Kitabı oku: «Il trono dei draghi», sayfa 3
CAPITOLO QUINTO
Il Principe Greave non era abituato a occuparsi di navi se non a livello puramente teorico. Oh, aveva letto parti di Sulla navigazione di Samir e Attorno alle coste di Hussard in vista del viaggio, ma nessuno dei due lo aveva preparato alla realtà di un mare che si agitava violento, a un equipaggio di marinai che lo ignorava, chi più chi meno, e a un cielo che sembrava a un passo dalla tempesta.
La Serpentina era un’ampia nave a tre alberi, dai lati alti e curvi che, come una spada, tagliava le onde mentre si faceva strada nel mare. Portava piccole scialuppe ai lati, assicurate alle ringhiere. I marinai erano uomini dall’aspetto duro, ricoperti da indumenti larghi e spartani che permettevano loro di muoversi senza difficoltà nelle manovre navali. Erano robusti e segnati dalle intemperie, l’esatto opposto di Greave; e osservavano la sua pelle liscia e il suo aspetto femmineo con disprezzo.
Tuttavia, il solo pensiero di Nerra e che tutto ciò era finalizzato ad aiutarla, rendeva l’impresa degna dello sforzo. Quello era il modo più veloce per raggiungere Astare e la grande biblioteca che giaceva lì. Era l’unica via per arrivare dove avrebbe potuto trovare una cura alla malattia a squame abbastanza in fretta. Nonostante ciò… nonostante ciò, Greave era preoccupato di non fare in tempo.
“Questo è… normale?” chiese Aurelle, che era accanto a lui.
“Stai iniziando a desiderare di non essere venuta?” chiese Greave.
Scosse la testa. “Voi siete qui ed io non vi lascerò.”
Lo fece sembrare del tutto normale, ma Greave non poteva immaginare un’altra donna che lo avrebbe seguito lì, in quei mari spietati che avevano reclamato così tante vite, su una nave che avrebbe potuto essere fatta a pezzi se si fosse avvicinata troppo alle correnti rapide in prossimità delle sponde del fiume Slate. Nessun’altra donna avrebbe accettato di farlo, ma Aurelle era più di una donna qualsiasi.
“Sembra che abbiate la nausea,” disse Aurelle.
Greave detestava pensare all’aspetto che doveva avere in quel momento. Di solito era elegante, esile, con tratti quasi femminei, i capelli che gli scendevano in onde morbide e i tratti chiusi in un’espressione che avrebbe potuto fornire una perfetta ispirazione per la tristezza a un artista. Adesso, i suoi capelli erano aggrovigliati per il sale marino e il primo accenno di barba scura gli punteggiava il mento. Il suo non era un volto che poteva ospitare una barba, neanche quando non tendeva al verde per il mal di mare.
Mentre per quanto riguardava Aurelle… lei era perfetta.
Non era solo bellissima, sebbene lo fosse, con la sua pelle d’alabastro e gli zigomi e le labbra che ricordavano le stelle più luminose in una costellazione di tratti perfetti. Il suo corpo… Greave avrebbe potuto scrivere delle poesie su di lei, soprattutto poiché non portava più un abito elegante, ma dei vestiti da viaggio, con una tunica grigia e argento, un corsetto e dei calzoncini.
Niente di tutto ciò era tanto importante quanto il fatto che fosse lì, con lui, sulla rotta migliore che potevano trovare per raggiungere la grande biblioteca di Astare. Lo aveva accompagnato nella sua caccia per trovare una cura alla malattia a squame, quando nessun altro lo avrebbe fatto; stava cercando di aiutare Nerra, essendo salita a bordo di quella nave insieme a lui con piacere, se non addirittura con gioia.
“Non avremmo potuto andarci a cavallo?” chiese.
“È all’estremo nord-est e per arrivare laggiù occorre attraversare le terre vulcaniche,” disse Greave. “Raggiungerlo a cavallo sarebbe difficile e pericoloso se siamo solo noi due.”
“E questo invece non lo è?” chiese Aurelle, accennando al mare attorno a loro.
Non c’era segno di terraferma da lì; le navi dovevano viaggiare a largo per evitare il rischio di essere travolte dalle pericolose correnti in prossimità della costa. Era snervante; Greave aveva trascorso la maggior parte della sua vita confinato in biblioteca ma, allo stesso tempo, poteva sentire qualcosa crescere in lui a quella vista. Quello era ciò che gli scrittori che ammirava avevano visto: il mondo in tutta la sua gloria.
“Greave,” disse Aurelle, puntando il dito all’orizzonte. “Guardate, una balena.”
Greave guardò e vide un’ampia forma grigia sollevarsi dall’acqua, ma le fauci che mostrava erano troppo lunghe e piene di denti appuntiti per appartenere a quel cetaceo. Il suo corpo era grande quanto quello di una balena, ma era percorso da fronde di carne che potevano essere scambiate per alghe da lontano. Greave richiamò alla memoria Creature del profondo di Lolland, e la paura gli si agitò dentro.
“Quella non è una balena,” disse. “Aggrappati a qualcosa, Aurelle.” Gridò forte, in modo che l’equipaggio potesse sentire. “Faucenera!”
L’equipaggio si girò verso la creatura e impiegò un secondo in più di quanto avrebbe dovuto metterci a reagire, perché era stato lui a urlare invece che uno di loro. Greave sapeva cosa dovevano pensare in quel momento: che quel tenero principe viziato non avrebbe distinto una faucenera da un branco di sardine. Tuttavia, un secondo dopo, la videro coi loro occhi e corsero verso la riserva di arpioni della nave.
A quel punto, la creatura era già sott’acqua.
Greave osservò la sua ombra da sopra alla superficie, la seguì con gli occhi mentre si aggrappava a una delle corde della nave. Attorno a lui, i marinai guardavano cauti, diversi ancora affannandosi per prendere le armi.
Poi la creatura colpì.
Sbatté al lato della nave, ma il nostromo la stava già facendo allontanare quindi non accusarono il pieno impatto dell’attacco. Nonostante ciò, bastò a scuotere il mezzo con violenza, inclinandolo di lato abbastanza forte che se Greave non avesse afferrato la corda, sarebbe caduto.
Aurelle non fu altrettanto fortunata e urlò mentre ruzzolava verso il bordo della nave. La faucenera si stava già sollevando con le sue grosse fauci spalancate, pronte ad afferrare la preda, mentre con le sue lunghe fronde si aggrappava alla nave, sorreggendosi sul suo lato inclinato.
Greave balzò in avanti d’istinto, afferrando Aurelle, anche se quello significava abbandonare la sua presa sicura. Le avvolse la vita con le dita, ma anche mentre lo faceva, avvertiva il suo stesso supporto cedere.
Davanti a sé, Greave poté vedere gli arpioni conficcarsi nella carne della creatura, ma non servì a molto. Stava continuando ad avvicinarsi, con quei suoi grandi occhi privi di palpebre che lo guardavano fissi con una cattiveria terrificante.
“Vostra altezza!” gridò uno dei marinai e Greave si voltò nella sua direzione, appena in tempo per accorgersi che l’uomo gli stava tirando un arpione. L’arma restò sospesa nell’aria per un secondo prima di sbattergli contro al palmo mentre la afferrava.
“Greave!” urlò Aurelle. Era quasi al bordo della nave adesso, frenata dalla sua presa sul suo polso, ma solo appena. Sollevò l’arpione, rimpiangendo di non aver trascorso più tempo ad allenarsi con le armi e consapevole che avrebbe dovuto essere vicino a quel grande occhio per…
Lanciò l’arpione, che sfrecciò più preciso di quanto avrebbe potuto sperare. Si conficcò nel bulbo scoperto dell’occhio della faucenera, immergendosi abbastanza in profondità da far emettere alla creatura un grido che parve scuotere il mondo. La sua mole si ritrasse dalla nave che tornò a raddrizzarsi e il tonfo provocato dal suo rientro in acqua riversò sul ponte un’onda che minacciò di affondarla.
Per tutto il tempo, Greave tenne Aurelle stretta, determinato a non lasciarla andare. La tirò su, stringendola a sé perché non corresse il rischio di cadere nell’acqua ma anche perché voleva assicurarsi che fosse ancora viva, ancora lì, ancora salva.
“Pensavo che ti avrei persa,” disse.
“Mi avete salvata,” rispose lei. “Io… Io non so cosa dire…”
“Io sì,” replicò Greave e la baciò dolce. “Ti amo.”
“Io… Vi amo anch’io.”
***
Aurelle pronunciò le parole in automatico, perché alla Casa dei Sospiri le avevano insegnato bene che certe cose erano uno strumento da usare, un mero modo in più per controllare i sentimenti di chi le udiva. Per coloro il cui unico ruolo era vendersi agli altri, quelle erano parole che potevano rimuovere una sfumatura di inclemenza oppure accrescere l’incasso. Per quelle come lei, potevano essere un’arma affilata come pugnali.
Avrebbe potuto infilzare il Principe Greave in quel momento. Era abbastanza vicino e forse, a seguito del caos, i marinai avrebbero pensato che la bestia lo avesse in qualche modo ferito.
O forse no, il contrario. Forse avrebbero capito cosa aveva fatto e l’avrebbero uccisa; o magari avrebbero pensato che la ferita fosse stata provocata dalla creatura, ma sarebbe comunque rimasta una donna sola su una nave piena di marinai, senza alcuna via d’uscita se non la loro grazia.
No, una nave non era il luogo migliore per uccidere il principe, anche se il suo benefattore le avrebbe probabilmente intimato di farlo subito, a prescindere dai rischi. Si ritrovò a pensare al Duca Viris e alle cose che le aveva fatto fare. Non aveva motivo di pensare che lui si preoccupasse minimamente per lei. Il tempo passato insieme alla Casa dei Sospiri ne era stato prova.
Si disse che stava solo agendo in modo pratico, ma in realtà c’era dell’altro. Greave era un uomo gentile, amabile e premuroso, molto diverso dalla maggior parte degli uomini che aveva conosciuto. Si era lanciato nel pericolo per salvarla senza pensarci un momento, quando sarebbe invece potuto rimanere aggrappato alla sua fune, in attesa che i marinai virassero per seminare la faucenera. Non poteva immaginare il Duca Viris a fare un gesto simile.
La missione che le aveva attribuito era chiara: doveva impedire a Greave di trovare un modo per aiutare sua sorella. Doveva distrarlo, controllarlo e, se necessario, ucciderlo. Adesso, Aurelle si ritrovava a temere quella necessità con tutta se stessa, perché non sapeva se le sarebbe riuscito. Non poteva immaginarsi a uccidere Greave, non poteva immaginarsi a fargli del male.
Rifletté poi sul fatto che non riuscire ad aiutare sua sorella gli avrebbe fatto altrettanto male. Poteva davvero farlo? Doveva davvero farlo? Il buonsenso le diceva che non aveva scelta, che il Duca Viris non era solo il suo datore di lavoro, ma quello la cui discendenza poteva ascendere al potere dopo tutto ciò. Aurelle aveva provato cosa significava essere in balia di uomini potenti e non voleva certo far infuriare uno dei più forti.
Eppure… era ancora aggrappata a Greave, teneva ancora stretto quel meraviglioso uomo così raro, disposto ad attraversare un intero regno per aiutare sua sorella, che dava più valore ai libri che alla violenza.
“Vi amo,” ripeté, mentre rifletteva sul fatto che alcuni pugnali avevano le lame da entrambi i lati e, con essi, tagliare se stessi era facile quanto colpire il nemico.
Avrebbero presto raggiunto la terraferma e dopodiché… dopodiché avrebbe dovuto scegliere.
CAPITOLO SESTO
Il Principe Vars cavalcava in capo ai suoi uomini, cercando di stare dritto sulla sella e conservare l’aspetto del reale che era. Era sempre stato bravo in questo. Non era muscoloso come Rodry, non aveva la bellezza femminea di Greave, ma era comunque giovane, piacente e dall’aspetto nobile nella sua armatura e nei suoi abiti eleganti mentre procedeva.
Sapeva che le guardie al suo seguito lo stavano osservando, in attesa di ricevere i suoi ordini. Ripensava alla locanda dove avevano passato la notte, ora prosciugata della birra, della carne e delle donne. Vars aveva pagato per avere la sua parte di tutte e tre, e adesso la tentazione era di rimmergersi lì dentro e dimenticare tutto il resto.
“Vostra altezza,” disse il funzionario addetto alle cerimonie. “Non dovremmo sbrigarci se dobbiamo raggiungere la principessa durante il suo raccolto nuziale?”
“Io do i comandi, Sergente,” gli ricordò Vars, ma la cosa irritante era che l’uomo aveva ragione. Evitare la fatica per una sera non aveva causato danni e avrebbe ricordato a tutti che lui era il capo. Tuttavia, sapeva quanto si sarebbe arrabbiato suo padre se avesse scoperto che non era con sua sorella e non voleva certo rischiare di provocare la collera del re.
“Molto bene,” disse. “In marcia!”
Partirono, con il sole che iniziava ad alzarsi e il caldo era più piacevole che opprimente. Passarono la mattina a ripercorrere la strada per tornare al bivio dove Vars aveva optato per l’altra direzione. Cavalcarono attraverso un campo aperto e coltivato, dove distese di grano e qualsiasi altro raccolto che i contadini stavano crescendo giacevano su entrambi i lati. Le strade laggiù erano polverose, con pareti rocciose bilaterali e qualche albero in qua e in là: melo e cedro, quercia e pero. Un gruppo di pecore pascolava in uno dei campi vicini, stupide come spesso parevano essere le persone.
Almeno i suoi uomini erano sensati: quando raggiunsero il punto in cui il cartello del bivio giaceva a terra, non dissero una parola sull’essere già stati lì. Vars li guidò sull’altra strada della biforcazione; la locanda in cui doveva aver trascorso la notte Lenore non doveva essere situata a più di circa un’ora di distanza a cavallo.
Dopo quel periodo trascorso da sola, già abbastanza spaventata per i pericoli della strada, avrebbe salutato Vars come aveva sempre accolto il suo eroico fratello Rodry. Certo, Vars avrebbe dovuto trascorrere qualche altro giorno di viaggio con lei, procedendo lento attraverso i luoghi più remoti del regno per raccogliere tributi, ma forse non sarebbe stato così male adesso. Forse alcuni di quei tributi sarebbero potuti finire nei suoi scrigni lungo il tragitto…
Quel piacevole pensiero lo incoraggiò a procedere mentre le sue truppe marciavano al suo passo, percorrendo la strada fino alla locanda. Riusciva a scorgerla in lontananza; la costruzione era adesso visibile fra gli alberi. Vars spronò il suo cavallo con il tacco. Sarebbero arrivati come una singola schiera senza macchia e senza paura, con lui in capo a tutti…
Qualcosa non andava. Avrebbe dovuto esserci del fumo provocato dai fornelli laggiù, avrebbero dovuto esserci almeno una dozzina di segni di vita. Invece, tutto taceva. Una parte di Vars gli urlava di tornare indietro, di restare lontano. Sapeva però che, se l’avesse fatto, sarebbe apparso debole, sarebbe tornato da suo padre e…
Quindi rimase defilato quanto bastava per far sì che gli altri raggiungessero la locanda prima di lui. Dietro al muro dei suoi uomini, vide il punto in cui la carrozza di Lenore era stata lasciata, e quello alimentò la speranza in lui. Poi però notò i corpi e la speranza tornò a morire, rimpiazzata da una paura schiacciante.
Giacevano lì, dov’erano stati uccisi o trascinati. Riconobbe le uniformi delle poche guardie che Lenore aveva portato con sé ed erano ricoperte di sangue. C’erano anche le domestiche, uccise con altrettanta brutalità, sebbene forse con una velocità minore. L’occhio esperto di Vars conosceva fin troppo bene i segni inflitti con violenza minuziosa.
Il terrore prese il sopravvento su di lui a quel punto. Parte era per la sua sorellastra perché, nonostante ciò che pensavano alcune persone, non era un mostro; a dirla tutta però, la maggior parte era per se stesso e per come avrebbe reagito suo padre se avesse scoperto che aveva lasciato rapire Lenore, ma non era quello il punto.
Il punto… il punto era che tutto ciò era accaduto in sua assenza.
Il suo primo pensiero gli fece tirare un sospiro di sollievo, perché essere stato lì avrebbe significato un pericolo assurdo, forse persino la morte, guardando alla semplicità con la quale pareva che avessero massacrato le poche guardie che avevano accompagnato Lenore.
Il pensiero successivo ebbe l’effetto opposto, perché avrebbe dovuto essere lì e tutti lo avrebbero saputo. Lo avrebbero guardato come fosse una nullità, meno di una nullità, nonostante fosse un principe del regno.
“Trovate mia sorella!” ordinò. “Scoprite cos’è successo qui!”
Restò seduto in groppa al suo cavallo mentre i suoi uomini si sparpagliavano, guardandoli spostarsi da un edificio all’altro. Vars sedeva con la mano sull’elsa della spada, senza sapere cosa avrebbe fatto se gli aggressori fossero sbucati dagli edifici circostanti. Li avrebbe colpiti, sarebbe rimasto lì immobile oppure sarebbe fuggito? Di certo non sarebbe entrato per primo in una delle costruzioni, andando a bussare al pericolo.
In parte si odiava per essere così.
“C’è qualcuno qui!” gridò il funzionario dalle stalle della locanda. “È viva, più o meno!”
Quello bastò a farlo scendere dal suo cavallo, sperando contro ogni speranza che si trattasse di Lenore. Se era morta in tutto ciò…
Irruppe nelle stalle e trovò il funzionario che aiutava una giovane donna a rialzarsi. Non era Lenore e non sembrava neanche una delle sue domestiche. Al contrario, indossava dei vestiti semplici che la facevano sembrare una qualche contadina, forse una dipendente della locanda. Vars la raggiunse a passo allungato.
“Che cosa è successo qui?” chiese. “Dov’è mia sorella?”
La giovane donna gridò alla violenza del suo tono e solo la presa rassicurante del funzionario la trattenne dal ritrarsi del tutto. Vars non aveva tempo per quello; doveva sapere cos’era successo, doveva sapere quanto era grande il guaio in cui si trovava.
“Che cosa è successo qui?” chiese. “Dov’è la Principessa Lenore?”
“Non c’è,” rispose la donna. “I taciturni… l’hanno presa…”
“I taciturni?” domandò Vars, riluttante a credere all’accaduto. Aveva sentito le storie; erano gli assassini addestrati di Re Ravin, quelli istruiti ad attraversare i ponti per eseguire i suoi ordini.
“Loro… loro hanno ucciso quasi tutti,” disse la donna. “Hanno assediato la locanda, tenendo solo alcune di noi per… per…”
Un altro uomo avrebbe potuto dire qualcosa di rassicurante in quel momento, ma lui si limitò a guardarla.
“Dov’è mia sorella?” ripeté.
“L’hanno presa,” disse la donna. “Hanno aspettato che entrasse nella locanda con i suoi uomini, poi hanno ucciso gli uomini e… hanno catturato la principessa e le sue domestiche. L’hanno rinchiusa qui, le hanno fatto delle cose terribili e poi si sono diretti a Sud.”
“E ti hanno lasciata viva per dircelo?” chiese Vars diffidente. Quando qualcuno faceva qualcosa di brutto, era meglio che lo facesse in segreto, lontano da occhi indiscreti. Lui lo sapeva meglio di chiunque altro.
“Loro vogliono che le persone sappiano,” rispose la giovane donna. “Hanno ucciso alcune delle domestiche, ma le altre… le hanno rilasciate per portare la notizia. Mi hanno lasciata qui. Vogliono che le persone sappiano cos’hanno fatto, che sono riusciti a catturare la principessa persino qui. Che ce l’hanno loro.”
Vars emise un grido che era pura rabbia e frustrazione. Quelli attorno a lui dovevano averlo interpretato come uno sfogo d’ira perché sua sorella era stata catturata in quel modo ed era ancora in pericolo. C’era dell’altro però, molto altro. C’era il fatto che gli altri avrebbero saputo cos’era accaduto lì, grazie a quelli che i Taciturni avevano lasciato andare. C’era la frustrazione perché tutti avrebbero inevitabilmente scoperto il suo fallimento.
C’era la comprensione di ciò che avrebbe dovuto fare.
“Quanti sono?” chiese.
“Forse… una dozzina,” rispose la donna.
Una dozzina di uomini aveva fatto tutto quello? Tuttavia, almeno c’era un vantaggio al riguardo: loro erano di più. Vars apprezzava quando i suoi uomini erano più di quelli avversari.
“Raggruppa gli uomini,” scattò il principe.
“E lei?” chiese il funzionario, facendo un cenno con il capo alla donna.
“Mia sorella è quella che conta!”
Lei era quella la cui sicurezza contava per suo padre. Se fosse tornato con lei, avrebbe potuto inventare qualsiasi storia avesse voluto per spiegare il ritardo nel percorrere la strada e sarebbe potuto passare lo stesso da eroe. Se fosse tornato senza…
Non sarebbe successo, non l’avrebbe permesso.
Raggiunse il suo cavallo, balzandogli in groppa come un qualche eroe uscito da una canzone. Era l’incarnazione del paradosso mentre i suoi uomini si radunavano, mettendosi in riga con tanta precisione come avessero ricevuto l’ordine da un vero leader.
Estrasse la spada, che era più di quanto faceva di solito in combattimento e guardò verso i suoi uomini.
“Tu, vai a vedere se ci sono dei cavalli nelle stalle. Il resto di voi, preparatevi a mettervi in marcia, veloce.” Ci fu qualche mormorio tra le fila, ma Vars mise tutti a tacere con un’occhiataccia. “Mia sorella, la vostra principessa, è in pericolo! Gli uomini di Re Ravin la stanno portando nel Regno del Sud, e questo significa attraversare i ponti. Se li raggiungiamo prima, riusciremo a fermarli e a salvarla! Ogni uomo qui presente può diventare un eroe!”
Tutti potevano diventarlo, ma lui sarebbe stato il più grande di tutti. Se avesse salvato sua sorella, gli uomini avrebbero raccontato storie su quanto era stato coraggioso il Principe Vars a combattere il meglio che Re Ravin aveva da offrire. Se avesse fallito… beh, suo padre avrebbe forse preteso la sua testa.
Dovevano uccidere una dozzina di uomini per evitarlo? Avrebbe fatto quello e di più.
“Avanti!” gridò e spronò il cavallo a galoppare. “Dobbiamo raggiungere il ponte in tempo!”
Ücretsiz ön izlemeyi tamamladınız.