Kitabı oku: «Manuale Di Dizione Italiana»
Manuale
di Dizione Italiana
Regole ed Esercizi
per una buona pronuncia
di
Marina Di Paola
e Valter Carignano
Revisione e collaborazione
Roberta Pastorini
Come associazione L’Opera Rinata - Musica, Teatro e Narrazioni ci occupiamo di voce e canto da più di vent’anni. Hanno studiato con noi professionisti della voce, cantanti, attori, speaker.
Ma abbiamo anche seguito molte persone che volevano principalmente risolvere i loro problemi vocali, persone che non avevano obiettivi professionali ma che volevano poter comunicare meglio, sentirsi a proprio agio con la propria voce, utilizzarla nel modo migliore senza temere di stancarsi o di perderla all’improvviso.
Inauguriamo con questo Manuale di Dizione Italiana una serie di pubblicazioni che possano essere utili a tutti, per conoscere e gestire meglio quello strumento unico e meraviglioso che è la nostra voce.
Per contatti:
L’Opera Rinata APS - Musica, Teatro e Narrazioni
Torino
https://loperarinata.com loperarinata@gmail.com
tel. 3384935667
© 2020 Marina Di Paola e Valter Carignano. Tutti i diritti riservati. Opera protetta dalle leggi sul diritto d’autore. Registrata su Patamu.com
Introduzione: a cosa serve la Dizione?
Le parole e gli accenti
La é chiusa: pronuncia e regole
La é chiusa: esercizi
La è aperta: pronuncia e regole
La è aperta: esercizi
La ò aperta: pronuncia e regole
La ò aperta: esercizi
La ó chiusa: pronuncia e regole
La ó chiusa: esercizi
La pronuncia delle consonanti s, z
La s aspra o sorda: regole
La s dolce o sonora: regole
La z aspra o sorda: regole
La z dolce o sonora: regole
Difetti di pronuncia particolari
Perché la nostra voce si stanca
Scioglilingua
Il rafforzamento sintattico
I nomi propri
Conclusioni e ringraziamenti
Gli autori
Introduzione:
a cosa serve
la Dizione?
Risponde Valter Carignano
maestro di canto e tecnica vocale,
terapista della voce, vocal coach
Beh, a questa domanda sarebbe molto facile rispondere “Figuriamoci! La dizione ormai non serve più a niente. E poi non voglio mica fare l’attore in teatro.”
Però, come spesso succede, la risposta più facile non è quella giusta. La risposta più corretta sarebbe: la Dizione è una delle discipline che aiuta a ottenere il meglio dalla propria voce, e aiuta anche a evitare afonie, stanchezza della voce e problemi di timbro vocale. Anche se non si vuole fare gli attori in teatro.
“Ma come?”, potreste domandare, “Cosa c’entra la Dizione con il fatto che mi va sempre via la voce?”
C’entra molto, eccome. Cerco di spiegarvelo presentandomi con due parole. Io da più di trent’anni insegno tecnica vocale a cantanti, attori, insegnanti, impiegati… insomma, a chiunque voglia ottenere i migliori risultati possibili con la propria voce, sia cantando che semplicemente parlando. Ho collaborato molte volte con foniatri, medici e fisioterapisti in percorsi di riabilitazione vocale, e ho seguito personalmente molti allievi fino alla totale risoluzione dei loro problemi vocali.
Ora, non voglio addentrarmi in discorsi tecnici che andrebbero oltre lo scopo e l’argomento di questo libro, ma è un fatto assodato che due delle cause principali dei problemi vocali - se non ci sono patologie congenite o malattie di vario tipo - sono l’utilizzo non ottimale del fiato e varie tensioni muscolari localizzate (per esempio collo, mascella, lingua, nuca, spalle). Quasi sempre, noi non ci rendiamo conto di queste tensioni muscolari localizzate, sono così radicate in noi da sembrarci “naturali”. Ma uno stato di tensione e di sforzo non è mai “naturale”, è sempre indice di qualcosa che non sta funzionando nel modo migliore, e che presto o tardi peggiorerà.
Molte cose ve le dirà fra poco l’attrice professionista e insegnante di Dizione Marina Di Paola. Dal mio punto vista specialistico e professionale vi posso assicurare che studiare la Dizione serve a concentrarsi su un aspetto della nostra vita assolutamente fondamentale: il nostro modo di parlare e di comunicare. Quasi sempre lo diamo per scontato, quasi sempre non ce ne curiamo, certi che il meccanismo andrà avanti da solo per sempre e stupendoci poi quando invece “la voce non funziona più”.
Studiare la Dizione fa bene alla nostra salute, perché si impara ad articolare meglio le parole e a utilizzare meglio e in modo più consapevole i muscoli dall’apparato vocale. Se si articola meglio, molte delle tensioni cui ho accennato cominciano a sciogliersi, e già questo fa migliorare non solo la nostra voce ma il nostro benessere generale. Inoltre, di conseguenza, in genere anche la respirazione comincia a funzionare meglio.
Molto spesso, basta questo per cambiare totalmente la situazione. Qualche altra volta, invece, è l’inizio di un percorso di miglioramento vocale che toccherà altre tappe, ma è pur sempre un inizio ed è già molto utile di per sé.
E allora, a cosa serve la Dizione?
Per quanto attiene alla mia professione, aiuta a stare meglio e a mantenere la voce in salute.
Mi sembra sia già molto.
Risponde Marina Di Paola
attrice, doppiatrice, speaker,
insegnante di Dizione e Lettura Espressiva
Quando mi fanno questa domanda, io rispondo concentrandomi sugli aspetti comunicativi e mostrando come una buona Dizione ci può aiutare molto anche nella vita di tutti i giorni.
Certo, io adesso sono un’attrice, speaker, insegnante di Dizione e Lettura Espressiva ad Alta Voce, lavorare con la voce è la mia professione, ma quando ho cominciato a frequentare le accademie io stessa non mi rendevo conto di quanto poco sfruttassi le mie potenzialità. All’epoca, cominciai a capire che la mia voce aveva grandi possibilità che io non vedevo, non conoscevo, non sapevo nemmeno che potessero esserci. Ma non sono doti uniche, che possiedo solo io: tutti noi abbiamo nella nostra voce uno strumento meraviglioso, dobbiamo soltanto imparare a utilizzarlo nel modo migliore.
Per esempio: ci può capitare di parlare con qualcuno e accorgerci di prestare attenzione non tanto a quello che dice, che sarebbe la cosa più importante, ma al fatto che ha un certo accento, o un difetto di pronuncia particolare. È chiaro che non dovrebbe funzionare così, ma è una cosa che succede.
E così chi ci parla non ha ottenuto il suo scopo, qualunque fosse, perché “ci ha perso”, non sta più comunicando con noi. E noi con lui.
Bene, imparare la dizione permette di ottenere quella che si può definire modalità di espressione vocale neutra, priva cioè delle inflessioni dialettali o personali più marcate, quelle che potrebbero dare fastidio e distrarre. Ma attenzione: questo non significa assolutamente “parlare in modo strano” o rinunciare alle proprie origini o caratteristiche; significa invece trasformarle da possibili difetti a punti di forza, in modo che la nostra personalità unica sia espressa nel modo migliore attraverso la nostra voce, anche lei assolutamente unica.
Una voce ben educata è anche più piacevole all’ascolto, è più “bella” e personale. Perché tramite la Dizione e l’educazione vocale si può imparare a utilizzare meglio i punti di forza della nostra voce. In questo modo, saremo anche più sicuri di noi stessi e avremo una maggiore autostima.
Inoltre, se fosse necessario, sarà più facile per noi parlare in pubblico, perché sapremo di poter contare sulla padronanza del nostro “strumento-voce”, risultando anche più credibili e preparati a chi ci ascolta.
Non mi dilungo oltre, credo che il concetto sia ormai chiaro. La Dizione e l’educazione della voce danno grandi benefici, e imparare non è così difficile.
Perché non provare?
Le parole
e gli accenti
Parliamo innanzitutto degli accenti delle parole. Abbiamo notato durante i nostri corsi e laboratori che qualche volta questo concetto non è così facile da capire come potrebbe sembrare, e se non è chiaro questo allora anche tutto il resto finirà per essere confuso.
Ogni parola che pronunciamo ha un accento
su una delle sue vocali.
Questo accento - che possiamo anche immaginare come il sottolineare, l’enfatizzare, il dare più peso a una delle vocali, o a una delle sillabe - molte volte noi non lo percepiamo in modo conscio, non ci accorgiamo che esiste, e non ce ne accorgiamo perché siamo così abituati a sentirlo che non ci facciamo più caso.
Però, se guardiamo un film comico e ascoltiamo parlare un personaggio con un finto accento francese, che storpia le parole e magari parla di un pesce e dice “trotà” invece di “trota”, oppure parla di due strumenti musicali e li chiama “chitarrà e pianò” invece di “chitarra e piano”… allora ci rendiamo conto che sta sbagliando, che c’è qualcosa che non va. Quello che non va è che il personaggio del film sta cambiando gli accenti delle parole per ottenere un effetto comico, e si basa sul fatto che nella lingua francese la maggioranza delle parole si pronuncia con l’accento alla fine, come per esempio le nostre parole perché, andrò, laggiù e via di seguito.
“Ho capito” potreste dire “ma ‘andrò’ e ‘perché’ e via di seguito, e anche il finto francese che dice ‘trotà’… cioè, tutte queste parole hanno l'ultima lettera scritta in modo diverso. Hanno per esempio una ‘é’ invece di una ‘e’, una ‘à’ invece di una ‘a’. Quindi in quelle parole ci sono gli ‘accenti’ perché sono scritti, e nelle altre no perché non sono scritti?”
La cosa ha un senso. Ma la risposta all’ultima domanda è: no, gli accenti non ci sono soltanto in quelle parole, ci sono in tutte le parole.
Solo che nella lingua italiana si segnano specificamente soltanto gli accenti presenti sull’ultima lettera della parola. Gli altri non si scrivono, si danno per scontati. La ragione di tutto questo è storica, ma in questo Manuale pratico non ha importanza addentrarsi in questo argomento. Proseguiamo.
Facciamo qualche esempio. Immaginiamo di scrivere per esteso gli accenti anche all’interno delle parole. Questa frase la scriveremmo così
immaginiàmo di scrìvere pér estéso gli accènti ànche
all’intèrno délle paròle
Sembra molto strano, a vedersi, ma in realtà noi quegli accenti li mettiamo già, in maniera automatica. Si chiamano accenti tonici.
L’accento tonico è la forza, l’allungamento,
la sottolineatura che viene data alla vocale
di una delle sillabe che compongono la parola.
Qualche volta, se sposto l’accento tonico da una vocale a un’altra cambia anche il significato della parola. Per esempio:
tèste (nel senso di testimone) e testé (nel senso di subito, immediatamente);
péro (nel senso di albero di pere) e però (nel senso di ma, tuttavia);
tèrra (nel senso di elemento naturale) e terrà (nel senso di futuro del verbo tenere);
àncora (nel senso di attrezzo navale) e ancóra (nel senso di nuovamente, un'altra volta);
prìncipi (nel senso di titolo nobiliare) e princìpi (nel senso di norme morali)
In questo elenco di parole, forse avete notato una cosa strana: gli accenti tonici non sono tutti scritti nello stesso modo: in péro c’è questa é, in tèrra c’è quest’altra è. I due accenti sono diversi, sembra che uno vada avanti e l’altro vada indietro. Si chiamano accenti fonici.
L'accento fonico serve a determinare se una vocale deve essere pronunciata aperta o chiusa.
Le vocali che possono essere aperte o chiuse
sono soltanto la e e la o.
I termini aperto e chiuso si riferiscono all’apertura della bocca necessaria per pronunciare le vocali e alla posizione della lingua nel momento in cui le pronunciamo. Meno la bocca è aperta e più è alta la lingua, più la pronuncia è chiusa.
Facciamo un esempio su due vocali agli estremi opposti, giusto per capire. Provate a pronunciare una a: la bocca sarà aperta e la lingua sarà sicuramente in basso, verso i denti inferiori. Poi provate a pronunciare una i: la bocca sarà molto più chiusa, e sentirete la vostra lingua in alto, forse anche a sfiorare i molari superiori. Nella vocale e e nella vocale o, aperte o chiuse, ci sono differenze di questo tipo, anche se meno evidenti.
Ricapitoliamo:
ogni parola ha un accento tonico su una delle sue vocali, ma lo scriviamo soltanto se questa vocale è l’ultima lettera della parola; per esempio perciò, comprò, viceré.
Ma se la vocale con l’accento tonico - che sia all’inizio, in mezzo alla parola o al fondo, non importa - è una e oppure una o, allora oltre all'accento tonico avrà anche un accento fonico. Questo accento indicherà se la vocale va pronunciata aperta o chiusa.
Come l’accento tonico anche l’accento fonico non si indica, cioè non si scrive, a meno che non sia sull’ultima lettera della parola. Ma ci sono delle regole che ci dicono se le e oppure le o su cui cade l’accento tonico sia corretto pronunciarle aperte o chiuse, cioè se abbiano su di sé un accento acuto (pronuncia chiusa: è, ò) o un accento grave (pronuncia aperta: é, ó).
Questo che segue è l’ordine di pronuncia secondo il cosiddetto triangolo fonetico; vedete infatti che si va da una vocale chiusa - la i - verso quella più aperta - la a - per poi tornare a una chiusa - la u - come a formare un triangolo.
i - é - è - a - ò - ó - u
Vediamo ora un’ultima regola generale prima di passare alle singole vocali aperte e chiuse:
Quando su una sillaba contenente
una e oppure una o non cade l’accento tonico,
la e oppure la o si devono pronunciare sempre chiuse.
Quindi, per esempio, la o di dovere sarà chiusa, perché l’accento tonico della parola va sulla prima e, cioè sulla seconda sillaba, non sulla o della prima sillaba; oppure nella parola refettorio la prima e la seconda e saranno chiuse, perché l’accento va sulla prima o, cioè sulla terza sillaba.
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