Kitabı oku: «Lo Spirito Del Fuoco», sayfa 7

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I raggi del sole erano già caldi. Infastidito dalla luce, Jack aprì gli occhi.

Stordito, si guardò intorno. Tonde pareti turchesi, non troppo alte, terminavano in un affascinante soffitto a cupola sul quale, dipinto perfettamente, un cielo di un blu profondo ne era padrone.

Il semplice arredamento, raffinato e dal tocco femminile, rendeva il tutto caloroso e familiare.

Un grazioso tavolino bianco dalle gambe intrecciate poggiava sotto un’enorme finestra alla sua sinistra. Filtrando tra le lunghe tende color panna, i raggi del sole entravano delicati.

Dove si trovava?

Nella sua mente, frammenti d'immagini sfocate e incomprensibili.

Si voltò.

Alla sua destra, una credenza dalla grande specchiera dominava dall’alto l’intera stanza e nel guardare la propria immagine riflessa nello specchio, si sentì vuoto e prosciugato da ogni energia.

A stento si riconobbe. Il volto pallido e scavato e i capelli arruffati lo sconvolsero.

Dell'atletico ragazzo, ormai nessuna traccia.

Se solo pochi giorni lo avevano ridotto in quelle condizioni come avrebbe potuto affrontare quell'infausto destino?

Cercò di scacciare via quella pessimistica idea alzando gli occhi al cielo.

Il soffitto presentava molteplici oggetti appesi a piccole e luccicanti catene e nel vederli, ignaro di cosa fossero, si perse tra i loro colori sgargianti riuscendo così ad alleviare la forte emicrania.

Il tempo che passò non riuscì a quantificarlo ma, ripresosi dall'incanto dei riflessi variopinti, levò con delicatezza le candide coperte che lo avevano avvolto. Provò ad alzarsi.

Riuscì a malapena a mettersi diritto sulle gambe prima che una lancinante fitta al petto, seguita da forti vertigini, lo costrinse con decisione a sprofondare nuovamente nel soffice materasso.

Non capì.

Cosa gli era successo e dove si trovava?

Di Santos, lo strano individuo che lo aveva trascinato in quel luogo, neanche l'ombra.

Che lo avesse abbandonato definitivamente?

Forse si era sbagliato nel crederlo il salvatore e, una volta accortosi dell'errore, se ne era subito liberato.

Il respiro aumentò. Agitato, chiuse gli occhi cercando di portare alla luce ogni cosa.

Dopo una manciata di minuti, nel buio dei suoi ricordi, come lampi balenarono improvvisamente alcune immagini sfocate, anticipate però da un’innaturale voce metallica. Dei brividi gli percorsero la schiena facendolo tremare, poi nulla.

«Finalmente hai riaperto gli occhi», apparve Santos sul ciglio della porta di fronte a lui.

«Avevo chiesto a Boris di tirare le tende per permetterti di riposare ancora un po’ ma, a quanto vedo, se n'è scordato», continuò non ricevendo alcuna risposta.

Vedere il maestro lo bloccò e avvolto da strani sentimenti, un sorriso gli illuminò il volto.

Non lo aveva abbandonato ma era lì a prendersi cura di lui.

Si sentì uno stupido nell'aver dubitato e imbarazzato arrossì di gioia.

«Vedo che sei di buon umore» osservò il maestro ricambiandogli il sorriso.

Senza pensarci, Jack provò nuovamente ad alzarsi ottenendo però lo stesso e dolorante risultato.

«Hai dormito per due giorni Zeno. Non ti preoccupare, i dolori che senti sono normali. Il tuo corpo è stato sottoposto a uno sforzo che in pochi avrebbero superato».

Nella sua mente, un’infinità di domande.

«Rilassati e riposa ancora se ne senti il bisogno. Partiremo quando sarai pronto».

Jack annuì, desideroso di rimettersi il prima possibile.

«Se hai fame troverai del cibo sul tavolo in cucina». Santos svanì nel buio del piccolo corridoio richiudendosi la porta alle spalle.

Era stato un colloquio veloce e sintetico ma vitale per farlo riprendere emotivamente. Jack restò per qualche minuto a fissare il cielo dalla finestra ammirandone ogni dettaglio.

Azzurro, calmo e con qualche grossa e morbida nuvola sparsa qua e là, lo tranquillizzò. In quel posto così lontano, tutto sembrava avvolto da un'aura particolare e con lo sguardo fisso nel manto celeste, trovò la pace.

Quello, un momento importante per la sua crescita. Finalmente, per la prima volta, stava accettando la sua situazione pronto a viverla concretamente nonostante l'enorme paura.

Quando decise di alzarsi, le vertigini lo colpirono nuovamente ma con meno intensità. Con stupore, riuscì ad attraversare la stanza.

Superato il piccolo corridoio nella penombra, raggiunse la cucina.

Sulle pareti turchesi, all’altezza degli occhi, lunghe file di candele fluttuanti illuminavano l’arredamento.

Molto più spaziosa e priva di finestre, lasciò il giovane spaesato. Due credenze, piene di ampolle dalle svariate misure contenenti ambigui liquidi dai mille colori, riempivano la parete alla sua destra. La fila di candele deviava il suo percorso alzandosi per superarle, creando così strani giochi di ombre. Accanto alla parete opposta, un meraviglioso tavolo rotondo dalle accurate decorazioni incise nel legno coperto da una soffice tovaglia bianca. Su di essa, poggiavano una piccola tazza di tè e un cestello con dei biscotti. L’odore gli invase le narici. Appena sfornati e ancora fumanti, i dolci lo riportarono indietro nel tempo quando, a pochi anni, passava i pomeriggi a casa dell’adorata nonna ormai scomparsa. Quello, un ricordo al quale era molto legato. L’anziana donna, ogni pomeriggio gli preparava la merenda con amore per poi portarlo al parco a giocare fino all’arrivo della madre.

Affamato, si sedette e cominciò a mangiare con foga. In pochi secondi, della ventina di biscotti rimasero solo più le briciole. Con la bocca impastata, si scolò l'intera tazza bollente ustionandosi la lingua.

«Sono felice che ti siano piaciuti» disse una voce femminile alle sue spalle.

Il cuore gli sobbalzò. Quella voce, sensuale, penetrante e metallica, l’aveva già sentita e in un secondo le immagini di quel che era successo gli invasero la mente.

Spaventato, si voltò lentamente con la bocca ancora ricoperta dalle briciole.

Nel vederla perse il fiato. Bellissima oltre ogni immaginazione, Aura lo guardò teneramente. Brillava della stessa luce dei fiori che aveva visto nei boschi durante il viaggio per Fati e che tanto lo avevano affascinato. La pelle, di un azzurro chiaro quasi trasparente, era ricoperta qua e là di minuscoli cristalli luminosi. Gli occhi, color ghiaccio, rendevano un viso dai lineamenti perfetti, ancor più stupendo e incantevole.

A coprirle il sinuoso corpo, una semplice tunica di pizzo bianca legata in vita da un soffice nastro viola che terminava con un tenero fiocco sul fianco destro. La veste lasciava scoperte solo le caviglie, accarezzate da due semplici sandali chiari. I capelli, dello stesso colore degli occhi, scendevano morbidi seguendo i delicati lineamenti del viso.

«Santos ti aspetta, il carro è pronto».

Jack annuì timidamente, era bellissima. Imbarazzato, si pulì la bocca con la manica della maglia per poi alzarsi goffamente colpendo il tavolo con le ginocchia. Provò a nascondere il dolore con una smorfia provocando così divertimento nella ninfa.

Nel guardarlo, Aura vide l’asprezza e la purezza della sua giovane età. Quello davanti a lei era poco più di un bambino, un blocco di ferro grezzo che doveva essere assolutamente forgiato. Confidava nelle abilità dell'astro ed era certa che da quell’involucro ne sarebbe uscito fuori un guerriero, il loro salvatore.

I muscoli non dolevano più e il giovane capì che, perso davanti alla finestra del cortile interno, aveva trascorso più del tempo che pensava.

«Questo ti appartiene», gli porse il mantello Aura. Se ne era completamente dimenticato. Lo prese e con un filo di voce ringraziò la ninfa impegnandosi in un buffo inchino. Imbarazzato, si diresse verso l’uscita nella stanza accanto. Lei rimase lì, immobile e fiduciosa, si lasciò andare in un sorriso carico di sentimento.

Anche se la minaccia era dietro l’angolo, in un modo o nell’altro, tutti riuscivano ancora a sorridere. Non dovevano abbattersi ed era in quei piccoli gesti che dovevano trovare sempre e comunque la forza di ridere. Zeno aveva bisogno di persone forti al suo fianco e in grado di condurlo lungo il cammino.

Avvolto dal logoro mantello, aprì la porta.

Il sole alto lo accecò e rapido chiuse gli occhi infastidito.

Ritrovarsi nuovamente prigioniero di quel pezzo di stoffa nero lo angosciava. Voleva inspirare a pieni polmoni, lasciare liberi i capelli al vento e godersi il calore di quella splendida giornata. Purtroppo però era pericoloso e in alcun modo, nessuno doveva notarlo.

Stava scendendo l’ultimo dei tre gradini ancora incredulo dall'angelica visione quando, senza pensarci, sentì il bisogno di voltarsi per vederla ancora una volta. Ma alle sue spalle, la grossa porta in legno era già chiusa. Dispiaciuto, si voltò raggiungendo i due compagni distanti pochi metri.

«Ma insomma, ti vuoi muovere?» brontolò Boris dal carro.

Scombussolato, Jack non fece caso al nuovo mezzo di trasporto davanti ai suoi occhi. Non aveva mai visto nulla di più mistico e affascinante e ora, le poche immagini di Aura, gli riempivano la mente estraniandolo da quel che lo circondava.

Santos si limitò in uno sguardo. Sapeva che per un essere umano, abituato a convivere solo con individui della stessa razza, ritrovarsi davanti a una ninfa non era facile. In più, la sua bellezza era superiore alla norma e questo rendeva il suo incontro con il giovane ancor più speciale.

«Sveglia bambolotto!», continuò Boris senza dargli tregua.

Jack scosse il capo nel tentativo di riprendersi. Davanti a lui, un carro di legno poggiava su due grosse e consumate ruote metalliche. Il tutto, legato a due piccoli cavalli bruni dall’aspetto tutt’altro che rassicurante. L’astro gli fece cenno di salire. Il giovane gli si sedette a fianco voltandosi per l’ultima volta verso la piccola dimora della ninfa.

Con l’immagine ancora fresca di Aura e spinti da sensazioni diverse tra loro, i tre compagni lasciarono la piccola piazza dalla fontana a forma di pesce per perdersi nelle strette vie che portavano al distretto del mercato.

Santos, innamorato perdutamente, aveva comunque deciso di non esprimerle in alcun modo i suoi sentimenti. Non era il momento e non voleva soffrire più del dovuto. Il sol parlarne li avrebbe resi tremendamente reali. Per ora li lasciava lì, tra i ricordi e i sogni, nella speranza di un futuro diverso, migliore.

Dopo aver viaggiato in lungo e in largo, conosciuto genti e affrontato battaglie, aveva deciso di far ritorno a casa spinto dalla voglia di rivedere la sua amata dopo lunghi anni di assenza. Se per Aura rivederlo era stato un caso, per lui, di certo no. L’aveva cercata per settimane, raccolto informazioni e poi, con fatica, l'aveva trovata senza però aver il coraggio di andarle subito a parlare. Aveva passato giornate intere a osservarla nascosto nell'ombra vergognandosi per la sua codardia. Poi, proprio quando la forza di farsi avanti si era concretizzata, come una tempesta era arrivata la chiamata dal Gran Consiglio e l’assegnazione di quell'importante missione.

Al contrario dei suoi compagni, il folletto era rimasto fortemente turbato dalla visione della ninfa, scosso dai timori che si portava dietro da anni e che non lo avevano ancora abbandonato.

Le piccole e tortuose vie si susseguirono l’una dopo l’altra in un labirinto dallo sfondo violaceo. Si trovavano ancora nel primo distretto e a breve avrebbero raggiunto il secondo.

Prima dell'arrivo dei mercanti, su Abram non esistevano città. Ninfe, folletti, auri e astri vivevano a stretto contatto con la natura, immersi nel verde del loro pianeta.

Poi, quando una grossa carovana composta da un centinaio di mercanti di diverse razze raggiunse quel piccolo paradiso, gli scontri fra le due fazioni furono inevitabili.

Per proteggere le proprie ricchezze e spinti dalla sete per il denaro, i mercanti avevano assoldato numerosi mercenari e così, nel giro di pochi mesi, le perdite da entrambe le parti furono elevate.

Ma un giorno, fortunatamente qualcosa cambiò. Atria, regina delle ninfe, conscia del disastro concesse ai mercanti la possibilità di svolgere il proprio lavoro assegnandogli un grosso territorio. Dopo diversi anni, mattone su mattone, sarebbe nata Fati, comunità dei mercanti nel pianeta delle ninfe.

Con il trattato di Serenità, gli stranieri s'impegnarono a mantenere i loro affari all'interno delle mura della città, mentre gli abitanti di Abram a non invaderla con la forza.

Così, dopo interminabili mesi di sanguinose battaglie, gli scontri cessarono e la pace ritornò aiutando la prosperità del piccolo mondo.

In molti, tra le varie razze autoctone, la giudicarono una pesante sconfitta ma per il quieto vivere, nessuno osò contrastare quell'importante decisione.

Poi, con il passare degli anni, gli astri abbandonarono progressivamente il pianeta spinti dall’innata voglia di conoscenza. Solo in pochi rimasero su Abram continuando a proteggere la natura e formando nuovi protettori ogni anno.

Con il passare del tempo, la fama del mercato crebbe velocemente attirando sempre più stranieri in cerca di fortuna. Da poche e semplici capanne e con l’aumentare costante dell’afflusso di visitatori, nacque una vera e propria città circondata da alte e spesse mura. Molte ninfe, attirate dalla vita cittadina, lasciarono i boschi trasferendosi a Fati, costruendo così un vero e proprio sobborgo adiacente al mercato. Questo, inevitabilmente, portò a un'integrazione maggiore e a un equilibrio più forte tra le razze che abitavano quell'ormai grande metropoli.

Le differenze tra i sei distretti, tre delle ninfe e tre dei mercanti, rimasero negli anni comunque molto evidenti. Dai palazzi a pochi piani dalle pareti violacee e dai candidi tetti a cupola, si passava, nel giro di poche vie e di piccole mura, a grossi agglomerati di abitazioni costruite in pietra e dalle forme tozze e poco curate. In quei distretti non c’erano colori dominanti. Ogni palazzo presentava tinte e strutture diverse creando così un miscuglio caotico ma dal carattere affascinante.

Aura, come molte altre, aveva rinunciato alla vita nei boschi aprendosi un piccolo negozietto nel quale, con passione, vendeva antiche pozioni dalle diverse proprietà. Si era allontanata dalle tribù delle foreste per evadere dalle dure regole della società. Aveva sentito, piena di rancore, il forte bisogno di voltare pagina, di rinnegare le proprie origini e vivere quasi nell’ombra e nella riservatezza. Odiava quei dogmi ma non poteva far altro se non distaccarsi civilmente seguendo l’onda delle sue sorelle che avevano deciso, per svariati motivi, di abbracciare il nuovo stile di vita straniero.

Il carro svoltò per l’ennesima volta in una piccola via dagli alti palazzi, ritrovandosi così in un’enorme piazza circolare.

Perso nei suoi pensieri, Jack non si era accorto del lungo tragitto e solo il forte tremore, provocato dallo scontro della ruota con una pietra, lo riportò alla realtà.

«Siamo nel secondo distretto, il centro della città delle ninfe» gli spiegò Boris appollaiato comodamente tra le provviste alle sue spalle.

Mostrarsi sapiente e pronto a ogni spiegazione, un piacere irresistibile per il suo sconfinato ego.

Anche la grande piazza, come tutte le altre, nel centro presentava una fontana e inevitabilmente, Jack ne rimase incantato.

Quattro ninfe, scolpite nella roccia e alte una decina di metri, poggiavano le nude schiene su un alto albero marmoreo dalle sfumature verdastre.

Ogni singolo dettaglio, notevolmente minuzioso, la rendevano la più bella fontana mai vista.

Con le braccia sollevate verso il cielo, le ninfe reggevano grosse ampolle dalle quali, brillante e cristallina, l’acqua sgorgava allegra. I giochi di luci e di ombre che si creavano sotto i raggi del sole, frutto di uno studio senza eguali.

«Alza lo sguardo giovanotto!» gli suggerì Boris visibilmente compiaciuto.

Jack ubbidì e nei suoi occhi, lo stupore crebbe togliendogli il fiato.

Oltre la piazza, dopo una fila di piccoli palazzi, in lontananza imponenti torri azzurre alte un centinaio di metri si ergevano dominando la città e per quanto stupenda, la fontana passò subito nel dimenticatoio.

Le aveva viste varcati i cancelli nel primo distretto ma nel ritrovarcisi così vicino, si sentì minuscolo in confronto, quasi indifeso e fuori posto.

«Cristallo azzurro di Abram.» spiegò il folletto fiero più che mai.

Santos, fino a quel momento rimasto in silenzio, sorrise dando un leggero colpo di redini ai due piccoli cavalli. Vedere il ragazzo distratto e sempre più vicino a Boris lo tranquillizzò.

Con gli occhi luccicanti, Jack si voltò verso il piccolo compagno in cerca di ulteriori spiegazioni.

«Queste torri sono costruite interamente in cristallo e sono le sedi del comune. Da qui, vengono governati i primi tre distretti».

Si affrettò il folletto quasi non aspettasse altro.

Jack non rispose e, colmo di emozioni, si lasciò sprofondare con la schiena nel sottile sedile perso verso l'orizzonte.

«Come vedi sono sei e ovviamente, non è un caso!».

La voce del piccolo amico, il giusto sfondo a quella meraviglia.

«Costruite insieme alle fondamenta dei tre distretti delle ninfe, sono un omaggio alle sei divinità primordiali creatrici dei mondi e dei loro abitanti!».

Disposte circolarmente, quattro formavano gli angoli laterali di un pentagono mentre la quinta, leggermente più grande, chiudeva la geometria in punta. Al centro, quella più alta e imponente di tutte, fulcro reale del complesso.

«Potrai sicuramente capire che quella centrale rappresenta Ashar, padre indiscusso del creato e davanti, a indicargli il giusto cammino, c’è la saggia e potente Venia. A proteggerli, le altre quattro formidabili divinità».

I colori diversi, con i quali i pinnacoli più alti delle torri erano dipinti, lo aiutarono subito a capire la spiegazione e senza accorgersene, s'incantò sul rosso brillante della torre centrale.

Un improvviso richiamo, la dilatazione delle pupille e il battito del cuore più veloce lo estraniarono per alcuni secondi da tutto.

Santos se ne accorse all'istante. Veloce lo colpì con una gomitata nelle costole.

Jack si riprese subito e massaggiandosi il fianco, lo guardò spaesato. Quei pochi secondi, confusi più che mai.

«Scusami, non me ne sono accorto!», mentì l'astro sorridendogli e alzando le spalle.

Non poteva permettere in alcun modo che il giovane terrestre si perdesse con la mente, doveva tenerlo saldo alla realtà.

Non sapeva esattamente come affrontare il suo potere ma di certo, lasciarlo nei meandri della sua anima non era d'aiuto.

Confuso, Jack riportò lo sguardo verso le torri di cristallo alte quasi fino alle nuvole.

Quello, un chiaro segno della ricerca costante di un contatto da parte delle ninfe con i propri creatori.

Il carro oltrepassò l’ampia piazza per poi rituffarsi negli stretti vicoli e le strade, quasi deserte, si snodarono una dopo l'altra serpentando tra i piccoli edifici. Gli altri due distretti furono la fotocopia del primo, e il lento e costante tremolio della piccola carrozza accompagnò il sonno del giovane.

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«Guarda dove vai!» urlò adirato un individuo incappucciato scostandosi goffamente.

«Mi scusi», si affrettò Santos fermando di colpo i cavalli con un'energica tirata delle briglie.

Il diverbio e il brusco arresto, lo svegliarono di soprassalto. Ancora con gli occhi pesanti, Jack si voltò verso il suo maestro.

«Tranquillo, va tutto bene», lo tranquillizzò l'astro poggiandogli un mano sulla spalla.

Dopo un lungo sbadiglio e un contorto allungamento delle braccia, il giovane si riprese dallo scomodo riposo.

Davanti a lui, fra i palazzi, alte mura tagliavano la città.

«Siamo arrivati nel quarto distretto. D'ora in poi, stai attento e non parlare con nessuno.», si premunì Santos ordinando nuovamente ai due piccoli cavalli di riprendere la marcia.

Jack annuì rannicchiandosi nel suo asfissiante mantello.

Per quanto gli avesse provocato un fastidioso mal di schiena, il riposo lo aveva rigenerato. In un miscuglio di ansia e curiosità, sospirò profondamente.

«Fammi spazio giovanotto!», lo spintonò Boris arrampicandosi sulla sua ruvida cappa.

«È meglio che stia nell’ombra anche io», così dicendo, si riposizionò nella tasca interna strizzandogli l’occhio in segno di complicità.

A pochi metri, un grosso arco univa le due spesse mura permettendo così il passaggio ai numerosi e quotidiani visitatori.

Alte una decina di metri, segnavano il confine tra i distretti abitati dalle ninfe e quelli del mercato. La chiave di volta raffigurava, scolpita nella roccia, una grossa testa di leone, simbolo che da sempre accompagnava i mercanti di Abram. Dal centro dell’arco, accoglieva con le fauci spalancate gli stranieri mettendoli in guardia su quel che potevano trovare all’interno. Con i mercanti di Fati, di certo non c’era da scherzare. Provenienti da antiche discendenze di commercianti, i cento fondatori avevano costruito la città con determinazione difendendola da ogni pericolo e allontanando gli ospiti indesiderati armi alla mano. Ottimi venditori, abili truffatori e criminali incalliti, questi erano i profili dei padroni della città.

Superate le mura, tutto mutò improvvisamente.

Su entrambi i lati del viale, lunghe file di bancarelle apparvero a perdita d'occhio in uno sfondo caratteristico e caotico.

Mercanti dai più strani lineamenti urlavano elogiando le proprie merci nel tentativo di attirare nuovi clienti con ogni stratagemma. Dalle deserte e strette vie dei distretti delle ninfe, in pochi metri, i tre compagni si ritrovarono in un ingorgo d'individui inimmaginabile.

Jack, con i timpani doloranti a causa dell'assordante vociare e con il naso tappato dall'aria pesante mista a sabbia, si sentì immediatamente mancare.

Con gli occhi frenetici e pieni di immagini, si voltò verso l'arco confuso fortemente.

Prima di attraversarlo, aveva solo visto un lungo viale totalmente deserto e ritrovarsi in quel caos lo aveva lasciato senza parole.

«Magia delle ninfe» gli spiegò Boris vedendolo in quello stato.

«Non hai da preoccuparti, non stai avendo delle allucinazioni. Incantesimo di occultamento allo stato puro. Grazie a esso, i confini tra i distretti rimangono costantemente tranquilli e le ninfe, abituate a una vita tranquilla, non risentono dell'immane frastuono dei mercati».

Nel ricevere quelle informazioni, Jack si tranquillizzò rasserenato. La sua mente stava bene e quelle che credeva fossero allucinazioni, fortunatamente, non lo erano. Ma il suo malessere non svanì del tutto. Di suo, aveva sempre odiato i posti affollati e in primo luogo i mercati. Non tanto per quel che c’era al loro interno ma per la moltitudine di persone che li frequentavano, rendendo il cammino una vera e propria agonia.

Fin da piccolo, dopo le prime esperienze in compagnia della madre, aveva mostrato una scarsa resistenza in quei luoghi portando così la donna a scegliere, a malincuore, di lasciarlo a casa ogni volta che lei ci andava.

Questa volta però davanti a lui non c'erano le poche bancarelle del mercato di Sentils ma una vera e propria città. Una città costruita con il solo e unico scopo di vendere.

Nonostante il suo forte disagio, anche il mercato lo lasciò senza parole. Splendenti e lussuosi palazzi, appartenenti ai mercanti fondatori, si ergevano tra le catapecchie che regnavano in ogni direzione. Non c’era una distinzione tra le zone povere e quelle residenziali, sintomo dello stesso stile di vita di tutti gli abitanti della metropoli.

Il piccolo calesse proseguì a fatica nel traffico e vicolo dopo vicolo, Jack ne rimase sempre più affascinato. Nani, elfi e altre creature che non sapeva identificare erano impegnate a contrattare ogni tipo di merce.

Alla sua sinistra, su una piccola bancarella gestita da due giovani elfi, vide numerose ampolle contenenti svariati animali immersi in liquidi dai colori più strambi. Provò, senza riuscirci, a immaginarsi l’utilità di quelle strane fialette tanto affascinanti quanto macabre. Insetti, ratti, pesci e altri animali a lui sconosciuti erano lì, privi di vita, galleggianti nei colorati fluidi chissà per quale strano motivo.

Poco più avanti, su un’enorme bancarella di un grosso e vecchio nano, un’infinità di armi poggiavano le une sulle altre sopra a vecchi e sporchi pezzi di stoffa. Asce, pugnali, coltelli, archi, lance, balestre, mazze chiodate e armature dalle diverse misure ne facevano un vero e proprio arsenale in grado di armare un centinaio se non più di soldati.

Il grosso e basso mercante urlava elogiando l’affidabilità e la qualità delle proprie armi, impegnato ad affilarne una contro un’apposita pietra circolare messa in moto da uno strano strumento a pedali.

Con gli occhi arrossati a causa della polvere alzata dalle migliaia di stivali in movimento, Jack si strofinò fortemente il viso da sopra la rete del mantello, andando così a peggiorarne il fastidio.

Quel cambiamento, così improvviso quanto eccitante, lo stava travolgendo ogni secondo di più alternando in lui diverse sensazioni. L'intenso e inebriante profumo di fiori dei primi tre distretti aveva abbandonato le sue narici ormai sature dei forti fetori presenti. Muffa, sudore, escrementi e altre orribili e sconosciute esalazioni non gli davano tregua e nonostante l'immensa meraviglia, un forte conato lo contorse sul piccolo e scomodo sedile.

«Profumo del mercato, caro mio!», scoppiò a ridere da sotto il mantello il barbuto folletto abituato, come l'astro, a quei nauseabondi fetori.

Nell'assistere alla scena, Santos si lasciò scappare un leggero sorriso felice di avere al suo fianco il piccolo amico.

Forse, tutto sarebbe andato nel migliore dei modi e nel vedere Boris così spensierato, capì che, nonostante la situazione, ridere non poteva di certo peggiorarla ma, al contrario, renderla più piacevole.

Per sfuggire a quell'insopportabile tanfo, Jack si strinse il cappuccio sul viso nel tentativo di filtrare il più possibile l’aria circostante. Con il passare dei minuti, capì che non tutti gli odori poi erano così cattivi. Alcuni, nuovi per le sue narici, si dimostrarono addirittura piacevoli donandogli così piccoli sprazzi di tregua.

«Hooo…», fermò di colpo il carro il suo maestro.

«Ho una faccenda da sbrigare, restate qui sul carro e non muovetevi per nessuna ragione.» ordinò l’astro scendendo dal calesse con agilità.

Jack, stupito da quell'improvvisa fermata, annuì da sotto il cappuccio, ben attento a tenerselo stretto sul viso.

«Tranquillo, è con me!» gli rispose di petto Boris sbucando leggermente dal mantello.

«Ed è per questo che mi preoccupo» urlò l'astro ormai avvolto dalla folla.

«Sfacciato che non sei altro!», s'infuriò il folletto strattonando i lembi rugosi della cappa.

Jack, nell’assistere all’ennesima scenetta, si lasciò scappare una lieve risata. Aumentò così la furia del piccolo re dell'Ovest, che paonazzo lo fissò seriamente.

«Ma chi si crede di essere?», continuò Boris offeso.

«Sono un re, non il primo scapestrato che gli si è parato davanti. Sono un re!».

Jack, nonostante il simpatico siparietto, smise di ascoltarlo. Nei suoi occhi, lo sguardo indecifrabile di Santos visto di sfuggita da sotto il cappuccio poco prima di essere inghiottito dal mare d'individui presenti.

Per quanto l’astro avesse provato a nasconderglielo, non era sfuggito. Qualcosa turbava il suo maestro, un qualcosa di intimo e profondo.

Tristezza?

Preoccupazione?

Non era riuscito a capirlo in uno sguardo così veloce e l'unica cosa che poteva fare era aspettare il suo ritorno.

Poi, nel mezzo della confusione, la sua attenzione si spostò su un acceso diverbio poco distante.

«Non scherzare, elfo, ne vale almeno il doppio!»

«Sono serio più che mai, nano! Nel mio pianeta costano quindici Pugni e se vuoi fregare qualcuno, di certo non sarò io!»

«Chiudi quella sporca bocca e apri le tue ridicole orecchie a punta: Brit non frega nessuno, hai capito, razza d’ignorante?»

«Non ti conviene alzare la voce, mercante, potresti ritrovarti con un pugnale conficcato nel collo senza accorgertene!» minacciò l'alto e mingherlino elfo portando la mano all'elsa legata in vita.

Di fronte a lui, quattro volte più largo e decisamente più basso, il nano lo fissò in cagnesco impugnando con sicurezza un'accetta dai bordi affilati.

«Non cambieranno mai… Zoticoni!», si lamentò Boris infastidito.

Ne aveva per tutti, sempre.

«Tieniti pure la tua merce, ladro di un mercante!» urlò infine l’elfo andandosene adirato. Il nano restò immobile e rosso dalla collera.

«Mantelli, mantelli signori! Ottimi mantelli di ogni taglia e per qualsiasi esigenza!» urlò improvvisamente un grosso e muscoloso individuo dal viso ricoperto da strani tatuaggi.

Jack, senza accorgersene, si voltò nella sua direzione. Nel vederlo, socchiuse gli occhi incredulo cercando di metterlo a fuoco nel migliore dei modi.

«È un umano?» chiese stupito.

«Quell'irresponsabile allora non ti ha detto proprio nulla!», scosse il capo Boris nell'ennesima predica.

«Mi ha parlato della Grande Guerra, di Marmorn e dell’esclusione della Terra dalla Grande Costellazione»

«Abbassa la voce… sciocco!», lo rimproverò l'amico cambiando subito espressione.

Nel vederlo così serio, Jack si portò le mani alla bocca spaventato.

Cosa mai aveva detto di così grave?

«Dovunque sarai e con chiunque mai parlerai, tieniti per te queste informazioni. E come cosa più importante, prima di ogni altra cosa non pronunciare più il nome del Re Nero! Hai capito bene?».

Jack, stupito da quella reazione, annuì sentendosi in colpa.

«Da molti anni ormai non se ne parla più. La gente vuole dimenticare, vivere in pace.»

«Anche sulla Terra ci sono state numerose e violente guerre con migliaia di caduti». Sospirò il terrestre, cercando di trovare le parole migliori. Con un filo di voce riprese.

«Ma tutte le nuove generazioni le studiano, leggono delle atrocità commesse in passato dai propri simili e non lo fanno per non vivere in pace ma per non dimenticare, per far sì che nessun altro ripercorra le strade di quegli assassini. Le si studia per ricordare e onorare i soldati morti in battaglia. Dimenticare vorrebbe dire infangare la memoria delle vittime che con coraggio hanno sacrificato la propria vita per salvare quella degli altri. Ti sembra giusto?», terminò non accorgendosi del tono di voce sempre più alto.

La pronta risposta di Boris morì tra le sue piccole labbra e, fissandolo diritto negli occhi, si bloccò.

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Yaş sınırı:
18+
Litres'teki yayın tarihi:
21 ağustos 2020
Hacim:
570 s. 1 illüstrasyon
ISBN:
9788893985468
Telif hakkı:
Tektime S.r.l.s.
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