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Kitabı oku: «Il piacere dell'onestà»

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 PERSONAGGI

Angelo Baldovino

Agata Renni

La Signora Maddalena, sua madre

Il Marchese Fabio Colli

Maurizio Setto, suo cugino

Il Parroco di Santa

Marta

Marchetto Fongi, borsista

1° Consigliere

2° Consigliere

3° Consigliere

4° Consigliere

Una Cameriera

Un cameriere

La comare (che non parla)

In una città dell’Italia centrale. – Oggi.

NOTE PER LA RAPPRESENTAZIONE

Angelo Baldovino; sui quaranta; grave; capelli fulvi, non curati affatto. Corta barba, un po’ ispida, rossiccia; occhi penetranti; parola piuttosto lenta, profonda. Veste un greve abito color marrone; porta quasi sempre tra le dita un paio di lenti. La persona trasandata, l’aria, il modo di parlare, di sorridere, denotano un uomo dalla vita trarotta, che serba in sé, ben nascosti, tempestosi e amarissimi ricordi, da cui ha tratto una strana filosofia piena insieme di ironia e d’indulgenza. Questo, specialmente nel primo atto e in parte nel terzo. Nel secondo, appare, esteriormente almeno, trasformato: sobriamente elegante: disinvolto, ma con dignità; signore; ha cura della barba e dei capelli; non tiene più le lenti in mano.

Agata Renni. Ventisette anni; altera, quasi dura per lo sforzo di resistere al crollo della sua onestà. Disperata e ribelle nel primo atto va poi fieramente diritta e ossequente alla sua sorte.

La signora Maddalena; cinquantadue anni; elegante, ancora bella, ma rassegnata alla sua età. Piena di passione per la figlia, non vede che per gli occhi di lei.

Il marchese Fabio Colli; quarantatré anni, garbato, dabbene. con quel tanto di goffo che predispone certi uomini a essere disgraziati in amore.

Maurizio Setti; trentotto anni; elegante e disinvolto, di parola facile, uomo di mondo, amante d’avventure.

Marchetto Fongi. Cinquant’anni, vecchia volpe, piccola figura losca, sbilenca, tutta pendente da un lato. arguto tuttavia e non privo di spirito e d’una certa aria signorile.

ATTO PRIMO

Elegante salotto in casa Renni. Uscio comune in fondo.

Uscio laterale a destra. Finestre a sinistra.

SCENA PRIMA

Maurizio Setti, Cameriera, poi la signora Maddalena.

Al levarsi della tela la scena è vuota. Si aprirà l’uscio di fondo, entrerà la Cameriera e darà passo a Maurizio Setti.

Cameriera. S’accomodi. Vado ad annunziarla subito.

Via per l’uscio a destra. Poco dopo entrerà per questo uscio la signora Maddalena, turbata, ansiosa.

Maddalena. Buon giorno, Setti. Ebbene?

Maurizio. E’ qua. Arrivato con me, stamattina.

Maddalena. E… stabilito tutto?

Maurizio. Tutto.

Maddalena. Spiegato tutto, chiaramente?

Maurizio. Tutto, tutto, non dubiti.

Maddalena (esitante). Ma.. chiaramente come?

Maurizio. Oh Dio, gli ho diletto… gli ho detto la cosa, com’è.

Maddalena (crollando il capo, amaramente). La cosa… eh già!

Maurizio. Bisognava pur dirla, signora mia!

Maddalena. Eh si, certo… ma…

Maurizio. La cosa poi cangia, non dubiti, ha diverso peso secondo la qualità delle persone, i momenti, le condizioni.

Maddalena. Ecco, sì, proprio così!

Maurizio. E questo – stia sicura – l’ho spiegato bene!

Maddalena. Come siamo noi? Chi è mia figlia? E… accettato? Senza difficoltà?

Maurizio. Senza difficoltà, stia tranquilla!

Maddalena. Ah! – Tranquilla, amico mio? Come potrei star tranquilla? – Ma com’è? Ditemi almeno com’è?

Maurizio. Ma… un bell’uomo. Oh Dio, non dico mica un Adone: un bell’uomo, vedrà. Bella presenza, una cert’aria di dignità non affettata. E’ nobile davvero, di nascita – un Baldovino!

Maddalena. Ma i sentimenti? Io dico per i sentimenti!

Maurizio. Ottimi, ottimi, creda.

Maddalena. Sa parlare? Sa parlare… dico…

Maurizio. Oh, a Macerata, signora, in tutte le Marche, creda, si parla benissimo.

Maddalena. No, dico, se sa parlare a modo! Capirete, in fondo, è tutto qui. Una parola fuor di tono, senza quella certa…

Tocca appena le parole con la voce, quasi che, a proferirle, se ne senta ferire.

…quella certa… oh Dio, non so proprio come esprimermi…

Cava un fazzoletto e si mette a piangere.

Maurizio. Bisogna farsi animo, signora!

Maddalena. – Sarebbe una pugnalata per la mia povera Agata!

Maurizio. No, stia proprio tranquilla per questo, signora. Non gli uscirà mai di bocca una parola men che corretta. Garantisco. E’ riservatissimo. Misurato. Le dico, un signore. E poi, capisce a volo. Non tema per questa parte. Garantisco.

Maddalena. Credetemi, caro Setti, non so più in che mondo mi sia! Mi sento perduta… sono inebetita… Trovarsi così d’un tratto, di fronte a una simile necessità! Mi pare che sia una sciagura, di quelle… sapete? che lasciano la porta aperta, così che ogni estraneo possa introdursi a curiosare.

Maurizio. Eh, nella vita…

Maddalena. E quella figliuola, quella figliuola mia! con quel suo cuore! Se la vedeste, se la sentiste… E’ uno strazio!

Maurizio. Me l’immagino. Creda che con tutto il cuore, signora, mi Sono adoperato…

Maddalena (interrompendolo, stringendogli la mano). Lo so! lo so! E vedete come parlo con voi? Perché so che siete della famiglia: più che cugino, un fratello del nostro marchese.

Maurizio. Fabio è di là?

Maddalena. Di là, si. Forse ancora non può lasciare. Bisogna tenerla d’occhio. Appena ha sentito annunziar voi, s’è lanciata per la finestra.

Maurizio. Oh Dio! Per me?

Maddalena. No, non per voi! Perché sa la ragione per cui siete andato a Macerata e con chi ne sarete ritornato.

Maurizio. Ma questo, anzi… scusi… mi pare che…

Maddalena. No! Che dite! Piange, si dibatte. E’ in uno stato di disperazione, che fa paura.

Maurizio. Ma… scusi, non s’era stabilito così? Non aveva lei stessa approvato?

Maddalena. Eh si! ma appunto per questo!

Maurizio (costernato). Non vuole più?

Maddalena. No! che volere! Potrebbe volerlo? Ma deve, deve per forza: bisogna che voglia…

Maurizio. Eh già, e che si faccia una ragione!

Maddalena. Oh Setti, la mia figliuola ne morrà!

Maurizio. Ma no, signora, vedrà che…

Maddalena. Ne morrà! Se pure non commetterà prima qualche sproposito! Io ho condisceso troppo, capisco. Ma fidavo… fidavo che Fabio fosse più prudente… – Voi aprite le braccia? – Eh si, non resta più, difatti, che aprire le braccia, chiudere gli occhi e lasciare che la vergogna entri.

Maurizio. Ma no, non dica così, signora! Se si sta provvedendo…

Maddalena (coprendosi il volto con le mani). No… voi, voi non dite così, per carità! E’ peggio. Ah, credetemi, Setti, è rimorso, ora, ciò che in me non fu altro, prima, che debolezza. Ve lo giuro!

Maurizio. Lo credo bene, signora.

Maddalena. Ma non potete comprendere! Siete uomo, voi, e non siete neanche padre! – Non potete comprendere che strazio sia per una madre vedere la propria figliuola avanzarsi negli anni, cominciare a perdere il primo fiore della giovinezza… – Non si ha più il coraggio di usare quel rigore che la prudenza consiglia… dico di più, che l’onestà comanda! – Ah, l’onestà, che scherno, caro Setti, in certi momenti! Non possono più parlare le labbra di una madre, che – bene o male – è stata nel mondo… ha amato… – quando gli occhi della figliuola si volgono a lei quasi a implorare pietà! – Per non concederla apertamente, fingiamo di non accorgerci di nulla; e questa finzione e il nostro silenzio diventano complici, finché si arriva… si arriva a questo punto! Ma io speravo, ripeto, che Fabio fosse prudente.

Maurizio. Eh… ma la prudenza, signora mia…

Maddalena. Lo so! lo so!

Maurizio. Se avesse potuto, lui stesso…

Maddalena. Lo so… lo vedo… è come impazzito anche lui, poverino! E se non fosse stato quel galantuomo che è, credete che tutto questo sarebbe accaduto?

Maurizio. Fabio è tanto buono!

Maddalena. E lo sapevamo infelice, separato da quella sua moglie indegna! Vedete, questa, proprio questa ragione, che avrebbe dovuto impedire che si arrivasse fino a questo punto, è stata pur quella d’arrivarci! – Non siete sicuro voi – ditemelo in coscienza – che Fabio, se fosse stato libero, avrebbe sposato la mia figliuola?

Maurizio. Oh, senza dubbio!

Maddalena. Ditemelo, ditemelo in coscienza! Per carità!

Maurizio. Ma non lo vede lei stessa, signora mia, come ne è innamorato? in che stato si trova adesso?

Maddalena. E’ vero? è vero? – Non potete credere quanta consolazione dia anche un piccolo attestato, in un momento come questo!

Maurizio. Ma che dice mai, signora! che pensa! Io ho per lei, per la signorina Agata il massimo rispetto, la più sincera e devota considerazione.

Maddalena. Grazie! grazie! .

Maurizio. La prego di credermi! Non mi sarei mai, altrimenti, interessato tanto.

Maddalena. Grazie, Setti. E credete, quando una donna, una povera giovine ha atteso per tanti anni, onestamente, un compagno per la vita, e non lo trova, e alla fine vede un uomo che meriterebbe tutto l’amore, e sa che quest’uomo è stato maltrattato, amareggiato, offeso iniquamente da un’altra donna – credete, non può resistere all’impulso spontaneo di dimostrargli che non tutte le donne sono come quella: che ce n’è pure qualcuna che sa rispondere all’amore con l’amore e apprezzare la fortuna che quell’altra ha calpestato.

Maurizio. Eh, si! Calpestato, povero Fabio! Dice bene, signora. Non se lo meritava.

Maddalena. La ragione dice: – (No, tu non puoi, tu non devi) – non solo nel cuore di lei, ma anche nel cuore di quell’uomo, se è onesto, e in quello della madre che guarda l’uno e l’altra e si strugge. Si tace un pezzo; si ascolta la ragione, si soffoca lo strazio.

Maurizio. – e alla fine viene il momento —

Maddalena. – viene! ah, viene insidiosamente! – E’ una serata deliziosa di maggio. La mamma s’affaccia alla finestra. Fiori e stelle, fuori. Dentro, l’angoscia, la tenerezza più accorata. E quella mamma grida dentro di sé: – (Ma siano anche per la mia figliuola, una volta

sola almeno, tutte le stelle e tutti i fiori!) – E resta lì, nell’ombra, a guardia d’un delitto, che tutta la natura intorno consiglia, che domani gli uomini e la nostra stessa coscienza condanneranno; ma che in quel punto si è felici di lasciar compiere, con una strana soddisfazione anche dei nostri sensi, e un orgoglio che sfida la condanna, anche a costo dello strazio con cui domani la sconteremo! così, caro Setti! – Non posso essere scusata, ma compatita sì. Si dovrebbe morire, dopo. Invece non si muore. Resta la vita, che ha bisogno, per sostenersi, di tutte quelle cose che in un momento abbiamo buttato via.

Maurizio. Sì, signora. Ecco. E c’è bisogno, innanzi tutto, di calma. Lei riconosce che finora, qua, tutti e tre, lei per un verso, Fabio e la signorina Agata per un altro, avete fatto troppa parte al sentimento.

Maddalena. Ah, troppa, troppa, sì, troppa!

Maurizio. Ebbene. Ora bisogna che il sentimento sia contenuto, si ritragga, per dar posto alla ragione, eh?

Maddalena. Sì, sì.

Maurizio. Per far fronte a una necessità che non ammette indugio! Dunque… – Ah, ecco Fabio.

SCENA SECONDA

Marchese Fabio e Detti.

Fabio (Entrando dall’uscio a destra, angosciato, disperato, smanioso, alla signora Maddalena). La prego, vada, vada di là! Non la lasci sola!

Maddalena. Eccomi, sì… Ma pare che…

Fabio. Vada, la prego!

Maddalena. sì, si.

A Maurizio.

Con permesso.

Via per l’uscio di destra.

SCENA TERZA

Fabio e Maurizio.

Maurizio. Ma, dico, anche tu cosi?

Fabio. Per carità, Maurizio, non dirmi nulla! Credi di aver trovato il rimedio, tu? Sai che hai fatto? Te lo dico io! Hai dato soltanto il belletto a un malato!

Maurizio. Io?

Fabio. Tu, si! L’apparenza della salute!

Maurizio. Ma se l’hai chiesto tu stesso! Oh, intendiamoci! Non voglio far mica la parte del salvatore io!

Fabio. Io soffro, io soffro, Maurizio! soffro per quella povera creatura, è per me una pena d’inferno! E me la dà appunto codesto tuo rimedio, che stimo giusto, e proprio perché lo stimo giusto, capisci? Ma è un rimedio esterno, che può salvare soltanto l’apparenza e nient’altro!

Maurizio. Non conta più nulla, adesso? Eri disperato, quattro giorni fa, per questa apparenza da salvare! Ora che puoi salvarla

Fabio. Vedo il mio dolore! Non ti sembra naturale?

Maurizio. No, caro. Perché cosi non la salvate più! – Dev’essere apparenza? Bisogna che ve la diate! – Tu non ti vedi. Ti vedo io. E debbo scuoterti, per forza, tirarti su… darti il belletto, come tu dici! – Egli è qua, venuto con me. – Se si deve far presto…

Fabio. Sì, sì… dimmi, dimmi… Ma già, è inutile! – Lo hai prevenuto che non lo faccio padrone nemmeno d’un centesimo?

Maurizio. L’ho prevenuto.

Fabio. E ha accettato?

Maurizio. Se è qua con me! – Soltanto per essere perfettamente in grado d’adempiere agli obblighi che si assume con te – date queste condizioni – chiede (e mi sembra giusto) la liquidazione del suo passato. Ha qualche debito.

Fabio. Quanti? Molti? Oh, me l’immagino!

Maurizio. Pochi, no, pochi! – Perdio, lo vorresti anche senza debiti? Ne ha pochi. Ma bisogna che aggiunga – e me l’ha raccomandato lui stesso, bada, d’aggiungerlo – che sono cosi pochi non per mancanza di volontà da parte sua, ma per mancanza di credito da parte degli altri.

Fabio. Ah, benissimo!

Maurizio. Onesta confessione! Capirai che, se godesse ancora di un certo credito…

Fabio (prendendosi la testa fra le mani). Basta! basta, per carità!

Dimmi il discorso che gli hai fatto. – E’ mal vestito? com’è? malandato?

Maurizio. L’ho trovato un poco deperito, dall’ultima volta. – Ma a questo si rimedia. Ho già rimediato in parte. Sai, è un uomo su cui il morale può molto. Le cattive azioni che si vede costretto a commettere.

Fabio. gioca? bara? ruba? che fa?

Maurizio. Giocava. Non lo lasciano più giocare da un pezzo. Era d’una amarezza che accorava. Ho passeggiato con lui tutta una notte, per il viale attorno alle mura. – Sei mai stato a Macerata?

Fabio. Io, no.

Maurizio. T’assicuro che è stata per me una nottata fantastica, tra lo sprazzare d’una miriade di lucciole per quel viale: accanto a quell’uomo che parlava con una sincerità spaventosa; e, come quelle lucciole innanzi agli occhi, ti faceva guizzare innanzi alla mente certi pensieri inattesi dalle più oscure profondità dell’anima. Mi pareva, non so, di non esser più sulla terra, ma in una contrada di sogno, strana, lugubre, misteriosa, ov’egli s’aggirava da padrone, ove le cose più bizzarre, più inverosimili potevano avvenire e sembrar naturali e consuete. Egli se n’accorse – (s’accorge di tutto) – sorrise, e mi parlò di Descartes.

Fabio (stordito). Di chi?

Maurizio. Di Cartesio. Eh, perché è anche vedrai d’una cultura, specialmente filosofica, formidabile. Mi disse che Cartesio…

Fabio. Ma in nome di Dio, che vuoi che m’importi di Cartesio, adesso?

Maurizio. Lasciami dire! Vedrai che te n’importerà! Mi disse che Cartesio, scrutando la nostra coscienza della realtà, ebbe uno dei più terribili pensieri che si siano mai affacciati alla mente umana: – che, cioè, se i sogni avessero regolarità, noi non sapremmo più distinguere il sonno dalla veglia! – Hai provato che strano turbamento, se un sogno ti si ripete più volte? – Riesce quasi impossibile dubitare che non siamo di fronte a una realtà. Perché tutta la nostra conoscenza del mondo è sospesa a questo filo sottilissimo. la re-go-la-ri-tà delle nostre esperienze. – Noi, che abbiamo questa regolarità, non possiamo immaginare quali cose possano essere reali, verosimili, per chi viva fuori d’ogni regola, come quell’uomo li! – Ti dico che, a un certo punto, mi fu facilissimo entrare a fargli la proposta. Parlava di certi suoi disegni, che a lui parevano più che possibili, e a me cosi strampalati e inattuabili, che la proposta mia – capisci? – diventò subito d’una facilità, che più ovvia, più piana non si sarebbe potuto immaginare , d’una ragionevolezza, che chiunque avrebbe potuta accettarla. – E sbalordisci! Non fui mica io a dirgli in prima di quella condizione del danaro fu lui, subito, a protestare, risentito, che – danari niente! – non voleva neppur vederne da lontano. – Ma sai perché?

Fabio. Perché?

Maurizio. Perché è molto più facile – sostiene lui— essere un eroe che un galantuomo. Eroi si può essere una volta tanto; galantuomini, si dev’esser sempre. Il che non è facile.

Fabio. Ah!

Inquieto, smanioso, fosco, sì mette a passeggiare per la stanza.

E’… è dunque un uomo d’ingegno, a quanto pare?

Maurizio. Ah, di molto, di molto ingegno!

Fabio. Se n’è servito male – sembra!

Maurizio. Malissimo, malissimo. Fin da ragazzo. Fummo compagni di collegio, te l’ho detto. Col suo ingegno poteva arrivare dove voleva. Studiò sempre quel che gli piacque, quel che poteva servirgli meno. E dice che l’educazione è la nemica della saggezza, perché l’educazione rende necessarie tante cose, di cui, per esser saggi, si dovrebbe fare a meno. Ebbe un’educazione da gran signore: gusti, abitudini, ambizioni, vizii anche… Poi i casi della vita… il crollo finanziario del padre… e… – non c’è da farsene meraviglia!

Fabio (riprendendo a passeggiare per la stanza). E’… è anche un bell’uomo, hai detto?