Kitabı oku: «Lo Spirito Del Fuoco», sayfa 5

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La folta vegetazione dominava l’intero paesaggio. I ruscelli bagnavano i grossi alberi secolari attraversandone le radici e facendole così brillare sotto i tenui raggi del sole. Jack, sdraiato al suolo privo di sensi. Poco distante, Santos decisamente provato dallo scontro.

Con un potente attacco era riuscito a distrarlo sfuggendo così a una morte certa. Il tutto forse, merito di un benevolo fato.

Non aveva mai affrontato un nemico così tanto potente e, al sol pensiero, rabbrividì.

La sua missione, ormai entrata nel vivo. Fortunatamente la natura gli stava restituendo le forze, facendolo riprendere in fretta.

La sua razza, una delle più antiche, con essa legata indissolubilmente da un legame nato con la creazione dei mondi e delle specie abitanti. Erano i protettori di ogni forma vivente e per questo godevano di una vita secolare.

Santos prese la sua borraccia verdastra e, nel guardarne lo stato, capì che era giunto il momento di comprarne una nuova. Era quella che gli avevano dato in dotazione al Gran Consiglio e, dal giorno in cui era stato promosso astro di terzo livello, lo aveva accompagnato in ogni sua avventura. Ma l'ultimo scontro l’aveva rovinata fortemente. Le incisioni a basso rilievo raffiguravano un rigoglioso salice piangente con le radici aggrovigliate e ben salde su una grande roccia, stemma immortale degli astri. Ora erano quasi del tutto consumate e ricoperte di fuliggine. Legata da sempre alla sua cintura di pelle nera, in molteplici circostanze gli era stata più utile delle armi stesse.

Raggiunse il ruscello più vicino fissandone le incisioni sbiadite.

Non era una semplice borraccia, non un comune contenitore da riempire d’acqua o di altre bevande. Era un simbolo, l’emblema che rappresentava il superamento dell’esame finale all’Accademia della Natura, il contrassegno che lo identificava come astro di terzo livello insieme al ciondolo che portava al petto. S’inchinò ancora un po' dolorante sulla riva del piccolo rigagnolo, guardò la sua immagine provata riflessa nello specchio d’acqua cristallina e immerse la borraccia. Il contatto lo fece rabbrividire ma il sollievo fu maggiore. Gelida, l’acqua portò via con sé gran parte della fuliggine, ridando lievemente il lontano splendore a quel semplice oggetto a lui caro. Le incisioni, di pregiata fattura, brillarono avvolte dalle acque e con esse, anche i segni dei duri combattimenti passati. La riempì e dopo essersi dissetato, si alzò stringendola forte per poi raggiungere il giovane rovesciandogliela sul volto.

Jack aprì gli occhi urlando terrorizzato. L’immagine del vecchio, ancora ben definita nella sua mente. Con la vista ancora annebbiata e con gli occhi contratti dall’acqua ghiacciata, si asciugò il volto nella speranza di essere nella sua stanza. Ma appena tutto riprese colore, l’ambiente risultò ben diverso della sua piccola e disordinata camera da letto. Massicci alberi dalle cortecce rugose e dalle folte chiome verdi smeraldo lo circondavano. Dinanzi a lui, stagliato contro i raggi del sole, l’individuo a fissarlo in silenzio con la borraccia gocciolante tra le mani.

«Cos’è successo? Dove mi hai portato brutto pazzoide?» urlò Jack stringendo la fitta erba verdastra che lo circondava. L’incubo sembrava non aver fine.

«Siamo su Abram, il pianeta delle ninfe» rispose Santos riagganciando la fiasca alla cintura.

Il ragazzo si guardò istericamente intorno affannato. Quelle parole gli squarciarono il petto. «Non è possibile, smettila con queste menzogne, dimmi dove mi hai portato o chiamo la polizia». Tra i pugni serrati, i poveri ciuffi d’erba vittime della sua crisi.

«Calmati Zeno…», si limitò l’astro tranquillo.

«Calmarmi? E perché dovrei?», gli mancava l’aria.

Era disorientato, tutto intorno a lui era strano, diverso da dove si trovava prima dello scontro. Un flash nella sua mente lo bloccò. Le immagini del bosco, dell’incontro rude con l’individuo, la lunga e contorta discussione, il vecchio gobbo, la voce pesante e penetrante, il fuoco e infine la luce seguita dal buio più totale. Tutto gli balenò in mente paralizzandolo. «No, non è possibile, devo assolutamente svegliarmi!». Si alzò barcollante scuotendo la testa nella speranza di scacciare via quelle terribili immagini.

«Non stai sognando, non devi svegliarti. Quel che ti circonda, quel che è successo, è la realtà.», gli sorrise Santos, inchinandosi lentamente e allungando le braccia verso il terreno.

«Loro non c’entrano nulla.», così dicendo, afferrò i malcapitati ciuffi d'erba che, sotto gli occhi increduli del ragazzo, si riattaccarono al terreno pieni di vita.

«Allontanati, stammi lontano lurida sottospecie di maniaco!».

«Zeno, calmati, sei ancora debole!», cercò di tranquillizzarlo avvicinandosi.

«Mi chiamo Jack!».

L'ambiente perse nitidezza e con le tempie pulsanti il ragazzo si portò le mani ai capelli.

Nulla di tutto ciò poteva esser vero.

Vedendolo così instabile, Santos si morse il labbro inferiore indeciso su come riprendere il discorso. Però, non poteva tenerlo all'oscuro, doveva sapere.

«Ho bisogno che tu mi ascolti», gli si avvicinò poggiandogli delicatamente l'affusolata mano sulla spalla tremante.

Quello, il loro primo vero contatto.

Non si ritrasse. Inspiegabilmente, si sentì al sicuro.

«Come ti dicevo, le sacerdotesse di…»

«I suoi occhi… Perché mi ha attaccato?».

Santos si fermò un secondo scoprendosi intenerito da quello sguardo innocente e smarrito. Quel che poteva pensare il giovane terrestre non poteva neanche immaginarlo.

«Anche lui ti sta cercando, siamo stati fortunati».

Jack non capì. Nel viso del suo interlocutore, lievi sintomi di inquietudine lo intimorirono.

«Ma chi è? Cosa vuole da me e da mia madre?»

«La creatura che ci ha attaccato è il Trokor e ha uno scopo ben preciso. Tramite quell'orribile sogno, voleva far crescere la paura in te, indebolirti e farti abbracciare l'oblio.»

«Perché proprio io?».

Il tutto stava nuovamente finendo su binari inimmaginabili e confusi.

Santos sospirò profondamente.

«La madre sacerdotessa in persona è riuscita a percepire la presenza dello spirito di Ashar sulla Terra. L'unico che ci può salvare. Purtroppo, anche Marmorn ne è venuto a conoscenza ed è per questo che ti ha sguinzagliato il Trokor alle calcagna».

Jack aprì la bocca pronto a intervenire ma le troppe domande gli si accavallarono in gola.

«Questa creatura è infima e astuta. Sa che per avvicinarti alle tenebre ci vuole un lungo e lento processo. Provocando in te paura e odio, vuole portarti ad abbracciare il buio più profondo per poi sfruttare l’immenso potere di Ashar…».

Il silenzio li avvolse per alcuni interminabili istanti e nelle iridi violacee di quello sconosciuto, Jack capì.

«Zeno mi rendo conto che ti possa sembrare assurdo. È la verità e prima l'accetterai prima potrai compiere il tuo destino»

«Io sono Jack…», con queste ultime flebili parole barcollò fortemente per poi accasciarsi al suolo privo di sensi.

L’astro si chinò su di lui e con delicatezza gli poggiò la mano sulla fronte visibilmente sudata. Povero ragazzo, non doveva essere assolutamente facile. Essere catapultato in un’altra realtà completamente diversa, ritrovarsi nel bel mezzo di uno scontro tra un semidio e un protettore della natura, fuggire tramite un portale verso mondi e popoli lontani. Doveva vegliare su di lui e far sì che il lungo ed estenuante viaggio che li attendeva fosse per Jack il meno traumatizzante possibile. Lo guardò con dolcezza. Il suo corpicino, esile e slanciato, riposava in pace sul soffice letto d’erba con i folti e ondulati capelli neri districati sinuosamente. Prese dalla tasca un pezzo di stoffa bianco, il suo ricambio per gli avambracci, lo bagnò leggermente con la poca acqua rimasta nella borraccia e glielo posò sulla fronte. Doveva riposare e recuperare le forze. Per un giovane terrestre, la giornata era stata fin troppo movimentata. Si alzò guardandolo ancora una volta. Steso a terra, di fronte a lui, il salvatore della Grande Costellazione. Ritornò al ruscello a passi lenti e pieno di pensieri.

Immerse interamente il capo nelle gelide acque che, abitate da innumerevoli pesci dalle svariate tonalità brillanti, alleviarono il suo tormento. Il contatto, rigenerante, lo rilassò e gocciolante si sdraiò intento a recuperare anch’egli le forze.

Passarono un paio d’ore e il giovane riaprì gli occhi. Nel vedere le verdi chiome degli alberi stagliate nel cielo sussultò. Si guardò velocemente intorno impaurito. L’ambiente non era cambiato, era ancora lì, in quello strano bosco con gli alberi dai tronchi contorti. Alla sua sinistra, una ventina di metri più in là, lo strano individuo stava riempiendo la sua borraccia.

Il corpo non gli doleva più. Cullato dalla natura, Jack aveva recuperato le forze, o almeno la maggior parte. Qualcosa di umido era poggiato sulla sua fronte e spaventato portò subito la mano per levarselo. Era un semplice pezzo di stoffa bianca e, nell’afferrarlo con così tanta violenza, si sentì uno stupido nell’accorgersi poi di cosa si trattasse. In qualche modo, quel pazzo si era preso cura di lui senza fargli del male. Si voltò nuovamente, l’astro lo stava fissando.

Gli occhi del primo, fissi in quelli del secondo. Fu intenso, quello sguardo valse più di mille parole e Jack, improvvisamente, sentì sciogliersi il nodo che gli attanagliava lo stomaco. Santos si alzò lentamente, sbatté con decisione le lunghe mani affusolate sulle sue vesti scacciandone via la polvere per poi dirigersi verso di lui.

«Come stai?», si limitò sorridendogli.

Jack non riuscì subito a rispondere, lo guardò ancora per qualche istante e dopo un leggero respiro mandò giù gli ultimi timori.

«Bene… Credo…» rispose spaesato.

«È normale, il tuo corpo non è abituato a questo genere di trasporto».

Il giovane lo guardò con la bocca socchiusa, incapace di decifrare la situazione.

«A cosa ti riferisci?». Nel dirlo, affiorò sfocata l’immagine della luce da cui era stato risucchiato. Un brivido gli percorse le gambe fino alla schiena.

«Al portale con il quale siamo riusciti a fuggire!».

Un mattone gli bloccò il respiro. Quelle parole, a confermargli la veridicità di tutti gli eventi successi.

«Non ti seguo»

«Siamo su Abram, Jack! Uno dei nove pianeti della Grande Costellazione.»

«Ma co… Come abbiamo fatto?» balbettò.

«Tramite un portale astrale. È così che ci si sposta da un pianeta all’altro» gli rispose l’astro, sorridendo per la sua ingenuità.

«Ora che ti sei ripreso, dobbiamo raggiungere Fati, la città principale di questo pianeta. Lì, mi metterò in contatto con una mia vecchia amica. Ci aiuterà!».

Nell'udire quelle ultime parole, il giovane sentì nuovamente riaffiorare l’enorme tensione che per poco lo aveva lasciato in pace. Avevano bisogno di aiuto e certo, nel sentirlo da una strana creatura forte come lui, la preoccupazione aumentò.

«Su alzati, ci aspettano tre giorni di cammino.», terminò l’astro.

«Ma non possiamo usarlo di nuovo questo portale?» gli chiese massaggiandosi i muscoli delle gambe ancora dolenti. Quella piacevole sensazione di benessere provata dopo il risveglio era ormai svanita nel nulla. Quelli, gli effetti dei viaggi astrali.

«No ragazzo, non posso. Per creare un portale astrale personale, si deve usare una quantità elevata di energia magica», vedendo la faccia perplessa di Jack, Santos continuò la sua spiegazione.

«Noi astri, essendo protettori della natura, abbiamo nel nostro corpo, oltre all’energia magica, anche l’energia naturale. Scorre dentro di noi e ci permette di controllare gli elementi da essa creata. Riusciamo così a entrare in contatto diretto con la nostra Grande Madre per ascoltarne i bisogni e proteggerla al meglio. Quella magica, invece, è un’energia molto ridotta. Appresa con la meditazione, ci dà la possibilità di usare gli incantesimi come la creazione dei portali astrali. Questa energia ha una durata limitata e variabile in base alla forza spirituale dell’individuo che la usa. Noi astri, purtroppo, non eccelliamo per questa dote. Esistono dei portali creati dalle sei divinità, ma purtroppo quelli di questo pianeta sono lontani.», terminò Santos non più scocciato nelle spiegazioni. Il giovane doveva ricevere più informazioni possibili per ambientarsi velocemente.

«Perché mi chiami Zeno?»

«Nella lingua antica delle sacerdotesse vuol dire salvatore.» rispose poggiandogli entrambe le mani sulle spalle con gli occhi spalancati fissi nei suoi. In quel momento, Jack trasalì. Qualcosa, nel suo interlocutore, era mutato lasciandolo a bocca aperta.

«I tuoi occhi…» balbettò.

«Sono diversi».

Le sue iridi erano tramutate dal primo incontro. Le svariate e mistiche sfumature violacee avevano lasciato il posto ad altre di un verde brillante.

Un sorriso pieno di comprensione lo avvolse tranquillizzandolo.

«È una delle caratteristiche tipiche della nostra razza».

Quelle parole lo rincuorarono, svelandogli l’ennesimo mistero. In quei pigmenti illuminati dai raggi del sole, il giovane percepì la tensione interiore dell’astro ma anche la forza e la solidità che lo accompagnavano.

«Dobbiamo andare, troppe domande attendono risposta». Terminò Santos stringendosi i logori pezzi di stoffa che gli avvolgevano gli avambracci.

Il giovane, vedendo la stanchezza sul suo volto, decise di non chiedergli più nulla. Di domande ne aveva ancora un'infinità ma sapeva che quello non era il momento giusto e così, senza proferir più alcuna parola, si alzò e lo seguì.

In quell'istante, il viaggio verso Fati ebbe inizio.

11

Le folte chiome verdi brillavano illuminate dal sole e gli immensi campi, ricoperti da un'infinità di fiori variopinti, si alternavano con meravigliosi ruscelli dalle trasparenti acque.

Jack, in silenzio da diverse ore, perso in quei colori. Per lui, nonostante l’ineguagliabile bellezza dell’ambiente circostante, la pace era ancora lontana. Sperava fosse tutto un sogno ma, in cuor suo, la realtà doleva.

Santos, immerso nei suoi pensieri, proseguiva tra gli alberi a pochi metri di distanza, svoltando saltuariamente e seguendo un percorso inciso nella sua memoria.

Il ragazzo era provato, mentalmente e fisicamente. Il suo pensiero volò lontano. Ritornò sulla Terra, da Stella. Il cuore gli ribollì come un vulcano.

Bella come non mai era lì, vicino all'entrata della scuola in compagnia delle sue amiche. Rideva. Uno sguardo veloce nella sua direzione, fugace, nascosto. Aveva un sorriso splendido e solo lui sapeva che un giorno, non definito, sarebbero stati insieme. Lo sperava più di ogni altra cosa al mondo. Voleva stare con lei.

Non sapeva spiegarselo. Ci aveva provato più e più volte a capirne il senso ma senza successo. L’attrazione verso quella ragazza, così semplice e misteriosa, lo aveva travolto dal primo incontro. Si era insultato infinite volte per non aver mai trovato il coraggio di farsi avanti. Avrebbe voluto provare a parlarle almeno una volta, giusto per guardarla diritta negli occhi e sorriderle. Mai ci era riuscito, la paura e la vergogna avevano sempre preso il sopravvento anche in quelle rare occasioni in cui, deciso più che mai, ci aveva provato.

Come un lampo, balenò nella sua mente un terribile pensiero che, in un secondo, lo bloccò. Quella che stava vivendo era la cruda realtà e, come tale, lo aveva separato da sua madre, dal suo caro amico Max e dalla stupenda ragazza della seconda B. Non c’erano soluzioni, si trovava in un altro pianeta e, al sol pensiero, il sangue gli si gelò nelle vene. La folle situazione in cui si trovava superava ogni immaginazione e un dolore profondo, dallo stomaco alle tempie, lo invase.

«Tutto bene ragazzo?» domandò preoccupato l’astro poggiato a un grosso albero poco più avanti.

«Sì…».

Malinconico, Jack alzò lo sguardo al cielo. Tra le possenti e lattee nubi, le immagini delle tre persone a lui care apparvero sbiadite per pochi secondi per poi, veloci, svanire nel nulla.

«Andiamo!», terminò cercando di scacciare via quei nostalgici pensieri.

Santos sapeva, non ci voleva un mago per capirlo. In quei grossi occhioni verdi dalle sfumature grige, si leggeva la verità. Decise di non far domande e di lasciare al giovane il tempo che gli serviva per metabolizzare ogni cosa con la speranza che questo prima o poi accadesse.

Fino a pochi giorni prima, la sua vita era normale. Gli era capitato molte volte di immaginarsi con Max in avventure fantastiche piene di creature magiche dai mille poteri. Ma per un assurdo motivo, la realtà aveva superato l'immaginazione risucchiandolo in un'avventura ancora tutta da scrivere.

Santos, nel vedere il suo protetto in quelle condizioni e ormai il sole scendere dietro alle montagne, decise di fermarsi. Avevano camminato per ore e riposare era quello che serviva a entrambi.

«Passeremo qui la notte», si limitò. Voleva lasciargli i suoi momenti. Non sapeva come ci si doveva comportare con un ragazzino di sedici anni, perlopiù terrestre. Queste cose non facevano parte degli insegnamenti appresi all’accademia e, per non peggiorare la situazione, non si pronunciò ulteriormente.

Jack annuì, sdraiandosi accanto a un grosso salice piangente. In quel luogo incantato, erano seminati ovunque, rendendo il paesaggio ancor più fantastico. I muscoli dolevano ancora ma la sofferenza più forte veniva dal cuore, dal pensiero di aver perso ogni cosa. Era solo, non c’era più nessuno. I lunghi e intrecciati rami cadenti crearono una vera e propria cupola intorno a lui isolandolo da tutto il resto. Per quanto magnifico, l’albero, anche se nel pieno del suo vigore, enfatizzò il suo stato d’animo.

L’inquietudine non lo abbandonò ma dopo pochi minuti gli occhi gli si chiusero trascinandolo in un sonno profondo.

Lo scoppiettio del fuoco lo risvegliò, non sapeva per quanto avesse dormito. La sua mente si era riposata trovando un po’ di pace in un sonno senza sogni.

L'astro era accanto al fuoco, illuminato solo dalle fiamme della piccola brace. Tra le mani, alcune foglie dal colore indecifrabile mosse dal vento.

Decise di non alzarsi e di scrutare ancora l’individuo tra i lunghi rami che lo avevano riparato. Notevolmente più alto di lui e dalla fragile corporatura, gli sembrò senza spina dorsale. I capelli corvini, sciolti e liberi dalla piccola e logora pezza. Non troppo lunghi ma abbastanza da coprirgli la fronte, svolazzavano anch’essi schiavi della brezza.

«Hai fame?» gli domandò l'astro senza neanche voltarsi. Gli occhi, fissi sulla brace.

Come aveva fatto a percepirne lo sguardo?

Colto alla sprovvista, Jack subito non rispose rimanendo immobile.

«Credo di sì…», si alzò imbarazzato. Scostati con delicatezza i lunghi rami del salice, lo raggiunse lento per poi sedersi al suo fianco.

«Foglie di Seda!», fiero, Santos gliene porse una verdastra sorridendogli.

Il giovane la prese, la guardò per un secondo e per non offendere l'astro la mise in bocca senza fare domande.

Il gusto fu orribile. Aspra e acida, la foglia gli bruciò palato e gengive.

Si alzò disgustato. Voleva sputarla immediatamente ma fu subito bloccato dal compagno.

«Devi aspettare qualche secondo, poi vedrai che ti piacerà!», scoppiò a ridere Santos. Jack, paonazzo, lo ascoltò trattenendo un conato per poi risedersi goffamente.

Improvvisamente però, quella terribile amarezza svanì, lasciando il posto a un sapore dolce e leggero.

«Ma…?», sorrise stupito.

Soddisfatto, Santos gliene porse un’altra. La seconda non fu amara ma con un gusto paragonabile alla carne.

«Com’è possibile?» domandò Jack strabiliato.

«In natura, le foglie di Seda sono visibili solo a noi astri. Doni della nostra Madre Terra, sostituiscono ogni cibo animale esistente a noi estraneo. Due di queste equivalgono a un pasto completo e assumono il sapore dei cibi che desideriamo.» spiegò Santos, massaggiandosi lo stomaco appagato.

Jack, sentendosi improvvisamente sazio, annuì meravigliato. Non aveva mai provato nulla di simile.

«Cerca di riposare…», così dicendo l'astro raggiunse un piccolo alberello poco distante e si sdraiò. In pochi secondi, riuscì a trovare la giusta posizione tra i tronchi intrecciati, si voltò l’ultima volta e, con un leggero cenno del capo, gli augurò la buona notte. Troppe domande lo attanagliavano e, temendo le risposte, chiuse gli occhi e prese sonno.

Jack, con lo sguardo perso tra le fiamme ardenti della brace, si staccò da tutto cercando di trovare un equilibrio interiore. Non fu facile, ma dopo pochi minuti, ipnotizzato dalle piccole lingue di fuoco e avvolto dal calore, sentì salire una stanchezza che quasi aveva dimenticato. Dolce e penetrante, lo cullò rilassandone ogni parte del corpo.

Dopo una manciata di minuti, si addormentò accompagnato dai rumori ritmici dei torrenti circostanti accanto al tepore.

Un fruscio gli disturbò il sonno e veloce aprì gli occhi scrutando nel buio. Della luce della brace, ridotta solo più a un cumulo di ceneri incandescenti, nessuna traccia.

Proprio dove l'aveva lasciato, Santos stava dormendo tranquillamente.

Jack prese un sasso poco distante e spaventato lo tirò nei cespugli.

Il fruscio aumentò e dalle verdi chiome uscì una piccola figura.

«È questo il modo di presentarsi giovane terrestre?», sbraitò la sagoma.

«Come puoi essere un eroe se non conosci neanche le buone maniere?», continuò barcollando.

«E tu chi sei?». Nel vederlo massaggiarsi la testa, Jack sorrise.

Non più alto di venti centimetri, lo lasciò a bocca aperta.

«Chi sono io? Chiede pure chi sono io. Ma tu stai scherzando spero! Sono Boris, il capo dei folletti che abitano questo bellissimo pianeta!» brontolò infastidito più che mai guardandolo in cagnesco.

«Razza di sconsiderato… Chi sono io ha chiesto!»

«Vedo che vi siete già conosciuti», li raggiunse Santos.

«Giovane astro, come te la passi? Fatto buon viaggio?» domandò Boris sedendosi su un piccolo sasso.

«È andata».

Bastò quella fredda risposta e il folletto capì.

«Hai portato tutto con te?» domandò severo il protettore della natura.

Il piccolo amico di certo si aspettava un’altra accoglienza.

«È tutto dietro ai cespugli, non manca nulla.» rispose imbronciato.

Jack osservò la scena in silenzio ancora meravigliato dalle sue gnomiche misure.

«Bene». L'astro andò dietro i cespugli, tornandone dopo pochi secondi con una grossa e vecchia sacca beige.

«Su, vestiti!». La tensione si percepiva in ogni sua parola.

«Attireresti troppo l'attenzione in città, dobbiamo mantenere il tuo arrivo segreto», così dicendo, andò a raccogliere le proprie cose ai piedi dell’alberello dai tronchi intrecciati.

Sorpreso, Jack aprì la sacca e ne tirò fuori il contenuto. Un paio di pantaloni neri apparentemente stretti, una lunga e consumata maglietta grigia avvolta da piccole corde di canapa e un logoro mantello nero con il cappuccio erano i suoi nuovi indumenti. Infine, nella juta stropicciata, rimasero solo più un paio di stivali neri e rigidi dalle cinghie argentate.

«Devo metterli?» domandò tenendo in mano la maglietta grigia che, a parer suo, doveva aver vissuto giornate migliori decenni prima.

«Sì!», lo guardò severo l'astro.

«Credete che con questi passi inosservato?».

Quei vestiti sembravano usciti da un museo medievale o da un libro fantasy.

«Non fare storie giovanotto!», s’intromise burbero Boris percependo lo stato d’animo dell'amico.

Senza via d’uscita, Jack iniziò a spogliarsi togliendosi i suoi adorati jeans e la sua inseparabile quanto puzzolente maglietta, per poi vestirsi.

I due sorrisero compiaciuti nel vedere il cambiamento apportato dagli indumenti. Ora, era un vero abitante della Grande Costellazione.

Il ragazzo era lì davanti a loro con il capo chino sulle vesti.

«Come funziona questa strana maglia?» domandò tirandone le corde di canapa da una parte all’altra senza successo.

«Vieni qui», Santos gli si avvicinò e con fare paterno passò le piccole cime nelle apposite asole quasi invisibili. Così, in pochi secondi, l’utilità di quelle strane cordicelle si manifestò. La larga maglietta grigia dalle lunghe maniche gli si attaccò al corpo stretta dalle corde. Ora l’effetto era totalmente diverso e nel guardarsela indosso, Jack sorrise. Gli piaceva, gli dava quel tocco dark medievale che attribuiva alle sue fantasie quando, con l’amico Max, immaginava mondi lontani.

«Iniziamo a ragionare», sorrise allungando davanti a sé le braccia per ammirare il cambiamento. Le piccole cordicelle di canapa serpentavano intorno al busto avvolgendosi poi sulle braccia per terminare sui polsi, lasciando liberi solo gli ultimi centimetri della stoffa grigia che, strappata qua e là, gli accarezzava la parte inferiore delle mani. A dargli il tocco finale, lo scollo a v dai bordi tagliuzzati che lasciava scoperta la parte superiore dei piccoli ma definiti pettorali.

A terra, solo più lo scuro mantello. Lo raccolse entusiasta e, dopo averlo scrutato da cima a fondo, ci si avvolse dentro sentendosi più grande di quel che era, ignorando la secchezza e lo sgradevole odore dei tessuti.

«Tira su il cappuccio», lo invitò impaziente l’astro.

Jack ubbidì. Il contatto non fu piacevole. Il tessuto granelloso gli coprì il volto fin sotto il naso e istintivamente, lo tolse infastidito.

«Non vedo nulla e mi manca l’aria.», si lamentò boccheggiando.

«Tiralo su…» cantilenò Santos alzando gli occhi al cielo.

Boris ghignò da sotto la sua lunga e folta barba grigia. Vedere l’amico alle prese con un adolescente era uno spettacolo insolito quanto divertente.

Jack sbuffò e ubbidì nuovamente. Il fastidio sul viso fu il medesimo e dopo pochi secondi l'aria mancò.

«Santos non ti sto mentendo, non vedo e non respiro.» reiterò il giovane alzando le braccia.

«Aspetta!».

Jack, arreso, annuì. Subito dopo, la secca stoffa davanti al suo volto si sfilò lievemente creando così una fitta rete. Sorpreso, sorrise. Improvvisamente riuscì a vedere e l’aria, fresca e rigeneratrice, iniziò a filtrare tra i filamenti regolandogli il respiro.

«Fantastico!» esclamò incredulo.

Davanti agli occhi soddisfatti dei due compagni di viaggio, il giovane terrestre aveva lasciato il posto a una figura irriconoscibile.

«Perfetto, possiamo andare», tagliò corto Santos stringendo le mani sulla sua cinta. Si vedeva, per quanto volesse nasconderla, la tensione nei suoi gesti.

«Ma…», il giovane guardò la sacca spostando poi il suo sguardo verso Boris.

Subito non ci aveva fatto caso ma ora, il dubbio sul come un essere così minuscolo avesse potuto trasportare un peso del genere lo incuriosiva.

«Insolente!» ruggì il folletto.

«Magia ragazzo mio, magia», s’intromise Santos sorridendo.

«Non sai con chi hai a che fare, stolto di un terrestre.», continuò Boris paonazzo.

«Scusami…», provò a giustificarsi Jack, non aspettandosi una reazione del genere.

«Mi sottovaluti giovane. Non commettere questo stupido errore. In molti sono caduti sotto la mia forza».

Santos trattenne a stento una risata. Il suo caro e piccolo amico stava come al solito esagerando. Era nel suo essere, non poteva fare a meno di esaltare le proprie doti e, quando possibile, di intimorire gli altri. Quello, solo uno specchio per le allodole, una maschera che indossava per il proprio piacere.

«Questa è la prima e ultima volta che tu, piccolo essere mingherlino, ti rivolgi a me con questo tono. In molti sono stati puniti per aver mancato di rispetto al grande Boris, re dei folletti dell’Ovest delle terre di Abram.», continuò il suo piccolo teatrino stringendo i pugni e perdendo leggeri sprazzi di saliva qua e là.

«Non volevo offenderti»

«Ma l’hai fatto!» ruggì il re dell’Ovest.

«Calmati amico mio. Zeno non voleva offenderti ma nel mondo da cui proviene, la magia è assente. Ricordi?», lo guardò l’astro sorridendogli.

«Già…», si contenne il piccolo essere tirando fuori da sotto le vesti un piccolo bastoncino.

«Questa è la mia fedele compagna», continuò minaccioso.

Jack, nel vedere quel minuscolo legnetto lungo meno del suo mignolo, capì che doveva essere una sorta di bacchetta magica o qualcosa di simile.

«Ne siamo consapevoli e Zeno si scusa per la sua leggerezza.», concluse Santos facendo da paciere.

Il ragazzo annuì, rivolse nuovamente lo sguardo verso il piccolo folletto e si lasciò scappare un leggero sorriso da sotto il cappuccio. Aveva percepito nelle parole di Boris non la forza e la paura che voleva trasmettergli ma una simpatia particolare. Gli erano bastati pochi minuti al re dell'Ovest per essere capito realmente e il comportamento tranquillo di Santos ne era la prova.

Per quanto duri e minacciosi, i suoi discorsi cozzavano pienamente col suo minuto e simpatico aspetto, ricordando uno di quei pupazzi presenti nelle slot machine dei luna park. Ovviamente, questo non poteva dirglielo se non voleva mandarlo nuovamente su tutte le furie.

Gli piaceva e si ripromise di non offenderne più l'orgoglio cercando di conoscerlo meglio.

I tre raccolsero tutte le loro cose e, aggrappati alla speranza, ripresero il viaggio verso Fati, la città del mercato.

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Yaş sınırı:
18+
Litres'teki yayın tarihi:
21 ağustos 2020
Hacim:
570 s. 1 illüstrasyon
ISBN:
9788893985468
Telif hakkı:
Tektime S.r.l.s.
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