Kitabı oku: «Arena Uno: Mercanti Di Schiavi », sayfa 13
“Anche tu devi aspettare” dice. “Fino allo spuntare del sole. Non ti servirebbe a niente cercarla adesso. Non è ancora sull’autobus. Le tengono in una cella, sottoterra, fino a quando non è il momento di caricarle. Non so neanche dove. Te lo giuro. All’alba, le prenderanno e le caricheranno. Se vuoi andare appresso a lei, è quello il momento in cui puoi farlo”.
Lo fisso negli occhi, scrutandoli minuziosamente, e ne scorgo la sincerità. Lentamente, mi placo, respiro a fondo per riprendere il controllo di me stessa.
“Ma devi sapere che è una battaglia persa” aggiunge. “Non riuscirai mai a tirarla fuori di lì. Sarà incatenata a un gruppo di schiave, che saranno incatenate a un autobus blindato. Il bus sarà scortato da dozzine di soldati e veicoli. Non potrai nemmeno avvicinarti. Finirai con l’ammazzarti. Per non dire”, continua, “che la maggior parte degli autobus non riescono neanche ad attraversare la zona selvaggia”.
“La zona selvaggia?” insisto.
Si schiarisce la gola, mostrando una certa riluttanza.
“Per raggiungere il porto, il molo per Governors Island, gli autobus devono arrivare in centro e lasciare l’area recintata. Il muro parte dalla 23esima. A sud c’è la zona selvaggia. È lì che vivono i Pazzi. A migliaia. Attaccano ogni autobus che passa da lì. Molti non arrivano proprio. È per questo che mandano un sacco di autobus alla volta”.
Il cuore mi si gela alle sue parole.
“È per questo che te lo dico: parti con me di mattina. Almeno tu sarai al sicuro. I vostri fratelli ormai sono una causa persa. Almeno voi potete sopravvivere”.
“Non mi interessa quante probabilità ci sono” ribatto con voce fredda e risoluta. “Non m’importa se morirò provandoci. Io vado a cercare mia sorella”.
“E io vado a cercare mio fratello” aggiunge Ben. La sua determinazione mi sorprende.
Logan scuote la testa.
“Fate come volete. Arrangiatevi. Io all’alba prenderò quello barca e me ne andrò lontano”.
“Fai ciò che devi fare” gli dico disgustata. “Come hai sempre fatto”.
Mi guarda di traverso, devo averlo urtato. Si gira bruscamente dall’altro lato, va dall’altra parte della stanza, si appoggia alla parete e si siede imbronciato. Controlla la sua pistola e la pulisce, evitando nuovamente di guardarmi, come se non esistessi più.
Vederlo sedersi mi ricorda il dolore che ho al polpaccio, e quanto sia spossata. Vado dall’altra parte, il più lontano possibile da lui, mi appoggio e mi metto anch’io seduta. Ben viene verso di me e si siede accanto; le sue ginocchia quasi toccano le mie. È bello che sia qui. Lui capisce.
Non riesco a credere che siamo entrambi qui seduti, vivi. Non l’avrei mai immaginato. Ero sicura che saremmo morti da tempo, e ora ho come l’impressione di aver ricevuto una seconda opportunità.
Penso a mia sorella, e al fratello di Ben – e all’improvviso mi rendo conto che dovremo separarci, andare in parti diverse della città. È un pensiero che mi disturba. Lo guardo cercando di studiarlo, mentre se ne sta lì con la testa calata. Non è per niente tagliato per combattere. Non sopravviverebbe da solo. E in qualche modo mi sento responsabile.
“Vieni con me” gli dico dal nulla. “Sarai più al sicuro così. Andiamo in centro città assieme, troviamo mia sorella e poi troviamo un modo di andarcene di qua”.
Scuote la testa.
“Non posso lasciare mio fratello” dice.
“Fermati e pensa a questo” gli dico. “Come pensi di trovarlo?. È chissà dove dall’altra parte della città, centinaia di metri sotto terra, in una miniera. E se lo trovi, come farai a uscire di lì? Almeno sappiamo dov’è mia sorella. Abbiamo una chance”.
“Come uscirai dopo che l’avrai trovata?” domanda.
È una buona domanda, per la quale non ho risposta.
Scuoto semplicemente la testa. “Troverò un modo” gli dico.
“Lo stesso vale per me” risponde. Ma sento l’insicurezza della sua voce, come se sapesse già di non riuscirci.
“Ti prego Ben” lo supplico. “Vieni con me. Prendiamo Bree e andiamocene da tutto questo. Sopravviveremo insieme”.
“Potrei dire la stessa cosa” dice. “Potrei chiederti di venire tu con me. Perché tua sorella è più importante di mio fratello?”.
È una giusta osservazione. Vuole bene a suo fratello tanto quanto io a mia sorella. E lo capisco. Non ho niente da ribattere. La realtà mi sta dicendo che all’alba ci separeremo. E che probabilmente non lo vedrò mai più.
“OK”, gli dico. “Ma promettimi una cosa”.
Mi guarda.
“Quando avrai fatto, dirigiti verso il lato est del fiume e procedi verso il molo, sulla via sud del porto. Fatti trovare lì all’alba. Io sarò là. Troverò un modo. Ci incontriamo lì, e troveremo il modo di andarcene assieme”. Lo guardo. “Promettimelo” gli ordino.
Mi scruta, e capisco che sta riflettendo.
“Cosa ti rende così sicura di arrivare fino al centro città, al porto?” domanda. “Di superare tutti i Pazzi?”.
“Se non ci riesco” gli dico “significa che sono morta”. E non intenzione di morire. Non dopo tutto quello che ho passato. Non con Bree ancora viva”.
Sento la convinzione della mia voce, e a stento la riconosco – sembra che un estraneo parli attraverso di me.
“Quello è il nostro punto d’incontro” insisto. “Fatti trovare là. Promettimelo”.
Finalmente, annuisce.
“Okay” dice. “D’accordo. Se sarò vivo, ci sarò. All’alba. Ma se non ci sono, significa che sono morto. E non mi aspettare. Promesso? Non voglio che mi aspetti” insiste. “Promettimelo”.
Alla fine, dico “lo prometto”.
Mi porge la sua povera mano. Gliela prendo lentamente.
Stiamo seduti, mano nella mano, con le dita intrecciate, e mi rendo conto che è la prima volta che gli tengo la mano – che gliela tengo davvero. Ha la pelle morbida, è piacevole da toccare. Mio malgrado, ho il batticuore.
Rimaniamo seduti, spalle al muro, uno accanto all’altro, nella luce fioca della stanza, mano nella mano, per non so quanto tempo. Abbiamo entrambi lo sguardo nel vuoto, nessuno di noi dice una parola, ognuno perso nel suo mondo. Ma le nostre mani non si separano, e mentre sto per addormentarmi, non posso fare a meno di domandarmi se questa è l’ultima volta che lo vedo vivo.
VENTITRÈ
Mi sveglio con una mano ruvida che mi scuote la spalla.
“ANDIAMO!” dice un bisbiglio pressante.
Apro gli occhi di colpo, disorientata, senza capire bene se sto dormendo o sono sveglia. Mi guardo attorno, cercando di orientarmi, e vedo una pallida luce di aurora filtrare dalla finestra. L’alba. Mi sono addormentata seduta per terra, con la testa appoggiata sulla spalla di Ben. Logan sveglia bruscamente anche lui.
Mi attivo e mi metto in piedi. Come lo faccio, sento il polpaccio in preda al dolore; mi tormenta la gamba.
“Stiamo perdendo tempo!” taglia corto Logan. “Muovetevi! Tutti e due! Io sto andando. Se volete seguirmi fuori di qui, questa è la vostra occasione!”.
Logan va verso la porta e ci appoggia l’orecchio. Sento una scossa di adrenalina mentre attraverso la stanza; Ben è sveglio accanto a me, e si mette dietro Logan. Stiamo in ascolto. Fuori tutto sembra tacere. Non si sente più rumore di passi, né urla o fischi… niente. Chissà quante ore sono passate. Sembra che siano scomparsi tutti.
Anche Logan sembra soddisfatto. Tenendo la pistola in una mano, allunga lentamente la mano libera, toglie la chiusura della porta, e controlla che noi siamo pronti. Apre delicatamente la porta.
S’incammina fuori con cautela, gira l’angolo stando bene in guardia, pronto a sparare.
Ci fa segno di seguirlo, vengo fuori e vedo i corridoi vuoti.
“Muoviti!” bisbiglia convulsamente.
Si mette a correre per il corridoio e gli vado dietro per come posso. Ogni passo è una piccola esplosione di dolore al polpaccio. Non posso fare a meno di guardarmelo: avrei preferito non averlo fatto, è gonfio come una pallina da baseball. È anche diventato di un rosso intenso e temo che si sia infettato. Anche tutti gli altri muscoli mi fanno male, dalle costole alla spalla alla faccia – ma è soprattutto il polpaccio che mi preoccupa. Il resto sono solo ferite; ma se il polpaccio è infettato, mi serviranno medicine. E presto.
Ma adesso non posso concentrarmi su questo. Continuo a correre per il corridoio zoppicando, con Ben accanto e Logan tre metri davanti. I corridoi d’acciaio sono scarsamente illuminati da sporadiche luci d’emergenza, e così seguo Logan al buio, fidandomi della sua conoscenza del posto. Fortunatamente, non si vede sempre nessuno. Immagino che siano tutti fuori a cercarci.
Logan gira a destra in un altro corridoio, poi a sinistra. Lo seguiamo, affidandoci al fatto che sa come uscire di qui. In questo momento lui è la nostra ancora di salvezza e devo avere fiducia in lui. Non ho scelta.
Dopo diverse svolte, alla fine Logan si ferma davanti a una porta. Mi fermo accanto di lui, senza fiato. La spinge, dà una sbirciata, poi la apre del tutto. Si volta, afferra Ben per la spalla e lo spinge in avanti.
“Là” dice, indicando col dito. “Lo vedi?”.
Mi sporgo in avanti. In lontananza, oltre il vasto terminal aperto, ci sono i binari dei treni.
“Quel treno lì, quello che sta iniziando a muoversi. Va alle miniere. Parte una volta al giorno. Se vuoi andare, questa è la tua occasione. Prendilo!”.
Ben si gira e mi guarda un’ultima volta, gli occhi spalancati per l’adrenalina. Mi stupisce quando si avvicina, mi prende la mano e ne bacia il dorso. Me la tiene per un altro secondo e mi guarda intensamente, come se fosse l’ultima volta che mi vede.
Poi si gira e parte per il terminal, diretto verso il treno.
Logan mi guarda con aria di scherno, mi rendo conto che è geloso.
Non so cosa pensare del bacio. Mentre lo guardo correre per il treno, non posso evitare di pensare che questa potrebbe essere l’ultima volta che lo vedo.
“Da questa parte!” fa Logan, correndo per un altro corridoio.
Ma mi sono bloccata a guardare Ben correre.
Logan si gira verso di me, seccato, impaziente. “MUOVITI!” bisbiglia.
Ben corre per l’ampia distesa della Penn Station, lungo i binari, poi salta sul retro del treno che si muove lentamente. Si tiene stretto alle barre di metallo mentre il treno scompare dentro un tunnel nero. Ce l’ha fatta.
“Io sto andando!” dice Logan, poi si gira e parte per un altro corridoio.
Lo seguo di scatto, e gli vado dietro. Procedo al massimo della velocità che mi consentono le gambe, ma Logan è già lontano e gira di nuovo, e non lo vedo più. Ho il cuore in gola nel pensare che potrei averlo perso.
Giro in un altro corridoio, salgo una rampa, e alla fine lo scorgo di nuovo. Mi sta aspettando lungo una parete, vicino a una porta a vetri. Guardando attraverso, vedo l’esterno. L’Ottava Strada. È tutto bianco. C’è una furiosa tempesta là fuori.
Corro da Logan e mi ci metto accanto. Appoggio la schiena al muro, cercando di riprendere fiato.
“Vedi laggiù?” mi dice, indicando con la mano.
Seguo il suo sguardo, cercando di vedere attraverso le lenzuolate di neve.
“Dall’altra parte della strada” dice, “davanti al vecchio ufficio postale. Quegli autobus parcheggiati di fronte”.
Guardo meglio e individuo i tre grossi autobus, coperti di neve. Sembrano scuolabus, ma modificati, con delle massicce barre montate su ogni lato, come veicoli blindati. Due sono verniciati di giallo, e uno di nero. Vengono caricate dozzine di ragazzine incatenate tra loro. Ho un fremito di gioia nel vedere Bree a poche centinaia di metri, con le altre prigioniere, che viene spinta su uno dei due autobus gialli.
“Eccola!” grido. “Quella è Bree!”.
“Rinunciaci” dice. “Vieni con me. Almeno sopravviverai”.
Ma sento nuova determinazione, e lo guardo con la massima serietà.
“Sopravvivere non c’entra” gli rispondo. “Non lo capisci?”.
Logan mi guarda negli occhi e mi accorgo che, per la prima volta, capisce. Capisce davvero. Vede che sono determinata, che niente al mondo mi farà cambiare idea.
“Allora okay” dice. “Questo è quanto. Una volte passate quelle porte, io mi dirigo verso la zona residenziale, verso la barca. Tu arrangiati”.
Allunga le braccia e mi mette qualcosa di pesante sul palmo. Una pistola. Sono sorpresa, e riconoscente.
Sto per dirgli addio, ma all’improvviso sento rumore di motore, guardo fuori e vedo nuvole di fumo uscire dal tubo di scarico degli autobus. Prima di quando m’aspettassi, tutti e tre gli autobus sono pronti a uscire sulla neve spessa.
“NO!” grido. Prima ancora di pensarlo, apro la porta e schizzo fuori. Un’ondata di vento e neve gelida mi colpisce in faccia; è così fredda e umida che mi toglie il respiro.
Corro nella tempesta accecante, con la neve che mi arriva alle ginocchia. Corro senza sosta sulla bianca distesa aperta in direzione degli autobus. Verso Bree.
È troppo tardi. Hanno un buon centinaio di metri di vantaggio, e stanno prendendo velocità. Corro verso di loro – la gamba mi sta uccidendo – riuscendo a stento a prendere fiato, fino a quando non mi rendo conto che Logan aveva ragione. Non serve a niente. Guardo gli autobus girare l’angolo, e li perdo subito di vista. Non ci posso credere. L’ho persa.
Mi guardo alle spalle e vedo che Logan non c’è più. Mi si gela il cuore. Deve essersene andato. Adesso sono completamente da sola.
Disperata, cerco di ragionare velocemente, di farmi venire un’idea. Mi osservo attorno, e vedo, davanti alla Penn Station, una fila di Humvee. Ci sono dei mercanti di schiavi seduti sui tetti e sui cofani. Sono tutti avvolti nei loro giubbotti da neve, con le spalle rivolte verso di me. Nessuno di loro guarda nella mia direzione. Sono tutti impegnati a guardare gli autobus che partono.
Mi serve un veicolo. È la mia unica occasione di riprendere quegli autobus.
Sempre zoppicando, scatto in direzione dell’Humvee che sta sul retro, l’unico senza mercanti di schiavi sul tetto. L’Humvee è acceso, e fuoriesce del fumo dal suo tubo di scarico. Nel posto del guidatore c’è un mercante di schiavi seduto che si riscalda le mani.
Raggiungo di soppiatto lo sportello del guidatore e lo apro con forza, tenendo la pistola in mano.
Questo mercante di schiavi non indossa maschera, e vedo lo shock sul suo volto. Non vuole beccarsi pallottole e alza le mani spaventato. Non gli do il tempo di reagire, di mettere gli altri in allerta. Gli punto la pistola in faccia, entro dentro, lo afferro dalla camicia e lo tiro fuori. Cade malamente sulla neve.
Sto per saltare sul sedile del guidatore, quando di colpo sento un tremendo dolore alla tempia. È stata colpita da qualcosa di metallo, così forte da farmi ribaltare sulla neve.
Un altro mercante di schiavi mi si è avvicinato furtivamente e mi ha colpito alla tempia con la pistola. Alzo le braccia, mi tocco la testa e sento il sangue gocciolarmi sulla mano. Fa un male cane.
Il mercante di schiavi mi sta davanti, e abbassa la pistola puntandomela in faccia. Ride sadicamente, arma il cane, sta per sparare. All’improvviso, realizzo che sto per morire.
Sento un colpo di pistola, e mi preparo.
VENTIQUATTRO
Il sangue mi schizza in faccia, caldo, mi si appiccica sulla pelle, e mi chiedo se sono morta.
Apro lentamente gli occhi e mi rendo conto di cosa è successo. Non sono morta; non mi hanno nemmeno sparato. Hanno sparato da dietro al mercante di schiavi, alla nuca, e il suo cervello mi è schizzato di sopra. Qualcuno gli ha sparato. Qualcuno mi ha salvato.
Davanti a me c’è Logan, con la pistola in mano ancora fumante. Non ci posso credere. È tornato per me.
Mi porge la mano. La prendo. È grossa e ruvida, e mi alza in un colpo solo.
“ENTRA!” urla.
Corro dal lato passeggero e salto su. Logan balza dal lato guidatore, sbatte lo sportello, e prima ancora ch’io sia dentro, dà gas. Scivola sulla neve mentre sgommiamo.
Gli altri mercanti di schiavi scattano in piedi, saltano giù dai cofani delle loro macchine e ci vengono dietro. Uno di loro ci attacca a piedi. Logan si sporge dal finestrino, prende la mira e gli spara in testa, uccidendolo prima che possa fare fuoco. Un altro ci punta, pistola in mano, e mira dritto verso di noi. Mi sporgo dal finestrino e faccio fuoco. Lo colpisco dritto in testa e va a terra.
Ne punto un altro, ma all’improvviso la macchina mi fa volare mandandomi all’indietro. Logan sta accelerando, ed è impossibile andare dritto per via della neve. Giriamo l’angolo e guadagniamo rapidamente velocità sui tre pesanti autobus. Abbiamo solo poche centinaia di metri davanti.
Dietro di noi però, ci sono una dozzina di Humvee sulle nostre tracce. Ci raggiungeranno presto. Siamo troppi.
Logan scuote la testa. “Non potevi venire con me, vero?” dice esasperato, mentre mette la quinta e accelera ancora. “Sei più cocciuta di me”.
Prendiamo ancora velocità mentre seguiamo gli autobus per la città sulla 34esima, direzione est. Attraversiamo la Settima Strada… poi la Sesta… poi gli autobus girano bruscamente a destra sulla Quinta e li continuiamo a seguire, ormai a un centinaio di metri di distanza.
Controllo lo specchietto e vedo che gli Humvee ci sono addosso. Uno dei mercanti di schiavi si sporge dal finestrino e punta la pistola. Subito dopo i proiettili rimbalzano sul mezzo, producendo un forte suono metallico. Scatto all’indietro; sono contenta che il veicolo sia antiproiettile.
Logan schiaccia sull’acceleratore, e le strade si susseguono rapidamente. 32esima… 31esima… 30esima… Guardo e mi sconvolge vedere davanti a noi un enorme muro che blocca la Quinta Strada. La stretta apertura ad arco che c’è nel mezzo è l’unica via di accesso.
Diverse guardie sollevano le grosse barre di metallo, facendo passare gli autobus uno dietro l’altro.
“Dobbiamo fermarci!” urla Logan. “Dietro a quei cancelli c’è la zona selvaggia! È troppo pericoloso!”.
“NO!” grido. “Non ti puoi fermare! Vai! VAI!”.
Logan scuote la testa sudato. Ma a suo favore va detto che continua ad andare avanti.
Il cancello si chiude. Logan non rallenta, però.
“Tieniti!” urla.
Il nostro Humvee si schianta sul cancello di ferro e l’impatto è terrificante. Mi preparo all’idea di non farcela.
Ma fortunatamente, quest’Humvee è stato progettato come un carro armato. Non ci posso credere: il cancello di ferro si stacca dai cardini e vola per aria. Il parabrezza si è spaccato e il cofano è tutto ammaccato, ma fortunatamente siamo incolumi. Stiamo riprendendo gli autobus, ci mancano solo cinquanta metri.
Controllo lo specchietto, pensando di vedere gli altri Humvee dietro – e invece, inchiodano tutti davanti al cancello aperto. Nessuno di loro osa seguirci. Non capisco – è come se avessero paura di passare dall’altro lato del muro.
“Che stanno facendo?” gli chiedo. “Si stanno fermando! Hanno smesso si seguirci!”.
Logan non sembra sorpreso – non capisco.
“Ovvio che si sono fermati”.
“Perché?”.
“Abbiamo passato il muro. È la zona selvaggia. Non sono così stupidi”.
Lo guardo, e ancora non capisco.
“Hanno paura” dice.
Non capisco: come può avere paura un folto gruppo di guerrieri armati, dentro Humvee con tanto di mitragliatrice?
Mi guardo attorno, cerco di orientarmi, e di colpo sono più circospetta che mai. Un brivido mi attraversa la schiena. Cosa può esserci di così pericoloso in questo posto tenere fuori un battaglione di soldati in Humvee?
Mi sporgo in avanti e guardo più vicino, quando all’improvviso noto un movimento. Guardo verso l’alto e vedo le facce terribilmente deturpate delle Biovittime che osservano dagli edifici abbandonati. Ce ne sono centinaia.
Di colpo, i tombini attorno a noi iniziano a sollevarsi. Dozzine di Biovittime spuntano da terra. Superiamo una stazione metro abbandonata, e ne spuntano altri che corrono per le scale verso di noi.
Il cuore inizia a battere forte alla vista di queste persone. Ce ne sono centinaia, attaccano da tutti i punti. Sono entrata nel loro territorio, ho oltrepassato un confine che non avrei dovuto passare. Devo recuperare Bree il prima possibile e lasciare quest’inferno.
Un Pazzo salta sull’Humvee e cerca di afferrarmi attraverso il finestrino aperto. Mi tiro indietro, poi lo colpisco in faccia col calcio della pistola. Cade giù e il suo corpo rotola sulla neve.
Gli autobus sterzano davanti a noi senza un criterio preciso e Logan segue la strada che fanno. I movimenti mi danno la nausea.
“Perché sterzi in questo modo?” gli chiedo.
“Mine!” urla Logan. “Tutta la maledetta zona selvaggia è ricoperta di mine!”.
Come a confermare quanto dice, sento una piccola esplosione sulla strada davanti a noi, e uno degli autobus riesce a evitarla all’ultimo secondo. Mi si gela il cuore. Quali brutte sorprese ci riserverà ancora questo posto?
“Raggiungi quell’autobus!” urlo più forte del rumore del motore.
Lui accelera, e il divario diminuisce. Adesso saremo a 30 metri, e sto pensando a cosa fare. Mentre ci avviciniamo, improvvisamente un Pazzo spunta da una botola, solleva una lanciagranate e fa fuoco.
La granata viaggia nell’aria e prende in pieno l’autobus nero. Ci esplode proprio davanti, costringendoci a sterzare all’ultimo secondo.
L’autobus sbanda e atterra su un lato, poi scoppia in un’enorme sfera di fiamme. Penso a tutte quelle ragazze a bordo, e mi piange il cuore. Ora sono rimasti soltanto due autobus. Ringrazio Dio che Bree era su uno di quelli gialli. Adesso il tempismo è ancora più fondamentale.
“PRESTO!” urlo. “RAGGIUNGI IL SUO AUTOBUS!”.
Ci dirigiamo verso il Flatiron Building. La quinta strada si biforca, uno dei due autobus gialli gira a sinistra, dirigendosi verso Broadway, mentre l’altro gira a destra, rimanendo sulla quinta. Non ho idea di quale trasporti Bree. Il cuore mi batte all’impazzata. Devo decidere.
“Quale?” urla freneticamente Logan.
Esito.
“QUALE AUTOBUS?” urla di nuovo.
Stiamo per arrivare all’intersezione e devo decidere. Ci penso bene, cercando disperatamente di ricordare su quale è salita. Ma non serve a niente. Ho la mente vuota, e i due autobus mi sembrano identici. Devo tirare a caso.
“Vai a destra!” grido.
All’ultimo secondo, sterza bruscamente a destra. Corre sparato dietro a uno degli autobus. Spero di aver scelto quello giusto.
Logan accelera, e riesce a raggiungere l’autobus. Ormai gli siamo dietro, abbiamo i suoi scarichi di sopra. I finestrini posteriori sono sudici ed è impossibile vedere le facce dentro, ma vedo delle forme, i corpi di tutte quelle ragazzine in catene. Prego che una di quelle sia Bree.
“E adesso?” urla Logan.
Mi stavo facendo la stessa identica domanda.
“Non posso buttarli fuori strada!” aggiunge Logan. “Potrei ucciderla!”.
Ragiono velocemente, cercando di formulare un piano.
“Avvicinati di più” gli dico. “Mettitici attaccato!”.
Ci si attacca dietro – i paraurti quasi si toccano – e appena lo fa, mi alzo dal sedile, striscio fuori dal finestrino aperto e mi seggo sullo sportello. Il vento è così forte che quasi mi butta giù.
“Che stai facendo!?” urla Logan preoccupato. Ma lo ignoro. Non c’è tempo per pensare a qualcos’altro.
La neve e il vento si abbattono sul mio viso mentre Logan accelera per rimanere dietro l’autobus. Resto in equilibrio, in attesa del momento giusto. Il retro dell’autobus adesso è a meno di mezzo metro, e c’è una specie di ampio gradino sul paraurti. Mi faccio forza, col cuore che batte.
Poi mi lancio.
Atterro sul gradino sbattendo la spalla contro il fianco dell’autobus. Mi allungo e afferro le grosse sbarre di metallo. Il metallo mi congela le mani scoperte, ma mi tengo stretta. Il terreno vola sotto i miei piedi. Riesco a stento a crederci. Ce l’ho fatta.
L’autobus starà andando a 130 sulla neve, e sbanda parecchio. Passo un braccio attorno alla sbarra, mi ci aggrappo con tutte le forze, riuscendo a tenermi a malapena.
Colpiamo una buca, scivolo, e per poco non mi sfugge la presa. Perdo l’appoggio di uno dei piedi, che si mette a strisciare sulla neve – è la gamba ferita, che sbatte per terra facendomi urlare dal dolore. Con grande sforzo, mi rimetto lentamente su.
Cerco di aprire lo sportello di dietro, ma mi si gela il cuore nel vedere che è chiuso con lucchetto e catena. Con la mano che trema, riesco a estrarre la pistola dalla cintura. Mi abbasso, mi preparo e faccio fuoco.
Volano scintille. Il lucchetto si rompe, e la catena cade a terra facendo un gran rumore.
Cerco di aprire lo sportello, che si spalanca violentemente, mancandomi di pochissimo. Mi infilo dentro e sono nel retro dell’autobus.
Mi trovo nel corridoio dello scuolabus. Lo attraverso di corsa, guardando freneticamente a destra e a sinistra. Ci sono dozzine di ragazzine qui dentro, incatenate tra loro e ai sedili. Mi guardano tutte terrificate. Controllo ogni fila, da sinistra a destra, cercando qualche segno di mia sorella.
“BREE!” urlo disperata.
Le ragazze intanto si accorgono di me e capiscono che potrei essere la loro ancora di salvezza, e iniziano a piangere isteriche.
“AIUTAMI!” urla una di loro.
“TI PREGO, PORTAMI VIA DI QUI!” urla un’altra.
Anche l’autista si è accorto della mia presenza e vedo che mi fissa dallo specchietto. Di colpo l’autobus sterza bruscamente. Volo per il corridoio e sbatto la testa sulla copertura di metallo.
Mi rimetto in equilibrio, ma lui sterza ancora nell’altra direzione, e io volo dall’altro lato dell’autobus.
Ho il cuore che martella, ma mi rimetto dritta e stavolta mi tengo ai sedili mentre avanzo con prudenza, fila dopo fila. Cerco Bree dappertutto, e sono rimaste solo poche file.
“BREE!” urlo, domandandomi come mai non alzi la testa.
Controllo le altre due file, poi le altre due, poi le altre due… Alla fine, arrivo all’ultima e il cuore mi si gela.
Non c’è segno di lei.
Realizzo subito ed è un duro colpo: ho scelto l’autobus sbagliato.
Improvvisamente, noto con la coda l’occhio un movimento fuori dal finestrino e sento un’esplosione. Mi giro e vedo il nostro Humvee colpire una mina e volare in aria, con Logan dentro. Atterra di fianco e scivola sulla neve. Poi si ferma
Mi si gela il cuore. Logan dev’essere morto.