Kitabı oku: «l’Arrivo », sayfa 2
CAPITOLO DUE
Corsero al centro di comando, i colpi alla porta sempre più forti ora che si trovavano più vicini all’ingresso. Lo stesso, con l’intercapedine, Kevin era stupito che il suono si sentisse. Con cosa stavano colpendo il portone?
Luna non sembrava impressionata, quanto piuttosto preoccupata.
“Cosa c’è che non va?” le chiese Kevin.
“E se fossero gli alieni? O la gente sotto il loro controllo?” chiese lei. “E se stessero andando a caccia dei superstiti rimasti?”
“Perché dovrebbero farlo?” chiese Kevin, ma la paura iniziò a insidiarsi in lui al solo pensiero. E se fosse veramente così? E se fossero riusciti ad entrare?
“È quello che farei io se fossi un alieno,” disse Luna. “Impossessarmi di tutto, assicurarmi che non resti nessuno con cui combattere. Uccidere chiunque si metta in mezzo ai piedi.”
Kevin si trovò a giurare a se stesso, non certo per la prima volta in vita sua, di non mettersi mai contro Luna. Ma poteva comunque sentire la paura sotto alle sue parole. E poteva anche condividerla. E se fossero corsi in un posto che sentivano sicuro, solo per trovarlo già in fase di cedimento adesso?
“Possiamo vedere chi ci sia là fuori?” chiese Kevin.
Luna indicò gli schermi neri. “Sono morti da ieri sera.”
“Ma quello è solo il segnale che proviene dai collegamenti con il resto del mondo,” insistette Kevin. “Devono esserci… non lo so, delle videocamere di sicurezza o qualcosa del genere.”
Dovevano esserci. Una struttura militare per la ricerca non se ne sarebbe stata cieca di fronte a tutto ciò che succedeva attorno. Iniziò a premere pulsanti sui computer di sistema, tentando di trovare un modo di far fare loro quello che voleva. La maggior parte degli schermi erano vuoti, i segnali dal resto del mondo interrotti, o bloccati… o forse solo spariti. Anche Luna si mise a schiacciare pulsanti accanto a lui, anche se Kevin aveva il sospetto che non avesse idea di cosa fare esattamente, proprio come lui.
“Chiunque sia, non so se dovremmo farli entrare,” disse Luna. “Potrebbe esserci chiunque là fuori.”
“È vero,” disse Kevin, “ma se si trattasse di qualcuno che ha bisogno del nostro aiuto?”
“Forse,” disse Luna, non particolarmente convinta. “Chiunque sia, stanno dando colpi piuttosto forti alla porta.”
Era vero. Gli echi metallici di ogni colpo riverberavano attraverso il bunker. Arrivavano a gruppi di tre, e lentamente Kevin iniziò a rendersi conto che c’era uno schema negli spazi tra essi.
“Tre brevi, tre lunghi, tre brevi,” disse.
“Intendi SOS?” chiese Luna.
Kevin le lanciò un’occhiata.
“Pensavo che tutti lo sapessero,” disse lei. “È praticamente tutto ciò che ricordo.”
“Quindi qualcuno là fuori ha dei problemi?” chiese Kevin, e il pensiero gli portò addosso un diverso genere di preoccupazione. Dovevano dare una mano invece di esitare? Scorse l’immagine di una macchina fotografica nell’angolo di uno degli schermi. La premette e ora gli schermi di accesero con immagini che venivano dalle videocamere di sicurezza attorno alla base abbandonata.
“Quella,” disse Luna indicando una delle immagini, come se Kevin non sapesse quale scegliere tra quelle presenti. “Ecco, lascia.”
Luna premette un pulsante e l’immagine riempì lo schermo.
Kevin non sapeva cosa si fosse aspettato. Un’orda di gente controllata dagli alieni, forse. Alcuni soldati che sapevano della base e avevano lottato per farsi strada in mezzo alla campagna per arrivarci. Non una ragazza della loro età che teneva in mano quello che era rimasto di un cartello stradale e che batteva a ritmo regolare contro la porta.
Aveva il fisico atletico e i capelli scuri e corti, e una borchia sul naso che sembrava intimare a chiunque di non osare dire nulla al riguardo. Kevin poteva vedere che aveva un viso carino, molto carino pensò, ma con una certa tensione in esso che suggeriva che non avrebbe gradito il complimento. Aveva una maglietta con il cappuccio scuro e un giacchino in pelle che sembrava troppo grande di un paio di taglie, dei jeans strappati e degli scarponcini da trekking. Aveva in spalla un piccolo zaino, come se fosse andata a camminare in montagna, ma per il resto sembrava più una fuggitiva che altro, i suoi abiti striati di sporco, tanto da lasciar intendere che dovesse trovarsi per strada già da settimane prima dell’arrivo degli alieni.
“Non mi piace,” disse Luna. “Perché c’è solo una ragazza che cerca di entrare?”
“Non lo so,” disse Kevin, “ma probabilmente dovremmo lasciarla venire dentro.”
Aveva senso, no? Se stava chiedendo aiuto, allora dovevano almeno provare a dargliene, no? La ragazza stava guardando lo schermo ora, e anche se sembrava non esserci alcun suono, non sembrava contenta che la lasciassero là fuori.
Luna premette qualcosa e ora poterono sentirla, con i microfoni che coglievano la sua voce.
“… di lasciarmi entrare! Ci sono ancora quelle cose qua fuori! Ne sono sicura!”
Kevin si trovò a guardare oltre a lei sullo schermo, e fu certo di poter distinguere le sagome di persone che si muovevano con quella strana mancanza di scopo e stimolo che suggeriva che fossero posseduti dagli alieni.
“Dovremmo lasciarla entrare,” disse Kevin. “Non possiamo lasciare qualcuno là fuori a questo modo.”
“Non sta indossando una maschera,” sottolineò Luna.
“E allora?”
Luna scosse la testa. “Allora, se non sta indossando una maschera, perché il vapore alieno non l’ha trasformata? Come facciamo a sapere che non è una di loro?”
Come a volerle dare una risposta, la ragazza sullo schermo si avvicinò di più alla videocamera e fissò dentro lo schermo.
“So che c’è qualcuno là dentro,” disse. “Ho visto la videocamera muoversi. Guardate, non sono una di loro. Sono normale. Guardatemi!”
Kevin guardò i suoi occhi. Erano grandi e castani, ma la cosa più importante era che le sue pupille erano normali. Non erano completamente bianche come quelle degli scienziati quando il vapore della roccia li aveva catturati, o come quelle di sua madre quando era tornato a casa…
“Dobbiamo lasciarla entrare,” disse ancora Kevin. “Se la lasciamo là fuori, la gente controllata dagli alieni la prenderà.”
Kevin era certo di poter vedere delle figure in uniforme militare che avanzavano adesso, muovendosi all’unisono, ovviamente sotto il controllo degli alieni.”
Corse verso l’intercapedine e usò la chiave che la dottoressa Levin gli aveva dato per aprirla. La ragazza era lì che aspettava, mentre i militari si facevano sempre più vicini e ora si mettevano a correre.
“Svelta! Dentro!” disse Kevin. Tirò la ragazza all’interno, perché non c’era tempo da perdere. Fece per chiudere la porta, sapendo che sarebbero stati al sicuro non appena l’avesse posta tra loro e i posseduti che avanzavano verso la base.
Non si spostò.
“Aiutami,” le gridò Kevin tirando la porta e sentendo la solidità dell’acciaio contro le proprie mani. La ragazza la afferrò insieme a lui, tirando la porta e buttandosi di peso contro di essa per smuoverla.
Poco distante ormai, gli ex soldati stavano avanzando di corsa, e Kevin fece di tutto per mantenere la concentrazione sulla porta, non su di loro. Era l’unico modo per tenere a bada il terrore e concentrarsi nello spingere indietro il peso, tirando la porta.
Alla fine cedette, mettendosi in movimento mentre loro la trascinavano chiudendola. Kevin udì l’eco del metallo che andava a sbattere con un click che risuonò attorno all’intercapedine.
“Avvio procedura di decontaminazione,” disse una voce elettronica nello stesso modo che aveva fatto quando Kevin e Luna erano arrivati la prima volta. Si sentì lo scorrere dell’aria che veniva pulita dai filtri del bunker attorno a loro.
“Ciao, mi chiamo Kevin,” le disse. Sospettava che ci fosse bisogno di dire qualcosa di molto più drammatico in un momento come quello, ma non gli veniva in mente niente.
La ragazza rimase in silenzio per un momento o due, poi sembrò rendersi conto che Kevin potesse essere in attesa di una risposta. “Io sono Chloe.”
“Piacere di conoscerti, Chloe,” disse Kevin.
Lei lo guardò in silenzio, come se lo stesse valutando, e sembrò quasi sul punto di scappare. “Sì, immagino.”
L’altra porta dell’intercapedine si aprì. Luna li stava aspettando, con il migliore sorriso che riuscì a presentare in quel momento, anche se era stata lei ad opporsi a far entrare Chloe.
“Ciao,” disse, porgendole una mano. “Io sono Luna.”
Chloe fissò la sua mano e poi scrollò le spalle senza prenderla.
“Lei è Chloe,” disse Kevin.
Chloe annuì, non particolarmente entusiasta, e si guardò attorno nervosamente.
“Dove sono tutti?” chiese alla fine.
“Non ci sono,” rispose Luna. “Ci siamo solo noi. Io e Kevin.”
Fece un passo portandosi più vicina a Kevin, come a voler sottolineare che erano una squadra. Gli mise anche una mano sulla spalla.
“Solo voi due?” disse Chloe. Si sedette su una delle sedie del centro di comando, scuotendo la testa. “Tutta questa strada, e siete solo voi due?”
“Da dove vieni?” chiese Kevin.
“Questo non ha importanza,” disse Chloe senza guardarli.
“Io penso che un pochino importi,” ribatté Luna. “Voglio dire, sei comparsa dal nulla, e ci stai chiedendo di fidarci di te.”
Chloe sollevò di scatto lo sguardo, scrollò le spalle e poi uscì dalla stanza. Kevin la seguì, più che altro perché sospettava che se l’avesse fatto Luna ci sarebbe stata una sorta di discussione, e anche perché c’era qualcosa di intrigante in Chloe. C’erano così tante cose che non sapevano di lei.
“Non serve che mi segui,” disse Chloe, girandosi a guardare Kevin che le andava dietro lungo uno dei corridoi.
“Pensavo di farti vedere il posto,” disse Kevin. “Cioè… se vuoi.”
Chloe scrollò ancora le spalle. Sembravano esserci diverse sfumature in quelle scrollate di spalle, e pareva che questa significasse ok. Kevin non era veramente sicuro di poterla capire.
“Ci stiamo guardando attorno da quando siamo arrivati qui,” disse Kevin. “Ci sono una cucina e un magazzino qua sotto, e alcuni bagni lì. Questo è il dormitorio dove dormiamo. Scegli un letto se vuoi. Io sono da quella parte, e anche Luna.”
Chloe scelse un letto. Era dall’altra parte della stanza rispetto a quelli che avevano scelto Luna e Kevin.
“Non è che non mi fidi di voi,” disse, “ma non vi conosco, e…” Scosse la testa, non completando la frase. Aveva un’espressione inquieta.
“Stai bene?” le chiese Kevin.
“Sto bene,” ribatté bruscamente Chloe, ma poi ammorbidì un poco la voce. “Sto bene. Solo è da un po’ che ho imparato a guardarmi alle spalle. Mi sa che non sono molto brava a interagire con la gente.”
“Va bene,” disse Kevin. Tornò verso la porta. “Posso andare se non vuoi…”
“Sono scappata di casa,” disse Chloe. Bastò a far fermare Kevin dove si trovava.
“Cosa?”
“Voglio dire, prima che arrivassero gli alieni,” continuò Chloe. “Mia mamma mi gridava addosso tutto il tempo, e mio papà era… beh, sono successe delle cose, e hanno detto tutti che ero pazza… comunque ho un cugino a nord. Ho pensato che se fossi riuscita ad arrivare da lui, sarei stata bene, e poi sono arrivati gli alieni.”
Kevin ebbe l’impressione che stesse sorvolando su un sacco di cose, ma lasciò perdere. Molte delle sue pause davano la sensazione di essere delle voragini che nascondevano un sacco di roba che le aveva fatto molto male, come volesse fingere che era tutto sparito. Sapeva cosa ciò significasse. Come se anche lui, facendo finta che andasse tutto bene, potesse rendere la sua malattia inesistente.
“Come sei sopravvissuta là fuori?” le chiese.
“Ho fatto quello che dovevo fare,” disse Chloe sulla difensiva, e di nuovo preoccupata. “Aspetta, intendi dire quando tutti gli altri sono cambiati? Ero… immagino sia stata solo fortuna. Ero all’interno e lontano da tutto quando ha iniziato ad accadere, e la gente diceva che c’era un gas o qualcosa del genere, ma quando sono uscita c’erano solo quelle cose che cercavano di prendere la gente e respirargli addosso.”
“Quando sei uscita?” chiese Kevin.
“Quel macellaio mi ha chiuso nel suo magazzino per la carne. Ha detto che stavo tentando di rubargli la roba.”
Era un posto che poteva tenere all’esterno il vapore degli alieni? Significava che Luna e lui non avevano più bisogno delle maschere?
“Andrà tutto bene,” disse Kevin.
Chloe gli rispose con un’altra delle sue scrollate di spalle. “Tu sei il tipo in TV, vero? Quando hai detto che ti chiamavi Kevin, non ho capito subito, ma penso di riconoscerti. È per questo che sei qui? Ti hanno chiuso in un posto sicuro perché sei il ragazzo che sa degli alieni?”
Kevin scosse la testa tornando verso di lei. “Non sono stati loro a mettermi qui. La dottoressa Levin mi ha dato una chiave che va bene per i bunker che hanno, e mi ha detto di quella sotto al centro di ricerca della NASA, ma non è andata bene. Io e Luna abbiamo dovuto trovare questo posto da soli.”
Chloe annuì. “Luna… è la tua ragazza?”
La gente lo pensava sempre, e Kevin non riusciva a capirne la ragione. A lui sembrava ovvio che Luna non sarebbe mai stata la sua ragazza.
“È una mia amica,” disse Kevin. “Non siamo… voglio dire…”
Era strano come parlare di alieni fosse più facile che parlare esattamente di ciò che erano lui e Luna.
“Strano,” disse Chloe. “Voglio dire, sembri simpatico. Io di certo non ti lascerei essere solo un amico. Mi chiedo…”
Ma Kevin non poté scoprire ciò che lei si chiedesse, perché un secco colpo di tosse si fece sentire dalla soglia. Tanto secco quanto l’occhiata che Luna rivolse loro quando Kevin si girò.
“Volevo vedere perché ci metteste così tanto,” disse, e non sembrava avere un tono felice. Sembrava quasi gelosa, e non aveva senso, perché non stava succedendo niente, e in ogni caso lui e Luna non erano così. Giusto?
“Ciao, Luna,” disse Kevin. “Chloe mi stava raccontando di lei.”
“Ci scommetto,” disse Luna. “Magari può dire qualcosa anche a me. Magari, mentre lo facciamo, possiamo cercare di capire tutti cosa faremo adesso.”
***
Andarono insieme nella zona della cucina, perché nessuno di loro aveva ancora fatto colazione. Kevin andò a prendere delle scorte in magazzino, non interamente sicuro che fosse una buona idea lasciare di già sole Luna e Chloe.
Prese un pacchetto che dichiarava di contenere pancake ai mirtilli e lo portò a loro. Stavano in silenzio, cosa che di per sé pareva in un certo senso preoccupante: Luna non stava mai in silenzio.
“Ho trovato dei pancake ai mirtilli,” disse.
“Fantastico,” disse Luna. “Adoro i pancake ai mirtilli.”
“Piacciono anche a me,” disse Chloe, anche se Kevin ebbe la sensazione che l’avesse detto solo per rispecchiare ciò che aveva dichiarato Luna.
“Beh, non so quanto siano buoni,” disse Kevin.
La risposta a quel dubbio fu semplice: avevano il sapore di qualcosa che era stato all’interno di una confezione in un magazzino per troppo tempo. Lo stesso, Kevin aveva tanta di quella fame che non fu un problema riuscire a mangiare tutta la sua parte.
“Come sei venuta a sapere di questo posto?” chiese Kevin a Chloe mentre stavano mangiando.
“Mio padre… il suo lavoro era che… sentiva delle cose,” disse, ma non spiegò oltre. Kevin aveva il sospetto che se fosse stata Luna a porre la domanda, lo stesso non avrebbe detto molto.
“Quindi hai camminato fino a qui e ti sei messa a battere alla porta fino a che non abbiamo aperto?” chiese Luna. A Kevin sembrava avere il tono di chi non ci credeva tanto.
“Dovevo andare da qualche parte,” disse Chloe.
“Mi chiedo se ci siano altri posti come questo dove la gente abbia potuto nascondersi,” disse Kevin prima che il discorso prendesse la piega di una discussione. Voleva che le due ragazze andassero d’accordo, dato che si trovavano incastrati lì.
“Anche se ci sono, non possiamo contattarli,” disse Luna. “Ancora non c’è segnale proveniente dagli schermi, e tutti quei dispositivi di comunicazione sono inutili se non sappiamo chi contattare.”
“Forse non li avete accesi in modo corretto,” disse Chloe.
Luna la guardò storto.
“Comunque possiamo restare qui per il tempo che ci serve,” disse Luna. “Siamo al sicuro qui. Ne abbiamo parlato ieri, Kevin.”
Era vero, ed era stato un pensiero confortante in quel momento, ma lo era davvero? Loro tre sarebbero semplicemente rimasti lì per il resto delle loro vite?
“Potrei conoscere un altro posto,” disse Chloe con un boccone di pancake in bocca.
“Così per caso conosci un posto?” chiese Luna. “Per lo stesso motivo per cui sapevi di questo?”
A Kevin il tono parve sospettoso. Voleva concedere a Chloe il beneficio del dubbio, ma pareva che Luna si fidasse meno di lei.
Chloe posò la forchetta sul tavolo. “Ho sentito di quel posto mentre venivo qui da alcune persone che ho incontrato. Ho immaginato che questo fosse più vicino, e più sicuro. Ma se qui non c’è nessuno…”
“Ci siamo noi,” disse Luna. “Siamo al sicuro qui.”
“Davvero?” chiese Chloe guardando Kevin come a cercare conferma. “Dovrebbe esserci un gruppo verso LA che aiuta i rifugiati a riunirsi e stare al sicuro. Si chiamano i Sopravvissuti.”
“Quindi vuoi che facciamo tutta la strada fino a Los Angeles e cerchiamo queste persone?” chiese Luna.
“Il tuo piano qual è? Stare qui ad aspettare che le cose migliorino?”
Kevin guardava l’una e poi l’altra, cercando di capire il modo migliore per mantenere calma la situazione.
“Abbiamo tanto cibo da bastare per sempre, e forse presto riusciremo a far funzionare la radio. Non possiamo andarcene là fuori così quando potrebbe esserci qualsiasi cosa ad aspettarci.”
Chloe scosse la testa. “Le cose non migliorano. Fidati.”
“Fidarmi?” disse Luna. “Non ti conosciamo neanche. Noi restiamo qui.”
Kevin conosceva quel tono. Significava che Luna non avrebbe cambiato idea.
“Senti la perfetta piccola cheerleader, che pensa di essere il capo,” ribatté con veemenza Chloe.
“Tu non sai niente di me,” insistette Luna con un pericoloso tono di voce.
Kevin faceva fatica a capire perché stessero litigando. Aveva cercato di non farsi coinvolgere, ma ora sembrava che potesse essere costretto a farlo.
Si alzò per dire qualcosa, ma si fermò perché il dolore gli colpì la testa insieme a qualcos’altro, una sensazione che non provava da tempo.
“Kevin?” disse Luna. “Stai bene?”
Kevin scosse la testa. “Penso… penso che ci sia un altro segnale in arrivo.”
CAPITOLO TRE
I numeri lampeggiavano nella mente di Kevin, scorrendo velocemente in rapida successione, dandogli quasi l’impressione di imprimersi nel suo cervello. Sembravano troppo veloci per poterli ricordare, ma Kevin sapeva di doverci provare. Fece per afferrarli…
Si svegliò, sbattendo le palpebre e fissando dal pavimento il letto a castello che aveva scelto. Gli faceva male la testa come se l’avesse sbattuta, ma non era quello il motivo. Era solo il dolore che sempre si presentava quando il suo corpo cercava di analizzare un segnale alieno che non riusciva a gestire, tentando invano di afferrarlo. Si portò una mano al naso e la allontanò macchiata da un sottile rivolo di sangue.
“Tieni,” gli disse Luna porgendogli un pezzo di stoffa.
“Grazie,” rispose Kevin.
Chloe lo stava guardando dall’altra parte del letto, come se fosse una barriera tra lei e Luna.
“Stai bene?” chiese. “Cos’è successo?”
“Te l’ho detto cos’è successo,” disse Luna. Kevin poteva sentire dal tono della voce quanto fosse seccata.
Chloe scosse la testa. “Voglio sentirlo da lui.”
Kevin deglutì. “Penso… penso che ci sia un messaggio.”
“Te l’ho detto,” disse Luna con una certa soddisfazione, poi guardò Kevin. “Aspetta, pensi che ce ne sia una?”
Kevin poteva comprendere quell’incertezza. Prima le trasmissioni erano state tutte chiare.
“Non c’erano parole,” disse. “Erano tutti numeri.”
“Come la prima volta,” disse Luna.
Kevin annuì, sforzandosi di mettersi a sedere. Quando chiudeva gli occhi poteva vedere chiaramente i numeri impressi dietro le palpebre, scritti lì, che lui volesse vederli o meno.
“Quindi è così che succede?” chiese Chloe, quasi eccitata dalla situazione. “Ti arrivano i messaggi direttamente nel cervello?”
“Mi arrivano accenni a delle cose,” disse Kevin, “ma i messaggi veri e propri passano attraverso i radiotelescopi della NASA. Io riesco solo a tradurli.”
“È… stupefacente,” disse Chloe.
Era facile dimenticarsi che là fuori c’erano un sacco di persone che non l’avevano visto fare questa cosa tantissime volte.
“Non è una cosa divertente,” disse Luna. “Vedi cosa fa a Kevin. E tutti i problemi che ne sono derivati… e non solo l’arrivo degli alieni. Ci sono state persone che ci hanno minacciati, che hanno tentato di ucciderci, gente che non crede a Kevin. Sai cosa significhi quando non ti credono anche se stai dicendo la verità? Quando ti dicono che sei pazzo?”
Chloe aveva un aspetto sempre più arrabbiato mentre Luna parlava, ma quando ebbe finito di parlare, fece silenzio.
“Sì,” disse sottovoce. “Sì, so cosa voglia dire.”
Andò a sedersi sull’angolo di uno degli altri letti, e Kevin vide le sue dita che tamburellavano e si intrecciavano come se ci fossero un sacco di cose che volesse dire, ma non ne fosse capace. Kevin avrebbe potuto chiederle cosa c’era che non andava, ma Luna gli stava ancora parlando.
“Quindi significa che c’è un altro messaggio in attesa?” chiese. “Un’altra trasmissione da parte degli alieni?”
Kevin annuì. “Non da parte di quelli che hanno invaso, però. Questo assomiglia più agli altri. Quelli che hanno tentato di avvisarci.”
“Lo immaginavo,” disse Luna. “Voglio dire, cosa direbbero adesso gli invasori? Arrendetevi e fatevi distruggere, infimi umani? Ogni resistenza è futile? Che genere di alieni gongolerebbero a questo modo quando ci hanno già sconfitti?”
“Tutti lo fanno,” mormorò Chloe, poi si alzò in piedi e uscì dalla stanza.
Luna fece una smorfia nel vederla ritirarsi a quel modo. “Ma che problema ha?”
Kevin scosse la testa. “Non lo so. Ho la sensazione che le sia successo qualcosa di piuttosto brutto prima che capitasse qui.”
“Intendi dire peggio del mondo invaso dagli alieni?” chiese Luna. “O peggio che essere afferrata da un uomo con una pistola durante una conferenza stampa?”
“Non lo so,” ripeté Kevin. Aveva la sensazione che sarebbe stato meglio se avesse seguito Chloe, ma non si sentiva abbastanza forte per poterlo fare in quel momento, e in ogni caso aveva anche l’impressione che Luna non ne sarebbe stata contenta.
“Immaginavo che te l’avesse detto,” disse Luna. “Cioè, sembrava che steste facendo una bella chiacchierata quando sono arrivata in camera prima.”
Sembrava quasi un tono geloso, ma perché mai Luna avrebbe dovuto essere gelosa? Di certo sapeva che lei e Kevin sarebbero sempre stati migliori amici, e che niente si sarebbe mai messo in mezzo a loro, giusto? E per quanto riguardava tutto il resto… beh, questo avrebbe implicato che Luna fosse interessata a essere più che una semplice amica, e Kevin non poteva veramente credere che una cosa del genere potesse mai accadere.
“Non ha detto molto, veramente,” disse Kevin. “Solo che è scappata.”
“Pare che sia brava a farlo,” disse Luna con un’altra occhiata alla porta.
“Luna,” disse Kevin. “Puoi almeno tentare di essere carina con lei? Voglio dire, non ho neanche capito perché sei così arrabbiata. Pensavo che sareste andate d’accordo.”
“Perché siamo entrambe ragazze?” chiese Luna.
“No!” si affrettò a dire Kevin. “Cioè, perché siete entrambe…” Cercò di pensare alle parole giuste. Ma ‘dure’ sarebbe andata bene? Chloe ne aveva decisamente l’aspetto, mentre Luna no, ma Kevin sapeva per esperienza che lo era.
“Non siamo per niente simili,” disse Luna. “MI ha chiamate cheerleader.”
Lo fece suonare come un insulto.
“Beh, eri nel…”
“Non è questo il punto,” lo interruppe Luna. “Bene però. Farò la carina. Immagino che se siamo tutti incastrati in un bunker insieme, dovremo andare d’accordo. Ma lo faccio per te, non per lei.”
“Grazie,” disse Kevin.
“Ovviamente, se c’è qualche nuovo segnale, allora non potremo restare nel bunker, giusto?” disse Luna come se la cosa fosse piuttosto ovvia. Forse dipendeva da lei. Luna era sempre stata brava a escogitare piani per risolvere le situazioni. Il più delle volte si erano rivelati piani che li avevano portati a guai maggiori.
Kevin non ci aveva ancora pensato, ma Luna aveva probabilmente ragione. Se c’era un nuovo segnale, allora dovevano scoprire cosa significasse, e c’era un solo luogo dove potevano farlo.
“Penso che dovremo tornare all’istituto di ricerca,” disse Kevin.
“Anche se ne siamo usciti a malapena l’ultima volta?” chiese Luna. “E non sappiamo cosa ci sia nel messaggio, e non sappiamo se possa esserci utile, dato che gli alieni hanno già preso il nostro mondo. Potrebbe essere un semplice ‘Ci dispiace, vi avevamo avvisato.’.”
“Se però non fosse così?” ribatté Kevin. “Voglio dire, pensi davvero che farebbero lo sforzo di inviare un messaggio attraverso tutto lo spazio per una cosa del genere?”
“No, immagino di no,” disse Luna sembrando ora più seria.
“E se avessero trovato un modo per battere gli alieni, o costringerli a interrompere il controllo dei corpi della gente?” chiese Kevin. “E se ci fornissero un modo per migliorare le cose? Dobbiamo tornare. Beh… io devo. Cioè, tu potresti essere più al sicuro se…”
“Finisci quella frase e ti do un pugno,” disse Luna. “È ovvio che io vengo con te.”
“Ma pensavo che…”
“Pensavi di abbandonarmi per andare a farti un’avventura tutto da solo?” chiese Luna.
Kevin scosse la testa. “Pensavo che fossimo finalmente arrivati in un posto sicuro. Pensavo che magari non volessi rinunciarci. Io devo andare lì per tradurre il messaggio, ma nessun altro… ohi!”
Si massaggiò il braccio dove il pugno di Luna l’aveva colpito.
“Ti avevo avvertito,” gli disse con un ampio sorriso che suggeriva quanto lontana fosse dall’essere dispiaciuta. “Vengo con te, perché qualcuno deve stare attento che tu non venga preso dalla gente controllata. Inoltre, se c’è qualcosa lì che ci permetta di girarci e dar loro un calcio in culo per quello che hanno fatto, io voglio saperlo.”
Questa era una delle cose così incredibili di Luna. Non si arrendeva, neanche quando tutto diceva che fosse la cosa più sensata da fare. Avrebbe lottato contro ogni cosa, invasione aliena compresa.
“Ti ho mai detto quanto tu sia magnifica?” chiese Kevin.
“Non serve che tu me lo dica,” disse Luna con un altro sorriso. “Lo so. Francamente, sei fortunato ad essere mio amico.”
“Vero,” disse Kevin. Si fece serio per un momento. “Ci serve un piano se intendiamo tornare indietro.”
“Abbiamo bisogno di provviste,” disse Luna, iniziando a contare le cose sulle punte delle dita. “Ci servono cibo, forse strumenti per entrare, maschere…”
“Chloe ha detto che il vapore non c’è più,” sottolineò Kevin.
“E come fa lei a saperlo?” ribatté Luna. “Ok, ma preferisco averne una con me, giusto in caso. Tu puoi avere l’incarico di dirle che andiamo.”
“Magari vorrà venire con noi,” disse Kevin.
Luna fece una smorfia. “Direi che è meglio che lasciarla qua e chiederci se ci permetterà di rientrare dopo. Io inizio a mettere insieme le scorte. Tu vai a parlarle.”
***
Kevin attraversò il complesso sotterraneo alla ricerca di Chloe. Gli ci volle un po’ per trovarla negli intricati corridoi e magazzini, ma alla fine sentì la sua voce poco avanti. Sembrava parlare con se stessa.
“Non posso farlo… non posso farlo…”
Kevin guardò cautamente dalla porta del magazzino e vide Chloe seduta sul pavimento. C’erano delle cose sparpagliate attorno a lei in un modo che non sembrava accidentale. Era come se avesse colpito con un braccio un ripiano dello scaffale, sbattendo tutto a terra. Teneva la testa tra le mani e pareva stesse piangendo.
“Chloe?”
Sollevò lo sguardo mentre Kevin si avvicinavano, asciugandosi le lacrime come se avesse paura che potessero essere usate contro di lei.
“Sto bene,” disse, prima ancora che Kevin potesse chiederle se era tutto ok. “Sto bene.”
“Dicevo sempre che stavo bene quando la gente mi chiedeva della mia malattia,” disse Kevin, sedendosi accanto a lei. “Per lo più significava che non era così.”
“È solo che… mi arrabbio… a volte,” disse Chloe, e Kevin immaginò che avesse scelto con attenzione quella parola tra tutte quelle che le erano venute in mente. “Faccio delle cose senza pensarci davvero. È in parte il motivo per cui la gente diceva che ero pazza.”
“Io non penso che tu sia pazza,” disse Kevin.
Chloe sospirò. “Non mi conosci ancora. Sei venuto qui solo per sapere quanto casino stessi facendo?”
“No, certo che no,” disse Kevin. “Noi… io… penso che si debba tornare all’istituto di ricerca della Nasa. Con quello che ho visto, potrebbe esserci un messaggio, e potrebbe essere importante.”
“Vuoi andare nel mezzo della città, in un posto che potrebbe essere pieno di loro?” rispose Chloe. “È… non ha senso. Potremmo andare da qualsiasi parte. Ci sono i Sopravvissuti a LA, o mio cugino a nord…”
“Dobbiamo farlo,” disse Kevin. “Luna sta raccogliendo provviste, ed escogiteremo un piano per arrivare lì sani e salvi. Potresti restare qui se vuoi. Non serve che tu venga con noi se non pensi che sia abbastanza sicuro.”
“Non vuoi che venga con voi?” disse Chloe, e ora sembrava irritata come prima.
“Non è questo che ho detto,” disse Kevin.
“Ma è quello che intendevi, no?” ribatté Chloe.
“No,” rispose Kevin. “Ho solo pensato che poteva essere che tu non volessi venire. L’hai detto tu stessa che potrebbe essere pericoloso.”
Chloe scrollò le spalle. “Come vuoi.”
“Chloe,” disse Kevin, “non voglio…”
“Come vuoi,” ripeté Chloe con tono neutro. “Fate quello che volete. Non me ne frega niente. Vai a fare i tuoi stupidi preparativi.”