Kitabı oku: «La Forgia del Valore », sayfa 2

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Tutte le sue ragazze si voltarono a guardarla, come a chiedersi cosa avrebbero dovuto fare. Dierdre giunse quindi a un’immediata decisione. Finse di acconsentire al piano, così da poterle lasciare andare. Voleva che scappassero tutte, che fossero libere da quel posto.

Dierdre attese fino all’ultimo momento e proprio prima di entrare, si tuffò dalla barca finendo nelle acque del canale. Marco, con sua sorpresa, la vide e saltò pure lui. Ora c’erano solo loro due a galleggiare nel canale.

“Dierdre!” gridarono gli uomini di suo padre.

Si girarono per afferrarla, ma era troppo tardi. Aveva avuto un tempismo perfetto e loro si trovavano già presi dalle correnti impetuose che trascinarono via la barca.

Dierdre e Marco si voltarono e nuotarono rapidamente verso una barca abbandonata e vi salirono a bordo. Rimasero lì seduti, gocciolanti, a guardarsi con il fiatone, esausti.

Dierdre si voltò a riguardare il punto da dove erano venuti, il cuore di Ur, dove aveva lasciato il fianco di suo padre. Era lì che sarebbe andata, lì e da nessun’altra parte, anche se questo avrebbe significato la sua morte.

CAPITOLO TRE

Merk si trovava all’ingresso della stanza nascosta, al piano più alto della Torre di Ur. Pult, il traditore, giaceva morto ai suoi piedi e Merk fissava la luce abbagliante. La porta era spalancata e non poteva credere a ciò che aveva davanti agli occhi.

Era lì, la stanza sacra, al piano più protetto, l’unica e sola stanza designata per la salvaguardia e custodia della Spada di Fuoco. Sulla porta erano intagliate le insegne della spada e anche sulle pareti si trovavano impresse le medesime immagini. Era quella stanza, e soltanto quella stanza, che il traditore aveva voluto, per rubare la reliquia più sacra del regno. Se Merk non l’avesse scovato e ucciso, chissà dove si sarebbe trovata ora la spada.

Mentre Merk fissava la stanza con le sue pareti lisce a forma circolare; mentre fissava la luce abbagliante, iniziò a vedere che lì, al centro, si trovava un piedestallo dorato, una torcia fiammeggiante accanto, un supporto d’acciaio al di sopra, chiaramente designato per sostenere la spada. Eppure, mentre guardava, Merk non capiva cosa vedeva.

Il sostegno era vuoto.

Sbatté le palpebre cercando di capire. Il ladro aveva già rubato la spada? No, l’uomo era morto ai suoi piedi. Questo poteva voler dire solo una cosa.

Quella torre, la sacra Torre di Ur, era un inganno. Tutto lì – la stanza, la torre – tutto era un inganno. La Spada di Fuoco non si trovava lì. Non si era mai trovata lì.

E allora dove poteva essere?

Merk se ne stava lì, inorridito, troppo frastornato per potersi muovere. Ripensò alle leggende che circolavano sulla Spada di Fuoco. Ricordò il riferimento alle due torri, la Torre di Ur nell’angolo nord-occidentale del regno e la Torre di Kos a sud-est, ciascuna collocata in punti opposti del regno, ciascuna a fare da bilanciamento all’altra. Sapeva che solo in una di esse si trovava la spada. Eppure Merk aveva sempre dato per scontato che quella torre, la Torre di Ur, fosse quella giusta. Tutti nel regno lo pensavano, chiunque andava in pellegrinaggio verso quella torre e le leggende stesse facevano sempre riferimento alla Torre di Ur come a quella giusta. Dopotutto Ur si trovava sulla terraferma, vicino alla capitale, vicino a una città grandiosa e antica, mentre Kos si trovava all’estremità del Dito del Diavolo, una località remota senza alcun significato e vicina a niente.

Doveva essere a Kos.

Merk rimase fermo, scioccato, e lentamente capì: era l’unico nel regno a conoscere la reale collocazione della spada. Merk non sapeva quali segreti, quali tesori contenesse quella Torre di Ur, se mai ne aveva qualcuno, ma sapeva per certo che non custodiva la Spada di Fuoco. Si sentiva vuoto e senza fiato. Era venuto a sapere ciò che non avrebbe dovuto mai sapere: che lui e tutti gli altri soldati là dentro facevano la guardia a un bel niente. Era una conoscenza che i Sorveglianti non avrebbero dovuto avere, perché ovviamente li avrebbe demoralizzati. Dopotutto, chi mai avrebbe voluto fare la guardia a una torre vuota?

Ora che Merk conosceva la verità, provava un bruciante desiderio di fuggire da quel luogo, di andare verso Kos e di proteggere la spada. Dopotutto perché restare lì a fare la guardia a delle mura vuote?

Merk era un uomo semplice e odiava sopra ogni cosa gli indovinelli. Tutta questa situazione gli aveva creato un forte mal di testa facendo sorgere in lui più domande che risposte. Chi altri poteva esserne a conoscenza? I Sorveglianti? Sicuramente qualcuno di loro doveva sapere. E se sapevano, come potevano possedere la disciplina di trascorrere tutti i loro giorni stando di guardia a un inganno? Faceva parte anche questo della loro pratica? Del loro sacro dovere?

Ora che sapeva, cosa avrebbe dovuto fare? Certo non poteva parlare con gli altri. Questo avrebbe potuto demoralizzarli. Avrebbero potuto anche addirittura non credergli, pensando che fosse stato lui stesso a rubare la spada.

E cosa poteva fare di quel corpo morto, di quel traditore? E se quel traditore stava tentando di rubare la spada, c’era qualcun altro? Stava agendo da solo? E poi perché avrebbe voluto rubarla? Dove l’avrebbe portata?

Se ne stava lì cercando di venirne fuori, quando improvvisamente gli venne la pelle d’oca sentendo le campane suonare così forte, a pochi metri dalla sua testa, risuonando come se si trovassero in quella stessa stanza. Erano rintocchi così diretti e urgenti da non riuscire a capire da dove provenissero. Poi si rese conto che la torre campanaria, al di sopra del tetto, si trovava veramente a pochi metri dalla sua testa. La stanza vibrava per quell’incessante rintoccare e Merk non riusciva più a pensare chiaramente. Dopotutto l’urgenza con cui suonavano dava a pensare che si trattasse di campane di guerra.

Improvvisamente si generò il caos in ogni angolo della torre. Merk poteva sentire il distante trambusto, come se tutti all’interno si stessero organizzando e raggruppando. Doveva capire cosa stava succedendo: sarebbe tornato più tardi a ragionare sul suo dilemma.

Merk trascinò il corpo di lato, chiuse la porta e corse via dalla stanza. Entrò rapidamente nel salone e vide decine di guerrieri che risalivano le scale, tutti con le spade in mano. Inizialmente si chiese se stessero correndo verso di lui, ma poi sollevò lo sguardo e vide altri uomini che risalivano le scale e capì che stavano andando tutti verso il tetto.

Merk si unì a loro salendo i gradini e arrivando al tetto nel mezzo dell’assordante risuonare delle campane. Si portò in fretta e furia vicino al parapetto della torre e guardò oltre, rimanendo sbalordito da ciò che vide. Gli sprofondò il cuore in petto vedendo in lontananza il Mare dei Dispiaceri ricoperto di nero: un milione di navi convergevano verso la città di Ur in lontananza. Non sembrava che la flotta si stesse dirigendo verso la torre, che si trovava a una buona giornata di viaggio a nord della città. Quindi, non percependo immediato pericolo, Merk si chiese come mai quelle campane stessero rintoccando con una tale urgenza.

Poi vide i guerrieri che si voltavano dalla parte opposta. Si voltò anche lui e vide: lì, dal bosco, emergeva una banda di troll. E ne seguivano altri ancora.

E ancora altri.

Si udì un forte fruscio seguito da un ruggito e improvvisamente centinaia di troll si lanciarono fuori dalla foresta, gridando, attaccando con le alabarde sollevate e gli occhi iniettati di sangue. Il capo che stava davanti a loro, il troll conosciuto come Vesuvio, una bestia grottesca che teneva in mano due alabarde, aveva il volto ricoperto di sangue. Si stavano tutti dirigendo verso la torre.

Merk si rese conto subito che non si trattava di un comune attacco da parte di troll. Sembrava che l’intera nazione di Marda avesse fatto irruzione. Come aveva potuto passare attraverso Le Fiamme? Erano venuto tutti lì chiaramente alla ricerca della spada, con l’intento di abbassare Le Fiamme. Ironico, pensò Merk, dato che la spada non si trovava lì.

Merk capì che la torre non avrebbe potuto sopportare un attacco del genere. Era finita.

Provò un senso di timore e si irrigidì preparandosi all’ultima battaglia della sua vita, dato che era circondato. Tutt’attorno a lui i guerrieri stringevano le loro spade e guardavano in basso con i volti colmi di panico.

“UOMINI!” gridò Vicor, il comandante di Merk. “PRENDETE POSIZIONE!”

I guerrieri presero posizione lungo i bastioni e Merk immediatamente si unì a loro portandosi al bordo, afferrando arco e faretra come tutti gli altri attorno a lui e prendendo la mira per tirare.

Fu lieto di vedere che una delle sue frecce trafiggeva un troll al petto, ma con sua sorpresa la bestia continuò a correre, anche se la freccia gli sbucava dalla schiena. Merk tirò ancora colpendolo con un’altra freccia al collo, ma ancora – con suo stupore – quello continuava a correre. Tirò una terza volta, colpendolo alla testa, e questa volta il troll cadde a terra.

Merk si rese rapidamente conto che quei troll non erano avversari comuni e non sarebbero caduti facilmente come degli umani. Le loro possibilità ora sembravano ancora più misere. Ciononostante continuò a scoccare una freccia dietro l’altra, abbattendo più troll possibile. Le frecce piovevano giù lanciate da tutti i suoi compagni soldati, oscurando il cielo e facendo inciampare e cadere i troll, intasando la strada davanti agli altri che sopraggiungevano.

Ma troppi ne passavano comunque. Presto raggiunsero le spesse mura della torre, sollevarono le alabarde e cominciarono a picchiare contro le porte dorate cercando di buttarle giù. Merk poteva sentire le vibrazioni sotto i suoi piedi e questo lo rendeva teso.

Il clangore del metallo riverberava nell’aria mentre quella nazione di troll colpiva incessantemente le porte. In qualche modo Merk fu sollevato nel vedere che le porte tenevano. Anche con centinaia di troll che vi picchiavano contro, le porte, come fossero magiche, non si piegavano né si ammaccavano un poco.

“MASSI!” gridò Vicor.

Merk vide che gli altri soldati correvano verso un cumulo di macigni disposti lungo il bordo e si unì a loro mentre tutti insieme ne afferravano uno. Insieme lui e dieci altri compagni riuscirono a sollevarlo al di sopra del parapetto. Merk si sforzò e sbuffò per la fatica, sollevando il masso con tutta la sua forza, fino a che tutti insieme lo spinsero con un forte grido al di là.

Merk si chinò in avanti insieme agli altri e guardò il masso cadere, fischiando in aria.

I troll più in basso sollevarono lo sguardo, ma era troppo tardi.  Il masso ne schiacciò un gruppo a terra, appiattendoli e lasciando un grosso cratere al suolo, vicino alla torre. Merk aiutò gli altri soldati a sollevare i massi oltre il parapetto da ogni lato della torre, uccidendo centinaia di troll e facendo tremare la terra per le esplosioni.

Ma i troll continuavano a sopraggiungere, un fiume interminabile di troll che emergevano dal bosco. Merk si accorse che avevano terminato i massi, che avevano terminato anche le frecce e i troll non davano segno di cedere o rallentare.

Improvvisamente sentì qualcosa fischiare vicino all’orecchio e si voltò vedendo una lancia che volava oltre. Abbassò lo sguardo, sorpreso, e vide che i troll passavano alle lance tirandole contro i bastioni. Era stupefatto: non avrebbe mai pensato che avessero la forza di tirare così in alto.

Vesuvio li conduceva, sollevando una lancia dorata e tirandola in alto, dritta. Merk guardò con stupore quella lancia che raggiungeva la cima della torre e lo mancava di poco. Udì un gemito e voltandosi vide che i suoi compagni non erano stati altrettanto fortunati. Numerosi di essi giacevano a terra, trafitti da lance, con il sangue che sgorgava dalle loro bocche.

La cosa ancora più sconcertante fu che si udì un rumore rimbombante e improvvisamente dal bosco venne spinto avanti un ariete da sfondamento sostenuto da un carro con ruote di legno. La folla di troll si fece da parte mentre l’ariete avanzava, condotto da Vesuvio, dritto verso la porta.

“LANCE!” gridò Vicor.

Merk corse insieme agli altri verso il mucchio di lance, sapendo – mentre ne afferrava una – che quella era la loro ultima linea difensiva. Pensava di aver potuto risparmiare quelle armi fino a che i troll fossero entrati nella torre, concedendo loro una linea difensiva in quel momento, ma evidentemente erano tempi disperati. Ne afferrò una, prese la mira e la scagliò mirando a Vesuvio.

Ma Vesuvio era più rapido di quanto sembrasse e guardò scansando l’arma all’ultimo momento. La lancia di Merk andò a colpire un altro troll al polpaccio, facendolo cadere e rallentando l’avanzata dell’ariete da sfondamento. I compagni di Merk tirarono le loro lance che andarono a piovere in basso uccidendo i troll che stavano spingendo l’ariete e arrestando quindi l’avanzata.

Ma quando i troll cadevano ne apparivano dal bosco centinaia di altri, sostituendoli. Presto l’ariete iniziò ad avanzare di nuovo. Ce n’erano troppi ed erano dappertutto. Non era il modo in cui generalmente combattevano gli umani. Quella era una nazione di mostri.

Merk si allungò per prendere un’altra Lancia da tirare, ma rimase sgomento non trovandone nessuna di rimasta. In quello stesso istante l’ariete raggiunse le porte della torre e numerosi troll disposero a terra delle assi di legno per coprire i crateri e formare una sorta di ponte.

“AVANTI!” gridò Vesuvio da sotto, con voce profonda e greve.

Il gruppo di troll si lanciò all’attacco e spinse l’ariete in avanti. Un attimo dopo quello andò a colpire le porte con una tale forza che Merk poté sentire la vibrazione fino a lassù. Il tremore gli corse lungo le caviglie, facendogli male fino al midollo.

Si ripeté più volte, scuotendo la torre e facendo barcollare lui e gli altri. Cadde carponi su un corpo, un compagno Sorvegliante, rendendosi conto solo allora che era già morto.

Merk udì poi un sibilo, percepì un’ondata di vento e calore e sollevò lo sguardo non capendo di cosa si trattasse: sopra la sua testa volava un masso infuocato. Si verificarono delle esplosioni tutt’attorno a lui mentre quei sassi di fuoco atterravano in cima alla torre. Merk si accucciò e guardò oltre il bordo vedendo decine di catapulte che tiravano dal basso mirando alla sommità della torre. Tutt’attorno a lui i suoi uomini stavano morendo.

Un altro masso infuocato atterrò vicino a Merk uccidendo due Sorveglianti che gli stavano accanto, uomini che aveva imparato ad apprezzare. Mentre le fiamme iniziavano a diffondersi, Merk poteva sentirle vicino alla schiena. Si guardò attorno, vide quasi tutti gli uomini morti attorno a sé e capì che non c’era più molto che potesse fare lassù, eccetto aspettare di morire.

Merk sapeva che era ora o mai più. Non avrebbe ceduto a quel modo, accalcato in cima alla torre, aspettando la sua morte. Sarebbe caduto coraggiosamente, temerariamente, affrontando il nemico con un pugnale in mano, faccia a faccia, uccidendo quante più creature fosse stato capace.

Merk lanciò un forte grido, afferrò la fune appesa alla torre e balzò oltre il parapetto. Scivolò a piena velocità, diretto verso la nazione di troll di sotto, pronto ad affrontare il suo destino.

CAPITOLO QUATTRO

Kyra sbatté le palpebre fissando il cielo, il mondo in movimento attorno a lei. Era il cielo più bello che avesse mai visto, di un viola inteso con morbide nuvole bianche che fluttuavano sopra di lei, il cielo illuminato dalla luce del sole nascente. Sentì che si stava muovendo e udì il gentile sciabordio dell’acqua attorno a sé. Non aveva mai provato un tale senso di pace.

Rimanendo sdraiata, si guardò attorno e fu sorpresa di vedere che stava navigando nel mezzo di un vasto mare, su una zattera di legno, lontano da qualsiasi costa. Grandi e alte onde portavano con grazia la zattera su e giù. Si sentiva come se stesse andando alla deriva verso l’orizzonte, verso un altro mondo, un’altra vita. Verso un luogo di pace. Per la prima volta in vita sua non si preoccupava più del mondo: si sentiva avvolta nell’abbraccio dell’universo, come se finalmente potesse abbassare la guardia e sentirsi al sicuro, protetta da ogni male.

Kyra percepì un’altra presenza sulla barca e mettendosi a sedere fu sorpresa di vedere una donna accanto a lei. La donna indossava abiti che emanavano luce, aveva i capelli lunghi e dorati e dei meravigliosi occhi blu. Era la donna più bella che Kyra avesse mai visto.

Provò un senso di stupore insieme alla certezza che si trattasse di sua madre.

“Kyra, amore mio,” disse la donna.

La donna le sorrise, un sorriso così dolce da farle bene all’anima. Kyra ricambiò lo sguardo e provò un senso di pace ancora più intenso. La voce le risuonava dentro e la faceva sentire in pace con il mondo.

“Madre,” le rispose.

Sua madre tese una mano, quasi trasparente, e Kyra la strinse. La sensazione della sua pelle era elettrizzante e mentre la teneva sentiva che una parte della sua stessa anima veniva rimessa in sesto.

“Ti ho sempre guardata,” le disse la donna. “E sono fiera di te. Più fiera di quanto tu possa immaginare.”

Kyra cercava di concentrarsi, ma sentiva il calore dell’abbraccio di sua madre, si sentiva come se stesse lasciando quel mondo.

“Sto morendo, madre?”

Sua madre la guardò con occhi vividi e la strinse ancora più forte.

“È giunto il tuo momento, Kyra,” le disse. “Eppure il tuo coraggio ha cambiato il tuo destino. Il tuo coraggio, e il mio amore.”

Kyra sbatté le palpebre confusa.

“Non staremo insieme adesso?”

Sua madre le sorrise e Kyra sentì che lentamente la lasciava e se ne andava. Provò un’ondata di panico capendo che sua madre l’avrebbe lasciata e se ne sarebbe andata per sempre. Cercò di tenerla stretta, ma lei si scostò e le mise una mano sullo stomaco. Kyra sentì calore e amore intensi scorrerle dentro, ristorarla. Poco alla volta sentiva che la stava curando.

“Non ti lascerò morire,” le rispose sua madre. “Il mio amore per te è più forte del fato.”

Improvvisamente sua madre scomparve.

Al suo posto si trovava ora un ragazzo dai lunghi capelli lisci che la fissava con lucenti occhi grigi, ipnotizzandola. Kyra sentiva l’amore nel suo sguardo.

“Neppure io ti lascerò morire, Kyra,” ripeté.

Si chinò in avanti, le mise una mano sulla pancia, lo stesso punto dove l’aveva posata sua madre, e lei sentì un calore ancora più intenso scorrerle nel corpo. Vide una piccola luce bianca e percepì il calore che si diramava di lei. Sentiva che stava tornando in vita e faceva fatica a respirare.

“Chi sei?” chiese con voce ridotta a poco più di un sussurro.

Sprofondando nel caldo e nella luce non poté fare a meno di chiudere gli occhi.

Chi sei? Sentì le proprie parole riecheggiare nella mente.

Kyra aprì gli occhi lentamente, sentendo un’intensa ondata di pace e calma. Si guardò attorno aspettandosi di trovarsi ancora nel mezzo dell’oceano, di vedere acqua e cielo.

Udì invece il fremente squittio di insetti. Si voltò confusa e si ritrovò in un bosco. Era stesa in una radura e sentiva un intenso calore allo stomaco, nel punto in cui era stata pugnalata. Vide che c’era una mano appoggiata su quel punto: era una mano bellissima e pallida che le toccava la pancia come nel suo sogno. Kyra aveva la testa leggera e sollevò lo sguardo vedendo quei bellissimi occhi grigi che la fissavano, così intensi che sembravano ardere.

Kyle.

Stava inginocchiato al suo fianco tenendole una mano sulla fronte e mentre la toccava Kyra sentiva che lentamente la sua ferita veniva sanata, si sentiva tornare lentamente al mondo, come se lui desiderasse il suo ritorno in vita. Le aveva veramente fatto visita con sua madre? Era stato tutto reale? Si sentiva come se fosse stata sul punto di morire, e invece adesso in qualche modo il suo destino era cambiato. Era come se sua madre fosse intervenuta. E anche Kyle. Il loro amore l’aveva riportata indietro. E, come sua madre aveva detto, anche il suo coraggio.

Kyra si leccò le labbra, troppo debole per mettersi a sedere. Voleva ringraziare Kyle, ma aveva la gola troppo secca e le parole non venivano fuori.

“Shhh,” le disse lui vedendo che si stava sforzando. Si chinò su di lei e le baciò la fronte.

“Sono morta?” riuscì finalmente a chiedere Kyra.

Dopo un lungo silenzio lui le rispose, con voce dolce ma allo stesso tempo potente.

“Sei tornata,” le disse. “Non ti avrei lasciata andare.”

Era una sensazione strana: guardando i suoi occhi si sentiva come se l’avesse conosciuto da sempre. Gli prese un polso, stringendolo e sentendosi estremamente grata. C’erano così tante cose che avrebbe voluto dirgli. Voleva chiedergli perché avrebbe rischiato la sua vita per lei, perché gli interessasse così tanto di lei, perché si sarebbe sacrificato per portarla indietro. Sentiva che aveva effettivamente fatto un grosso sacrificio per lei, un sacrificio che in qualche modo gli avrebbe nociuto.

Ma più di tutto voleva che lui sapesse ciò che lei stava provando in quel preciso istante.

Ti amo, voleva dirgli.

Ma le parole non venivano fuori. Fu invece sopraffatta da un’ondata di stanchezza e mentre gli occhi le si chiudevano, non ebbe altra scelta che cedere. Si sentì cadere in un sonno sempre più profondo, il mondo le scorreva accanto e si chiese se stesse per caso morendo di nuovo. Era stata riportata indietro solo per un momento? Era tornata un’ultima volta solo per dire addio a Kyle?

E quando il profondo torpore finalmente la sopraffece, fu quasi certa di udire poche ultime parole prima di cedere del tutto:

Anch’io ti amo.

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Yaş sınırı:
16+
Litres'teki yayın tarihi:
10 eylül 2019
Hacim:
232 s. 5 illüstrasyon
ISBN:
9781632914613
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