Ma Tina e Mel avevano dei trascorsi, e Tina le aveva offerto una ricompensa che non avrebbe potuto rifiutare per completare la missione in tempi ristrettissimi.

E lei ce l’aveva fatta, a parte un piccolo contrattempo che per qualche giorno l’aveva resa ospite non invitata del leone mutaforma. Il tutto doveva finire lì. Lei aveva dato a Tina la pietra, Tina le aveva consegnato la chiave della sua cassetta di sicurezza, e l’affare doveva considerarsi concluso.

Tranne che per i vampiri.

Quando le aveva proposto il lavoro, Tina aveva evitato di menzionare i vampiri. E a Mel piaceva pensare che se Tina l’avesse fatto, lei avrebbe rifiutato il lavoro senza pensarci due volte, indipendentemente dal compenso. Ma i vampiri si erano presentati, era andato tutto a rotoli, Luke Torres l’aveva accusata del rapimento di sua sorella e Mel si era teletrasportata lontano da lì prima che lui potesse squarciarle la gola.

Il che era stato un bene, se non si considera la parte della storia che l’aveva vista finire nuda a più di mille chilometri di distanza, senza la chiave della cassetta di sicurezza né l’indirizzo. Entrambe le cose erano rimaste a Luke, nei vestiti che lei aveva lasciato in quella foresta del Colorado. Solo dopo aver incontrato nuovamente Krista, le era stato ricordato che chiunque usasse l’incantesimo del teletrasporto doveva possedere gli oggetti che intendeva portare con sé. I vestiti di Mel non le appartenevano, se li era procurati per altre vie.

Così, se senza dubbio possedeva la chiave e il biglietto con l’indirizzo, altrettanto non si poteva dire dei vestiti che li contenevano. Krista e Bob se n’erano entrambi andati dopo aver ricevuto il pagamento per la loro parte di lavoro, e lei era rimasta senza niente.

Aveva tutto Luke. Soprattutto, aveva la sua pietra rivelatrice.

Mel richiuse con violenza la cassetta di sicurezza e la ripose di nuovo nel suo alloggiamento. Si morse il labbro per evitare di imprecare. Con l’aiuto di una strega la pietra rivelatrice le avrebbe permesso di localizzare il fulcro del potere a cui era connessa. Avrebbe avuto un navigatore satellitare magico per trovare il suo obiettivo in qualsiasi momento. E quell’oggetto era più prezioso di qualunque altra cosa possedesse.

La pietra rivelatrice era connessa a una strega di nome Ava. Avrebbe permesso a Mel di rintracciare la donna che aveva ucciso i suoi genitori.

Mel si raddrizzò e si sedette di nuovo al tavolo, aspettando che Kathy o la guardia facessero ritorno. Mentalmente stava già escogitando un piano. Era piuttosto semplice. Avrebbe solo dovuto derubare l’alfa un’altra volta.

2

Capitolo Due

Il leone ruggì. Il suono vibrò attraverso la foresta fuori da Eagle Creek, in Colorado, dove i leoni del suo branco si aggiravano alla ricerca della sorella scomparsa. Il tempismo di Mel avrebbe potuto essere migliore, ma lei non poteva sapere che la notte del suo ritorno in città sarebbe stata la stessa in cui l’alfa avrebbe mandato il branco alla ricerca della giovane leonessa di cui si erano perse le tracce.

Aveva il batticuore e l’eccitazione l’attraversava ad ogni ramoscello spezzato. Sarebbe bastata una sola mossa sbagliata per finire di nuovo prigioniera dell’alfa. E questa volta non aveva una strega a tirarla fuori dai guai.

Non sapeva se tutti fossero fuori per cercare Cassie, ma non riusciva a immaginare quale altro motivo potesse averli spinti a uscire. I leoni non avevano organizzato una battuta di caccia in cerca di prede; riusciva a sentire il mormorio delle loro voci e percepiva sicurezza nei loro passi. Stavano battendo la foresta metodicamente, setacciandone ogni centimetro in cerca della ragazzina rapita. A parte il fruscio del vento e i suoni intermittenti provenienti dai mutaforma schierati nella foresta, Mel non udiva altro.

Gli animali notturni che normalmente si aggiravano in quei boschi si erano nascosti. Anche gli insetti erano silenziosi.

Allontanò con un soffio una ciocca di capelli ribelle, poi la fermò dietro l’orecchio quando le ricadde davanti agli occhi. La prima volta che era venuta a Eagle Creek aveva i capelli rossi, o almeno sembrava che lo fossero. La parrucca faceva parte di una delle sue identità e rappresentava una distrazione per chiunque cercasse di ricordare il suo aspetto. Quella notte non c’erano distrazioni. Mel indossava abiti stretti e scuri che seguivano i suoi movimenti come una seconda pelle, e i capelli castani erano pettinati all’indietro e raccolti in una coda di cavallo. Per altri lavori come quello avrebbe probabilmente indossato un travestimento, ma non aveva bisogno di nascondere la sua identità all’alfa. Lui sapeva che stava arrivando. Diamine, l’aveva invitata lui.

Si era diretta subito in Colorado dopo la visita alla banca nel Wisconsin. L’unica tappa intermedia era stata un pernottamento a St. Louis per fare scorta di attrezzature da una strega con cui aveva lavorato tempo prima. Per un secondo aveva considerato di chiamare Krista, ma aveva scartato l’idea quasi con la stessa velocità con cui le era venuta. I suoi vecchi soci avevano chiarito in modo cristallino di aver chiuso con lei.

Mel se lo meritava, solo avrebbe voluto che non fosse così. Ma fregare i suoi soci aveva conseguenze inevitabili; doveva solo viverle sulla propria pelle e sperare che un giorno Krista l’avrebbe perdonata. Quella strega era la cosa più vicina ad una famiglia che a Mel fosse rimasta.

In quel momento però non doveva farsi travolgere da pensieri del genere. Una mossa sbagliata e sarebbe finita nuovamente nelle mani dell’alfa, e non era un gioco a cui volesse partecipare.

Il suono di un ramoscello spezzato fu il suo unico avvertimento. Mel reagì correndo a nascondersi dietro un albero enorme e rimanendo perfettamente immobile mentre due leoni entravano nella piccola radura che lei stava attraversando poco prima. Le due persone che udiva nella radura non potevano essere altro che dei mutaforma. Mel trasse un profondo respiro ed espirò il più lentamente possibile, facendo poi ricorso a boccate d’aria superficiali e silenziose mentre si avvicinavano.

“Aspetta, qui c’è qualcosa di diverso,” disse una voce maschile, e a quelle parole Mel sentì la nuca imperlarsi di sudore. Non stava respirando abbastanza in profondità da percepire il loro odore, e loro non erano stati in quella zona abbastanza a lungo da permearne l’aria. Lei invece era lì da diversi minuti e in più loro non avevano l’impedimento di una respirazione superficiale a renderne meno sensibile l’olfatto.

“Che cosa?” chiese una donna.

“Credo di aver sentito l’odore di Cassie.” La parlata dell’uomo aveva una sfumatura di New England e Mel poteva quasi immaginare che aspetto avesse. Probabilmente era alto, con capelli corti forse biondi e mascelle abbastanza forti da poter sollevare lastre di cemento. O magari no, e in ogni caso Mel non poteva far capolino da dietro l’albero per accertarsene.

La donna aveva l’accento tipico della Georgia meridionale e parlava in modo piacevole e dolce. “Sei sicuro? C’è davvero qualcosa ma non riesco a capire cosa.”

“Non è uno di noi,” disse l’uomo con sicurezza. Mel lo sentì avvicinarsi. Aveva pochi secondi prima che lui girasse attorno all’albero e la scoprisse. Si concentrò, sentendo le sue mani trasformarsi in zampe di leopardo, con gli artigli sfoderati. Il suo solo vantaggio sarebbe stato la sorpresa e avrebbe cercato di limitarsi a neutralizzarlo, senza ucciderlo. Non aveva motivo di far arrabbiare l’alfa ulteriormente, era già abbastanza infuriato.

“Aspetta,” disse la donna. “Vieni qui, credo di aver trovato una traccia.” L’uomo si fermò, poi si avviò di nuovo nella direzione opposta. Entrambi i leoni si allontanarono, seguendo la traccia che Mel aveva lasciato entrando nel bosco. Era stata dannatamente fortunata, e non aveva intenzione di rischiare di nuovo di essere catturata in quel modo. Doveva lasciare quei boschi e tornare al suo hotel. Avrebbe potuto rivedere i suoi piani solo allora.

Mel decise di arrampicarsi sugli alberi per uscire dai boschi. Gli artigli la aiutarono, permettendole di scavare la corteccia e trovare appigli per issarsi su rami robusti. Saltò di albero in albero, procedendo lentamente ma lasciando tracce del suo odore molto meno intense. Si immobilizzò quando udì un altro ruggito, diverso dal primo. Il primo ruggito del leone era stato pieno di rabbia e dolore, il richiamo di un animale determinato ad ottenere vendetta. Quell’ultimo ruggito era pieno di gioia.

Avevano ritrovato Cassie.

Viva.

Mel non lasciò che questo la fermasse. Percorse chilometri e chilometri fino a raggiungere il piccolo parcheggio nel parco nazionale vicino al confine del territorio di Luke. Sedette su un grosso ramo e aspettò qualche istante per trasformare nuovamente le sue zampe in mani umane. Non era un’operazione difficile, ma ci voleva tempo. Durante quella lenta trasformazione, tutte le articolazioni delle dita le dolevano in segno di protesta per il compito loro affidato di aggrapparsi ai rami di dozzine di alberi in una forma poco adatta allo scopo.

Era pronta a saltare giù dal suo albero quando una giovane donna uscì dal bosco sul sentiero panoramico del parco nazionale. Sembrava più giovane di Mel, forse poco più che ventenne, e aveva lunghi capelli neri e carnagione chiara. Indossava jeans, una camicetta di seta e stivaletti da trekking. Mel notò sul suo polso un luccichio argenteo, proveniente forse da un orologio o da un braccialetto.

Era strano per una donna ritrovarsi da sola nei boschi di notte. Anche Mel era lì unicamente per il suo poco nobile scopo. La donna la insospettì immediatamente, e ancor più quando tirò fuori un cellulare e lo portò all’orecchio. Mel dovette concentrarsi per sentire, ma riuscì a distinguere chiaramente le parole.

“Falle sapere che è stato un successo. La ragazza è stata riunita al branco.” Mel sarebbe rimasta pietrificata sul posto se non fosse già stata immobile. La donna parlò di nuovo. “Dovrò ordinare nuovo materiale da una congrega locale. Vladimir ha sottovalutato le mie esigenze... Capisco. Starò in guardia.” Chiuse la chiamata senza salutare.

Mel rimase sul suo albero finché la donna non si fu allontanata su una berlina grigio argento. A giudicare dalla targa, si trattava di un’auto a noleggio.

Sembrava che Cassie non fosse stata trovata, che fosse invece stata restituita. Ma che utilità poteva avere per delle streghe un leone mutaforma che nemmeno riusciva a trasformarsi? E perché una di loro avrebbe avuto bisogno di altro materiale?

Mel cercò di non dar troppo peso alla cosa. Scese dall’albero e si mise al volante del vecchio camioncino arrugginito che aveva rubato a metà strada tra il Colorado e il Wisconsin. Depennò quel parcheggio dalla lista delle possibili basi logistiche per il prossimo colpo e decise di procurarsi una nuova auto a Denver, dove alloggiava.

Era a due ore di macchina da lì. Mel cominciò a macinare chilometri, sola sulla strada con i suoi pensieri. Dopo una mezz’ora di conflitto interiore accese la radio e si mise a cantare un pezzo country molto in voga che aveva sentito quasi ogni ora nel tentativo di trovare emittenti con un segnale decente.

Quel tentativo di distrazione non funzionò. Ma riuscì ad arrivare fino a Denver senza decidere di andare a scoprire cosa volevano le streghe.


Maya aveva ricevuto la soffiata su Cassie un’ora prima. Luke impiegò venti minuti per mobilitare la squadra di ricerca e ci volle un’altra dozzina di minuti perché i suoi uomini si spargessero nei boschi. Si lasciò sfuggire un ruggito di rabbia, per il bisogno disperato di ritrovare sua sorella e di riportarla a casa. Era sparita già da troppo tempo, ma non l’avrebbe persa per sempre.

Quel suono proruppe dalla sua bocca umana, lasciando le corde vocali escoriate e doloranti. Non aveva importanza. Non c’erano dolori o sfide grandi abbastanza da impedirgli di trovare Cassie.

Luke rintracciò l’odore della sorella e ci si aggrappò, seguendolo lungo sentieri inesistenti, scavalcando rami caduti e inoltrandosi faticosamente nella boscaglia. La sua ricerca non era silenziosa – aveva spaventato i consueti abitanti della foresta portando in missione con sé tutti i predatori del suo branco. Si erano separati, setacciando i boschi in gruppi da due o tre componenti. Solo lui procedeva con altri quattro leoni. Non avrebbero lasciato il loro capo vulnerabile in quella che avrebbe potuto benissimo essere una trappola.

Tuttavia Maya si fidava della sua fonte, e Luke si fidava di Maya. Avrebbero trovato Cassie. Sana e salva.

La foresta terminava bruscamente aprendosi in una radura. Luke individuò Cassie, che si muoveva in mezzo ad un anello di funghi a soli quindici metri di distanza. Emise un altro ruggito, questa volta per la gioia incontenibile, e corse attraverso la radura, calpestando i funghi e prendendo sua sorella tra le braccia.

Cassie avrebbe voluto restituirgli l’abbraccio, ma aveva le mani trattenute da manette d’argento e i piedi legati con una corda. Affondò il viso nell’incavo del collo di Luke, e lui sentì le sue lacrime sulla pelle. “Ero così spaventata,” disse lei. “Grazie.” Parlò fra i singhiozzi, quasi senza fiato per la forza dell’abbraccio del fratello.

Luke le accarezzò i capelli biondi. Erano ridotti a una massa di nodi con l’aggiunta di qualche foglia nel mezzo, come se fosse rimasta nella foresta più a lungo delle poche ore di cui aveva parlato l’informatore di Maya. “Ora sei al sicuro.” Le baciò la fronte, poi si allontanò un po’ per cercare di slegarla.

Nel mentre sentì altri due dei suoi leoni entrare nella radura. Dovette ritrarsi repentinamente al primo contatto con le manette. La percentuale di argento era così alta che la reazione gli faceva già prudere le dita. Aveva sempre avuto una scarsa tolleranza all’argento, ma di solito la reazione allergica si manifestava dopo almeno qualche istante. “Mi serve la chiave di queste manette!” esclamò spostandosi per slegare le gambe di Cassie. Lei rimase ferma, e dato che la corda era spessa, ma normale, Luke riuscì a liberarla in un attimo.

“Non è lo stesso odore, te l’ho detto,” disse Javier, uno dei leoni che si era offerto volontario all’ultimo minuto per unirsi alla ricerca. Non era un inseguitore e prima di allora non aveva mai dato la caccia a una persona, ma Luke necessitava di tutto l’aiuto possibile.

“Probabilmente abbiamo sconfinato sul terreno di qualcun altro,” rispose Alisha, la sua partner nella ricerca di quella notte. Lasciò Javier e si avvicinò a Luke. Alisha si era trasferita in zona solo tre mesi prima; in precedenza aveva lavorato al CDC di Atlanta, finché non aveva ricevuto un’ottima offerta di lavoro a Denver, impossibile da rifiutare. Non viveva nel territorio del branco ma questo non le aveva impedito di diventarne velocemente un membro importante.

Javier, invece, era nato e cresciuto a Eagle Creek e possedeva una piccola società di contabilità che gestiva il denaro di diverse aziende locali. Furono i primi due a raggiungere Luke e i suoi compagni nella radura. Gli altri membri del branco arrivarono alla spicciolata più tardi.

Mick, un ragazzo che recentemente si era messo nei guai a causa di una certa litigiosità e per un grosso errore durante un turno di guardia, forzò velocemente la serratura delle manette di Cassie. Lì per lì Luke fu felice che il ragazzo ne fosse stato capace, ma poi si appuntò mentalmente di capire perché i ragazzi del suo branco stessero imparando a fare gli scassinatori.

I furti degli ultimi tempi sarebbero già bastati per una vita intera.

Dopo essersi assicurato che Cassie non indossasse una trappola esplosiva e che nella radura non ci fossero altre brutte sorprese, Luke aiutò Cassie ad alzarsi e si avviarono verso il luogo dove aveva parcheggiato la macchina per riportarla a casa.

Si era aspettato che Cassie si addormentasse dopo aver fatto una doccia, ma la sorella lo chiamò in camera sua per parlare mentre era impegnata ad asciugarsi i capelli. Ora che non era più coperta di chiazze di fango ed erba, Luke vide lividi neri e marroni sparsi sulla sua pelle pallida. Una rabbia violenta ruggì dentro di lui e gli fece venire voglia di uscire e andare subito a caccia di chiunque le avesse fatto del male. Ma era grato del fatto che le sue uniche ferite sembrassero superficiali. Niente ossa rotte, o peggio.

O almeno, lei non aveva detto nulla.

“Come stai?” le chiese. Si sedette su una poltroncina da lettura e appoggiò i piedi sul bordo del letto. La stanza era grande, con due sedie, una scrivania e una nicchia per la lettura ricavata vicino alla finestra. Era la stanza degli ospiti che Luke utilizzava per la sua famiglia, ed era solo due porte più giù della sua.

Cassie si sedette sul letto, con la schiena appoggiata alla testiera. “Ho lividi e qualche ammaccatura, ma sto bene.” Si pettinò delicatamente i capelli con le dita mentre parlava. “Mi dispiace tanto, ho fatto un casino. Non avrei dovuto, scusami, ti prego,” disse con le lacrime che le pungevano gli occhi. “So di aver sbagliato...”

Luke la interruppe sollevando una mano. “Ne parleremo più avanti.” E ne aveva tutta l’intenzione, sapeva che la rabbia gli sarebbe montata dentro una volta che fosse stato certo che la sorella fosse al sicuro. Anche in quel momento, con lei di nuovo a casa nella sua stanza, non riusciva quasi a crederci. Ma si aspettava di essersi ripreso per il mattino seguente. Non era necessario parlarne quella sera.

Lei però non era pronta a chiudere l’argomento. “L’hai detto a mamma e papà?” Luke pensò che non potesse sembrare più mortificata di così.

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