Kitabı oku: «Un Quarto Di Luna»

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  Copertina

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  Copyright

  Indice

  Prologo

  Primo Capitolo

  Secondo Capitolo

  Terzo Capitolo

  Quarto Capitolo

  Quinto Capitolo

  Sesto Capitolo

  Settimo Capitolo

  Ottavo Capitolo

  Nono Capitolo

  Decimo Capitolo

  Undicesimo Capitolo

  Dodicesimo Capitolo

  Tredicesimo Capitolo

  Quattordicesimo Capitolo

  Quindicesimo Capitolo

  Sedicesimo Capitolo

  Diciassettesimo Capitolo

  Diciottesimo Capitolo

  Diciannovesimo Capitolo

  Ventesimo Capitolo

Maria Grazia Gullo - Massimo Longo

Un quarto di Luna

I Veglianti di Campoverde

Copyright © 2018 M.G. Gullo – M. Longo

L'immagine di copertina e la grafica sono state realizzate e curate da Massimo Longo

Tutti i diritti riservati.

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ISBN-13:

Indice


Primo Capitolo È così sfuggente quando provo ad abbracciarlo…
Secondo Capitolo Lo ossessionava con un sussurro gelido
Terzo Capitolo Accorgendosi del suo terrore, cominciò a ridere
Quarto Capitolo Come un cattivo presagio, mormorava parole in una lingua sconosciuta
Quinto Capitolo Faccia a faccia con qualcosa di mostruoso
Sesto Capitolo La sua mente era invasa da quelle cantilene
Settimo Capitolo Caratteri incomprensibili si incendiavano al suono della cantilena
Ottavo Capitolo Rifletteva quella terribile immagine
Nono Capitolo Una scala a chiocciola saliva verso l’alto all’infinito
Decimo Capitolo Gli sembrava alla fine di poter sfondare con le mani il cielo
Undicesimo Capitolo Questo pensiero pungeva ostinatamente la sua anima
Dodicesimo Capitolo Ricordava un infuso di aglio e odorava di zolfo
Tredicesimo Capitolo Venne giù dal cielo trascinando con sé tutte le nubi più nere
Quattordicesimo Capitolo Scese da una nube serfando
Quindicesimo Capitolo Come se sparisse nelle profondità della terra
Sedicesimo Capitolo Improvvisamente uno strano suono, come un gorgoglio profondo
Diciassettesimo Capitolo Con il suo passo elegante ne attraversò la soglia
Diciottesimo Capitolo Gli artigli si conficcarono ancora più in profondità
Diciannovesimo Capitolo Come si fa con una torta margherita
Ventesimo Capitolo Mi chiamo di volta in volta col nome che mi viene dato

Prologo

- Vedrai andrà tutto bene, sei grande oramai...Torna a giocare con gli altri bambini, ci rivedremo un giorno, te lo prometto!

Il bambino guardava scomparire lentamente, con gli occhi velati di lacrime, colui che era stato il suo compagno di giochi da che ne avesse memoria.

Corse rapidamente verso le giostre del parco assolato, dove tornò a giocare con i bambini del quartiere, mentre il ricordo del suo amico immaginario svaniva.

Arrivò, tra gli spintoni, il suo turno allo scivolo. Non attese un istante e si lanciò in discesa con tutta la spinta possibile. Neanche il tempo di arrivare alla fine della discesa, che vide spuntare una piccolissima bimba bionda davanti ai suoi piedi, sfuggita al controllo della mamma, non riuscì a frenare e la colpì con violenza.

La bimba perse l’equilibrio e batté la testa sul costone di cemento che contornava lo scivolo.

Tentò di raggiungere la piccola, per assicurarsi che non si fosse fatta troppo male, ma fu spinto in malo modo dalla madre che correva a soccorrerla. In quello che a lui sembrò un istante, una folla di nonni e mamme si accalcarono intorno alla malcapitata.

Un’unica cosa riuscì a sentire, mentre cercava di farsi spazio in mezzo alla foresta di gambe degli adulti:

- È svenuta! Qualcuno chiami il pronto soccorso!

Quella voce gli risuonava feroce nelle orecchie, la paura lo assalì. Corse verso il boschetto che si trovava alle spalle del parco.

Di colpo tutto diventò buio intorno a lui. Nell’aria un vento gelido portava con sé strani suoni, insieme alle parole udite un attimo prima, iniziarono a risuonare dei versi che stentava a capire, sopraggiungevano da dietro un gruppo di alberi dove un’ombra lunga appariva. Poi la voce si fece sempre più insistente, giungeva da direzioni diverse intorno a lui. Era vicina adesso, sempre più vicina, fino a sussurrargli nelle orecchie:

"Damnabilis ies iom, mirdo cavus mirdo, cessa verunt ies iom, mirdo oblivio ement, mors damnabils ies iom, ospes araneus ies iom…"

Si strinse forte la testa fra le mani per non sentire, ma era tutto inutile, cadde in ginocchio, i suoi occhi si spensero…

"Damnabilis ies iom, mirdo cavus mirdo, cessa verunt ies iom, mirdo oblivio ement, mors damnabils ies iom, ospes araneus ies iom…"

Primo Capitolo

È così sfuggente quando provo ad abbracciarlo

- Elio, Elio, presto! Aiutami con le buste della spesa prima che arrivi il temporale!

Elio se ne stava immobile dentro le sue scarpe sempre nuove e guardava sua madre affaccendarsi senza posa.

- Elio! Cosa fai li impalato? Prendi questa! - lo scosse e gli caricò fra le braccia un'enorme busta con le verdure.

Elio non aveva intenzione di fare altro, salì i gradini esterni del palazzo e girandosi di spalle spinse il portone, si fermò fissando quella maledetta luce rossa lampeggiante dell'ascensore, poi sconfitto salì le scale sino in casa e, appoggiata la busta sul tavolo della cucina, andò dritto in camera sua ad ascoltare la musica disteso sul letto.

Il tempo di salire le scale del palazzo e la madre stanca andò in cerca di lui.

Si affacciò alla porta della sua camera urlando: - Cosa stai facendo? Non abbiamo ancora finito, vieni ad aiutarmi!

- Si, si...sto arrivando...- rispose Elio non muovendosi, solo per liberarsi di lei.

Giulia si allontanò, sperando che questa volta sarebbe stato diverso. Era disperata, non riusciva più a scuotere questo figlio che diveniva sempre più apatico.

Dall’ingresso si udirono i veloci passi decisi di sua sorella che lo chiamava con voce allegra: - Elio! Elio! Muovi il sedere da quel letto e vieni ad aiutare anche tu la mamma che ti sta aspettando giù - gli urlò sapendo che sarebbe stato proprio inutile.

Elio non si mosse e continuò indifferente a fissare il soffitto, dopo aver aumentato il volume del suo lettore.

Giulia, sfinita più per la lotta con il figlio che per la fatica, finì di scaricare la spesa insieme alla figlia Gaia. Non faceva che pensare ad Elio, mentre saliva le scale di quel palazzo di cinque piani, bianco e arancione come tutti quelli del quartiere popolare di Gialingua dove vivevano, in cui l’ascensore funzionava a giorni alterni e, chissà perché, mai in quelli in cui si doveva portare su la spesa. Vi vivevano venti famiglie, in altrettanti appartamenti che si affacciavano sui lati opposti.

- Questa è l’ultima volta che ti permetti di farlo! - gli urlò dalla cucina - Quando arriva tuo padre sistemeremo le cose!

Elio non la sentiva neanche, immerso nella musica monotona che gli entrava dalle orecchie senza coinvolgerlo emotivamente, niente e nessuno avrebbe scosso il senso di noia e paranoia che lo circondava. Il suo mondo privo di interessi lo avvolgeva come una copertina di Linus. Lui era così e bisognava che il mondo se ne facesse una ragione.

Gaia era molto diversa da lui: quindici anni, capelli corti e neri e due occhi vispi e curiosi. Le ventiquattro ore contenute in una giornata a lei non bastavano per star dietro a tutti i suoi interessi.

Anche Giulia era dinamica, a differenza della figlia, la sua capigliatura era bionda e riccia, era leggermente in sovrappeso ma scattante e decisa, insomma, la classica mamma quarantaduenne sempre piena di impegni, divisa tra lavoro e famiglia.

Era arrivata l’ora di cena, ma dalla camera di Elio non arrivavano segnali di alcun tipo, assoluto silenzio. In verità, lui non si era mosso dalla posizione assunta dopo essersi precipitato sul suo letto e aver indossato le cuffie.

Si sentì il rumore delle chiavi nella serratura della porta d’ingresso, in quello stesso istante, senza dare il tempo alla porta di aprirsi, la voce alterata e lamentosa di Giulia si scaricava sul marito:

- Non si può più andare avanti così!

- Dammi il tempo di entrare tesoro…

Giulia baciò il marito e ricominciò all’istante a lamentarsi.

- Ancora Elio, vero? - chiese l’uomo con voce rassegnata.

- Si, lui! - rispose Giulia.

Tutto questo discorso si svolgeva mentre Carlo, dopo aver estratto il contenitore del cibo che avrebbe lasciato in cucina, si dirigeva a riporre nell’armadio la borsa che portava con sé a lavoro con dentro una camicia di ricambio a causa del caldo afoso che già si faceva sentire anche se era solo la fine di maggio.

Era un uomo mite, coetaneo della moglie, alto e magro, i suoi capelli, ormai quasi completamente grigi, un tempo erano stati corvini come quelli della figlia. Aveva il viso allungato e scavato sulle guance, sul naso aquilino poggiavano gli occhiali tondi di metallo.

- Non puoi parlarmene dopo cena? - chiese dolcemente alla moglie, nella speranza di calmarla.

- Hai ragione tesoro - rispose lei, ma senza accorgersene continuò a lamentarsi fino all’inizio della cena.

Per fortuna c’era Gaia, che non la smetteva di raccontare la sua giornata, trasformando in modo ironico e divertente anche i piccoli fallimenti.

Aveva appena finito di apparecchiare quando la madre le disse:

- Va a chiamare Elio.

- È inutile - rispose - sai che non si muove se non va papà…

Giulia continuò rivolgendosi al marito:

- Non esce da quella camera da quando l’ho portato a casa da scuola, sta peggiorando.

- Non avevamo detto che avrebbe dovuto cominciare a tornare da solo?

- Mi trovavo in quella zona perché ho fatto la spesa…

- Hai sempre una scusa per proteggerlo e poi ti lamenti!

Carlo scuoteva la testa con aria di disapprovazione nei confronti della moglie, si alzò dal divano e andò a chiamare il ragazzo.

Entrò nella stanza senza bussare e trovò Elio così come la madre lo aveva lasciato. Aveva gli occhi fissi nel vuoto, rivolti al soffitto, indossava ancora gli auricolari Wi-Fi bianchi, non si era nemmeno sfilato le scarpe…

Carlo non riusciva a riconoscere in quel ragazzo il bimbo che accompagnava sempre fuori in bicicletta. Adesso aveva tredici anni ed era alto quasi come lui, spinto dalla sua pigrizia aveva spianato i suoi boccoli biondi e fluenti da bimbo, per evitare di curarli. I suoi occhi verdi erano ancora bellissimi, ma spenti. Negli ultimi anni non reagiva più ad alcuno stimolo. Non udiva la sua risata da così tanto tempo da averne dimenticato il suono. Si dispiaceva di non poter trascorrere con lui lo stesso tempo che gli dedicava da piccolo, tuttavia dubitava che adesso le sue attenzioni sarebbero state apprezzate.

Sfortunatamente, diversi anni prima, a causa della crisi economica, aveva perso il lavoro vicino casa. In realtà, più che la crisi, a spingere alla delocalizzazione l'azienda multinazionale in cui lavorava, era stato l'incremento dei profitti, comportamento che accomuna molte di queste società.

Riuscì con fatica a trovare una nuova occupazione, purtroppo per raggiungere il nuovo luogo di lavoro doveva percorrere parecchi chilometri al giorno e cambiare diversi mezzi di trasporto, cosa che aveva finito col togliere tempo alla sua famiglia. Inoltre, rincasava talmente stanco da far fatica ad essere presente anche quando c’era, dopo cena si stendeva sul divano e inevitabilmente si addormentava nonostante gli sforzi fatti per tenere gli occhi aperti.

Carlo gli fece cenno di togliersi le cuffie, Elio eseguì l’ordine per evitare di dover sorbire una lunga tiritera che impegnasse il suo cervello.

- Vieni a mangiare, è ora di cena - gli intimò arrabbiato - Tua madre ha detto che sei fermo qui dalle sedici!

Elio si alzò e, con la testa bassa, passò vicino al padre, senza sforzarsi di parlargli, e si diresse in cucina.

Gaia era già seduta lateralmente al tavolo rettangolare che aveva apparecchiato e con lo smartphone in mano scambiava messaggi con le amiche per organizzare i prossimi eventi.

Elio si sedette di fronte alla sorella e non le rivolse la parola per tutta la cena.

Cena che si svolse tranquilla, tutti chiacchieravano dei fatti di giornata, escluso Elio che diede qualche morso ad un panino e appena possibile si ritirò di nuovo in camera sua, con grande disappunto della madre a cui face eco l’espressione cupa del padre.

Rimasti soli, Giulia e Carlo, mentre finivano di liberare la tavola dalle ultime cose, iniziarono a parlare del solito argomento degli ultimi anni: la preoccupazione per il comportamento del figlio.

- In cosa stiamo sbagliando? Non riesco a capirlo! Gaia è dinamica, allegra, piena di vita! - disse Giulia.

- Io lo trascuro troppo! - si accusò come sempre Carlo.

- Non sei certo l’unico padre che è costretto a passare tante ore fuori casa per lavoro e poi io sono a casa tutti i pomeriggi - gli ripeté per l’ennesima volta Giulia, che non voleva che Carlo portasse sulle sue spalle anche il timore di essere il problema del figlio.

- Non è una questione di carattere, Giulia, perché Elio non era così, tu lo sai benissimo!

- Vorrei anch’io che fosse così, Carlo, ma crescendo si cambia e poi, come vedi, le cose peggiorano sempre più. Anche a scuola è un disastro, Dio non voglia che gli tocchi recuperare qualche materia o non possiamo nemmeno mandarlo in colonia come gli altri anni e il centro estivo cittadino sarebbe un’occasione per farlo diventare un’ameba!

- Giulia, gli altri ragazzi si divertono al centro estivo. I figli di Francesca e Giuseppe ne vanno matti. Sai bene che anche in colonia lui non fa niente! Dobbiamo trovare un’alternativa, qualcosa che lo obblighi a reagire. Non sembra neanche vivo, ti ricordi come eravamo noi alla sua età?

- Certo! Mia madre la sera gridava sull’uscio di casa per avvertirmi che era pronta la cena ed io, il più delle volte, non la sentivo neanche, presa com’ero a correre fra i campi e a ruzzolarmi sull’erba. Vivevamo liberi e felici. Non possiamo certo offrirgli questo in città, ma lui non sa approfittarne neanche in colonia. Non ha un solo amico, nessuno da invitargli a casa per spezzare questa monotona esistenza che si sta cucendo addosso. Non permette a nessuno di avvicinarsi troppo al suo cuore, a volte mi chiedo cosa provi per noi. È così sfuggente quando provo ad abbracciarlo…

- Giulia, i ragazzini non vogliono più le coccole della mamma, ma sono sicuro che ci ama sempre, solo che non troviamo più la chiave giusta per comunicare con lui. Dobbiamo trovarla. Dobbiamo trovare il modo di scuoterlo. Ho pensato di parlarne con Ida, lei ha due maschi, magari può darci qualche consiglio.

- Temi che stia prendendo la scia di Libero? Hai paura che sia un disturbo psicologico ereditario? - chiese Giulia.

- No, Libero ha avuto problemi diversi, legati alla morte di suo padre, ma c’è una base comune e l’esperienza di Ida può tornarci utile, ha fatto miracoli con quel ragazzo dopo essersi trasferita in campagna. E da sola poi! Con la fattoria da mettere su.

- Si, parlagliene, mi fido di tua sorella, ha un modo di vedere le cose che mi piace.

- Quando avremo la pagella? - chiese Carlo alla moglie.

- Il 19 giugno…

- Troppo tardi per decidere cosa fare, chiedi alla docente di italiano di riceverti, dobbiamo decidere dove mandare i ragazzi, sia il centro estivo che la colonia non aspettano fino a quella data - propose Carlo.

- Si, hai ragione. Meglio essere certi della situazione, anche se Elio non va poi così male a scuola. Solo che, come in tutto quello che fa, non ci mette l’anima. Sai che oggi sono arrivati i nuovi vicini del secondo piano? Sembrano brave persone. La signora Giovanna mi ha detto che si sono trasferiti qui da Potenza. Certo, una bella distanza! Non saranno facili per loro i primi tempi. Hanno un figlio dell’età di Elio, potrei invitarlo da noi qualche pomeriggio…

Giulia si accorse che Carlo, sdraiato sul divano, dormiva già.

- Dai andiamo a letto tesoro - gli sussurrò svegliandolo dolcemente.

Secondo Capitolo

Lo ossessionava con un sussurro gelido

Elio era fermo sul largo marciapiedi davanti alla scuola. Tutti gli sfrecciavano intorno, lanciandosi nelle macchine dei genitori oppure inseguendosi a gruppi per la strada di casa. Lui, nella speranza che la madre non fosse andata via dopo il colloquio con l’insegnante di italiano, guardava stordito a destra e a sinistra, come in cerca della salvezza rappresentata dall’auto materna.

Il piazzale della scuola si svuotò in poco tempo ed Elio si dovette rassegnare ad avviarsi verso casa a piedi. Odiava muoversi e, ancor di più, ritornare per quel maledetto viale dei tigli, che separava la scuola da casa sua.

Attese ancora qualche minuto, poi si avviò lentamente. Ordinò al piede di alzarsi, cosa che a qualcuno può sembrare semplice, ma ad Elio, che ormai da anni comunicava pochissimo con i suoi arti, sembrava un’enormità.

Iniziò il percorso svoltando a sinistra per via del Corso e appena girato l’angolo, si ritrovò davanti il tratto più odioso. Il corso era costeggiato sui due lati da quelli che, a qualunque persona, sarebbero sembrati meravigliosi tigli in fiore che, grazie al vento, profumavano l’intero quartiere. Passo dopo passo, con fatica, si incamminò lungo il filare degli alberi, sentiva la sensazione sgradevole di essere seguito.

Si girò di scatto e gli sembrò di vedere una bestia, tutta nera, ritirarsi dietro un albero.

“Non può essere” si ripeteva “mi è sembrato che quello strano cane feroce avesse un pince-nez sul naso!”.

Si rimise in marcia impaurito, gli sembrava di vedere piccole ombre dietro gli alberi. Come se questo non bastasse, il vento soffiando fra i rami, lo ossessionava con un sussurro gelido che gli arrivava alle orecchie e, più precisamente, si conficcava nel cervello.

Non riusciva a capire cosa significassero quei suoni. Preso da quella sensazione sgradevole, ordinò al suo corpo di provare a correre. Stava sudando, più correva più i suoni sembravano rincorrerlo e le ombre avvicinarsi.

Accelerò il più possibile, sentì una voce feroce che gli intimava di fermarsi, si girò di scatto, ancora una volta gli parve di vedere qualcosa di nero nascondersi dietro un albero vicino. Ormai era quasi arrivato all’angolo che lo avrebbe portato fuori da quell’incubo.

Sentì un alito sfiorargli la nuca, si voltò senza smettere di correre, qualcosa lo colpì come una furia e lo scaraventò a terra.

Elio, sconvolto, si chiuse a riccio coprendosi la testa con le mani.

In quello stesso istante sentì una voce a lui cara chiamarlo:

- Elio! Elio! Che diavolo combini?

Era la sorella che lo sgridava arrabbiata perché l’aveva travolta. Gaia si accorse che Elio era in una condizione penosa.

Il suo tono diventò più calmo:

- Come stai?

Elio, sentendo la sua voce, aprì le braccia e alzò la testa.

Gaia notò il suo viso sconvolto, bianco anche più del solito e sudaticcio. Rifletté un istante sul fatto che stesse correndo, cosa insolita per lui. Le sembrò che stesse scappando da qualcosa o da qualcuno e lo aiutò a sollevarsi.

- Perché correvi in quel modo? - gli domandò - Cosa ti ha spaventato?

Gaia non ricordava di averlo visto correre negli ultimi anni. Elio non rispose, voleva solo allontanarsi al più presto da quella strada. Così, senza dire niente, svoltò l’angolo.

Gaia lo rincorse preoccupata.

- Elio! - lo chiamò di nuovo.

- Non è niente! - rispose sgarbato Elio - Non è niente!

La preoccupazione di Gaia si trasformò in rabbia per il suo comportamento:

- Niente, dici? Mi hai appena travolta e dici niente!

Elio, per evitare ulteriori scontri che impegnassero il suo fisico già stremato si scusò.

- Perdonami - disse.

Queste scuse così superficiali irritarono ancora di più Gaia che, nonostante tutto, non si allontanò dal fratello, in quelle condizioni continuava a preoccuparla.

Domenica mattina, Carlo e Giulia avevano finalmente preso una decisione e, preparando la colazione, ne parlavano in attesa di comunicarla ai ragazzi che dormivano ancora.

- È stata veramente gentile a farci questa proposta, speriamo che i ragazzi non facciano guai - disse Giulia sorridendo.

Fare quella scelta era stato difficile, ma lei e Carlo provavano una strana euforia adesso che si erano decisi.

- Gaia ne sarà felice - disse Carlo - Elio vedrai che rimarrà impassibile come sempre.

- Non so, Gaia ha tanti amici in colonia, le dispiacerà non andare, Elio, a differenza, la detesta - commentò Giulia.

- Io non resisto, vado a svegliarli - propose Carlo risoluto e si diresse verso le camere dei figli chiamandoli.

Non diede loro neanche il tempo di sciacquare il viso.

- Io e la mamma abbiamo deciso cosa farete questa estate. La scuola finisce venerdì e sabato mattina sarete alla stazione con una bella valigetta in mano!

- Ma per la colonia si parte fra quindici giorni! - fece notare Gaia preoccupata guardando la madre che dalla porta della cucina seguiva la scena che si stava svolgendo in corridoio.

- Infatti, non andrete in colonia quest’anno - spiegò Giulia confermando i timori della figlia - Abbiamo pensato di regalarvi un’estate come quelle che vivevamo noi da ragazzi.

- E cioè? - chiese Gaia mentre Elio rimaneva in silenzio con l’aria sempre più cupa.

- Aria aperta e corse a perdifiato, bagno nel laghetto e serate di paese - rispose Carlo alla figlia.

Gaia vedeva i suoi genitori ridere e guardarsi con intesa e pensò ad uno scherzo.

- Smettetela di prenderci in giro. Cosa avete questa mattina?

- Nessuno vi sta prendendo in giro. Zia Ida si è offerta di ospitarvi da lei - rivelò finalmente Carlo ai suoi figli che lo fissavano increduli.

- Questo è un incubo, io torno a dormire! - disse Gaia arrabbiata.

- Pensa che credevo che ne saresti stata felice - le disse il padre.

- Felice? Io sono già in contatto con i miei amici, è tutto l’inverno che aspetto di andare in colonia!

- Gaia, anche in campagna dalla zia ti farai degli amici - cercò di rincuorarla Giulia.

- Ma perché? Io lì ci sto bene. Ho già l’aria aperta e i tuffi nel lago, non mi serve altro.

- A te no, ma Elio ha bisogno di cambiare aria - aggiunse Carlo.

- Lo sapevo - saltò su Gaia – che era per Elio! Allora mandate solo lui in campagna dalla zia.

- Non vogliamo che vada da solo - insistette Giulia.

- Io non sono mica la sua babysitter!

- Ma sei la sorella maggiore, tu non dici niente, Elio? - chiese Carlo.

Elio non disse una parola, si limitò ad alzare le spalle.

Questo fece imbestialire Gaia:

- Non dici niente? Tanto per te è tutto uguale, dillo a mamma e papà: non farai niente anche in campagna.

Elio fece segno di sì con la testa per darle ragione.

- Basta Gaia, non fare così! Ormai la decisione è presa. Vi verrà a prendere vostro cugino Libero - chiuse il discorso Carlo.

Gaia corse via delusa ed arrabbiata.

- Le passerà - disse Giulia conoscendo l’atteggiamento positivo della figlia nei confronti della vita.

Elio, quatto quatto, si ritirò nella sua stanza.

Carlo rimase di stucco, tuttavia era convinto che la decisione presa fosse la migliore da qualche anno a questa parte.

Giunse così il venerdì seguente, Carlo andò a prendere il nipote al binario: fu una grande gioia riabbracciarlo.

Libero era un ragazzone allegro, dai modi semplici e certamente non convenzionali. Alto e magro, ma non esile, aveva delle grandi mani abituate al lavoro della fattoria e il viso inscurito dal sole. Gli occhi verdi spiccavano sul suo volto, i cappelli erano castani, corti, pettinati con la riga laterale come in voga nel dopoguerra. Abbracciò con forza lo zio e non smise di parlare fino a casa.

Carlo lo guardava meravigliato, ricordava il periodo in cui era stato male ed era apatico e facilmente irritabile. Certo, Libero non era un genio, ma la vita semplice che conduceva lo faceva felice e Carlo avrebbe voluto vedere così sereno anche Elio. Intanto Libero stava con il naso schiacciato sul finestrino dell’auto dello zio e faceva domande su tutto quello che vedeva.

A casa tutti aspettavano il suo arrivo.

Giulia era nervosa mentre finiva di preparare le valige, adesso era arrivato il momento e si chiedeva come sarebbero andate le cose, il suo istinto da chioccia prendeva il sopravvento.

Gaia, invece, aveva già assorbito il colpo, le correva dietro facendole mille domande su quello che avrebbe potuto vedere e fare nei dintorni della fattoria.

Non ci andavano da quando erano piccolissimi e c’erano ancora i loro nonni, non avevano quasi più memoria del posto, se non qualche vago ricordo dei campi o l’odore degli alberi con cui giocavano a nascondino.

Dopo la morte del marito, la zia aveva avuto difficoltà a riorganizzarsi e aveva deciso di trasferirsi nella vecchia fattoria dei genitori, ormai abbandonata, con i figli.

Gaia sentì il rumore della chiave che girava nella serratura della porta e corse ad accogliere il cugino che la sollevò come aveva fatto con suo padre e la fece girare come su una giostra. Gaia sorrise, non si aspettava questa dimostrazione di affetto.

- Ciao Libero, come stai? - chiese di cuore al cugino che non vedeva da parecchio tempo.

-Bene, piccola - rispose Libero.

Nel frattempo, arrivò Giulia e fu l’unica con cui Libero si comportò da gentiluomo, baciandola frettolosamente sulle guance.

- Com’è andato il viaggio? - gli chiese premurosa Giulia.

- Bene, la mucca d’acciaio è proprio comoda e veloce per viaggiare e la città è piena di cose curiose. Sono felice di essere qui!

- Siediti, sarai stanco. Ti posso offrire un gelato? - chiese ancora Giulia.

- Si, grazie zia, io amo i gelati - accettò di buon grado Libero - ma che fine ha fatto Elio?

- Elio è in camera sua, ora arriva - disse Carlo arrabbiato con il figlio che non si degnava a passare a salutare il cugino che aveva fatto quel viaggio solo per venirlo a prendere e si diresse verso la sua camera.

- No, no zio - lo fermò Libero - vado io, voglio fargli una sorpresa. Indicami solo qual è la sua camera.

Non appena Carlo gliela indicò, Libero si lanciò verso la camera dove si sentirono le sue grida di felicità mentre lo salutava.

Neanche Elio, nonostante la sua freddezza, riuscì a sfuggire all’abbraccio roteante.

Gaia guardò sorpresa la madre e le sussurrò: - Non lo ricordavo così grullo!

- Non dire così - si affrettò a rimproverarla Giulia - è un bravo ragazzo ed è anche molto buono.

- Sì, ma...sicuro che riuscirà a portarci a destinazione? - chiese perplessa Gaia.

- Certo che sì! - la rassicurò Carlo - Non sottovalutarlo, insieme alla madre manda avanti la fattoria. È forte e in gamba.

Arrivò l’ora di cena e fu molto allegra, con tutti i colori portati dalla campagna da Libero, naturalmente per tutti escluso Elio.

- Non vedo l’ora di mostrarvi tutto - concluse Libero, alla fine della descrizione della fattoria, rivolgendosi ai cugini.

- Sei sicuro di non voler rimanere qualche giorno prima di ripartire? - gli chiese Giulia.

- Non posso lasciare la mamma da sola in questo periodo, ci sono tanti lavori da fare.

- Hai ragione Libero, sei proprio un bravo ragazzo - lo elogiò Carlo battendogli affettuosamente la mano sulla spalla.

- Sai zio, mi chiedevo una cosa sulla macchina, prima di venire in città pensavo che il clacson sulle auto servisse solo in caso di pericolo...

- Certo - rispose Carlo - perché?

- Perché sembra che qui lo usino tutti per far festa, non smettono mai di suonare!

Tutti, tranne Elio, scoppiarono a ridere chiedendosi in cuor loro se Libero scherzasse o fosse veramente così…