Kitabı oku: «Concessione D’armi »

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C O N C E S S I O N E   D ’   A R M I
(LIBRO #8 in L’ANELLO DELLO STREGONE)
Morgan Rice
Edizione italiana
A cura di
Annalisa Lovat
Chi è Morgan Rice

Morgan Rice è l’autrice campione d’incassi di APPUNTI DI UN VAMPIRO, una serie per ragazzi che comprende al momento undici libri; autrice campione d’incassi di THE SURVIVAL TRILOGY, un thriller post-apocalittico che comprende al momento due libri; e autrice campione d’incassi della serie epica fantasy L’ANELLO DELLO STREGONE, che comprende al momento tredici libri.

I libri di Morgan sono disponibili in edizione stampata e in formato audio e sono stati tradotti in tedesco, francese, italiano, spagnolo, portoghese, giapponese, cinese, svedese, olandese, turco, ungherese, ceco e slovacco (prossimamente ulteriori lingue).

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Cosa dicono di Morgan Rice

“L’ANELLO DELLO STREGONE ha tutti gli ingredienti per un successo immediato: intrighi, complotti, mistero, cavalieri valorosi, storie d’amore che fioriscono e cuori spezzati, inganno e tradimento. Vi terrà incollati al libro per ore e sarà in grado di riscuotere l’interesse di persone di ogni età. Non può mancare sugli scaffali dei lettori di fantasy.”

–-Books and Movie Reviews, Roberto Mattos

“Rice fa un bel lavoro nel trascinarvi nella storia fin dall’inizio, utilizzando una grande qualità descrittiva che trascende la mera colorazione d’ambiente… Ben scritto ed estremamente veloce da leggere…”

--Black Lagoon Reviews (parlando di Tramutata)

“Una storia perfetta per giovani lettori. Morgan Rice ha fatto un lavoro eccellente creando un intreccio interessante  …Rinvigorente e unico. La serie si concentra su una ragazza… una ragazza straordinaria!… Di facile lettura, ma estremamente veloce e incalzante… Classificato PG.”

–-The Romance Reviews (parlando di Tramutata)

“Mi ha preso fin dall’inizio e non ho più potuto smettere…. Questa storia è un’avventura sorprendente, incalzante e piena d’azione fin dalle prime pagine. Non esistono momenti morti.”

–-Paranormal Romance Guild {parlando di Tramutata }

“Pieno zeppo di azione, intreccio, avventura e suspense. Mettete le vostre mani su questo libro e preparatevi a continuare a innamorarvi”

–-vampirebooksite.com (parlando di Tramutata)

“Un grande intreccio: questo è proprio il genere di libro che farete fatica a mettere giù la sera. Il finale lascia con il fiato sospeso ed è così spettacolare che vorrete immediatamente acquistare il prossimo libro, almeno per sapere cosa succede in seguito.”

–-The Dallas Examiner {parlando di Amata}

“È  un libro che può competere con TWILIGHT e DIARI DI UN VAMPIRO, uno di quelli che vi vedrà desiderosi di continuare a leggere fino all’ultima pagina! Se siete tipi da avventura, amore e vampiri, questo è il libro che fa per voi!”

–-Vampirebooksite.com {parlando di Tramutata}

“Morgan Rice dà nuovamente prova di essere una narratrice di talento… Questo libro affascinerà una vasta gamma di lettori, compresi i più giovani fan del genere vampiresco/fantasy. Il finale mozzafiato vi lascerà a bocca aperta.”

–-The Romance Reviews {parlando di Amata}

Libri di Morgan Rice
L’ANELLO DELLO STREGONE
UN’IMPRESA DA EROI (Libro #1)
LA MARCIA DEI RE (Libro #2)
DESTINO DI DRAGHI (Libro #3)
GRIDO D’ONORE (Libro #4)
VOTO DI GLORIA (Libro #5)
UN COMPITO DI VALORE (Libro #6)
RITO DI SPADE (Libro #7)
CONCESSIONE D’ARMI (Libro #8)
UN CIELO DI INCANTESIMI (Libro #9)
UN MARE DI SCUDI (Libro #10)
UN REGNO D’ACCIAIO (Libro #11)
LA TERRA DEL FUOCO (Libro #12)
LA LEGGE DELLE REGINE (Libro #13)
GIURAMENTO FRATERNO (Libro #14)
THE SURVIVAL TRILOGY
ARENA ONE: SLAVERSUNNERS (Libro #1)
ARENA TWO (Libro #2)
APPUNTI DI UN VAMPIRO
TRAMUTATA (Libro #1)
AMATA (Libro #2)
TRADITA (Libro #3)
DESTINATA (Libro #4)
DESIDERATA (Libro #5)
BETROTHED (Libro #6)
VOWED (Libro #7)
FOUND (Libro #8)
RESURRECTED (Libro #9)
CRAVED (Libro #10)
FATED (Libro #11)
Ascoltate la serie L’ANELLO DELLO STREGONE in formato audio-libro!

Ora disponibile su:

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Copyright © 2013 by Morgan Rice


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This is a work of fiction. Names, characters, businesses, organizations, places, events, and incidents either are the product of the author’s imagination or are used fictionally. Any resemblance to actual persons, living or dead, is entirely coincidental.


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“Il mio buon nome è la mia stessa vita;
crescono insieme sullo stesso tronco;
toglietemelo, e la mia vita è spenta.”
 
--William Shakespeare
Riccardo II


CAPITOLO UNO

Gwendolyn si teneva stretta per ripararsi dal freddo vento sferzante che la colpiva al limitare del Canyon, mentre faceva il suo primo passo sul ponte ad arco che costituiva l’Attraversamento Settentrionale. Quel ponte traballante, ricoperto di ghiaccio, era fatto di vecchie tavole di legno tenute insieme da una fune logora e non aveva l’aspetto di poterli sostenere. Gwen rabbrividì mentre si apprestava a salirvi sopra.

Scivolò e si aggrappò al corrimano che subito oscillò con forza, aiutandola ben poco. Le balzò il cuore in gola al pensiero che quel ponte così poco rassicurante fosse l’unica via possibile per attraversare la parte settentrionale del Canyon e accedere al Mondo Inferiore per trovare Argon. Gwen sollevò lo sguardo e vide, in lontananza, il Mondo Inferiore che faceva capolino dietro uno scudo di neve accecante. In quelle condizioni l’attraversamento appariva ancora più ostico e inquietante.

Giunse un’improvvisa e forte folata e la corda oscillò così violentemente che Gwendolyn dovette tenersi stretta con entrambe le mani, cadendo in ginocchio. Per un attimo pensò addirittura di non poter continuare: figurarsi se sarebbe mai riuscita ad attraversare l’intero ponte. Si rese conto che si trattava di un’impresa molto più pericolosa di quanto avesse immaginato e che avrebbero dovuto tutti mettere a repentaglio le loro vite per tentare.

“Mia signora?” la chiamò una voce.

Gwen si voltò e vide Aberthol a pochi passi da lei, affiancato da Steffen, Alistair e Krohn, tutti in procinto di seguirla. Tutti e cinque insieme costituivano un gruppo piuttosto improbabile, lì al limitare del mondo, di fronte a un futuro incerto e a una morte molto probabile.

“Dobbiamo veramente cercare di attraversare?” le chiese.

Gwendolyn si voltò a guardare la neve vorticante e il vento di fronte a lei, si strinse la pelliccia attorno alle spalle e rabbrividì. Dentro di sé, in realtà, non voleva attraversare quel ponte, non aveva la minima intenzione di intraprendere quel viaggio. Avrebbe di gran lunga preferito ritirarsi e tornare alla sicurezza della sua casa natale, la Corte del Re, ripararsi dietro le sue mura accoglienti, accanto a un fuoco, e dimenticare tutti i pericoli e le preoccupazioni che le avevano riempito la vita da quando era diventata regina.

Ma ovviamente non poteva farlo. La Corte del Re non esisteva più, la sua infanzia era finita e ora era una regina. Avrebbe presto avuto un bimbo di cui prendersi cura, un futuro marito là fuori da qualche parte, ed entrambi avevano bisogno di lei. Per Thorgrin sarebbe passata anche attraverso il fuoco, se necessario. E Gwen sentiva che in qualche modo avrebbe dovuto effettivamente farlo. Avevano tutti bisogno di Argon: non solo lei e Thor, ma l’intero Anello. Non si trovavano solo contro ad Andronico, ma anche a una potente magia, forte abbastanza da intrappolare Thor, e senza Argon non aveva idea di come avrebbero potuto annientarla.

“Sì,” rispose. “Dobbiamo.”

Gwen si apprestò a fare un altro passo, ma questa volta Steffen scattò in avanti e la fermò.

“Mia signora, per favore, permetti che vada io per primo,” le disse. “Non sappiamo quali orrori ci attendano su questo ponte.”

Gwendolyn era commossa dalla sua offerta, ma allungò una mano e lo spinse da parte con delicatezza.

“No,” replicò. “Devo andare io.”

Non attese oltre e fece un passo avanti, tenendosi saldamente al corrimano di corda.

Mentre avanzava fu colpita dal freddo: le attanagliava la mano, il ghiaccio scavava in lei, il senso di gelo le scorreva attraverso mano e braccio. Fece un respiro profondo, non certa di poter continuare a tenersi.

La raggiunse un’altra folata di vento, che fece dondolare il ponte da una parte all’altra, costringendola a stringere ulteriormente la presa, tollerando il dolore provocatole dal ghiaccio. Lottò con tutte le sue forze per rimanere in equilibrio mentre i piedi scivolavano sulle tavole ricoperte di ghiaccio sotto di lei. Il ponte sbandò violentemente a sinistra e per un momento Gwen si sentì certa che sarebbe caduta di lato. Poi il ponte si raddrizzò e ruotò dalla parte opposta.

Gwen si inginocchiò di nuovo. Aveva avanzato appena di tre metri e già il cuore le stava battendo così forte in petto da riuscire a malapena a respirare. Le sue mani erano talmente intorpidite che le sentiva appena.

Chiuse gli occhi e fece un respiro profondo. Pensò a Thor. Si immaginò il suo volto, ogni singolo particolare. Pensò intensamente al suo amore per lui. Alla sua determinazione di liberarlo. A ogni costo.

A ogni costo.

Gwendolyn aprì gli occhi e si sforzò di fare altri passi in avanti, tenendosi salda alla fune e non volendosi fermare per nulla al mondo. Il vento e la neve potevano anche spingerla nelle profondità del Canyon: non le interessava più nulla. Non si trattava più di lei, ma dell’amore della sua vita. Per lui avrebbe fatto qualsiasi cosa.

Gwendolyn sentì il peso portarsi sul ponte dietro di lei e guardandosi alle spalle vide Steffen, Aberthol, Alistair e Krohn che la seguivano. Krohn scivolò sulle zampe mentre correva in avanti oltrepassando gli altri, sbandando da una parte all’altra fino a che si trovò accanto a Gwen.

“Non so se posso farcela,” disse Aberthol, la voce stanca, dopo aver fatto pochi passi tremolanti.

Rimase fermo, aggrappato alla fune, con le braccia che tremavano. Un uomo debole e vecchio, appena capace di tenersi in piedi.

“Ce la puoi fare,” gli disse Alistair, portandosi accanto a lui e cingendogli la vita con un braccio. “Ci sono qui io, non ti preoccupare.”

Alistair camminò insieme a lui, aiutandolo ad avanzare mentre il gruppo riprendeva il cammino, lungo il ponte, un passo alla volta.

Gwen ancora una volta si meravigliò della forza di Alistair di fronte alle avversità, della sua natura calma, della sua temerarietà. Inoltre emanava un potere che Gwendolyn proprio non comprendeva. Non era in grado di spiegare perché sentisse un tale attaccamento a lei, ma per quanto la conoscesse da brevissimo tempo già la sentiva come una sorella. La sua presenza – e quella di Steffen – le davano forza.

Il vento si calmò un poco e loro poterono accelerare il passo. Presto giunsero alla metà del ponte, ora muovendosi più veloci, Gwen ormai abituata alle tavole scivolose. L’estremità opposta del Canyon iniziò ad apparire davanti ai loro occhi, ora ad ormai solo una cinquantina di metri, e il cuore di Gwendolyn cominciò a battere più forte, traboccante di ottimismo. Dopotutto ce la potevano fare.

Una folata fresca li colpì, questa volta più forte delle altre, tanto potente che Gwen dovette piegarsi sulle ginocchia e afferrare la fune con entrambe le mani. Si tenne ben salda mentre il ponte oscillava di quasi novanta gradi, tornando poi violentemente alla posizione iniziale. Sentì una tavola che cedeva sotto i suoi piedi e gridò mentre una gamba affondava nell’improvvisa apertura nel ponte, rimanendo incastrata all’altezza della coscia. Si dimenò ma non riuscì a liberarsi.

Gwendolyn si voltò a guardare Aberthol che perdeva la presa e lasciava andare Alistair, iniziando a scivolare verso il bordo del ponte. Alistair reagì velocemente, allungando una mano e afferrandogli il polso, trattenendolo proprio un attimo prima che precipitasse dal ponte.

Alistair si chinò oltre il bordo, tenendo Aberthol che oscillava sotto di lei con nient’altro sotto di sé se non il fondo del Canyon. Alistair stringeva i denti e Gwen pregò che la corda non cedesse. Si sentiva così inutile, incastrata com’era, con la gamba bloccata tra le tavole. Il cuore le batteva all’impazzata mentre cercava di liberarsi.

Il ponte oscillava selvaggiamente e Alistair ed Aberthol ondeggiavano con esso.

“Lascia andare!” le gridò Aberthol. “Salvati!”

Il bastone gli cadde dalle mani e precipitò nel vuoto, ruotando su se stesso, verso le profondità del Canyon. Ora tutto ciò che gli era rimasto era il bastone che teneva legato alla schiena.

“Andrà tutto bene,” disse Alistair con calma.

Gwen era sorpresa di vedere Alistair così composta e fiduciosa.

“Guardami negli occhi,” gli disse con fermezza.

“Cosa?” le chiese Aberthol cercando di sovrastare l’ululare del vento.

“Guardami negli occhi,” gli ordinò nuovamente Alistair, con ancora maggiore forza nella propria voce.

C’era qualcosa nel suo tono che era in grado di dettare ordini agli uomini, e Aberthol la guardò, obbediente. I loro occhi si fissarono gli uni negli altri e in quel momento Gwendolyn vide una luce partire da quelli di Alistair e raggiungere quelli di Aberthol. Guardò incredula mentre quel bagliore avvolgeva Aberthol e mentre Alistair si raddrizzava con un colpo, tirandolo su, fino al ponte.

Aberthol, confuso, giaceva ora lì, con il fiatone, e guardava Alistair con estrema meraviglia. Subito si voltò e si aggrappò alla fune con entrambe le mani, prima che un’altra folata di vento sopraggiungesse.

“Mia signora!” gridò Steffen.

Si inginocchiò su di lei, la afferrò per le spalle e la tirò con tutte le sue forze.

Gwen iniziò lentamente a estrarre la gamba dalle tavole, ma proprio quando stava per liberarsi completamente, scivolò sul ghiaccio e ricadde nella medesima posizione di prima, incastrandosi ancora più a fondo. Improvvisamente un’altra tavola si spezzò sotto di lei e Gwen gridò sentendo che stava iniziando a cadere.

Si allungò in avanti e si aggrappò con forza alla fune con una mano e al polso di Steffen con l’altra. Le sembrava che le spalle le si stessero staccando mentre oscillava nel vuoto. Ora anche Steffen ondeggiava, così sporto oltre il bordo, le gambe intrecciate dietro di sé, rischiando al sua vita per evitare che lei cadesse. Le funi che si stavano per spezzare dietro di lui erano le uniche cose che li tenevano sospesi.

Si udì un ruggito e Krohn fece un balzo in avanti affondando le zanne nella pelliccia di Gwen e tirando indietro con tutte le sue forze, ringhiando e ruggendo.

Lentamente Gwen fu sollevata, un centimetro alla volta, fino a che riuscì ad aggrapparsi alle tavole del ponte. Si tirò su e giacque sul ponte, a faccia in giù, respirando affannosamente.

Krohn le leccò ripetutamente la faccia e lei si sentì così grata nei suoi confronti e in quelli di Steffen che giaceva accanto a lei. Era così felice di essere viva, di essere stata tratta in salvo da una morte orribile.

Ma improvvisamente si udì il suono di uno strappo e l’intero ponte fu scosso. Gwen si sentì gelare il sangue quando si voltò a guardare: una delle funi che tenevano il ponte legato al Canyon si era spezzata.

Tutto il ponte si muoveva a strattoni e Gwen guardò con orrore mentre anche l’altra fune, ora ridotta a un filo, si spezzava.

Gridarono tutti mentre metà del ponte si staccava dalla parete del Canyon e li faceva oscillare a tale velocità che Gwen poté a malapena respirare mentre volavano in aria, diretti a folle velocità contro la parete opposta del Canyon.

Gwen sollevò lo sguardo e vide una parete di roccia che le compariva davanti, e capì che nel giro di pochi istanti sarebbero morti nell’impatto, i loro corpi maciullati, e chiunque fosse sopravvissuto sarebbe comunque precipitato nel cuore della terra.

“Roccia, apriti. TE LO ORDINO!” gridò una voce densa di una primordiale autorità, una voce che Gwen non aveva mai sentito.

Si guardò alle spalle e vide Alistair, aggrappata alla corda, che teneva un palmo sollevato e teso verso la parete rocciosa che stavano per colpire. Dalla mano di Alistair si generava una luce gialla e mentre si avvicinavano al muro di pietra, mentre Gwendolyn già si preparava all’impatto, fu scioccata da ciò che accadde.

Di fronte ai suoi occhi la solida facciata di roccia del Canyon si tramutò in neve e quando tutti vi sbatterono contro Gwendolyn non sentì lo schianto delle ossa che si era aspettata. Sentì invece l’intero corpo immerso in un muro di neve morbida e leggera. Era gelida e la ricoprì completamente, entrandole negli occhi, nel naso e nelle orecchie, ma non le fece alcun male.

Era viva.

Rimasero tutti lì penzolanti, attaccati alla fune appesa in cima al versante del Canyon, immersi nel muro di neve, e Gwen sentì una mano forte che le afferrava il polso. Alistair. La sua mano era stranamente calda nonostante il freddo gelido che li circondava. Alistair in qualche modo aveva già afferrato anche gli altri e presto tutti, incluso Krohn, furono trascinati da lei, mentre si arrampicava lungo la fune come niente fosse.

Alla fine raggiunsero la cima e Gwen collassò sulla terra ferma, dall’altra parte del Canyon. Nel momento in cui lo fecero, quel che era rimasto della fune si spezzò e il ponte precipitò, scomparendo nella nebbia, verso il fondo del Canyon.

Gwendolyn rimase ferma lì, con il fiato corto, felice di trovarsi di nuovo sulla terra solida e chiedendosi cosa fosse appena accaduto. Il terreno era gelido, ricoperto di neve e ghiaccio, ma almeno era terraferma. Si trovava fuori dal ponte ed era viva. Ce l’avevano fatta. Grazie ad Alistair.

Gwendolyn si voltò a guardarla con un nuovo senso di meraviglia e rispetto. Era più che grata a lei per essere al suo fianco. La sentiva veramente come la sorella che non aveva mai avuto e aveva la sensazione di non aver visto che una parte del suo profondo potere.

Gwen non aveva idea di come avrebbero fatto a tornare dall’altra parte del Canyon, nell’Anello, una volta portata a termine la loro missione – sempre che ce la facessero – se mai avessero ritrovato Argon e fossero tornati. E mentre scrutava il muro di neve accecante davanti a sé, l’ingresso del Mondo Inferiore, ebbe il terribile presentimento che gli ostacoli più grossi dovessero ancora presentarsi.

CAPITOLO DUE

Reece si trovava presso il Passaggio Orientale del Canyon, le mani strette attorno al parapetto di pietra, e guardava con orrore oltre il precipizio. Riusciva a malapena a respirare. Non poteva ancora credere a ciò che aveva appena visto: la Spada della Dinastia, conficcata in un masso, era caduta oltre il bordo ed era precipitata roteando in aria, scomparendo inghiottita dalla nebbia.

Aveva aspettato e aspettato, pronto a sentire il tonfo o una scossa sotto i piedi. Ma con suo grande shock non era giunto alcun rumore. Forse il Canyon era senza fondo? Le voci al riguardo erano vere?

Alla fine Reece lasciò la presa sul parapetto, le nocche ormai bianche per lo sforzo, ricominciò a respirare e si voltò a guardare i suoi compagni della Legione. Stavano tutti lì – O’Connor, Elden, Conven, Indra, Serna e Krog – e anche loro guardavano il Canyon inorriditi. Tutti e sette erano immobili, incapaci di comprendere ciò che era appena accaduto. La Spada della Dinastia, la leggenda con la quale tutti loro erano cresciuti, l’arma più famosa al mondo, la proprietà dei re. E l’unica cosa rimasta con la capacità di mantenere lo Scudo.

Era semplicemente scivolata dalla loro presa ed era scesa verso l’oblio.

Reece sentiva di aver fallito. Sentiva di aver abbandonato non solo Thor, ma l’intero Anello. Perché non erano arrivati giusto qualche minuto prima? Appena qualche passo di anticipo e sarebbe riuscito a salvare la Spada.

Si rigirò a guardare l’estremità opposta del Canyon, la parte dell’Impero, e si preparò. Senza la Spada era ovvio che lo Scudo si sarebbe disattivato e quindi i soldati dell’Impero che si trovavano dall’altra parte avrebbero fatto presto irruzione dal loro lato, invadendo l’Anello. Ma accadde una cosa curiosa: mentre guardava, nessuno osò accedere al ponte. Uno dei soldati tentò, ma venne disintegrato.

In qualche modo lo Scudo era ancora attivo. Reece non capiva.

“Non ha senso,” disse Reece agli altri. “La Spada ha lasciato l’Anello. Come fa lo Scudo a funzionare ancora?”

“La Spada non ha lasciato l’Anello,” suggerì O’Connor. “Non è ancora passata dall’altra parte. È caduta giù dritta. È incastrata tra due mondi.”

“E allora cosa ne è dello Scudo se la Spada non è né qui né là?” chiese Elden.

Si guardarono tutti con sguardi dubbiosi. Nessuno di loro aveva la risposta: si trattava di un territorio inesplorato.

“Ma non possiamo andarcene e basta,” disse Reece. “L’Anello è salvo con la Spada dalla nostra parte, ma non sappiamo cosa accadrà se la Spada rimarrà la sotto.”

“Fino a che non sarà in nostro possesso, non potremo mai sapere se finirà dall’altra parte,” aggiunse Elden, d’accordo con loro.

“Non è un rischio che possiamo correre,” disse Reece. “Il fato dell’Anello dipende da questo. Non possiamo fare ritorno a mani vuote, da falliti.”

Reece si voltò a guardare gli altri, convinto.

“Dobbiamo recuperarla,” concluse. “Prima che lo faccia qualcun altro.”

Recuperarla?” chiese Krog, esterrefatto. “Sei impazzito? E come pensi di poterlo fare?”

Reece si voltò e fissò Krog, che continuò a guardarlo con aria di sfida come sempre. Krog era veramente diventato una spina nel fianco per Reece, disobbedendo ai suoi ordini in ogni momento, sfidando ad ogni occasione la sua posizione di comando. Reece sentiva che stava per perdere la pazienza con lui.

“Lo faremo,” insistette, “scendendo fino al fondo del Canyon.”

Gli altri sussultarono e Krog si portò le mani ai fianchi, guardandolo con una smorfia.

“Tu sei pazzo,” gli disse. “Nessuno è mai sceso fino al fondo del Canyon.”

“Nessuno neppure sa se veramente ci sia un fondo,” si intromise Serna. “Per quanto ne sappiamo la Spada è caduta all’interno di una nuvola e potrebbe essere ancora in volo mentre stiamo qui a parlare.”

“Sciocchezze,” li rimbeccò Reece. “Tutto deve avere un fondo. Anche il mare più profondo ce l’ha.”

“Va bene, ammesso che il fondo esista,” lo rimbrottò Krog, “che beneficio ne traiamo a scendere così a fondo da non sapere neanche quanto? Non la vediamo né l’abbiamo udita atterrare. Potrebbero volerci giorni per raggiungerla, magari settimane.”

“Senza aggiungere che certo non si tratterebbe di una piacevole passeggiatina,” aggiunse Serna. “Non hai visto la parete rocciosa?”

Reece si voltò a guardare il baratro, le antiche pareti di roccia del Canyon, parzialmente nascoste dalla nebbia vorticante. Erano dritte, praticamente verticali. Sapeva che avevano ragione: non sarebbe stato facile. Eppure sapeva anche che non avevano scelta.

“E ancora peggio,” disse Reece, “quelle pareti sono scivolose per la nebbia. E anche se dovessimo riuscire a raggiungere il fondo, può darsi che non riusciremo più a tornare su.”

Tutti lo guardarono confusi.

“Quindi ammetti anche tu che è una pazzia tentare,” disse Krog.

“Sono d’accordo che è una follia,” disse Reece, la voce tonante di autorità e sicurezza. “Ma la follia è ciò per cui siamo nati. Non siamo semplici uomini, non siamo semplici abitanti dell’Anello. Siamo una razza speciale: siamo soldati. Siamo guerrieri. Siamo uomini della Legione. Abbiamo fatto un voto, un giuramento. Abbiamo giurato di non abbandonare mai un’impresa se questa appare troppo difficile o pericolosa, di non esitare di fronte a uno sforzo che possa arrecarci danno. È cosa da deboli nascondersi e fuggire, non è da noi. È questo che ci rende guerrieri. È la vera essenza del valore: ci si imbarca in un’impresa più grande di se stessi perché è la cosa giusta da fare, la cosa più onorevole, anche se può apparire impossibile. Dopotutto non è il risultato che rende qualcosa valoroso, ma il tentativo. È più grande di noi. È questo che siamo noi.”

Seguì un teso silenzio mentre il vento soffiava e gli altri riflettevano sulle sue parole.

Alla fine Indra fece un passo avanti.

“Io sono con Reece,” disse.

“Anche io,” aggiunse Elden, facendosi avanti a sua volta.

“E pure io,” aggiunse O’Connor portandosi accanto a Reece.

Conven si avvicinò a Reece in silenzio, afferrando l’elsa della sua spada, e si voltò a guardare gli altri. “Per Thorgrin,” disse, “andrei fino alla fine del mondo.”

Reece si sentì rinvigorito dall’avere i suoi veri e fidati membri della Legione al proprio fianco, persone che aveva con il tempo imparato ad amare come membri della stessa famiglia, fratelli che si erano avventurati con lui fino agli estremi confini dell’Impero. Tutti e cinque rimasero lì a fissare i due nuovi compagni, Krog e Serna, e Reece si chiese se si sarebbero unito a loro. Sarebbero state utili mani in più, ma se avessero voluto tornare indietro, che così fosse. Non gliel’avrebbe chiesto due volte.

Krog e Serna rimasero fermi a fissarli, insicuri sul da farsi.

“Io sono una donna,” disse loro Indra, “e voi prima vi siete presi gioco di me. Ed ora eccomi qui, pronta a una sfida da guerriero, mentre voi ve ne state lì impalati, tutti muscoli, timidi e spaventati.”

Serna sbuffò, irritato, spingendo indietro i lunghi capelli castani che gli coprivano gli occhi grandi e allungati e facendo un passo avanti.

“Verrò,” disse, “ma solo per il bene di Thorgrin.”

Krog era ora l’unico a rimanere indietro, rosso in volto, con aria di sfida.

“Siete dei dannati folli,” disse. “Tutti quanti.”

Ma alla fine fece un passo avanti e accettò di unirsi a loro.

Reece, soddisfatto, si voltò e li condusse verso il bordo del Canyon. Non c’era altro tempo da perdere.

*

Reece si teneva stretto al versante del Canyon mentre scendeva verso il basso, gli altri qualche metro sopra di lui, tutti intenti in una discesa dolorosa e faticosa ormai da ore. Il cuore di Reece batteva a mille mentre arrancava per mantenere il passo, le dita ferite e intorpidite dal freddo, i piedi che scivolavano sulla roccia viscida. Non si era aspettato che fosse difficile fino a quel punto. Aveva guardato giù e aveva valutato il terreno, la forma della roccia, notando che in alcuni punti la parete scendeva a strapiombo, perfettamente liscia e impossibile da scalare; in altri punti la pietra era ricoperta da un fitto muschio; in altri ancora aveva una netta pendenza ma buchi, sporgenze e scanni dove poter appoggiare i piedi e aggrapparsi con le mani. Aveva anche adocchiato alcuni pianerottoli dove potersi riposare.

Ma l’effettiva scalata si era rivelata molto più complicata di quanto fosse sembrata. La nebbia gli oscurava continuamente la vista e mentre deglutiva e guardava in giù trovava sempre più difficile mantenere l’equilibrio. Senza menzionare il fatto che, anche dopo tutto quel tempo passato a scendere, il fondo – se mai esisteva – non si era ancora visto.

Dentro di sé Reece sentiva crescere una sempre maggiore paura, la gola gli si fece secca. Una parte di lui si chiese se per caso avesse fatto un grave errore.

Ma non osava mostrare il suo timore agli altri. Senza Thor era lui ora il loro capo e doveva essere loro da esempio. Sapeva anche che dare corda alla paura non gli avrebbe fatto alcun bene. Doveva assolutamente rimanere forte e concentrato: sapeva che il timore aveva il potere di offuscare le sue abilità.

Le mani gli tremavano mentre riprendeva il controllo sulle proprie emozioni. Si disse che doveva dimenticare ciò che c’era sotto di loro e concentrarsi invece in cosa aveva davanti.

Un passo alla volta, si disse. Si sentì meglio con quel pensiero.

Trovò un altro punto d’appoggio per il piede e fece un altro passo verso il basso, poi un altro ancora, trovandosi a procedere secondo un ritmo definito.

“ATTENTO!” gridò qualcuno.

Reece si tenne stretto mentre alcuni piccoli ciottoli cadevano improvvisamente dall’alto, come una pioggia attorno a lui, rimbalzando sulla sua testa e sulle sue spalle. Sollevò lo sguardo e vide un grosso masso che stava precipitando e fece appena in tempo a scansarlo evitandolo.

“Scusa!” gridò O’Connor. “Roccia instabile!”

Il cuore di Reece batteva forte quando tornò a guardare in basso cercando di calmarsi. Moriva dalla voglia di sapere dove fosse il fondo. Allungò una mano, afferrò un sasso che gli era atterrato sulla spalla e guardando in basso lo scagliò giù.

Rimase in attesa, aspettando di sentirne il rumore.

Non udì nulla.

La sua inquietudine si accentuò. Ancora non c’era un senso definito di dove il Canyon finisse. E con mani e piedi già tremanti non sapeva se ce l’avrebbero mai fatta. Deglutì e ogni genere di pensiero gli passò per la mente mentre procedeva. E se Krog avesse avuto ragione? E se veramente non c’era un fondo? E se quella fosse un’incauta missione suicida?

Fece un altro passo e scese di parecchi metri, prendendo nuovo slancio, poi improvvisamente udì il rumore di un corpo che grattava sulla roccia, poi un grido. Accanto a lui si verificò un certo caos e guardando in alto vide Elden che iniziava a cadere, scivolando e passandogli oltre.

Istintivamente Reece allungò una mano e riuscì ad afferrare un polso di Elden mentre gli passava accanto. Fortunatamente Reece aveva una presa salda sulla roccia con l’altra mano e riuscì a tenere con forza Elden, evitandogli di scivolare giù del tutto. Elden tuttavia rimase a penzoloni, incapace di trovare un appoggio. Era troppo grande e pesante e Reece iniziava già a sentire che le forze lo abbandonavano.