Kitabı oku: «L’ascesa dei Draghi », sayfa 10

Yazı tipi:

CAPITOLO QUATTORDICI

Alec si teneva la testa tra le mani, cercando di bloccare il mal di testa, mentre il carro – pieno zeppo di ragazzi – sobbalzava violentemente lungo la strada di campagna come ormai faceva da tutta la notte. I colpi e i buchi sembravano non finire mai e quel primitivo carro di legno, con le sbarre di ferro e le ruote di legno, sembrava essere stato costruito per infliggere la massima scomodità ai suoi occupanti. A ogni colpo la testa di Alec sbatteva contro la parete di legno alle sue spalle. Dopo il primo scossone era stato certo di non poter andare avanti a quel modo per molto tempo e quella strada prima o poi sarebbe finita.

Ma erano passate le ore e la strada sembrava addirittura peggiorare. Era stato sveglio tutta la notte, senza speranza di dormire, se non per i colpi, almeno per la puzza degli altri ragazzi, per il loro sgomitare e spintonare tenendolo sveglio. Per tutta la notte il carro aveva fatto delle fermate nei villaggi, raccogliendo sempre più ragazzi e spingendoli là dentro al buio. Alec sentiva che lo guardavano, lo studiavano, un mare di volti abbattuti che lo fissavano, gli occhi pieni di ira. Erano tutti più grandi, tristi, e cercavano una vittima.

Alec inizialmente aveva pensato che, dato che erano tutti accomunati dalla medesima situazione, tutti arruolati contro la loro volontà per prestare servizio a Le Fiamme, ci sarebbe stata una certa solidarietà tra loro. Ma aveva presto imparato che non era così. Ogni ragazzo era un’isola a sé e se Alec riceveva una qualche forma di conversazione era solo ostile. C’erano volti duri, barbe non fatte, cicatrici, nasi che sembravano essersi rotti in molte zuffe. Alec stava iniziando a sospettare che non tutti i ragazzi in quel carro avessero appena compiuto diciotto anni: alcuni erano più vecchi, alcuni schiacciati dalla vita, con l’aspetto da criminali, ladri, stupratori, assassini, gettati lì insieme agli altri, tutti spediti a fare da guardiani a Le Fiamme.

Alec, seduto sul legno duro, incastrato, sentendosi come se quello fosse un viaggio verso l’inferno, era certo che non ci potesse essere niente di peggio. Ma le fermate del carro non finivano mai e con suo stupore continuavano a caricare sempre più ragazzi là dentro. Quando era entrato lui, una decina di ragazzi erano sembrati starci stretti, senza spazio per muoversi. Ora, con oltre venticinque di loro – e sempre di più – Alec poteva a malapena respirare. I ragazzi che si erano ammassati dopo di lui erano tutti costretti a stare in piedi, cercando di tenersi al soffitto, a qualsiasi cosa, ma per la maggior parte scivolando e cadendo uno sull’altro a ogni scossone del carro. Numerosi ragazzi arrabbiati spingevano indietro gli altri e si generavano continue zuffe, con ragazzi che ininterrottamente davano gomitate e spinte tra loro. Alec guardò incredulo un ragazzo strappare un pezzo di orecchio a un altro con un morso. L’unica salvezza era che non c’era spazio per muoversi, neanche di spostare la spalla indietro per tirare un pugno, quindi non c’era altra scelta che acquietarsi rapidamente con la promessa di continuare in un altro momento.

Alec udì uccelli che cinguettavano e guardando fuori con gli occhi annebbiati, scorse la prima luce dell’alba che si intravedeva tra le sbarre di ferro. Si meravigliò che si stesse già facendo giorno e di essere sopravvissuto a quella che era stata la notte più lunga della sua vita.

Mentre il sole illuminava il carro, Alec iniziò a dare un’occhiata migliore ai ragazzi nuovi che erano entrati. Era senza dubbio il più giovane del gruppo e anche il meno pericoloso a quanto pareva. Si trattava di un gruppo selvaggio di ragazzi muscolosi e irascibili, tutti segnati, con l’aspetto di essere i reietti della società. Erano tutti tesi, inaspriti dalla lunga nottata, e Alec sentiva che il carro era maturo per esplodere.

“Sembri troppo giovane per essere qui,” disse una voce profonda.

Alec si voltò e vide un ragazzo, forse uno o due anni più grande di lui, seduto accanto a lui, spalla a spalla. Si rese conto che era la presenza che aveva sentito premuta contro di sé per tutta la notte: un ragazzo con le spalle ampie, muscoli forti e il volto innocente e calmo da contadino. Il suo viso era diverso da quello degli altri, aperto e amichevole, forse addirittura un po’ ingenuo, e Alec percepiva in lui un animo simile al suo.

“Ho preso il posto di mio fratello,” rispose Alec con tono inespressivo, chiedendosi quanto raccontargli.

“Aveva paura?” chiese il ragazzo, confuso.

Alec scosse la testa.

“Storpio,” lo corresse.

Il ragazzo annuì, come se avesse capito, e guardò Alec con rispetto.

Fecero silenzio ed Alec lo guardò.

“E tu?” gli chiese. “Neanche tu sembri avere diciotto anni.”

“Diciassette,” disse il ragazzo.

Alec rimase pensieroso.

“Allora perché sei qui?” gli chiese.

“Mi sono offerto volontario.”

Alec era strabiliato.

“Ti sei offerto volontario? Ma perché?”

Il ragazzo guardò il pavimento e scrollò le spalle.

“Volevo andarmene.”

“Andartene da cosa?” chiese Alec confuso.

Il ragazzo rimase in silenzio ed Alec vide il suo viso adombrarsi. Tacque a lungo e Alec pensò che non avrebbe mai risposto, ma alla fine bofonchiò: “Da casa.”

Alec vide la tristezza sul suo volto e capì. Chiaramente c’era qualcosa che non andava nella casa di quel ragazzo e dalle ferite sulle braccia e dall’espressione di tristezza mista a rabbia, Alec poteva immaginare di cosa si trattasse.

“Mi spiace,” gli rispose.

Il ragazzo lo guardò con espressione sorpresa, come se non si aspettasse nessuna compassione su quel carro. Improvvisamente gli porse la mano.

“Marco,” gli disse.

“Alec.”

Si strinsero la mano – quella del ragazzo il doppio di quella di Alec – con forza tale da fargli quasi male. Alec sentiva di aver trovato in Marco un amico e questo era un sollievo, dato il mare di volti ostili davanti a lui.

“Immagino tu sia l’unico ad essersi offerto volontario,” disse Alec.

Marco si guardò attorno e scrollò le spalle.

“Sospetto tu abbia ragione. La maggior parte di questi sono stati arruolati o imprigionati.”

“Imprigionati?” chiese Alec sorpreso.

Marco annuì.

“I Guardiani sono non solo reclute: tra loro ci sono anche un sacco di criminali.”

“Chi sarebbero i criminali, ragazzo?” chiese una voce selvaggia.

Entrambi si voltarono e videro uno di quei ragazzi, prematuramente cresciuto dalla sua dura vita, con l’aspetto di un quarantenne ma sicuramente con un’età effettiva di appena vent’anni, con il viso butterato e gli occhi piccoli e luccicanti. Si accucciò in basso e guardò Marco in faccia.

“Non stavo parlando con te,” disse Marco con tono di sfida.

“Beh, ora lo stai facendo,” sibilò il ragazzo che stava evidentemente cercando di attaccar briga. “Dillo di nuovo. Vuoi dirmi in faccia che sono un criminale?”

Marco arrossì e serrò la mandibola, arrabbiandosi lui stesso.

“A buon intenditor,” disse Marco.

L’altro ragazzo avvampò di rabbia e Alec ammirò il coraggio di Marco, la sua temerarietà. Il ragazzo si scagliò contro Marco mettendogli le mani alla gola e stringendo con tutta la sua forza.

Accadde tutto così rapidamente che Marco fu chiaramente preso alla sprovvista, e in quel poco spazio non aveva possibilità di muoversi. Strabuzzò gli occhi mentre gli mancava l’aria e cercava senza successo di sollevare le mani dell’aggressore dalla sua gola. Marco era più grande, ma il ragazzo era tutto nervo, con mani callose probabilmente grazie agli anni passati a uccidere. Marco non era capace di allentarne la stretta.

“COMBATTI! COMBATTI!” gridavano gli altri ragazzi.

Gli altri guardarono oltre, felici di assistere a della violenza, una delle decine di zuffe che si erano scatenate durante la notte.

Marco, combattendo, si tirò rapidamente indietro per prendere lo slancio e diede una testata al ragazzo, colpendolo al naso. Si udì uno scricchiolio e il sangue sgorgò dal naso del ragazzo.

Marcò cercò di alzarsi per avere più forza, ma subito un grosso stivale spinse contro la sua spalla: era un altro ragazzo che lo teneva a terra. Nello stesso momento il primo ragazzo, ancora con il sangue che gli usciva dal naso, prese dalla cintura qualcosa di luccicante. Brillò nella luce dell’alba e Alec si rese conto, scioccato, che si trattava di un pugnale. Stava accadendo tutto molto velocemente e Marco non ebbe tempo di reagire.

Il ragazzo si lanciò in avanti mirando al cuore di Marco.

Alec reagì: si buttò in avanti anche lui, afferrò il polso del ragazzo con entrambe le mani e le spinse a terra risparmiando a Marco un colpo mortale proprio un momento prima che la lama gli colpisse il petto. Lo graffiò aprendogli la camicia, ma non gli toccò la pelle.

Alec e il ragazzo caddero sul pavimento di legno, combattendo per prendere la lama. Marco riuscì a raggiungere la caviglia dell’altro attaccante, ruotandola e storcendola con uno scricchiolio.

Alec sentì delle mani unte sul volto: il primo ragazzo lo graffiava con le sue lunghe unghie, cercando di colpirgli gli occhi. Alec sapeva che doveva agire rapidamente. Lasciò andare la mano con il pugnale, si voltò e diede una gomitata, sentendo un soddisfacente rumore: aveva colpito la mascella del suo aggressore.

Il ragazzo si levò da lui e rimase a faccia in giù a terra.

Alec, con il fiatone e il viso che bruciava per i graffi, riuscì in qualche modo a saltare in piedi, Marco al suo fianco, stretto tra tutti gli altri ragazzi. I due stavano fianco a fianco e guardavano i loro aggressori che giacevano a terra, immobili. Il cuore di Alec gli batteva forte nel petto e mentre stava lì decise che non voleva più sedersi: sarebbe stato troppo vulnerabile all’attacco dall’alto. Sarebbe rimasto in piedi per il resto del viaggio, per quanto a lungo fosse proseguito ancora.

Si guardò attorno e vide tutti gli occhi ostili che lo fissavano: questa volta, invece di distogliere lo sguardo, ricambiò le loro occhiate, rendendosi conto che aveva bisogno di dimostrare sicurezza se voleva sopravvivere in quel mucchio. Alla fine sembrarono tutti lanciargli un’occhiata, qualcosa di simile al rispetto, per poi distogliere gli occhi da lui.

Marco abbassò lo sguardo esaminando lo strappo nella camicia dove il pugnale era quasi riuscito a trafiggergli il cuore. Guardò Alec con volto colmo di gratitudine.

“Hai un amico per la vita,” gli disse con sincerità.

Gli prese il braccio e glielo strinse, ed Alec ne fu felice. Un amico: era proprio ciò di cui aveva bisogno.

CAPITOLO QUINDICI

Kyra aprì lentamente gli occhi, disorientata, chiedendosi dove si trovasse. Vide un soffitto di pietra in alto sopra di sé, luce di torce che rimbalzava contro le pareti, e si sentì adagiata in un letto ricoperto da lussuose pellicce. Non riusciva a capire: l’ultima cosa che ricordava era di essere caduta nella neve, sicura di essere in procinto di morire.

Sollevò la testa e si guardò attorno, aspettandosi di vedere la foresta ammantata di neve attorno a sé. Invece fu scioccata dal vedere un gruppo di volti familiari raccolti attorno a lei: suo padre, i suoi fratelli Brandon, Braxton e Aidan, Anvin, Arthfael, Vidar e una decina dei migliori guerrieri di suo padre. Era di nuovo al forte, nella sua stanza, nel suo letto, e tutti la guardavano con preoccupazione. Kyra sentì una pressione al braccio e girando lo sguardo vide Lyra, la guaritrice di corte, con i suoi occhi color nocciola e i suoi lunghi capelli argentati. Le stava controllando il battito.

Kyra aprì gli occhi del tutto, rendendosi conto che non si trovava più nel bosco. In qualche modo era riuscita a tornare. Sentì un mugolio accanto a sé e sentì il naso di Leo sulla mano. Capì che doveva essere stato lui a condurli da lei.

“Cos’è successo?” chiese, ancora confusa, cercando di mettere insieme i pezzi.

Tutta la gente sembrò immensamente sollevata di vederla sveglia e suo padre le si fece vicino, il volto pieno di rimorso e sollievo mentre le teneva saldamente una mano. Aidan corse in avanti e le afferrò l’altra mano e lei gli sorrise.

“Kyra,” disse suo padre, con voce colma di compassione. “Ora sei a casa. Sana e salva.”

Kyra scorse il senso di colpa sul volto di suo padre e tutto le tornò in mente: il loro litigio la notte prima. Si rese conto che probabilmente si sentiva responsabile dell’accaduto. Erano state le sue parole, dopotutto, a spingerla via.

Kyra sentì un bruciore e gridò di dolore mentre Lyra le toccava la guancia con un panno fresco: c’era sopra un qualche unguento e la ferita le bruciava.

“Acqua di giglio,” le spiegò Lyra con tono rasserenante. “Mi ci sono voluti sei unguenti per capire quale avrebbe potuto curare questa ferita. Sei fortunata che possiamo trattarla: l’infezione era già piuttosto seria.”

Suo padre guardò la guancia con espressione preoccupata.

“Raccontaci cos’è successo,” le chiese. “Chi è stato a ferirti così?”

Kyra si sollevò su un gomito, sentendo la testa che girava e percependo tutti gli occhi su di lei, tutti gli uomini in ansiosa attesa, in silenzio. Cercò di ricordare, di mettere tutto in ordine nella sua mente.

“Ricordo…” disse con voce roca. “La tempesta… Le Fiamme… Il Bosco di Spine.”

La fronte di suo padre si aggrottò per la preoccupazione.

“Perché ti sei avventurata fin là?” le chiese. “Perché hai fatto tutta quella strada, e in una notte del genere?”

Kyra cercò di ricordare.

“Volevo vedere Le Fiamme di persona,” disse. “E poi… avevo bisogno di riparo. Ricordo… il Lago dei Sogni… e poi… una donna.”

“Una donna?” le chiese. “Nel Bosco di Spine?”

“Era… antica… la neve non la toccava.”

“Una strega,” sussultò Vidar.

“Cose del genere vengono allo scoperto nella Luna d’Inverno,” aggiunse Arthfael.

“E cosa ti ha detto?” chiese suo padre teso.

Kyra poteva percepire la confusione e preoccupazione su tutti i loro volti e decise di trattenersi, di non raccontare loro l’intera profezia, il suo futuro. Stava cercando di capirlo ancora lei stessa e aveva paura che se l’avessero sentita avrebbero potuto pensare che era pazza.

“Io… non ricordo,” disse.

“È stata lei a ferirti?” chiese il padre, guardando la guancia.

Kyra scosse la testa e deglutì, con la gola secca. Lyra le diede subito dell’acqua da un fiasco. Kyra bevve rendendosi conto di quanto fosse assetata.

“Ho udito un ruggito,” continuò Kyra. “Un verso mai sentito prima.”

Si mise a sedere, sentendosi più lucida mentre tutto le tornava alla mente. Guardò suo padre negli occhi, chiedendosi come avrebbe reagito.

“Il verso di un drago,” disse inespressiva, preparandosi alla sua reazione, chiedendosi se le avrebbe creduto.

Nella stanza tutti sussultarono increduli e la guardarono. Un intenso silenzio calò tra loro mentre la fissavano strabiliati come non mai.

Nessuno disse parola per un lunghissimo tempo.

Alla fine suo padre scosse la testa.

“I draghi non vengono ad Escalon da mille anni,” disse. “Devi aver sentito qualcos’altro. Forse le tue orecchie ti hanno giocato uno scherzo.”

Thonos, il vecchio storico e filosofo del re, ora residente a Volis, si fece avanti con la sua lunga barba grigia, appoggiato al suo bastone. Parlava raramente e quando lo faceva incuteva sempre grande rispetto: era uno scrigno di sapienza e saggezza dimenticate.

“Nella Luna d’Inverno,” disse con voce fragile, “cose del genere sono possibili.”

“L’ho visto,” insistette Kyra. “L’ho salvato.”

Salvato?!” chiese suo padre, guardandola come se fosse impazzita. “Tu hai salvato un drago?”

Tutti gli uomini la guardavano come se avesse perso la testa.

“È la ferita,” disse Vidar. “Sta vaneggiando.”

Kyra arrossì, desiderando disperatamente che le credessero.

Non sto vaneggiando,” insistette. “Non è una bugia!”

Guardò i loro volti, disperata.

“Quando mi avete mai sentita mentire?” chiese.

La guardarono tutti con incertezza.

“Diamo alla ragazza una possibilità,” disse Vidar. “Sentiamo la storia.”

Suo padre annuì e le fece un cenno con la testa.

“Va’ avanti,” la incitò.

Kyra si leccò le labbra e si mise a sedere eretta.

“Il drago era ferito,” ricordò. “Gli uomini del Lord l’avevano accerchiato. Stavano per ucciderlo. Non potevo lasciarlo morire, non così.”

“Cos’hai fatto?” chiese Anvin, meno scettico degli altri.

“Li ho uccisi,” disse fissando il vuoto, rivedendo la scena. La sua voce era pesante e si rendeva conto di quanto folle sembrasse quella storia. Faceva fatica lei stessa a crederci. “Li ho uccisi tutti.”

Un altro lungo silenzio calò nella stanza, ancora più pesante di quello di prima.

“So che non mi crederete,” aggiunse alla fine.

Suo padre si schiarì la gola e le strinse la mano.

“Kyra,” disse con tono cupo. “Abbiamo trovato cinque uomini morti accanto a te, uomini del Lord. Se ciò che dici è vero, ti rendi conto di quanto seria sia questa faccenda? Ti rendi conto di cos’hai fatto?”

“Non avevo altra scelta, padre,” disse. “Il sigillo della nostra casa: ci è vietato lasciare che un animale ferito muoia.”

“Un drago non è un animale!” ribatté arrabbiato. “Un drago è…”

Ma la sua voce vacillò, chiaramente insicuro su cosa dire mentre fissava il vuoto.

“Se gli uomini del Lord sono tutti morti,” si intromise Arthfael rompendo il silenzio e accarezzandosi la barba, “cosa ci preoccupa? Chi potrà mai sapere che è stata la ragazza ad ucciderli? Come possono gli indizi condurre a noi?”

Kyra provò una fitta allo stomaco, ma sapeva di dover dire loro tutta la verità.

“C’era un’altra persona,” aggiunse con riluttanza. “Uno scudiero. Un ragazzo. Ha visto tutto. È scappato a cavallo.”

La guardarono con volti cupi.

Maltren si fece avanti accigliato.

“E perché quello l’hai lasciato vivo?” le chiese.

“Era solo un ragazzino,” disse. “Disarmato. Se ne andava dandomi le spalle. Dove piantargli una freccia nella schiena?”

“Dubito che tu abbia piantato una freccia in ciascuno di loro,” disse seccamente Maltren. “Ma se è così, è meglio allora lasciar vivere un ragazzino e condannare a morte tutti noi?”

“Nessuno ci ha condannati a morte,” disse suo padre rimproverando Maltren e prendendo le sue difese.

“Ah no?” chiese lui. “Se non sta mentendo allora gli uomini del Lord sono morti e la colpa è di Volis: hanno un testimone e per noi tutti è finita.”

Suo padre si voltò verso di lei, con il volto più greve che mai.

“Questa è indubbiamente una notizia grave,” le disse con voce che lo faceva sembrare vecchio di milioni di anni.

“Mi spiace, padre,” disse lei. “Non intendevo crearti problemi.”

“Non intendevi?” ribatté Maltren. “No, certo, hai solo ucciso per sbaglio cinque uomini del Lord? E per cosa poi?”

“Ve l’ho detto,” disse. “Per salvare il drago.”

“Per salvare un drago immaginario,” la canzonò Maltren. “Allora ne valeva proprio la pena. Un essere che, se esistesse, ti avrebbe ben volentieri fatto a pezzi.”

“Non mi ha fatta a pezzi,” ribatté Kyra.

“Non parliamo più di queste stupidaggini sui draghi,” disse suo padre con voce più alta e agitata. “Ora raccontaci la verità. Siamo tutti uomini qui. Qualsiasi cosa sia accaduta, raccontacela. Non ti giudicheremo.”

A Kyra veniva da piangere dentro.

“Ve l’ho già detto,” disse.

“Io le credo,” disse Aidan, in piedi al suo fianco. Lo apprezzava così tanto per questo.

Ma voltandosi a guardare tutti gli altri volti, era chiaro che nessun altro la pensava così. Un lungo silenzio calò sulla stanza.

“Non è possibile Kyra,” disse alla fine suo padre sottovoce.

“Invece ,” disse una voce ombrosa.

Tutti si voltarono mentre la porta della stanza si apriva di schianto ed entravano numerosi uomini di suo padre, scuotendosi la neve dalle pellicce e dai capelli. L’uomo che aveva parlato, con il volto ancora rosso per il freddo, guardava Kyra come sbalordito.

“Abbiamo trovato delle impronte,” disse. “Vicino al fiume. Vicino a dove sono stati rinvenuti i corpi. Impronte troppo grandi per qualsiasi cosa che cammini su questa terra. Impronte di drago.”

Gli uomini si voltarono tutti verso Kyra, ora incerti.

“E dove sarebbe questo drago allora?” chiese Maltren.

“Le tracce conducono al fiume,” rispose l’uomo.

“Non poteva volare,” disse Kyra. “Era ferito, come ho detto. È rotolato nelle rapide e non l’ho più visto.”

Tutti fecero un lungo silenzio e ora apparve chiaro che le credevano. La guardavano sorpresi.

“Dici di aver visto questo drago?” le chiese suo padre.

Kyra annuì.

“Mi ci sono avvicinata tanto quanto siamo vicini io e te adesso,” rispose.

“E come hai potuto sopravvivere?” le chiese.

Kyra deglutì, lei stessa insicura.

“È così che sono stata ferita qui,” disse toccandosi la guancia.

Tutti guardarono la sua guancia da una diversa prospettiva, apparentemente tutti sbalorditi.

Mentre vi faceva scorrere sopra le dita, Kyra sentì che le sarebbe rimasta la cicatrice e che il suo aspetto sarebbe cambiato per sempre. Stranamente però non le interessava.

“Ma non penso volesse farmi del male,” aggiunse.

La guardarono come se fosse impazzita. Avrebbe voluto spiegare loro il legame che aveva con quella creatura, ma pensò che non avrebbero capito.

La fissavano tutti, quegli uomini adulti ora a bocca aperta. Alla fine suo padre le chiese: “Perché mai avresti rischiato la tua vita per salvare un drago? Perché ci avresti messi tutti in pericolo?”

Era una bella domanda, una domanda per la quale Kyra non aveva una risposta. Avrebbe voluto averla, ma non era capace di tradurre in parole le sensazioni, le emozioni, il senso di fatalità che aveva provato accanto a quella bestia. Non pensava che quegli uomini avrebbero mai capito. Eppure sapeva che li aveva messi tutti in pericolo e si sentiva terribilmente male per questo.

Tutto quello che fu capace di fare fu tenersi la testa tra le mani e dire: “Perdonami, padre.”

“Non è possibile,” disse Maltren agitato. “È impossibile affrontare un drago e rimanere in vita.”

“A meno che,” disse Anvin guardando Kyra con espressione strana e voltandosi poi verso suo padre. “A meno che tua figlia non sia…”

Suo padre lanciò un’improvvisa occhiataccia ad Anvin che subito si fermò.

Kyra guardò prima l’uno e poi l’altro, confusa, chiedendosi cosa Anvin stesse per dire.

“A meno che io sia cosa?” chiese.

Ma Anvin distolse lo sguardo e non disse altro. In effetti tutti fecero silenzio nella stanza e mentre lei scrutava ogni volto si rese conto che tutti evitavano di guardarla negli occhi, come se fossero tutti al corrente di qualche segreto che la riguardava.

Suo padre improvvisamente si alzò da accanto a lei e le lasciò la mano. Si mise in piedi in un modo che dava ad intendere che l’incontro era terminato.

“Ora devi riposare,” disse. Poi si voltò seriamente verso i suoi uomini. “È in arrivo un esercito,” disse grevemente, con voce colma di autorità. “Dobbiamo prepararci.”

Yaş sınırı:
16+
Litres'teki yayın tarihi:
10 eylül 2019
Hacim:
292 s. 5 illüstrasyon
ISBN:
9781632912305
İndirme biçimi:
Metin
Ortalama puan 5, 2 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 4,8, 6 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 4,8, 6 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 5, 1 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 5, 2 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre