Kitabı oku: «Arena Due »
Chi è Morgan Rice
Morgan Rice è l’autrice bestseller di APPUNTI DI UN VAMPIRO, una serie per ragazzi che comprende al momento undici libri; è anche autrice della serie bestseller TRILOGIA DELLA SOPRAVVIVENZA, un thriller post-apocalittico che al momento comprende due libri; è anche autrice della serie fantasy epica L’ANELLO DELLO STREGONE, che comprende al momento quattordici libri.
I libri di Morgan Rice sono disponibili in edizione audio e cartacea, e le traduzioni dei libri sono disponibili in Tedesco, Francese, Italiano, Spagnolo, Portoghese, Giapponese, Cinese, Svedese, Olandese, Turco, Ungherese, Ceco e Slovacco (altre lingue in arrivo).
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Alcune Recensioni Positive di Morgan Rice
“Lo ammetto, prima di ARENA UNO, non avevo mai letto niente di post-apocalittico. Non ho mai pensato che potesse piacermi questo genere… E invece è stata una piacevole sorpresa scoprire quanto prende questo libro. ARENA UNO è uno di quei libri che si leggono fino a tarda notte, quando gli occhi cominciano a incrociarsi perché non riesci a metterlo giù… Non è un segreto che adoro le eroine forti dei libri che leggo… Brooke è tenace, forte, instancabile, e anche quando nel libro c'è del romanticismo, Brooke non si fa mai mettere sotto… Raccomando vivamente ARENA UNO. “
–-Dallas Examiner
“Rice è bravissima a trascinarvi nella storia fin dall’inizio, con una grande qualità narrativa che va ben al di là della mera descrizione… Ben scritto, ed estrememente scorrevole.”
–-Black Lagoon Reviews (su Tramutata)
“Una storia ideale per giovani lettori. Morgan Rice ha fatto un ottimo lavoro stupendo tutti… Nuovo e unico. La serie si concentra su una ragazza… una ragazza straordinaria!… Di facile lettura ma estremamente incalzante… Adatto ai minori.
–-The Romance Reviews (su Tramutata)
“Mi ha preso fin dall’inizio e non ho più potuto smettere… Questa storia è un’avventura sorprendente, incalzante e piena d’azione fin dalle prime pagine. Non esistono momenti morti.”
–-Paranormal Romance Guild (su Tramutata)
“Pieno zeppo di azione, romanticismo, avventura e suspense. Metteteci sopra le mani e non finirete di innamorarvene.”
–-vampirebooksite.com (su Tramutata)
“Un grande intreccio, è proprio il genere di libro che farete fatica a mettere giù per dormire. Il finale è ad alta tensione, talmente spettacolare che vorrete comprare all'istante il libro successivo, anche per vedere cosa succede.”
–-The Dallas Examiner (su Amata)
“Un libro che compete con TWILIGHT e IL DIARIO DEL VAMPIRO, che vorrete continuare a leggere fino all’ultima pagina! Se vi piace l’avventura, l’amore e i vampiri questo libro fa per voi!”
–-vampirebooksite.com (su Tramutata)
“Morgan Rice dimostra ancora una volta di essere una narratrice di talento… Può piacere a diversi tipi di pubblico, compresi i giovani amanti del genere vampire/fantasy. Il finale riserva una suspense inaspettata che vi lascerà senza fiato.”
–-The Romance Reviews (su Amata)
“L’ANELLO DELLO STREGONE ha tutti gli ingredienti per un successo immediato: intrecci, stratagemmi, mistero, cavalieri valorosi, e relazioni fiorenti pieno zeppo di cuori infranti, inganni e tradimenti. Vi delizierà per quattro ore, a qualsiasi età. Raccomandato per la collezione di tutti i lettori fantasy.”
–-Books and Movie Reviews, Roberto Mattos
Libri di Morgan Rice
L’ANELLO DELLO STREGONE
UN’IMPRESA DA EROI (Libro #1)
LA MARCIA DEI RE (Libro #2)
DESTINO DI DRAGHI (Libro #3)
GRIDO D’ONORE (Libro #4)
VOTO DI GLORIA (Libro #5)
UN COMPITO DI VALORE (Libro #6)
RITO DI SPADE (Libro #7)
CONCESSIONE D’ARMI (Libro #8)
UN CIELO DI INCANTESIMI (Libro #9)
UN MARE DI SCUDI (Libro #10)
UN REGNO D’ACCIAIO (Libro #11)
LA TERRA DEL FUOCO (Libro #12)
LA LEGGE DELLE REGINE (Libro #13)
GIURAMENTO FRATERNO (Libro #14)
THE SURVIVAL TRILOGY
ARENA ONE: SLAVERSUNNERS (Libro #1)
ARENA TWO (Libro #2)
APPUNTI DI UN VAMPIRO
TRAMUTATA (Libro #1)
AMATA (Libro #2)
TRADITA (Libro #3)
DESTINATA (Libro #4)
DESIDERATA (Libro #5)
BETROTHED (Libro #6)
VOWED (Libro #7)
FOUND (Libro #8)
RESURRECTED (Libro #9)
CRAVED (Libro #10)
FATED (Libro #11)
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Copyright © 2012 by Morgan Rice
All rights reserved. Except as permitted under the U.S. Copyright Act of 1976, no part of this publication may be reproduced, distributed or transmitted in any form or by any means, or stored in a database or retrieval system, without the prior permission of the author.
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This is a work of fiction. Names, characters, businesses, organizations, places, events, and incidents either are the product of the author’s imagination or are used fictionally. Any resemblance to actual persons, living or dead, is entirely coincidental.
Jacket image Copyright f9photos, used under license from Shutterstock.com.
“I codardi muoiono molte volte prima della loro morte;
I valorosi non assaggiano la morte che una sola volta.
Di tutte le meraviglie che abbia mai sentito,
La più strana, mi sembra, è che gli uomini debbano avere paura:
Dato che la morte, fine necessaria,
Verrà quando vuole.”
--Shakespeare, Giulio Cesare
UNO
Ci sono giornate in cui tutto al mondo sembra perfetto. Giornate in cui il mondo è ricoperto da uno strano silenzio, in cui la calma ti avvolge completamente fino a farti credere di stare scomparendo, e c’è un tale senso di pace da sentirsi liberi da tutte le preoccupazioni della vita. Liberi dalla paura. Dal domani. Momenti come questo si contano sulle dita di una mano.
E uno di quei momenti è adesso.
Ho tredici anni, Bree sei, ci troviamo su una spiaggia di soffice sabbia finissima. Papà mi tiene la mano, mamma quella di Bree, e camminiamo tutti e quattro sulla sabbia rovente, cercando di raggiungere l’oceano. L’acqua fresca delle onde mi schizza in faccia, alleviando il caldo di questa giornata d’agosto. Le onde s’infrangono tutto attorno a noi, papà e mamma ridono, spensierati. Non li ho mai visti tanto rilassati. Li vedo guardarsi teneramente negli occhi, un’immagine che si fissa nella mia mente. È una delle rare volte in cui li vedo davvero felici assieme, e non voglio dimenticarmelo. Bree strilla come una pazza, eccitata dalle onde che le arrivano al petto, e dalla corrente che la spinge. Mamma la tiene forte, e papà stringe la mia mano, proteggendoci dal risucchio dell’oceano.
“UNO! DUE! TRE!” grida papà.
Vengo lanciata verso l’alto non appena papà mi lancia tenendomi la mano, e lo stesso fa mamma con Bree. Volo in aria e supero l’onda, urlando mentre ci passo sopra e la sento infrangersi dietro di me. È sorprendente che papà riesca a rimanere fermo, forte, come una roccia, praticamente invulnerabile rispetto alla natura.
Sprofondo nell’oceano impattando bruscamente sull’acqua fredda, di petto. Stringo ancora di più la mano di papà come sento tornare la corrente, e lui di nuovo mi tiene forte. In quel momento ho l’impressione che mi proteggerà da tutto, per sempre.
Le onde si abbattono una dopo l’altra, e per la prima volta da chissà quando, mamma e papà non hanno fretta. Ci fanno volare in continuazione, e Bree strilla felice sempre più. Non so quanto tempo passa in questa magnifica giornata estiva, su questa spiaggia così pacifica, sotto un cielo terso, con gli schizzi in faccia. Vorrei che il sole non tramontasse mai, che tutto rimanga esattamente com’è. Vorrei stare qui, così, per sempre. E in questo momento sembra poter succedere.
Apro gli occhi lentamente, disorientata da quanto ho di fronte. Non sono al mare, ma seduta sul lato passeggero di una barca a motore che corre su un fiume. Non è estate, ma inverno, e le rive sono ricoperte di neve. Ogni tanto spunta un blocco di ghiaccio che galleggia. Sento gli schizzi d’acqua sulla faccia, ma non è quella fresca delle onde dell’oceano estivo bensì quella gelata dell’Hudson ghiacciato durante l’inverno. Strizzo gli occhi diverse volte prima di rendermi conto che non è una tersa mattina estiva, ma un nuvoloso pomeriggio invernale. Cerco di ricostruire cos’è successo, come ha fatto tutto a cambiare.
Mi metto seduta tremando un po’, mi guardo attorno, subito in guardia. Non mi addormentavo durante il giorno da non so quanto tempo, e sono sorpresa. Inizio a orientarmi, vedo Logan, stoicamente al timone, con gli occhi fissi sull’acqua, intento a navigare l’Hudson. Mi volto e vedo Ben, con la testa fra le mani, che fissa il fiume, perso nel suo mondo. Dall’altro lato della barca c’è Bree seduta, con gli occhi chiusi, appoggiata sul suo sedile, e la sua nuova amica Rose abbracciata a lei, addormentata sulla sua spalla. Sul suo grembo dorme il nostro nuovo amico animale, il chihuahua con un occhio solo.
Sono stupita dal fatto di essermi addormentata così, ma non appena guardo in basso e noto la bottiglia di champagne che tengo in mano, capisco che a mettermi fuori combattimento dev’essere stato l’alcool – che non toccavo da anni – combinato a tante notti insonni e altrettante giornate adrenaliniche. Ho il corpo talmente a pezzi, pieno di lividi e ferite, che dev’essersi addormentato da solo. Mi sento in colpa: non avevo mai perso di vista Bree prima d’ora. Ma appena guardo Logan, con la sua presenza così forte, capisco che devo essermi sentita abbastanza protetta per farlo. In qualche modo, è come avere di nuovo mio papà. Sarà per questo che l’ho sognato?
“Piacere di riaverti tra noi” risuona la voce profonda di Logan. Guarda verso di me, e gli si forma un piccolo sorriso sull’angolo delle labbra.
Mi sporgo in avanti e osservo il fiume davanti mentre lo tagliamo come il burro. Il rombo del motore è assordante. La barca risale la corrente, muovendosi su e giù con lievi oscillazioni, sbattendo un poco. Gli schizzi gelati mi arrivano dritto in faccia, guardo in basso e vedo che ho ancora addosso gli stessi vestiti che indosso da giorni. I vestiti sono praticamente appiccicati alla pelle, incrostati di sudore, sangue e sporcizia – e ora umidi per gli schizzi. Sono bagnata, infreddolita e affamata. Farei di tutto per una doccia calda, una cioccolata calda, un bel fuoco, e un cambio d’abiti.
Scruto l’orizzonte: l’Hudson sembra un grande mare. Stiamo al centro, lontano dalle rive; Logan ci tiene saggiamente lontano da possibili pericoli. Come mi viene in mente, mi volto immediatamente indietro per controllare che non vi siano tracce di mercanti di schiavi. Non ne vedo.
Mi rigiro e cerco segni di barche all’orizzonte. Niente. Scruto le sponde, alla ricerca di segni di attività. Niente. È come se il mondo fosse tutto per noi. È consolante e desolante al tempo stesso.
Lentamente, abbasso la guardia. Mi sembra di aver dormito una vita, ma dalla posizione del sole in cielo vedo che è solo metà pomeriggio. Ho dormito al massimo un’ora. Mi guardo intorno cercando punti di riferimento familiari. Dopotutto, siamo quasi vicino casa. Ma non ne vedo.
“Per quanto ho dormito?” chiedo a Logan.
Alza le spalle. “Forse un’ora”.
Un’ora, penso. Sembra un’eternità.
Controllo l’indicatore della benzina, e vedo che è mezzo vuoto. Non promette bene.
“Segni di benzina in giro?” domando.
Nel momento in cui lo chiedo, mi rendo conto che è una domanda stupida.
Logan mi guarda, come a dire sul serio? Ovviamente, se avesse visto un deposito di benzina, ci sarebbe andato.
“Dove siamo?” domando.
“Siamo dalle parti tue” risponde. “Stavo per farti la stessa domanda”.
Osservo nuovamente il fiume, ma non vedo ancora niente che riconosco. Con l’Hudson funziona così – è ampissimo, si estende all’infinito, ed è facile perdere l’orientamento.
“Perché non mi hai svegliato?” domando.
“Perché avrei dovuto? Avevi bisogno di dormire”.
Non so cos’altro rispondergli. È questo il punto con Logan: mi piace, e sento che gli piaccio, ma non so se abbiamo tutte queste cose da dirci. Il suo atteggiamento guardingo non aiuta, e neanche il mio.
Proseguiamo in silenzio, con l’acqua che schiuma bianca sotto di noi, e mi chiedo quanto ancora potremo andare avanti. Cosa faremo quando si esaurirà il carburante?
Scorgo qualcosa all’orizzonte. Sembra una specie di struttura, nell’acqua. All’inizio non sono neanche sicura che ci sia, ma poi Logan allunga il collo, in allerta, e capisco che deve averla vista anche lui.
“Credo sia un ponte” dice. “Un ponte crollato”.
Mi accorgo che ha ragione. Un grosso pezzo di metallo attorcigliato si fa sempre più vicino, spuntando fuori dall’acqua come una specie di monumento all’inferno. Ricordo questo ponte: una volta attraversava splendidamente il fiume; ora è un grosso cumulo di pezzetti metallo, con gli angoli spigolosi sott’acqua.
Logan rallenta la barca, il motore si fa più silenzioso man mano che ci avviciniamo. La nostra velocità precipita e la barca inizia a sbattere e sbandare. Ovunque sporge metallo frastagliato, e Logan va spostando la barca a destra e a sinistra, creandosi così una piccola via. Appaiono i resti del ponte e non appena ci arriviamo sollevo gli occhi. Sembra innalzarsi per decine di metri, come una testimonianza di ciò che l’umanità è stata una volta in grado di fare, prima di iniziare a uccidersi a vicenda.
“Il Tappan Zee” commento. “Siamo a circa un’ora a nord della città. Abbiamo un buon vantaggio su di loro, nel caso in cui ci stiano inseguendo”.
“Ci stanno inseguendo” dice. “Ci puoi scommettere”.
Lo guardo. “Come fai a essere così sicuro?”.
“Li conosco. Non dimenticano mai”.
Superiamo l’ultimo rottame di metallo, Logan riprende velocità e vengo spinta all’indietro mentre acceleriamo.
“Quanto pensi che siano lontani?” domando.
Guarda l’orizzonte, stoico. E alla fine, alza le spalle.
“Difficile da dire. Dipende da quanto ci mettono a radunare le truppe. C’è tanta neve e questo è buono per noi. Forse tre ore? Forse sei, se siamo fortunati? La cosa buona è che questo gioiellino va veloce. Credo che possiamo distanziarli, finché abbiamo benzina”.
“Ma non ne abbiamo” dico, facendo notare qualcosa di ovvio. “Siamo partiti con il pieno – e ora siamo a metà. Saremo a secco in poche ore. Il Canada è parecchio lontano. Secondo te come faremo a trovare del carburante?”.
Logan fissa l’acqua, riflette.
“Non abbiamo scelta” dice. “Dobbiamo trovarlo. Non ci sono alternative. Non ci possiamo fermare”.
“A un certo punto dovremo riposarci” dice. “Avremo bisogno di cibo, e di un qualche riparo. Non possiamo rimanere fuori con questa temperature tutto il giorno e tutta la notte”.
“Meglio morire di fame e di freddo che essere catturati dai mercanti di schiavi” dice.
Penso alla casa di papà, in fondo al fiume. Stiamo per passare proprio di lì. Mi ricordo della promessa fatta al mio vecchio cane, Sasha, di seppellirla. Penso anche a tutto il cibo che c’è lassù, nel cottage di pietra – potremmo recuperarlo, ci manterrebbe per giorni. Penso a tutti gli strumenti nel garage di papà, a tutte le cose che ci possono servire. Senza parlare di vestiti, coperte e fiammiferi.
“Voglio fermarmi”.
Logan si gira e mi guarda come se fossi pazza. Vedo che non gli piace.
“Di cosa stai parlando?”
“La casa di mio papà. A Catskill. Un’ora circa verso nord. Voglio fermarmi là. Ci sono un sacco di cose che posso recuperare. Cose che ci serviranno. Come cibo. E” faccio una pausa, ”voglio seppellire il mio cane”.
“Seppellire il tuo cane?” domanda, con voce più alta. “Sei pazza? Vuoi farci uccidere tutti per questo?”.
“Gliel’ho promesso” rispondo.
“Promesso?” replica. “Al tuo cane? Al tuo cane morto? Mi vuoi prendere in giro”.
Lo guardo fisso, e si rende conto abbastanza rapidamente che non sto scherzando.
“Se faccio una promessa, la mantengo. Seppellirei anche te se l’avessi promesso”.
Scuote la testa.
“Ascolta” dico seria. “Tu volevi andare in Canada. Saremmo potuti andare ovunque. Questo era il tuo sogno. Non il mio. Chi lo sa se questa città esiste davvero? Ti sto seguendo in questo tuo capriccio. E non è che questa barca sia tua. Tutto quello che voglio è fermarmi un attimo a casa di mio papà. Prendo qualcosa, cose di cui abbiamo bisogno, e metto il mio cane a riposo. Non mi ci vorrà molto. Abbiamo un gran vantaggio sui mercanti di schiavi. Senza dire che abbiamo anche una piccola riserva di carburante lassù. Non è tanto, ma sarà d’aiuto”.
Logan scuote lentamente la testa.
“Preferisco rinunciare a quel carburante e non correre questo rischio. Stai parlando delle montagne. Stai parlando di addentrarsi per trenta chilometri, giusto? Come pensi di arrivare là una volta attraccati? Camminando?”.
“C’è un vecchio camioncino. Un pickup malmesso. Non è altro che un rottame arrugginito, ma funziona, ed ha abbastanza carburante da portarci avanti e indietro. È nascosto dalla sponda del fiume. Ci arriviamo dritti dritti col fiume stesso. E il furgone ci porterà su e giù. Sarà una cosa veloce. E poi possiamo continuare il nostro lungo viaggio verso il Canada. E saremo messi meglio per farlo”.
Logan fissa a lungo l’acqua in silenzio, coi pugni stretti attorno al timone.
Poi dice “Fai come vuoi. Rischia la tua vita. Ma io rimango sulla barca. Hai due ore di tempo. Se non torni in tempo, me ne vado”.
Mi volto e guardo l’acqua, incavolata nera. Volevo che venisse con me. Mi sembra che stia pensando solo a sé stesso, e questo non mi piace. Pensavo che si sarebbe comportato meglio.
“Praticamente pensi solo a te stesso, non è così?” domando.
Mi preoccupa anche il fatto che non vuole accompagnarmi a casa di mio papà; non l’avevo messo in conto. So che Ben non vuole venire e avrei apprezzato un po’ d’aiuto. Non importa. Sono ancora decisa. Ho fatto una promessa e la manterrò. Con o senza di lui.
Non mi risponde, vedo che è infastidito.
Guardo l’acqua, non ho voglia di incrociare i suoi occhi. Mentre l’acqua schiuma in mezzo al rumore costante del motore, mi rendo conto che sono arrabbiata non solo perché sono delusa da lui, ma perché iniziava davvero a piacermi, iniziavo a contare su di lui. Era da tanto tempo che non dipendevo da nessuno. È una sensazione inquietante, dipendere nuovamente da qualcuno, e mi sento tradita.
“Brooke?”.
Mi sento sollevare al suono di una voce familiare, mi giro e vedo la mia sorellina sveglia. Anche Rose è sveglia. Queste due sono già pappa e ciccia, sembrano una il prolungamento dell’altra.
Non riesco ancora a credere che Bree sia qua, di nuovo con me. Sembra un sogno. Quando venne presa, una parte di me era sicura che non l’avrei più rivista viva. Ogni momento che sono con lei mi sembra che mi sia stata data una seconda occasione, e mi sento più determinata che mai nel prendermi cura di lei.
“Ho fame” dice Bree, stropicciandosi gli occhi con il dorso delle mani.
Anche la cagnolina è seduta, sul grembo di Bree. Non smette di tremare, solleva il suo occhio buono e guarda verso di me, come se anche lei avesse fame.
“Sto congelando” ripete Rose, strofinandosi le spalle. Ha addosso solo una magliettina, e mi sento male per lei.
La capisco. Anch’io sto morendo di fame e di freddo. Ho il naso rosso, lo sento a malapena. Le provviste trovate sulla barca erano eccezionali, ma difficilmente possono saziare – specie uno stomaco vuoto. Ed è stato ore fa. Ripenso allo scatolone col cibo, a quel poco che è rimasto, e mi domando quanto passerà prima che finisca del tutto. So che dovrei razionare il cibo. Ma alla fine siamo tutti affamati, e non posso vedere Bree in questo stato.
“Non è rimasto tanto cibo” le dico, “ma posso darvene un pochettino ora. Abbiamo dei biscotti e qualche cracker”.
“Biscotti!” gridano all’unisono. Il cane abbaia.
“Io non lo farei” sento dire a Logan dietro di me.
Mi volto e vedo il suo sguardo di disapprovazione.
“Dobbiamo razionarlo”.
“Ti prego!” strilla Bree. “Ho bisogno di qualcosa. Sto morendo di fame”.
“Qualcosa gliela devo dare” rispondo convinta a Logan, capendo quello che gli passa per la testa, ma comunque infastidita dalla sua mancanza di compassione. “Prendo i biscotti. Per darli a tutti”.
“E la cagnolina?” domanda Rose.
“Il cane non tocca il nostro cibo” ribatte Logan. “Se la deve cavare da sola”.
Provo altro risentimento verso Logan, anche se so che si sta comportando in modo razionale. E poi, come vedo lo sguardo pietoso sulle facce di Rose e Bree e sento il guaito del cane, capisco che non posso lasciarla morire di fame. Mi accingo con calma a darle del cibo dalla mia scorta personale.
Apro lo scatolone e osservo nuovamente la nostra riserva di provviste. Ci sono due scatole di biscotti, tre di cracker, diverse buste di orsetti gommosi, e una mezza decina di barrette di cioccolato. Speravo ci fosse qualcosa di più sostanzioso, e non so come dovremo fare, come farà a bastare per tre pasti al giorno per cinque persone.
Tiro fuori i biscotti e ne distribuisco un po’ a ciascuno. Alla vista del cibo Ben finalmente si sblocca e accetta un biscotto. Ha cerchi neri sotto gli occhi, e sembra non aver dormito per nulla. È una pena vederlo così, devastato dalla perdita di suo fratello, e distolgo lo sguardo mentre gli do il biscotto.
Mi porto verso la parte anteriore della barca e ne allungo uno a Logan. Lo prende e se lo mette in tasca in silenzio, ovviamente, conservandolo per dopo. Non so da dove prenda tale forza. Io mi sento svenire al solo odore dei biscotti al cioccolato. So che dovrei conservarlo anch’io, ma non ce la faccio. Do un piccolo morso, pensando di metterlo da parte – ma è troppo buono, non riesco a trattenermi – lo divoro, conservando l’ultimo morso per la cagnetta.
Che bello mangiare. Lo zucchero mi va dritto in testa, poi attraverso il corpo, e vorrei averne un’altra decina. Faccio un respiro profondo per la fitta allo stomaco, e cerco di controllarmi.
Il fiume si restringe, e le sponde si fanno più vicine fra loro svolta dopo svolta. Siamo vicini alla terraferma e sto in grande allerta, cercando fra le rive segni di pericolo. Dopo una curva mi volto a sinistra e vedo, sopra una collinetta, le rovine di un’antica fortificazione bombardata. Rimango sconvolta non appena mi rendo conto di che cos’era.
“West Point” dice Logan. Deve averlo capito nello stesso istante mio.
È sconcertante vedere il baluardo della potenza americana ridotto a un cumulo di macerie, col pennone storto che penzola moscio sull’Hudson. Non è rimasto quasi nulla di ciò che c’era prima.
“Cos’è quello?” domanda Bree battendo i denti. Lei e Rose sono adesso davanti, accanto a me, e Bree guarda dove guardo io. Non ho voglia di dirglielo.
“Non è niente, tesoro” le rispondo. “Solo macerie”.
Le metto il braccio attorno e me la tiro vicino, allungando l’altro braccio verso Rose e avvicinando anche lei. Provo a riscaldarle, sfregandogli le spalle meglio che posso.
“Quando andiamo a casa?” domanda Rose.
Logan ed io ci scambiamo un’occhiata. Non ho idea di come rispondere.
“Non stiamo andando a casa” dico a Rose nella maniera più dolce possibile, “ma ne stiamo cercando una nuova”.
“Passeremo dalla nostra vecchia casa?” domanda Bree.
Indugio. “Sì” le dico.
“Ma non stiamo tornando lì, giusto?” domanda.
“Giusto” rispondo. “È troppo pericoloso vivere là adesso”.
“Non voglio tornare a vivere là” dice. “Odiavo quel posto. Ma non possiamo lasciare Sasha là. Ci fermeremo per seppellirla? L’hai promesso”.
Ripenso alla discussione con Logan.
“Hai ragione” dico con tranquillità. “L’ho promesso. E sì, ci fermeremo”.
Logan si volta dall’altra parte, palesemente seccato.
“E poi?” domanda Rose. “Poi dove andiamo?”.
“Continueremo a risalire il fiume” spiego. “Fin dove ci porterà”.
“Dove finisce?” domanda.
È una buona domanda, e voglio pensare che ha un significato ancora più profondo. Quando e dove finirà tutto questo? Con le nostre morti? O con noi che sopravviviamo? Finirà davvero? Si intravede una qualche fine?
Non ho risposte.
Mi volto, mi metto in ginocchio e la guardo negli occhi. Devo darle speranza. Un motivo per vivere.
“Finisce in un posto bellissimo” le dico. “Là dove stiamo andando è tutto bello e buono. Le strade sono così pulite che luccicano, e tutto è perfetto e sicuro. Ci saranno delle persone, persone amiche, che ci porteranno con loro e ci proteggeranno. Ci sarà anche cibo, cibo vero, in enormi quantità, sempre. Sarà il più bel posto che hai mai visto”.
Rose spalanca gli occhi.
“È tutto vero?” domanda.
Annuisco. Lentamente si lascia andare a un sorriso.
“Quanto ci vuole ancora per arrivare là?”
Sorrido. “Non lo so tesoro”.
Bree però è più cinica di Rose.
“Sei sicura che è vero?” domanda delicatamente. “Esiste davvero un posto così?”.
“Sì” le rispondo, col tono più convincente che ho. “Non è vero, Logan?”.
Logan ci guarda, annuisce e si rigira. Dopo tutto è lui quello che crede al Canada, alla terra promessa. Come potrebbe rinnegarlo adesso?
L’Hudson continua a curvare, facendosi più stretto, per poi allargarsi nuovamente. Alla fine raggiungiamo una zona familiare. Superiamo posti che riconosco, e ci avviciniamo sempre più a casa di papà.
Giriamo ancora e vedo una piccola isola disabitata, una specie di grosso scoglio che affiora dall’acqua. Sopra vi sono i resti di un faro, con la luce rotta da tempo e la struttura ridotta a poco più di uno scheletro.
Giriamo ancora e scorgo in lontananza il ponte su cui sono stata pochi giorni fa, mentre inseguivo i mercanti di schiavi. In mezzo al ponte vedo la parte centrale saltata via, il buco enorme, come se una palla demolitrice fosse passata nel mezzo. Con la mente torno indietro a quando io e Ben correndo in moto stavamo per scivolarci dentro. Non ci posso credere. Siamo quasi sul punto.
Mi fa pensare a Ben, a come mi ha salvato la vita quel giorno. Mi volto a guardarlo. Sta fissando l’acqua imbronciato.
“Ben?” domando.
Si gira e mi guarda.
“Ti ricordi questo ponte?”.
Si gira a guardare, e vedo la paura nei suoi occhi. Si ricorda.
Bree mi dà una piccola gomitata. “Posso dare un po’ del mio biscotto al cane?” domanda.
“E io?” fa eco Rose.
“Certo che potete” dico ad alta voce, in modo da farlo sentire a Logan. Non c’è solo lui a prendere le decisioni, e possiamo fare quello che vogliamo con il nostro cibo.
La cagnetta, che sta sul grembo di Rose, si tira su, come se capisse. Incredibile. Mai visto un animale tanto intelligente.
Bree si china per darle un pezzo del suo biscotto, ma le blocco la mano.
“Aspetta” le dico. “Se le vuoi dare da mangiare, dovrebbe avere un nome, non credi?”.
“Ma non ha collare” dice Rose. “Potrebbe avere qualsiasi nome”.
“Ora è il tuo cane” affermo. “Dalle un nome nuovo”.
Rose e Bree si scambiano un’occhiata euforica.
“Come la chiamiamo?” domanda Bree.
“Che ne dici di Penelope?” dice Rose.
“Penelope!” urla Bree. “Mi piace”.
“Anche a me piace” dico.
“Penelope!” urla Rose al cane.
Incredibilmente, il cane si volta verso di lei come se quello fosse sempre stato il suo nome.
Bree sorride e le dà un pezzo del biscotto. Penelope glielo sfila dalle mani e lo divora in un boccone solo. Bree e Rose ridacchiano freneticamente, e Rose le dà il resto del biscotto. Prende anche quello, poi le allungo l’ultimo morso del mio. Penelope ci guarda tutt’e tre eccitata e tremolante, poi abbaia tre volte.
Ridiamo tutte. Per un attimo, mi scordo quasi dei nostri problemi.
Ma subito dopo, in lontananza, scorgo qualcosa dietro le spalle di Bree.
“Là” faccio a Logan, alzandomi in piedi e indicando la nostra sinistra. “È lì che dobbiamo andare. Gira là”.
Scorgo la penisola dove ci siamo spinti in moto io e Ben, sull’Hudson ghiacciato. Ho un sussulto soltanto a ripensarci, a ripensare a quell’inseguimento pazzesco. È incredibile che sia ancora viva.
Logan si controlla le spalle per vedere se qualcuno ci sta seguendo; quindi, controvoglia, rallenta la barca e ci porta su un lato, verso l’insenatura.
Sto allerta, mi guardo intorno con circospezione mentre raggiungiamo l’insenatura della penisola. Scivoliamo sull’acqua seguendo la svolta verso l’entroterra. Ora siamo davvero vicini alla riva. Superiamo un serbatoio idrico. Proseguiamo e ci ritroviamo subito a scorrere affianco alle rovina di un paese, proprio nel suo centro. Catskill. Ci sono edifici distrutti su tutti i lati: sembra che sia stata sganciata una bomba.
Stiamo tutti in guardia mentre facciamo lentamente strada verso l’interno, avvicinandoci sempre più all’entroterra, con la riva ormai distante tre metri. Rischiamo un agguato, e senza neanche accorgermene allungo la mano sul fianco, in direzione del coltello. Noto che Logan fa lo stesso.
Mi volto per controllare Ben, ma è ancora in stato quasi catatonico.
“Dov’è il pickup?” domanda Logan, critico. “Non mi addentro più di così, te lo dico. Se succede qualcosa, dobbiamo poter tornare sull’Hudson, e velocemente. È una trappola mortale” dice, osservando con attenzione la riva.
Faccio lo stesso anch’io. Ma la riva è vuota, desolata, ghiacciata e senza alcun segno di attività umane.
“Guarda là” dico, indicando con la mano. “Lo vedi quel capannone arrugginito? È là dentro”.
Logan ci porta avanti per altri altri trenta metri, poi svolta verso il capannone. C’è un vecchio molo a pezzi, e riesce a portarvi la barca vicino, arrivando fino a pochi passi. Spegne il motore, prende l’ancora e la getta in acqua. Poi afferra la corda dalla barca, fa un grosso nodo a un’estremità, e la lancia verso un palo di metallo arrugginito. Lo prende, e ci tira verso riva, stringendo sempre più, così da permetterci di camminare direttamente sul molo.
“Scendiamo?” domanda Bree.
“Io scendo” rispondo. “Tu aspettami qua, alla barca. È troppo pericoloso per te. Torno presto. Seppellisco Sasha. Lo prometto”.
“No!” strilla. “Hai promesso che non ci saremmo più separate. L’hai promesso! Non puoi lasciarmi qui da sola! NON PUOI!”