Kitabı oku: «Dedicato A Sara», sayfa 2

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LE CARTOLINE DI CLARA

Ritenevo il mio amico una persona a posto, diciamo quasi normale. Uno comunque con cui poter trascorrere piacevolmente una piccola vacanza di relax e spensieratezza. Anche lui “single”, passione per il tennis ed il mangiar bene e altri interessi simili ai miei: devo dire che la vacanza era riuscita bene.

Curiosando tra le cartoline che stava per spedire - poche, così come le mie - ho scoperto inaspettatamente che oltre a quella per la sua mamma, che mi aveva fatto firmare, ce n’era un’altra strana di cui non mi aveva detto niente. La mandava a casa sua ma ad una ragazza, ed in essa si era firmato con un altro nome. Da lui, neo-ingegnere, mi sarei aspettato qualche stranezza magari di tipo tecnologico: non avevo considerato che anche questa categoria di persone, come noi mortali, ha un cuore e può andare in tilt per piccoli problemi sentimentali.

Lì per lì non gli ho detto nulla per non fargli scoprire quanto mi fossi impicciato degli affari suoi: ma durante il viaggio di ritorno, rilassati e di buon umore, non sono riuscito a frenare la mia curiosità e ho cercato una conferma alle mie ipotesi.

“Dimmi un poco, ma tu sei fidanzato, o convivi?”

“Nessuna delle due”, mi ha risposto.

“Allora abiti con una sorella?”

“Ma che ti salta in mente?”

“Sai, ho visto la cartolina che ti sei mandato al tuo indirizzo.” Pensavo che l’avesse mandata per gelosia, o per scoprire qualche tresca, di cui gli mancava una prova certa, da parte della sua ragazza o forse di sua sorella. Da come si era messo a ridere ho capito di essere molto fuori strada. Allora con molta tranquillità ha iniziato a raccontarmi la storia delle cartoline di Clara.

Sai, quando ho comprato la casa vicino a Tivoli ne ero molto soddisfatto. Una villa, per meglio dire. Un po’ fuori mano, anche se qualche volta al giorno, a orari fissi, servita da un piccolo vecchio autobus di linea. Non poteva essere che piccolo, per potersi disimpegnare in quella tortuosa stradina di campagna, e visto che i passeggeri erano sempre così pochi.

Tra tante belle ville immerse nella natura, soprattutto tra gli olivi, la mia si distingueva per un qualcosa di indefinibile che la rendeva di gran lunga la più desiderabile. Forse la sua posizione dominante, da cui si spaziava con lo sguardo per tutta la piccola valle; o forse la maestosità e floridezza del vialetto d’ingresso. A maggio era più bello che mai, pieno di fiori colorati che in altri mesi non sospetti nemmeno. Vedendo quella fioritura mi ero ripromesso di curarli e starci dietro: e l’ho fatto con piacere, distogliendo dal tennis un po’ del mio tempo libero.

Il postino passava una volta a settimana, in genere il sabato mattina. Una qualche volta avrei voluto chiedergli un’informazione, ma evidentemente era sempre troppo presto per me. Certo che il mio non era un proposito molto fermo, sia perché si trattava comunque di una faccenda di secondaria importanza, sia perché nei fine settimana avevo sempre avuto l’abitudine di poltrire liberamente. E questa mia inclinazione, favorita dall’aria fine e dall’allegro cinguettare degli uccelli, si era ulteriormente accentuata da quando abitavo in quella villa.

Volevo chiedergli di una cartolina che mi era arrivata, destinata ad una persona che chiaramente non ero né io né, per quanto mi pareva di ricordare, nessuno della famiglia che prima abitava lì. Ma d’altronde cosa poteva saperne il postino? (Se anche si impicciasse della posta che consegna non lo verrebbe certo a dire a me). Avrei dovuto chiederlo all’ex proprietario. Ma già una volta, incontrandolo, mi l'ero lasciata sfuggire l'opportunità di parlagliene. Quando però di cartolina ne arrivò un’altra, sempre al mio indirizzo e per la stessa persona, ho pensato che valesse la pena fargli una telefonata.

Mi scusi se la disturbo, dottor Beltrami: ma il nome di Clara Bagnucci, a lei, dice qualcosa?”

Clara Bagnucci? Ah, si, ha ragione: avrei dovuto avvertirla. Immagino che abbia ricevuto qualche cartolina per lei da parte di Aristide.”

Infatti. Lei sa di chi si tratta?”

Si, certamente. I Bagnucci abitavano in quella casa prima di me: anzi, penso che siano stati loro a farla costruire. Gran brave persone, in verità, anche se un po’ sfortunate. Ma dopo che i due figli maggiori si sono sposati la casa è diventata troppo grande per loro, e poi troppo fuori mano visto che ormai non guidavano più. Così si sono trasferiti in paese. Se vuole posso darle l’indirizzo, non le sarà difficile trovarli: li conoscono tutti. Forse ho anche il numero di telefono.”

L’idea di fare da postino supplementare per questa Clara non mi attirava affatto. Avrei potuto farlo fare a qualche ragazzetto dietro compenso, ma non certo a mie spese. E poi mi irritava il fatto che in tanti anni - perché di anni si trattava - nessuno si era preso la briga di comunicare a quel tal Aristide la variazione di indirizzo. Doveva trattarsi di un caso di palese imbecillità da parte di qualcuno, se non di tutti. Eppure mi pareva strano che neppure il dottor Beltrami, apparentemente una persona molto in gamba, fosse riuscito a cambiare questo stato di cose. Forse c’era dietro una storia ben più complessa e interessante, ma non riuscii a farmi spiegare molto di più dal mio interlocutore.

Non ho idea di dove abiti questo Aristide. Mi pare che le sue cartoline provenissero sempre dai luoghi più disparati, da tutto il mondo. Potrebbe essere stato un ex fidanzato, ma forse invece un cugino o anche solo un amico di penna. Sempre saluti affettuosi, niente di più: sa, me le leggevano quando gliele portavo. Veramente non saprei proprio dirle altro.”

Così telefonai ai Bagnucci.

Pronto?”

Buongiorno, cercavo la signora Bagnucci.”

Si, sono io: chi parla?”, mi rispose una voce con uno spiccato accento veneto.

Cercavo Clara, Clara Bagnucci: ho fatto il numero giusto?”

Sì, Clara è mia figlia. Dica pure a me.”

E’ per via di alcune cartoline che arrivano ancora a casa mia, o meglio, quella che da qualche mese è diventata casa mia.”

Ah, capisco. Il dottor Beltrami mi aveva accennato alla possibilità di trasferirsi. Peccato: una persona tanto cara e premurosa. E’ sempre un piacere quando viene a trovarci. A pensarci bene, in effetti, è già da un po’ che non passa. Comunque per le cartoline, se per lei non è troppo disturbo mettercele da parte, quando poi passa uno dei miei figli facciamo un salto a prenderle. Sa, alla mia Clara fanno così piacere, che lei davvero non si immagina.”

Va bene, signora, non si preoccupi. Quando volete. Magari mi date un colpo di telefono prima, per non fare il viaggio a vuoto. Al limite posso anche passare io da lei, qualche volta che già mi trovo ad essere in paese.”

Grazie, grazie mille, ma non voglio che si disturbi troppo per noi, per due cartoline, signor … a proposito, come ha detto che si chiama?”

Finii per andare io da loro. Suonai alla porta. A dire il vero non ottenni una risposta molto sollecita: forse avevo disturbato qualche pennichella.

Chi è?”

Riconobbi l’accento veneto della signora Bagnucci.

Sono venuto per le cartoline. Si ricorda? Le ho telefonato un paio di giorni fa.”

Seguì un lungo armeggiare di chiavi e serrature, poi la signora, in abiti casalinghi, mi aprì e mi invitò ad entrare.

Prego, venga, si accomodi pure.”

Non c’è bisogno che si disturbi, signora, anche perché non ho molto tempo e ho parcheggiato la macchina …” Non mi stava affatto ascoltando, da come iniziò a chiamare sua figlia.

Clara! Clara! Vieni che ci sono delle cartoline per te!”, chiamò a un discreto volume annientando così le mie timide scuse. Tra l’altro non avevo nessun vero impegno per il pomeriggio, e per non lasciarmi trattenere avrei dovuto inventarmene uno.

Venga, si accomodi in salotto. Stavo giusto per preparare del tè. O preferisce qualcos’altro?”

Mentre riordinavo le idee per organizzare una fuga rapida e decorosa, sentivo in arrivo dall’altra stanza dei rumori affrettati e indefinibili.

Fai piano, Clara, attenta a non farti male.” Poi rivolgendosi a me: “Lei non ha idea di come scendeva le scale, quando abitavamo in villa. Anche per questo l’abbiamo venduta: ci mancava anche di cadere dalle scale, oltre a tutti i guai che già avevamo. Per il resto la villa è un vero paradiso, non trova?”

Quando il trambusto si placò, la ragazza era apparsa all’ingresso affannata. Portava occhiali da sole scuri, ed accarezzava un grosso cane altrettanto scuro che le scodinzolava festoso tra le gambe.

Andiamo a sederci in salotto”, disse la signora. Il cane, dopo qualche annusatina esplorativa, sembrava trovarmi interessante.

Sente l’odore di Rintintin. A proposito, dottore, come sta il suo cane?” Clara aveva una voce squillante, da bambina, in contrasto con il suo incedere malfermo e quasi barcollante.

Se ti fossi tolta gli occhiali ti saresti già accorta che non è il dottor Beltrami.” La ragazza, dopo quella ramanzina in veneto, si tolse gli occhiali malvolentieri e mi fissò.

Anch’io la fissai a lungo, incantato. Non ricordo di aver mai visto degli occhi così belli. Sfumature di verde e marrone che li facevano somigliare a piccole stelle. Due preziose finestrelle colorate da cui si intravedeva un lago di purezza e di ingenuità fanciullesca: la sua anima semplice traboccava bellezza dallo sguardo, dalla voce e dal sorriso.

Mi dispiaceva che quei bellissimi occhi mi fossero rimasti nascosti fino a quel momento. Mi dispiaceva ancor di più vedere che mi fissavano così a lungo e in quel modo, stanchi, quasi non riuscissero a mettermi a fuoco. Come capii presto, erano diventate due finestre opache per la sua anima, e non so se la malattia o la pigrizia avevano tolto loro in parte quella vivacità che ancora era rimasta nella voce.

Mi parvero secondi interminabili. Mi sentivo in imbarazzo in quell’intenso e silenzioso fissare ed essere fissato, ma non riuscivo a fare altro. E comunque, alla fin fine, in tutta la mia visita non ho detto che pochissime parole, data la loquacità delle due donne.

Allora lei non sa come sta Rintintin?”

Oh, si che lo sa. Mi stava giusto raccontando di come ha conosciuto il dottor Beltrami e di come gli sia piaciuto il suo cane.” Senza farsene accorgere dalla ragazza, la signora mi faceva cenni di stare al gioco. Non era difficile, perché ricordavo bene i miei incontri col signor Beltrami alla villa. Provai una bella sensazione nell’alimentare un sogno che tramite Clara riempiva di vita quella casa e quella famiglia.

Già, davvero un bel cane quel pastore tedesco.” Mentre lo dicevo lo pensavo anche. Un pensiero nuovo che non mi aveva mai sfiorato in precedenza, visto che i cani e gli animali in genere mi erano sempre stati indifferenti.

Sa, era nostro anche lui, prima. Ma poi non abbiamo potuto portarli qui tutti e quattro, e per fortuna il dottor Beltrami si è tenuto Rintintin. Ma adesso basta parlare di cani, Clara: fai vedere al signore la tua raccolta di cartoline, che è molto più interessante.”

Erano disposte in tre raccoglitori per fotografie, molto curati. Quello più piccolo conteneva quelle che non provenivano da Aristide o che non erano indirizzate a Clara, ma che comunque coinvolgevano la famiglia. Di quelle di Aristide ce n’erano due album, uno per l’Italia ed uno per il resto del mondo.

Alcune erano fuori misura, ed avevano richiesto tagli o adattamenti all’album per poterle contenere. Tutte erano corredate da quella che doveva essere stata una didascalia leggibile, ma che al momento sembrava solo una strisciolina di plastica incolore. Doveva però aver mantenuto il rilievo, perché lei passandoci sopra col dito riusciva a descrivermi con esattezza ognuna di esse anche senza guardarle. O forse le conosceva tutte a memoria.

Queste sono le Dolomiti. E questo è il duomo di Milano. Sono tutte belle, ma a me piace soprattutto questa di sughero.”

Era davvero un gioiellino: una sottile foglia di legno disegnata con gli sgargianti colori di un costume tipico sardo.

Quelle cartoline dovevano avere per quella famiglia un valore ben maggiore del semplice interesse che comunque suscitavano in me. “Sa, le ha conservate proprio tutte, dalla prima che ha ricevuto”, mi spiegò la madre.

Sì, tranne quella tutta nera con su scritto ‘Roma di notte’. Quella era di pessimo gusto, e quando è arrivata l’ho stracciata in mille pezzettini.” Un velo di tristezza era calato su di lei, chiarendo inequivocabilmente il fatto che, al momento di riceverla, i suoi occhi avevano già iniziato a perdere colpi.

Le cartoline erano interessanti, il tè era buono e la compagnia piacevole, nonostante le storie tristi di sfortune e di malanni che ebbi modo di ascoltare. Arrivò la sera senza che me ne accorgessi, e mi resi conto che avrei interferito coi piani della cena se non avessi tolto il disturbo. Pensavo che sarei tornato presto a portare altre cartoline, ma mi sbagliavo. Probabilmente questo Aristide ha un lavoro che non gli consente più molte vacanze e molti viaggi, e comunque non in tutti i mesi dell’anno. Così ho pensato di scriverle io, o di scrivermi, se preferisci. Una piccola bugia che come vedi non fa male a nessuno.

Vedo, vedo. Vedo però che sei sistemato abbastanza male anche tu, perché forse ti sei innamorato e non te ne sei accorto, o non sai cosa fare. Se no perché voler tornare a casa loro a portare le false cartoline di un altro? Piuttosto che una grande sensibilità o commiserazione, non sarà la timidezza che ti impedisce di scrivere direttamente al loro indirizzo firmandoti col tuo nome?

Sai che ti dico? Quasi quasi ti faccio io un bello scherzetto. Mi procuro il loro indirizzo e gli mando una cartolina a nome tuo. Sceglierò la più bella che trovo, naturalmente: aspetta solo il mio prossimo viaggio.

Vediamo come la prendono. In fondo anche questa sarebbe una piccola bugia che non può far male a nessuno. In fondo sarebbe comunque solo una cartolina in più per la collezione di Clara.

EPITAFFIO
14/10/2015

Ciao Sara

E' passata una vita da quando, più di trent'anni fa all'università, ti ho conosciuta.

E' passata una vita da quando l'amore è entrato per la prima volta dirompente nella mia esistenza, accendendo su di essa una luce, un faro; facendomi conoscere i suoi miracoli e regalandomi gli istanti più belli e indimenticabili. Ti ho voluto bene più che a me stesso.

E' passata una vita da quando, forse vent'anni fa, abbiamo dovuto lasciarci.

E' passata una vita, ma l'amore, come un tesoro di famiglia, è rimasto.

E' passata una vita da quando, forse l'altro ieri, hai smesso di soffrire e te ne sei andata.

E' passata una vita, ma per me nulla cambia e cambierà tra noi.

Ciao Sara

SARA CAGNUCCI

(6/5/1964 - 14/10/2015)

GELINDO E FLORINDO

Se qualcuno avesse potuto vederli, sicuramente li avrebbe scambiati per una coppia di bimbetti paffutelli e sorridenti, sempre sereni, allegri e giocherelloni, e forse anche un po' monelli; e con una continua ed inesauribile voglia di divertirsi e tirare su lo spirito ed il morale di tutti. Gelindo e Florindo facevano coppia fissa, lassù nei corridoi della scuola, anche se capitava spesso che qualche loro consimile più o meno di passaggio si aggregasse a loro.

Ho detto se qualcuno avesse potuto vederli, perché nessuno poteva. E neanche sentirli, se non al più percepirne la presenza. Gelindo, per esempio, aveva l'abitudine di suonare l'arpa in continuazione, notte e giorno ininterrottamente, così, senza pensarci, come io respiro. Era un suo modo di essere, maturato e consolidato in chissà quanti anni; un po' come quando io giocherello distrattamente colle dita della mano, o la mia amica Giovanna coi suoi capelli. Gelindo produceva in continuazione armonie bellissime, le cui note scendevano sulla terra e riempivano i corridoi della scuola e non solo; ma solo poche persone speciali – musicisti o semplicemente amanti della musica, e animi sensibili – riuscivano a percepirle.

Florindo invece amava osservare la gente. Era un grande osservatore. Li guardava negli occhi e da lì dritto dentro l'anima ed il cuore, e quando trovava qualcuno che aveva dentro ancora grandi vuoti e tanto spazio da riempire, lo andava a solleticare. Perché in quella scuola girava tanta bella gente, tanti bei sentimenti, e non era ammissibile che, vivendoci insieme quotidianamente, qualcuno potesse continuare a rimanerne estraneo ed insensibile.

“Ciao.”

“Ciao. Sono Florindo. Ma io a te ti conosco! Tu frequentavi questa scuola, qualche anno fa.”

La nuova arrivata fece cenno di sì sorridendo.

“Ho riconosciuto la tua anima semplice e bella. A suo tempo mi sono divertito molto a far innamorare di te più di qualche ragazzo. Ma devo dire che avevi anche un bel sorriso e begli occhi, per cui non era difficile, e anzi più di qualcuno ha perso la testa per te senza che io facessi niente. C'era quel ragazzo che ti stava sempre dietro, per esempio … ”

La nuova arrivata sorrise a quel ricordo, mentre un altro spiritello prendeva posto vicino a Gelindo e cominciava ad accompagnare con un clavicembalo il suono della sua arpa.

“A proposito, come è finita tra voi? Vi siete sposati?”

Lei, sempre tacendo, rispose di no.

“Strano. Avrei detto che i vostri destini fossero già segnati, … prestabiliti già dalla nascita, … a volte ci capita di trovare coppie che ci danno proprio questa impressione. E lui è ancora vivo?”

“Sì. Sono sempre i migliori che se ne vanno.” E così dicendo, stavolta, la nuova arrivata proruppe in una risata argentina e dirompente, che invase il corridoio.

“Sì”, aggiunse Gelindo, “mi ricordo anch'io di questa risata e di questa voce inconfondibili.”

Nel mentre era suonata la campanella, e le prime porte delle aule si erano aperte, seguite dal vociare frenetico e a volume sempre più alto dei ragazzi che uscivano in pausa sul corridoio. I suoni celestiali dell'arpa e del clavicembalo adesso si sentivano appena.

“Vieni. Voglio mostrarti alcune cose interessanti. Come hai detto che ti chiami?”

“Non te l'ho ancora detto. Mi chiamo Chiara, è chiaro no?”, spiegò lei concludendo con un sorriso che era quasi più una risata.

“Seguimi. Ti porto a vedere… Ma prima lasciami divertire un po'. Questo per me è il momento migliore.”

Si infilò tra gli studenti vocianti. Rapidamente e senza posa, si affiancava ora all'uno ora all'altra, si tuffava un attimo a guardare dentro di loro, poi, tornato fuori, bisbigliava loro qualcosa all'orecchio. E magari ad uno faceva il solletico, l'altro lo tirava per un braccio verso una compagna o un compagno, o addirittura glielo spingeva contro. Ma tutti, dopo il suo impertinente intromettersi e curiosare, sembravano essere generalmente più sereni e sognanti.

“Per ora basta scherzetti, la campanella sta per suonare di nuovo. Oggi ne ho combinate parecchie, e di qui a un po', grazie anche alla primavera che sta per arrivare, sbocceranno molti nuovi amori. Ma adesso vieni, ti voglio far vedere una cosa, qui nella tua vecchia aula”.

La fece entrare.

“Sì, me la ricordo. Ed io stavo là, al primo banco vicino alla finestra”, disse Chiara.

“Guarda questo. Chissà se ne eri a conoscenza”. Florindo l'accompagnò al banco di fronte alla cattedra. Di lato, un po' nascosto e ormai col colore quasi del tutto sbiadito, c'era inciso un piccolo cuore rosso con dentro due lettere, A e C.

“Questo era il suo posto”, disse Chiara. “Ma quando può averlo fatto? Seguiva sempre le lezioni con attenzione, qui sotto al naso dei professori; e quando poteva trovava sempre il modo e il pretesto per stare con me.”

“Già. Una marcatura stretta. Ma dimmi la verità: … ” si interruppe all'improvviso, la sua attenzione richiamata da un ragazzo ed una ragazza che si stavano parlando in fondo alla classe. “Aspetta un attimo, devo prima vedere che cosa combina quella coppia: è un po' che li tengo d'occhio.” Si avvicinò ai due, già molto vicini l'uno all'altra, e si sforzò di avvicinare le loro teste. Alla fine, chissà come, i due si baciarono.

“Già che ci sei guarda quel ragazzo com'è tranquillo, posato e sereno”, disse Florindo indicando a Chiara un giovane già seduto al suo posto. “Se osservi bene, noterai che c'è uno spirito vicino a lui. E' suo padre. E' morto che il figlio era ancora un bimbetto, e probabilmente da allora non l'ha mai lasciato. Io almeno non li ho mai visti separati neanche per un momento, sin dal primo giorno di scuola. Commovente, non è vero? Lo guida, lo consiglia, lo avverte dei pericoli. Mi viene da pensare che non avesse proprio nessun altro al mondo.”

Tornarono al banco in prima file. “Dicevamo: ma a te faceva piacere, era indifferente o ti dava fastidio che ti marcasse così stretta?”

“Sicuramente mi faceva comodo. Era bravo a scuola, e spesso mi aiutava a studiare e a fare i compiti. Ma in genere mi faceva piacere, soprattutto quando hanno cominciato a venire fuori i miei problemi.”

“Problemi? Che tipo di problemi?”

“Problemi di salute, molto seri. Ero all'ultimo anno quando iniziai tutte le analisi; ed aspettarono che finissi la scuola per farmi sapere la diagnosi esatta. Un brutto male, raro e incurabile. E' stato soprattutto allora che lui mi è stato vicino, e che gli ho voluto bene. Finché la mia famiglia non ha deciso che era meglio trasferirci all'estero, dove c'era un centro specializzato in quella patologia. Quando ci siamo trasferiti, gli abbiamo chiesto di non vedermi e non sentirmi più, per sempre. Perché potesse costruirsi una vita normale, migliore; perché comunque non avrei potuto dargli la gioia dei figli, e di rimanergli a fianco fino alla vecchiaia. Cosa potevo offrirgli? Solo dolori e dispiaceri da condividere con me. E' stata dura lasciarci, per tutti e due; e lo abbiamo fatto solo per amore. Così lui ha potuto ricostruirsi una vita, si è sposato ed ora ha una famiglia con la felicità di figli sani. Io sono vissuta più di quanto qualunque medico avrebbe potuto sperare nelle mie condizioni. La mia vita si è spenta completamente solo da un mesetto, laggiù in terra straniera.”

Chiara aveva illustrato la sua storia, e Florindo l'aveva ascoltata, apparentemente tutti e due senza mostrare emozioni; ma questo, così come l'insignificanza del sesso e del tempo, è del tutto normale per spiriti beati come loro.

“La vita è fatta anche di queste cose”, commentò solo Florindo, “ma ormai la tua è passata. Il discorso è chiuso per sempre”.

“La mia è passata, ma la sua non ancora. Quando ha saputo della mia fine, pur dopo tanti anni, ha pianto a dirotto, e continua a piangere per me di nascosto tutti i giorni e tutte le notti. Non è giusto. Vorrei fare qualcosa per lui, perché ritorni sereno.”

Seguì un attimo di silenzio, in cui Florindo approfittò della sua capacità di leggere nell'anima per interpretare incertezze, speranze e desideri di Chiara.

“No Chiara. E' davvero difficile che lui possa dimenticarsi di te, magari innamorandosi di un'altra. Difficile a quell'età, ma soprattutto se ha già il cuore pieno di tanto amore. Amore per te; per la moglie ed i figli, e magari anche i genitori; amore per Dio e la natura. L'amore non finisce soltanto perché non si vede più chi si ama. Tanti, ad esempio, amano Dio per tutta la vita senza averlo mai visto. Quello che puoi fare, e so che l'hai già fatto e vorresti continuare a farlo, è tornare a stargli vicino, come lui lo è stato a te nei periodi difficili; tenergli la mano e consolarlo, in modo che lui senta la tua presenza e sappia che gli vuoi bene. Si calmerà, e anche tu ti tranquillizzerai.”

“Ti ringrazio molto, Florindo. Penso che seguirò il tuo consiglio”.

Lo spirito di Chiara per un attimo fu un bagliore intenso, e in un lampo sparì, mentre le note dell'arpa e del clavicembalo continuavano a risuonare per la scuola.

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Yaş sınırı:
16+
Litres'teki yayın tarihi:
17 aralık 2020
Hacim:
120 s.
ISBN:
9788835414926
Telif hakkı:
Tektime S.r.l.s.
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