Kitabı oku: «Storey»

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STOREY

KEITH DIXON


Semiologic Ltd

Traduzione: I Edizione Tektime

Copyright Keith Dixon 2017

Ai sensi del Copyright, Designs and Patents Act 1988, Keith Dixon detiene il diritto di essere identificato come l’Autore di questa opera.

Tutti i diritti sono riservati.

Nessuna parte del libro può essere riprodotta da mimeografo, fotocopie, o nessun altro mezzo, elettronico o fisico, senza il permesso dell’autore.

Qualunque analogia con persone esistenti o esistite è puramente casuale.

Per informazioni contattare: keith@keithdixonnovels.com

Foto di copertina © David Holt sotto Licenza Creative Commons

Progetto grafico: Keith Dixon

Traduzione dall’inglese di Andrea Piancastelli

Titolo originale: Storey

I Edizione originale: Semiologic Ltd

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i primi due libri della serie Le Indagini di Sam Dyke!

CAPITOLO UNO

LA TERZA VOLTA che Paul Storey la vide fu quello che avrebbe ricordato in seguito, quando tutto andò storto.

Non lo guardò né disse nulla, almeno non inizialmente. Ma lui sapeva che lo avrebbe notato entrando. Anche in una stanza piena di gente c’era qualcosa nel modo in cui lei lo ignorava – una consapevolezza programmata.

Si domandò se fosse il caso di raggiungerla, una presentazione casuale, sedersi di fronte a lei ad uno dei tavoli neri e squadrati e attaccare discorso. Vieni qui ogni giorno, vero?

… No, troppo ovvio. Non era l’effetto che stava cercando. Forse non avrebbe dovuto dire niente, solo estrarre una sedia, aprire un giornale, farle un cenno col capo, fare le parole crociate.

Allora poteva pensare che la stava pedinando. Cosa non vera. Era una donna attraente e lui l’aveva solo notata …

Entrava da Starbucks alla stessa ora tutte le mattine, appena prima di pranzo. Abiti diversi ogni giorno ma di classe, bel taglio, gonna giusto sotto al ginocchio, camicetta aderente sul petto. Come una donna che lavora in affari ma cerca comunque un tocco di sensualità. Portava una piccola ventiquattrore marrone con fibbie dorate. Tacchi un po' alti ma non provocanti. Capelli biondi pettinati con cura, lisci, appuntati dietro alle orecchie … no, un orecchio: l’orecchio che usava quando era al telefono.

Trovava sempre un tavolo vicino alla vetrina che dava su Broadgate, dopo la statua di Lady Godiva e verso Wagamama e il bar accanto. Aveva un piccolo computer che apriva e a cui dava un’occhiata, poi si fermava e osservava fuori dalla vetrina. Si mordeva il labbro inferiore. Dava un sorso al vino bianco e fermo di Starbucks. Aveva un bel corpo, fronte alta e sopracciglia arcuate che sembravano disegnate con una matita, un tocco di colore sulle palpebre. Un naso corto e dritto, ma labbra che potevano essere state lievemente aumentate. La sua pelle era perfetta.

Questa volta era stata a sedere solo per cinque minuti e già si stava rialzando, organizzando le sue cose nella borsa – chiavi, portafoglio, pacchetto di Kleenex, il resto in monete del conto pagato al barista. Stava rimettendo il computer nella ventiquattrore. Sembrava irritata, nervosa, ora ferma in piedi a fissare fuori dalla vetrina le persone di passaggio.

Poi si girò guardandolo in modo diretto.

Ora stava camminando nella sua direzione e lui non poteva muoversi. Era in trappola, a sedere su uno degli sgabelli dell’altra vetrina, vicino all’amplificatore che emetteva Dylan.

Disse, ‘Se hai intenzione di fissarmi ogni giorno potresti almeno presentarti.’

‘Aspettavo il momento giusto. Questo non lo era.’

‘Che cosa vuoi?’

‘Vivere un giorno alla volta senza complicazioni. Grazie dell’interessamento.’

‘Da me. Che cosa vuoi da me?’

Si stava buttando a capofitto. A lui piaceva questo. Era l’unica cosa che aveva ammirato delle donne di Londra – andavano di fretta. Significava che poteva andare alla loro velocità o rallentare. Non era sempre lui a regolare i tempi, cercando di capire a che velocità viaggiare. Bello trovare qualcuno così nella vecchia città natale.

‘Mi domandavo perché sei venuta qui’, disse.

‘Perché non dovrei?’

‘Sei vestita da ufficio. Ti sei inventata tutto. Hai un piccolo computer anonimo e uno smartphone e ti siedi in un angolo e giochi alla donna d’affari. Dove credono che sei, le persone, quando parli con loro al telefono? Qual è l’indirizzo dell’ufficio sul tuo biglietto da visita? Non posso farne a meno – mi chiedo queste cose.’

‘Sei uno sbirro?’

‘Ti sembro uno sbirro?’

Lo osservò dall’alto in basso come se non avesse mai pensato di guardarlo prima.

‘Potresti esserlo. Così a prima vista.’ Disse.

‘Assicurazioni.’

‘Nelle vendite?’

‘Perito. La tua casa è ridotta in cenere o si allaga, io ti dico quanto dovrebbe essere il risarcimento.’

‘Ma sei da Starbucks ogni giorno. Osservando donne strane e spaventandole a morte.’

‘Tu non sei spaventata.’

‘Non lo sono? Come lo sai? Come fai a sapere com’è andare in un luogo pubblico e trovare qualcuno a fissarti ogni giorno?’

Paul alzò le spalle. ‘Non pensavo che fosse così ovvio. Cercavo di nasconderlo.’

‘Voglio solo venire qui e prendere il mio caffè e non essere osservata. Per te va bene?‘

Stava esaurendo le sue riserve, il senso di minaccia stava lasciando i suoi occhi. Lui cercò di stabilire il suo accento – una vaga cadenza scozzese, più della costa orientale che occidentale. Era così accennata che si chiese se l’aveva persa vivendo al sud. Era affascinante, ti faceva venire voglia di sentirla parlare, solo per seguire le sue tonalità.

Ora strinse la presa sulla valigetta e spostò il suo peso da un piede all’altro. Indossava la sua solita camicetta bianca sotto alla giacca nera e a lui sembrò di intravedere un reggiseno nero. Non così professionale, dunque.

‘Come ti chiami?’, disse lei.

‘Paul Storey.’

‘Con o senza e?’

‘Con. Poche persone lo chiedono. Hai intenzione di fare ricerche su di me su Google?’

‘Dovrei?’

‘Non lo farei. Come ti chiami?’

‘Non esiste. Pensavi che fissandomi a sufficienza ti avrei chiesto di uscire?’

‘Mi è passato per la mente.’

‘Non accadrà.’

‘Messaggio ricevuto.’ Abbassò la voce. ‘Cosa succede? Cosa ti spaventa?’

‘La vita’, disse. ‘L’universo e tutto il resto. Piuttosto comprensibile. E per rispondere alla tua prima domanda, vengo a lavorare qui perché il rumore mi aiuta a concentrarmi. È troppo silenzioso in ufficio.’

‘Che lavoro fai?’

‘La giornalista, giornale locale. Non che questi siano affari tuoi. Soddisfatto?’

‘Certo. Perché dovrebbero esserlo?’

Lei sembrò sul punto di aggiungere qualcosa ma invece si girò e si allontanò. Lui osservò il suo profilo mentre sospingeva la porta, dirigendosi a sinistra verso Primark. Si sentì compiaciuto e roteò la sedia verso la parete per prendere il suo caffè.

Stava pensando che non era una giornalista. Era troppo ben vestita e più nervosa di qualsiasi giornalista mai conosciuta.

Ma stava anche pensando che non gli importava. Dopo tutto, nemmeno lui lavorava nel campo delle assicurazioni.

CAPITOLO DUE

‘MR STOREY, SE vuole la mia opinione professionale, il prezzo che ha stabilito è veramente troppo alto per la casa di suo padre. Le abitazioni nella sua bella area di Coventry hanno subito duri colpi nell’ultimo paio di anni. Lei sta cercando novellini in cerca di un punto di appoggio e il prezzo che chiede li disincentiverà persino dal dare un’occhiata all’interno.’

‘Disincentiverà? Cavoli.’ Disse, ‘Non è un mio problema, no? È il suo lavoro vendere.’

‘Certamente —’

‘Le dico una cosa — scenderò del cinque per cento se sono interessati a una compravendita.’

‘I compratori sono molto più scaltri oggigiorno. È probabile che offrano il quindici-venti per cento in meno del prezzo richiesto, specialmente nella sua area. La scuola locale non ha una grande reputazione e come lei sa, è stato denunciato un certo numero di reati nell’ultimo anno. Stupidaggini, cose insignificanti, ma hanno lasciato un segno, diciamo così.’

‘So cosa vuole dire, ma non mi interessa. Devo vendere.’

L’agente immobiliare si chiamava Jeremy Frost e a Paul non piaceva. C’erano troppe falsità nel suo comportamento. Fingeva di essere realistico mentre si atteggiava da amico. Forse quello era il modo in cui lavoravano al giorno d’oggi.

Ora Frost stava appoggiato allo schienale della sua sedia di pelle lucente, descrivendo i loro piani: mettere le foto online così sarebbero state distribuite tramite i loro vari partenariati nazionali, inserire i video sui loro tabelloni elettronici rotanti esposti in vetrina, e pagando un po' di più potevano dargli uno spazio pubblicitario premium sul sito, che si traduceva in un’immagine più grande e un incremento del trenta per cento di visualizzazioni garantito …

L’occuparsi della vendita della casa di suo padre aveva tirato fuori il peggio di lui. Era la casa dove era cresciuto e ora doveva venderla. Era come se gli fosse stato chiesto di togliersi un braccio e metterlo all’asta su eBay.

Frost disse, ‘Ha in mente una data di scadenza entro cui vendere? Prima del ritorno a Londra?’

‘Non ho intenzione di tornarci.’

‘Oh, ma pensavo —’

‘Dovrà sopportarmi.’ Sogghignò. ‘Il suo cliente preferito.’

Frost ricambiò il sarcasmo. ‘Tutti i nostri clienti sono i nostri preferiti.’

‘Certo che lo siamo. Ma alcuni sono più preferiti di altri, eh? Alcuni sono favoriti dalle vostre mani magiche e vendono velocemente, mentre altri sono lasciati a deperire. Non diventerò uno di quelli, vero, Jeremy?’

L’espressione dell’agente sembrò congelarsi e iniziò a parlare della soddisfazione del cliente e di questionari e di quanti clienti restassero con loro attraverso svariate vendite …

Paul si estraniò, pensando, E che mi dice di lui? Che cosa ha venduto a se stesso? Sapeva che la situazione lo stava divorando – di ritorno ogni sera in una casa vuota che odorava ancora del deodorante per ambienti che usava suo padre. Aveva deciso di vendere e poi trovare qualcos’altro … un bell’appartamento vicino al centro della città magari, o qualcosa nella periferia più chic, Styvechale o Cheylesmore. Nel frattempo trascorreva meno tempo possibile in quella casa. Faceva colazione, poi usciva per tutto il giorno, rientrava la sera e cucinava qualcosa per cena con pentole e padelle che suo padre aveva usato per trent’anni. Quindi andava a coricarsi nella stessa stanza in cui aveva dormito finché non aveva lasciato casa per andare all’università. I ricordi … la serenità … questi erano parte dei discorsi che si era fatto a se stesso: era un luogo temporaneo per riorganizzarsi. Dopo tutto il delirio giù al sud.

Frost disse, ‘Come le sembra?’

Paul non aveva sentito quasi nulla ma non gli importava. I dettagli non erano importanti per lui quanto lo fossero per Frost. O ai compratori piaceva la casa e il prezzo, oppure niente. Sarebbe stato lì finché doveva. Di sicuro non sarebbe tornato a Londra, e senz’altro non a lavoro. Una volta che lasci la polizia i contatti sono bruciati. Volti le spalle al fuoco e cerchi nell’ombra qualcos’altro per occupare il tempo.

Disse ‘Faccia quello che deve fare. La venda ma non la svenda.’

‘Non lo farei.’

‘So che non lo farebbe, Jeremy. Conto su di lei per vendere la casa, ma non dovrei dal punto di vista economico. Capisce? Quindi desidero l’accordo migliore che può ottenere senza intimorire le persone. Se non ricevo nessuna offerta nelle prossime tre settimane, riconsidererò chi mi fa da agente. Non ne ho voglia perché sarebbe una seccatura e non voglio affrontare nuovamente queste conversazioni strane. Venda la casa a un buon prezzo, prenda la sua parte. È piuttosto semplice. Perciò non stia là a sedere con la bocca aperta a inghiottire mosche. Lascerò la casa libera quando vuole venire a mostrarla in giro, e non interferirò. Ma dovrà dare il meglio di sé, lo sappiamo entrambi.’ Notò che Frost era sbiancato, la sua spavalderia svanì. Paul disse, ‘Non si preoccupi, non sono una cattiva persona. Sono solo un po' impaziente di tanto in tanto. Perciò mi dia una mano e tutto andrà bene. D’accordo?’

Era in piedi ora, guardava la faccia sconvolta di Frost. Pensò che la confusione e la paura che vi leggeva probabilmente rispecchiava la sua, sebbene non lo avrebbe mai ammesso, a se stesso né a nessun altro.

Disse, ‘Ha i miei numeri di telefono. Non abbia paura di usarli.’

GUIDÒ VERSO CASA attraverso strade che trovò più affollate di quel che ricordasse e parcheggiò fuori dalla casa di suo padre. C’era un garage sul retro ma era di difficile accesso e inoltre era pieno di roba che suo padre non aveva mai spostato per buttarla via – una vecchia lavatrice Hotpoint, un tavolo con una gamba rotta, una poltrona. Aveva detto a suo padre di liberarsi di tutto quel disordine, ma a quanto pare non trovò mai il tempo. Troppo occupato al pub o nel suo terreno. A coltivare roba che non aveva mai mangiato.

Stava scaldando un pasto al microonde quando squillò il telefono.

‘Milly.’

‘Storey. Non chiami, non scrivi …’

‘Quando tuo padre muore ci sono cose da fare. Socializzare non è una di quelle.’

‘Non provare a farmi sentire in colpa. L’ultima volta che mi sono sentita davvero in colpa è stato nel duemilaquattro, quando mi sono scontrata con un anziano con il deambulatore.’

‘Stavi guidando?’

‘Camminando troppo veloce, senza guardare dove stavo andando. Non è per questo che ti ho chiamato.’

‘Perché mi hai chiamato?’

Lei emise un sospiro profondo e Paul la vedeva appoggiarsi allo schienale del divano nell’appartamento che aveva in affitto di fianco al suo a Battersea. Avrebbe indossato un body nero e sudato per gli esercizi di danza di fronte alla televisione, i suoi trofei scintillanti accumulati sullo scaffale sopra. Praticava balli da sala nei fine settimana con un tizio di Fulham, ripassava i movimenti da sola come meglio poteva.

Storey era un progetto per lei. C’era stato un momento in cui ci sarebbe potuto essere qualcosa tra loro, ma lui sbagliò la tempistica e smisero di parlarsi per tre mesi. Poi ripresero, ma in modo diverso. Apprezzava il fatto che lei avesse ancora voglia di parlargli nonostante fosse partito con due soli giorni di preavviso e lasciando a lei il compito di vendere i mobili prima che il padrone di casa li desse via. Era piena di risorse – avrebbe gestito la cosa.

Lei disse, ‘Un tipo è passato di qui per parlare con te ieri sera. L’ho sentito bussare alla tua porta ripetutamente, sono uscita. Ha detto che lavorava con te, voleva parlare.’

‘Che aspetto aveva?’

‘Poco più alto di te, capelli chiari rasati, grandi labbra, molto rosse, come se portasse il rossetto o qualcosa del genere.’

‘Rick. Immaginavo sarebbe venuto.’

‘Grazie per avermi avvertito.’

‘Cosa gli hai detto?’

‘Ora guarda, qui viene il bello, sai? Sono quasi sempre stata una ragazza piuttosto tranquilla, ma così mi fai perdere la pazienza, Storey. Non ho bisogno di tutta la tua storia passata a riversarsi all’entrata di casa mia. Ho la mia vita, sai? Capisco se devi occuparti dell’organizzazione del funerale e tutto, ma non dovevi mollare tutto di colpo. Non mi interessa il tuo stress, non mi interessa del tuo lavoro. Non mi interessa delle tue librerie. Non hai il diritto di buttarmi tutto addosso e andartene nel Midlands.’

‘D’accordo. Mi sono comportato male. Quindi, cos’hai detto a Rick?’

Ora la poteva vedere a fissare il soffitto, cercando di ricordare cosa le aveva detto il consulente riguardo al controllo della rabbia. Stava contando fino a dieci. O immaginando gli angeli. Lui non aveva idea di cosa fece per calmarsi.

Disse, ‘Gli ho detto che te ne eri andato. Non ho detto dove o perché. Ho fatto finta di non sapere. Non è quello che volevi?’

‘Non hai menzionato mio padre? O Coventry?’

‘Ho seguito le tue istruzioni.’ Sembrava roba forte ora, era un po' arrabbiata, un tono che riconosceva bene. ‘Cosa vorrebbe questo Rick, in ogni caso? Pensavo avessi dato le dimissioni.’

‘L’ho fatto. Probabilmente pensa che può farmi cambiare idea. Si è sempre creduto un po' uno strizzacervelli. Pensava di conoscermi meglio di quanto mi conoscessi io.’

‘Dai, Storey, tu non ti conosci affatto. Brancoli nel buio.’

‘Mi inchino al tuo sapere superiore.’

‘Guarda la tua storia recente. Ti dirà tutto quello che devi sapere.’

‘Devo andare. Il microonde ha appena suonato.’

‘Sì, giusto, non lasciare raffreddare il tuo hamburger.’

‘E’ un polpettone.’

‘Così ti sei già integrato. Mi fai paura, davvero.’

‘Ti chiamo quando mi sono sistemato meglio.’

‘Pare che andrà così,’ disse, attaccando il telefono.

CAPITOLO TRE

JANICE LO VIDE attraverso la vetrina prima di entrare. La faccia tosta — sedersi nel suo posto preferito, rilassarsi su quella sedia nonostante appartenesse a lui. Lo vedeva di bell’aspetto del tipo carnagione scura, come Pierce Brosnan se avesse avuto genitori greci, quel tipo di mento scuro irsuto e la nera peluria spessa. Gli abiti sembravano cadergli bene addosso, mostrando il suo petto robusto e i suoi fianchi stretti, quelli di un uomo che si manteneva in forma, non un ragazzo senza struttura. Non aveva nessun angolo morbido, era definito e spigoloso e i suoi occhi sembravano guardarti dentro.

Poteva essere interessante. Bello conoscere un uomo che potrebbe prendere il comando, per una volta. Vide questo in lui, quella brama di dominare, di fare andare le cose a modo suo. Le sarebbe potuta piacere la sfida, se non avesse avuto altri piani.

Così eccolo lì, ad alzare gli occhi dal suo libro ora, vedendola e sorridendole allo stesso tempo, sapendo che avrebbe varcato la soglia, e aspettando solo che lei arrivasse. Il sorriso non ha toccato il suo sguardo, pensò lei, era qualcosa che aveva fatto con la bocca, un dovere sociale, prendendo atto che il gioco stava per iniziare.

Disse, ‘Pensavo non saresti mai tornata, visto che sono stato così sgarbato e tutto il resto. Pensavo di avere rotto la magia.’

Lei guardò la sua camicia scollata, a mostrare un po' di peluria riccia affiorare, la giacca blu navy che indossava sopra che probabilmente era di Next e proveniente da un negozio di beneficenza, il libro ora a faccia in giù sul tavolo – Furore – e pensò a quello che faceva per vivere: perito assicurativo. Non se l’era bevuta. Lui si comportava come se avesse una missione, qualcosa che avrebbe fatto nella vita, un qualche posto dove sarebbe stato. Non era uno scribacchino o qualcuno che osservava cifre e faceva calcoli. C’era troppa vitalità nei suoi occhi. Qualcosa di sinistro ma intrigante.

Disse, ‘Offrimi un caffè.’

Lui la fissò per un momento ma poi sospirò e si alzò e andò al bancone facendole un cenno disinvolto mentre si metteva in fila. Non le aveva nemmeno chiesto cosa volesse. Probabilmente già lo sapeva dopo tutto il tempo passato a guardarla.

Non stare al suo gioco, diceva lei a se stessa. Non farti ammaliare.

Si sedette e prese fuori il suo Microsoft Surface Pro 3 portatile, aprì la tastiera flessibile e toccò lo schermo per evidenziare il file aperto. Appoggiò il suo smartphone Moto G sul tavolo accanto ad esso. Le piacevano i suoi congegni e conosceva i nomi e le caratteristiche di ciascuno di essi. E per qualche ragione voleva convincere questo Storey che era sincera, che era una giornalista per davvero, che il suo lavoro era in qualche modo importante. Di solito quando entrava da Starbucks scriveva il giornale, o talvolta lavorava a una delle sue didascalie. Le spie le chiamavano così – false identità create per salvarsi la pelle. Lei ne aveva circa dieci al momento e ogni giorno provava ad aggiungere un altro particolare, un’altra caratteristica o eventi di vita, almeno a due delle identità. Inventandosi man mano.

Dandole qualcosa da fare mentre aspettava che David fosse cotto al punto giusto.

Storey tornò con il caffè per lei e un altro per sé.

Lei disse, ‘Non sei venuto per due giorni.’

‘Ti sono mancato?’

‘Non mi può mancare qualcuno che non conosco.’

‘Devo scusarmi con te.’

Lei stava mettendo dello zucchero nel suo caffè e si fermò.

Disse, ‘Non ti stavo pedinando. Non voglio che lo pensi. Mi è capitato solamente di essere qui quando sei entrata. Ho pensato che sembravi interessante. Sai cosa voglio dire, vedi qualcuno e pensi che ti piacerebbe conoscerlo, vedere come parla e cos’ha da dire.’

Si appoggiò indietro e la guardò, come se pensasse di stare a farle un regalo.

Janice si trattenne un attimo, poi disse, ‘Ti dispiace se mi metto a lavorare? Anche se mi piacerebbe stare qui a chiacchierare.’

Le piacque il modo in cui lui sorrise e poi scosse la testa con approvazione, come se la gara in cui si stavano misurando fosse avanzata di livello e lui sapesse che avrebbe dovuto alzare la posta in gioco. Ma non stare al suo gioco, non farti ammaliare.

Nell’aprire il portatile lo girò in modo che lui non potesse vedere lo schermo. Non c’era scritto nulla sul documento a parte un titolo – Fasi successive – osservò la pagina vuota per un po', poi batté qualche tasto, mettendo per iscritto il suo nome attuale e il ruolo, tanto per fare qualcosa. Araminta Smith, giornalista. Si era imbattuta in questo nome in una recita che avevano fatto a scuola e le era sempre piaciuto. Sembrava di classe, la parte di Araminta.

Storey ignorò il suo distanziarsi, sollevò il suo libro e continuò a leggere.

Irritata nonostante dipendesse da lei, disse, ‘È bravo, Steinbeck?’

Lui abbassò il libro.

‘Ha vinto il premio Nobel per il suo peggiore romanzo. Immagina quanto è bravo. Hai visto Furore, il film?’

‘Può essere.’

‘Duro come una roccia per essere un film hollywoodiano, ma addolcito rispetto al libro.’

Lei annuì e abbassò lo sguardo verso il suo schermo di nuovo. Non sapeva nulla di letteratura e iniziava ad allarmarsi quando le persone parlavano di libri, come se potessero porle una domanda a cui non sapeva rispondere. Non riusciva mai a leggere più di un articolo di giornale prima di addormentarsi. Un giorno avrebbe iniziato a concentrarsi su quella carenza e a correggerla. Un corso breve online probabilmente sarebbe bastato.

Lui colse l’occasione della sua apertura. ‘Così stai lavorando a un articolo, giusto? O è più banale – compleanni, morti, matrimoni?’

Lei disse, ‘Non capiresti.’

… poi si chiese perché lo avesse detto. La sua stessa contraddittorietà la sorprendeva a volte. Lui sembrava piuttosto perspicace, dunque perché cercava di indisporlo?

Piegò lo schermo verso di sé. ‘Non posso dirti molto perché è ancora in fase di sviluppo. Sto facendo ricerca, parlando con le persone.’

‘Dammi un indizio, così non mi offendo.’

Lei esitò, poi disse, ‘Si tratta di corruzione nell’amministrazione locale. Non posso dire di più.’

‘Ce n’è molta a Coventry?’

‘Non lo so ancora. Per questo sto facendo ricerca.’

‘Conosci persone con cui poter parlare, persone con cui spettegolare? È quello che fai?’

Lei pensò che la sua curiosità era reale, ma non avrebbe ottenuto nulla di buono a lasciargli superare il limite. Ancora non sapeva niente di lui o di cosa volesse. Era bello che lui trovasse interessante parlare con lei, ma aveva troppo da fare e troppa carne al fuoco.

Disse, ‘Come dicevo, non posso parlarne. E non te lo direi nemmeno se potessi. Non ho idea di chi tu sia.’ Fece una pausa, poi disse, ‘Cosa intendevi quando mi hai detto che volevi vivere un giorno alla volta?’

Lui alzò le spalle. ‘Non prenderla seriamente. Sono un commediante. Dico un sacco di cose senza senso.’

‘Non ti credo. Penso che tu sia molto serio.’ Ora si stava infuriando, perché lui non stava prendendo lei sul serio, disse, ‘Ok, questo mi ha fatto arrabbiare. Allora puoi lasciarmi da sola?’

‘Ero qui prima di te.’ Non si arrese.

‘Ho bisogno del tavolo per lavorare. E poi, hai quasi finito il tuo caffè.’

Il suo volto si spense, spinse la sedia indietro e si alzò. Alla fine aveva vinto lei.

Disse, ‘Resterò nei paraggi.’

‘Non temporeggiare per me’.

‘Temporeggiare?’

‘Aspetta un attimo. Resta. Rimani dove non sei desiderato.’

‘Oh, sì, sei una scrittrice. Capisco.’

Raccolse la sua tazza di caffè, diede un’occhiata in giro nella stanza affollata e camminò fino a una sedia libera nell’angolo in fondo, vicino ai bagni. Lei notò di nuovo le larghe spalle e i fianchi stretti, una bella sagoma. Magari lo avrebbe intrattenuto un’altra volta, quando sarebbe stata meno occupata.

O forse no.

PAUL SI CHIESE cosa stesse facendo con questa donna. Lei gli aveva fatto una semplice domanda qualche giorno prima e lui si era lasciato sfuggire cosa pensava: come poteva andare oltre, cancellare tutto? Non era nello stato mentale adatto per uscire con qualcuno ancora, ma lei aveva già creato una curiosità che non riusciva a togliersi. Seduta là, ticchettando alla tastiera, guardando fuori dalla vetrina, rifiutandosi di dare un’occhiata nella sua direzione, le sue gambe sotto al tavolo incrociate alle caviglie.

Notò che anche altri ragazzi la guardavano – per lo più studenti che avevano colonizzato il luogo, seduti avvolti nei loro montgomery, fissando il telefonino o parlando con altri vestiti esattamente come loro a parte le sciarpe di diverso colore che indossavano. Lei era una cosa a parte. Creava una sorta di aura intorno a sé, un’autosufficienza che parte di lui voleva scalfire.

Era interessante … ed era falsa.

Non riusciva a spiegare come lo sapesse, ma capiva che lei stava fingendo di essere qualcosa che non era. Ti guardava di traverso, come se non potesse rischiare uno sguardo diretto, come se potesse rivelare troppo. Quando parlava, ti attaccava, tenendoti a distanza, tagliando ogni possibilità di amicizia.

Ma poi lui l’aveva guardata. Forse era sinceramente spaventata da lui, di cosa avrebbe potuto fare.

Da non credere, pensò. Cosa avrò mai fatto per spaventare la gente, a parte fargli saltare le cervella?

ORA UN UOMO camminò verso di lei. Aveva attraversato la porta di vetro e l’aveva vista subito. Non un omone, ma si atteggiava come se sapesse il fatto suo. Aveva una barba folta per lo più rossa, sebbene i suoi capelli fossero neri e lasciati crescere in giù a coprire la sommità delle orecchie. Indossava una giacca di pelle nera e jeans sdruciti. Aveva un corpo robusto sotto la giacca, e una certa andatura, che fece pensare a Paul che fosse uno allenato. Non appena giunse al tavolo della donna si guardò intorno, incrociò lo sguardo di Paul per un momento, poi avanzò. A Paul sembrò che avesse quella tensione scattosa di chi ha il sospetto di essere attaccato, magari di sorpresa, qualcuno preoccupato del suo stato.

Gli piaceva pensare di avere un talento nell’analizzare le persone e il loro comportamento. Ma alla fine, pensò, chi non ce l’ha?

Quando l’uomo arrivò di fronte a lei, lei smise di scrivere al computer e guardò in su, appoggiandosi allo schienale, con l’aria disinvolta, anche se non sorrise. Era qualcuno che conosceva ma che non voleva vedere.

Lei disse qualcosa e Giacca di Pelle si sporse in avanti sul tavolo, appoggiando le nocche ai due lati del suo computer. Lei stese un braccio e chiuse il computer. Lui disse qualcosa in risposta e Paul notò che le parole la colpirono – si aggiustò sulla sedia e le sue caviglie sotto al tavolo si scavallarono.

Ora l’uomo stava puntando un dito contro di lei, sventolandolo, e il borbottio basso della sua voce – che Paul aveva sentito ma non riusciva a distinguere – si fece più calmo. La donna distolse lo sguardo e Giacca di Pelle allungò la mano e toccò la punta del suo naso col dito, premendolo. Lei indietreggiò e disse qualcosa di sgarbato.

Paul si mosse dalla sua sedia e andò verso di loro, avvicinandosi all’uomo di lato. Sentì l’odore della pelle della sua giacca e quello fastidioso di un forte deodorante. La donna lo guardò e corrugò la fronte, ovvero un segnale per Giacca di Pelle di guardarlo.

‘Cos’hai da guardare?’

‘Sono più grosso di te. Non provocare discussioni.’

Allora l’uomo si girò, piegando il suo corpo in modo da trovarsi faccia a faccia con lui. Paul vide che i suoi occhi erano fieri e scuri, spenti nel profondo. Probabilmente aveva la stessa età di Paul, ma le rughe sul suo volto lo facevano sembrare più vecchio di dieci anni.

Giacca di Pelle disse, ‘Vai a sederti in un angolo e faremo finta di non averti mai visto.’

‘Stai mettendo la ragazza a disagio e voglio che tu te ne vada.’

‘Qual è il tuo nome?’

‘Paul Storey. Il tuo?’

‘E’ Levati-Di-Torno.’

‘I tuoi genitori ti hanno regalato un’infanzia felice, non è vero?’

‘E’ un tuo amico, Minty?’ Si era girato a guardare la donna, ancora seduta, con le ciglia aggrottate in un modo che Paul stava cominciando a riconoscere.

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Yaş sınırı:
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Litres'teki yayın tarihi:
16 mayıs 2019
Hacim:
290 s. 1 illüstrasyon
ISBN:
9788873043591
Telif hakkı:
Tektime S.r.l.s.
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