Kitabı oku: «Prima dell’Alba », sayfa 2

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Kate sorrise. Se c'era anche sola una possibilità che Tony la invitasse al ballo, allora avrebbe fatto tutto il possibile. Si sentiva già molto meglio, rispetto al furioso viaggio in bicicletta di quella mattina. Sapeva che le amiche ci sarebbero state per lei.

“E ascoltate, se Tony non mi invita, non sarà un grosso problema” Kate aggiunse. “Possiamo sempre andarci noi insieme.”

“Sono così contenta che tu l’abbia detto” Amy disse. “Non credo che i miei genitori mi lascerebbero andare in macchina con un ragazzo!”

Tutte scoppiarono a ridere. Era bello sapere che si sostenevano tutte, tanto da non aver bisogno di rivolgersi ai ragazzi per divertirsi al ballo.

La campanella suonò, e le ragazze si alzarono e si recarono nelle rispettive aule. Amy e Kate avevano entrambe lezione di matematica, perciò si incamminarono prendendosi sotto braccio, lungo i corridoi.

Improvvisamente, Kate sentì Amy stringerle la mano. La ragazza sollevò lo sguardo e vide che Madison era vicina agli armadietti con le amiche cheerleader. Dava la schiena a Kate ed Amy, inconsapevole che fossero dietro di lei, e stava raccontando una storia che stava facendo morir dal ridere le ragazze.

“E poi, mamma ha detto: ‘Signorina, tu farai le pulizie come me, così che Madison possa andare al college.’ Riuscite a crederci? Io invece ho detto: ‘Oh mio Dio, lei sta per trasformare mia sorella in una schiava!’ E questo avviene il giorno del suo compleanno! Io, invece, ho ricevuto un’auto per i diciassette anni. Lei invece, niente.”

Esplose in una sonora risata, così come le ragazze che erano con lei. A Kate parve di aver ricevuto un pugno nello stomaco. Come poteva Madison ridere di lei in quel modo? Sapeva che la sorella non le copriva esattamente le spalle a casa, ma non si era mai resa conto di quanto spettegolasse della sua sfortuna con le amiche.

Amy strinse il braccio di Kate, provando a sostenerla, a trattenerla. Aiutò l'amica a passare davanti a Madison e al gruppo di ragazze antipatiche. Kate sapeva che la sorella l’avrebbe riconosciuta, che si sarebbe resa conto che l’aveva sentita.

I loro sguardi si incrociarono e Madison assunse un’espressione leggermente scioccata. Ma, oltre a ciò, non sembrava assolutamente sentirsi in colpa per aver ferito i sentimenti di Kate. Poi, distolse lo sguardo, rivolgendo di nuovo la piena attenzione alle amiche.

Kate arrancò in classe, sentendosi peggio di prima.

CAPITOLO TRE

Kate seguì le prime due lezioni, sebbene l’umore non fosse migliorato. Si sentì meglio, solo quando la campanella suonò, annunciando l'ora di pranzo, perché avrebbe potuto riunirsi alle amiche.

Kate era in fila con le ragazze nella mensa, affollata come sempre, e guardava distrattamente l'offerta di cibo. Era piuttosto scadente.

Nicole, vegetariana, ebbe molta difficoltà nello scegliersi il pranzo. Quel giorno, avrebbe mangiato cialde di patate e fagioli, mentre Dinah ed Amy gustavano un piatto leggermente migliore, deliziandosi con pollo “tikka masala" e riso. Kate pensò che il curry fosse un po’ troppo grasso, ma a Dinah, lievemente più robusta della media, non importava, perché era alta e ben proporzionata.

Amy era molto magra e sembrava poter mangiare qualsiasi cosa volesse, senza metter su peso.

Nicole sembrava restare tagliata fuori, per la sua pignoleria.

Alla fine, Kate optò per un’insalata. Nonostante le continue derisioni di sua madre in relazione al peso, sperava che, se avesse perso quei pochi chili che aveva in più, la madre non sarebbe stata così severa con lei.

“Accidenti” Dinah esclamò, quando vide il piatto dell’amica, “non dirmi che mangerai soltanto questo. Dai, è il tuo compleanno! Mangia almeno un dessert!”

Kate si abbassò nella sedia.

“A dire il vero, Tony ha detto che, se mi avesse incontrata a pranzo, mi avrebbe portato un cupcake” lei disse.

Tutte le altre tre ragazze fecero un grosso sorriso e si scambiarono degli sguardi. Kate si sentì un po’ sciocca ad averlo menzionato.

“Oh mio Dio” improvvisamente Nicole disse.

Tutte smisero di ridacchiare e si guardarono intorno per individuare quello che aveva colpito l'amica.

Un ragazzo bellissimo era appena entrato in mensa.

“Oh” Kate disse, voltandosi. “Quello è Elijah. E’ un nuovo studente dell’ultimo anno, ha iniziato un mese fa. Ho sentito Madison parlarne.”

“Quell’uomo meraviglioso sta camminando nella scuola da un intero mese e questa è la prima volta che l’ho visto?” Nicole chiese. Sembrava ipnotizzata da lui, come se non riuscisse a distogliere lo sguardo.

Anche Dinah sembrava guardarlo incantata.

“Accidenti, sì. Ha come una sorta di fascino alla Leonardo DiCaprio in Titanic.”

“Ma pensieroso” Nicole mormorò. “Misterioso e pensieroso.”

Kate gli diede un altro sguardo. Elijah era incredibilmente bello. Ma, da quello che aveva sentito dire a Madison alla loro madre, Elijah era davvero un solitario. Non sembrava aver mai nessuno intorno a sé. Madison aveva provato a convincerlo a farlo entrare nel suo giro, quando aveva iniziato un mese prima, ma il giovane si era dimostrato riluttante, e la ragazza lo aveva considerato uno sgarbo. Allora, aveva deciso che lui era una sorta di scherzo della natura, indegno di attenzione.

Sembrava piuttosto sfuggente. Infatti, questa era probabilmente la prima volta che Kate lo vedeva in mensa. La San Marcos era una grande scuola, ma uno come Elijah non era il tipo da perdersi in una folla. Si chiese come mai non lo avesse visto spesso.

“Ricordi quello che stavamo dicendo sul ballo?” Nicole intervenne. “Lo rimangio. Vi scarico in un battibaleno, voglio andarci con lui!”

Tutte cominciarono a ridere. Tranne Kate. Stava guardando Elijah, studiando il modo in cui si muoveva tra la folla di persone. Era così leggero, sembrava che stesse fluttuando! Aveva un modo aggraziato di muoversi, quasi come se ogni passo che faceva fosse parte di una danza imparata da lungo tempo.

Proprio allora, il nuovo venuto voltò la testa, come se si fosse accorto di qualcuno che lo guardava. I loro sguardi s’incrociarono nella mensa affollata. In quel momento, Kate sentì una sensazione invaderla, come mai prima d’allora. Era come una scossa elettrica, e ogni nervo nel suo corpo era quasi in fiamme.

Un gruppo di ragazzi più giovane passò davanti al tavolo di Kate, bloccandole la vista.

Quando si spostarono, Elijah se n’era andato.

La ragazza allungò la testa, pensando di vederlo uscire dalla porta verso cui era diretto, ma  non vi riuscì. Era sparito.

“Ragazze” Kate si rivolse alle amiche, “l’avete visto?”

Tutte la guardarono, confuse.

“Visto che cosa?”

“Elijah. Un minuto prima era lì, e quello dopo è completamente sparito.”

Lei continuò a guardare il punto in cui lui si trovava fino ad un momento prima. Non era possibile che avesse lasciato la mensa così in fretta.

“Elijah” Nicole rise, stringendosi forte il cuore in modo teatrale. Poi, guardò Kate canzonandola. “Ti picchierò per lui, lo sai. Pugni, tirate di capelli, graffi con le unghie, tutto quanto.”

Le ragazze scoppiarono di nuovo a ridere, ma Kate non si unì a loro. Era rimasta ipnotizzata dal punto in cui si trovava prima Elijah. La sua mente era sbigottita.

Che cosa aveva appena visto?

CAPITOLO QUATTRO

Kate tornò nei corridoi affollati con le altre ragazze, persa nel suo mondo. La mente era ancora confusa. Le amiche non sembravano comprendere il motivo per cui fosse tanto scossa, e, ogniqualvolta  volta insisteva che Elijah era letteralmente sparito di fronte a lei, trovavano un modo per dare al fatto una spiegazione. Si era stufata di provare a farglielo capire e, imbronciata, ci aveva rinunciato.

Al termine della giornata di scuola, lo stomaco di Kate brontolava. Non aveva mangiato altro che yogurt e insalata, e un paio di cioccolatini dalla scatola che Dinah le aveva regalato. Le emozioni dell'inizio della mattina, la pedalata furiosa fino a scuola e la stranezza della sparizione di Elijah nell’aria, tutto aveva contribuito a farla sentire debole e stordita.

Liberò la bici e tornò a casa, assicurandosi di andare piano; non voleva cadere. Lo zaino, pieno di libri scolastici e regali delle amiche era pesante e rendeva il percorso ancora più stancante.

Il sole non era fortissimo, anche se erano le tre del pomeriggio, e c’era una fresca brezza proveniente dall’oceano. A distanza, Kate vide i monti del Rattlesnake Canyon Park. Era uno dei suoi luoghi preferiti. Amava la natura, la sua quiete, la sua bellezza. Le piaceva andarci i fine settimana. La faceva riflettere sulla vita. Le ricordava sempre che il mondo era vasto e che la sua vita familiare era solo una delle minuscole esperienze che la terra aveva da offrire.

Avrebbe mai visto il mondo? Senza andare al college, avrebbe mai vissuto come desiderava? Non riusciva a sopportare l’idea di restare bloccata in California per un altro anno, a pulire le case dei ricchi, come faceva sua madre, vivendo nella sua ombra. Non era giusto! Perché doveva guadagnare per mantenere Madison agli studi? Madison non era affatto studiosa quanto Kate; infatti, probabilmente intendeva andare al college soltanto per incontrare i ragazzi.

Kate poi decise di voler trovare un modo per tenere per sé parte delle sue entrate, così da risparmiare per un biglietto per la Costa Est, e poi sparire in un giorno. Sembrava una soluzione drammatica, ma che altra scelta aveva?

Kate era così persa nei suoi pensieri da non accorgersi di un gruppo di persone davanti a sé, se non nel momento in cui le di pararono davanti. Erano studenti dell’ultimo anno della sua scuola, occupavano il marciapiede e la strada, urlando e spingendosi tutti tra loro. Kate stava per passare alla larga, quando si accorse di qualcuno nel mezzo. Alcuni stavano malmenando un ragazzo, trattandolo come un pallone da spiaggia, spintonandolo avanti e indietro tra loro. Lei notò i capelli scuri del ragazzo e i tratti delicati. Si trattava di Elijah.

“Ehi!” Kate gridò, frenando bruscamente accanto al gruppo. “Lasciatelo in pace!”

Uno dei ragazzi si voltò verso di lei, rivolgendole uno sguardo infuriato. “Vattene, ragazzina” le disse, crudelmente. “Non penso che il tuo ragazzo voglia essere salvato da una femmina.”

Nello stesso istante, Kate incrociò lo sguardo di Elijah. Era triste. Una lacrima bagnava la sua maglietta sulla spalla. Ma, quando i ragazzi ignorarono Kate, riprendendo a spintonandolo avanti e indietro, lui non si difese.

“Elijah!” lei gridò. “Difenditi!”

Lui la guardò e poi, come se la vedesse per la prima volta, continuò a camminare. La ragazza non riusciva a comprendere.

Ma Kate non avrebbe lasciato che Elijah continuasse a farsi picchiare, solo per la stupida idea che le ragazze non potessero prendere le difese dei ragazzi. Aveva una bicicletta, il che significava che era più veloce, e che poteva usarla come un’arma.

Si tolse lo zaino dalle spalle, pesante e carico di libri. Lo fece roteare e caricò verso il gruppo di ragazzi, colpendone uno dietro la schiena con lo zaino.

“Ehi!” lui gridò, inciampando in avanti. “Vattene, pazza.”

Non sembrava essersi scomposto più di tanto per l'intervento di Kate, sebbene la ragazza confidasse  che stesse soltanto provando a salvarsi la faccia di fronte agli amici.

Forse era sciocco sfidare un gruppo di maturandi, con nient’altro che uno zaino e la bicicletta come armi, ma Kate sembrava posseduta da una sorta di forza, come una mamma oca protettiva con il suo nido. Affrontava i bulli di Elijah nel modo in cui avrebbe voluto che facesse Madison contro la prepotenza della mamma.

Lei tornò sui propri passi, pedalando verso di loro, quanto più rapidamente possibile, facendoli disperdere ovunque.

“Chi è quella matta?” uno dei ragazzi chiese, schivandola.

“Non è la sorella di Madison?” fu la risposta dell'altro, che rise alla vista di Kate che brandiva lo zaino.

“E’ così bruttina” il primo disse. “Ma Madison è così sexy. Dev’essere adottata, giusto?”

Resa ancora più furiosa da quei brutti commenti, Kate partí di nuovo alla carica, facendo cadere entrambi a terra di botto. Poi colpí un ragazzo vicino con lo zaino, con tale forza da proiettarlo addosso ad  un altro. Entrambi finirono stesi a terra.

Provando a salvare la faccia, i ragazzi cominciarono a disperdersi, come bambini che lasciano il gelato a causa di una vespa irritante e persistente. Ormai si erano convinti che Kate avrebbe reso l’attacco ad Elijah più seccante del voluto.

Kate aveva l’affanno per la fatica e l’ansia, sebbene ci fosse anche un po’ di adrenalina trionfante a scorrerle nelle vene. Rivolse uno sguardo ai ragazzi che si allontanavano lungo la strada, poi tornò dove si trova Elijah.

Ma questi se n’era andato.

“Ehi!” Kate gridò. Quell’idiota avrebbe almeno potuto degnarsi di dirle grazie.

Si guardò intorno, provando a vedere dove fosse finito. Ma più guardava, più si convinceva che, in nessun modo, Elijah avrebbe avuto il tempo di sparire dalla sua vista. Non c’erano case o negozi lungo la strada dove lui potesse entrare, solo la roccia della montagna da un lato, e una ripida strada che portava ai tetti delle case sulla strada sottostante, dall'altro. Dov’era andato?

La ragazza si guardò attorno, strizzando gli occhi contro la forte luce del sole, ma del giovane non c’era traccia. Poi, scorse una figura ai piedi della collina, camminare in quel modo aggraziato, piacevole che lei riconobbe appartenere proprio ad Elijah. Non aveva idea di come fosse arrivato così lontano in così poco tempo. Voleva far scendere il livello di adrenalina, che forse stava alterando la sua percezione, ma una sensazione sgradevole stava cominciando ad assalirla, come era successo in mensa. Elijah, ne era certa, poteva spostarsi per notevoli distanze a una velocità impensabile.

Kate non sapeva che cosa la portasse a cercarlo. Forse era dovuto al fatto che, a diciassette anni, non aveva mai avuto molta popolarità, ma sentiva di meritare almeno un po’ di gratitudine da lui, per essersi esposta così tanto. Aveva schiacciato la scatola di cioccolatini di Dinah, mentre aveva affrontato i ragazzi. Erano penetrati, in forma di zucchero rosa e appiccicoso all’interno dello zaino. E la sua copia di Romeo e Giulietta aveva un’enorme macchia ora sulla copertina.

Cominciò a pedalare in direzione di Elijah. Era una strada lunga e in alcuni punti divenne abbastanza ripida. Tutto ciò che Kate doveva fare era abbassarsi in avanti, e lasciare che la gravità la spingesse in fondo alla collina. In genere, era una ciclista lenta e attenta, non proprio un’amante del brivido, ma era bello sentire il vento tra i capelli, mentre percorreva la collina.

“Ehi!” gridò quando pensava che Elijah potesse sentirla.

Lui si voltò e le lanciò uno sguardo confuso. Ancora una volta, quando i loro sguardi s’incontrarono, una strana sensazione s’impossessò di Kate. C’era un’intensità negli occhi di Elijah, un'espressione quasi stregata in essi. Se gli occhi erano lo specchio dell’anima, l’anima di Elijah sembrava essere più vecchia del tempo.

Confusa dalle sensazioni che le scorrevano in corpo, Kate azionò i freni. Ma stava andando troppo veloce, i freni erano un po’ consumati e non reagivano velocemente quanto avrebbero dovuto, la bici era vecchia. Stava praticamente volando, avvicinandosi alla fine della strada ad una folle velocità. In fondo ad essa, si rese conto con timore, c’era una strada a scorrimento veloce.

Il cuore di Kate cominciò a battere forte, quando si rese conto che non avrebbe in alcun modo potuto fermarsi in tempo. Stava andando dritta verso la strada.

Il tempo sembrò rallentare dolorosamente, mentre correva verso la conclusione inevitabile, inarrestabile, la sua morte. La bici passò davanti al segnale di stop, i freni inutili cigolarono e l’odore sgradevole di gomma bruciata si espanse nell’aria. Poi, volò verso i segni bianchi della strada—e finì dritta nel traffico in arrivo.

Kate intravide un camper arrivare dritto verso di lei. Vide gli occhi dello stupefatto autista – e poi, sentì l’impatto.

Il corpo di Kate si schiantò contro il camper. Non sentì alcun dolore, ma seppe immediatamente, dal rumore assordante,  che le si era rotto qualcosa. Forse tutto.

Il clacson del camper cominciò a suonare, mentre lei rimbalzava sul parabrezza, ricadendo a terra e rotolando per un tratto, battendo violentemente il capo sull’asfalto. Anche la bicicletta fu proiettata in aria, poi ricadde a terra.

Stelle nere danzarono davanti ai suoi occhi. La sua bici finì la sua corsa accanto a lei, frantumandosi contro il pesante asfalto. Kate era consapevole della sensazione di torpore, del sapore metallico del sangue.

Ma non provava alcun dolore. Sapeva che era grave. Grave il fatto di non muoversi. Grave il fatto di non provare niente.

La testa ricadde di lato, e Kate posò lo sguardo sull’oceano luccicante a distanza. Come se fosse alla fine di un lungo tunnel, Kate sentì le auto frenare, schiantarsi tra loro e persone gridare. Sentiva l’odore della benzina, della gomma e del metallo, e qualcosa bruciare.

Poi, in tutto quel caos, vide il viso di Elijah apparire davanti a lei, e si sentì prendere in braccio da lui. Il ragazzo stava dicendo qualcosa, ma lei non riuscì a cogliere il senso delle parole. L’espressione di Elijah era intensa, terrorizzata.

E, proprio prima che tutto si oscurasse, le sembrò di vedere delle zanne spuntargli dalla bocca. La giovane non riusciva a muoversi né a gridare. Ma ebbe la sensazione di qualcosa di appuntito, caldo e bagnato sul collo, ne era certa.

Poi, il mondo svanì.

CAPITOLO CINQUE

La prima cosa di cui Kate fu consapevole fu un suono di un trillo elettronico. Non aveva pensato molto alla morte, ma era abbastanza sicura che quello fosse il suo suono. Poi riuscì a distinguere un altro suono: un cigolio. E infine percepì chiaramente che si stava muovendo in avanti. Ruote, pensò. Sono su una barella.

Poi, sentì un odore strano e forte, come di candeggina e detersivo.

Sono all’ospedale, pensò.

E comprese di non essere morta. Almeno, non ancora.

Kate sentì qualcosa nella gola, e qualcosa d’altro spingerle nel braccio. Non era doloroso ma irritante. Provò allora a sollevare una mano, ma non avvenne nulla. Riusciva a sentire dei rumori provenienti da sopra di lei, come persone che parlavano attraverso l’acqua. Mentre i secondi passavano, le alterazioni diventavano meno pronunciate, e lei cominciò a distinguere voci e parole.

“E’ un miracolo” qualcuno disse. Era una voce che non riconobbe.

“Non ho mai visto riprendersi qualcuno con questo tipo di ferite” aggiunse un’altra voce.

“Vedremo se i genitori daranno il consenso per farle delle analisi” il primo disse ancora. “Perché era priva di sensi quando l’hanno presa, poi all’improvviso, ha ripreso a respirare. Non hanno nemmeno avuto il tempo di usare il defribillatore.”

Kate si chiese quanto tempo fosse trascorso da quando il camper l’aveva investita. Era appena arrivata all’ospedale, o era stata in coma per anni? L’ultima supposizione la fece piombare nel panico. Che cosa sarebbe successo se fosse rimasta in coma il giorno del suo diciassettesimo compleanno, e si fosse risvegliata il giorno del suo trentesimo compleanno? O quarantesimo? O ottantesimo!

Divenne incredibilmente agitata al pensiero di trovarsi faccia a faccia con Amy, Dinah e Nicole, tutte sposate e con figli. Sapeva di essere fortunata ad essere viva, ma il pensiero che tutti fossero andati avanti senza di lei era terrificante.

In qualche modo, mentre era sconvolta dalle sue intense emozioni, riuscì ad aprire gli occhi.

“Si sta svegliando” qualcuno disse.

“Non è possibile. E’ in coma indotto.”

“Ti dico di sì!” il primo disse di nuovo, insistendo di più. “Ha appena aperto i suoi dannati occhi.”

Kate comprese dal tono delle loro voci che qualcosa non tornava. La velocità con cui era stata investita, l’angolo con cui aveva colpito il suolo, il modo in cui era caduta sull’asfalto – avrebbe dovuto assolutamente essere morta, al cento per cento.

Sentire le loro voci, sapere che in qualche modo era andata oltre la logica, restando viva, accrebbe ancora di più il senso di panico. Cominciò a sbattere le ciglia, tentando di mettere a fuoco quello che aveva intorno. Vide piastrelle bianche sul soffitto sopra di lei, e alle pareti su entrambi i lati; poi inquadrò  medici e paramedici, tutti con lo sguardo confuso.

Provò a chiedere che cosa le stesse accadendo, ma non riuscì a muovere la lingua in maniera appropriata. Aveva qualcosa in bocca.

Mosse la mano, provando ad afferrare uno dei medici che le camminavano a fianco. In quel momento, notò un tubicino collegato  al polso. Aveva una sorta di ago o una flebo. Vederla le fece venire la nausea—non le erano mai piaciuti gli aghi. Sul suo braccio, c’era del sangue secco.

Kate, poi, si rese conto che era passato pochissimo tempo dall’incidente. Non ci sarebbe stato del sangue su di lei altrimenti, e nessun paramedico. E certamente non sarebbe stata su una barella in un corridoio, diretta da qualche parte con evidente fretta. Se fosse stata in coma per anni e anni, ora sarebbe stata sdraiata da sola in qualche reparto, completamente dimenticata da tutti, probabilmente coperta di polvere e ragnatele.

Il sapere che non era trascorso tanto tempo la calmò leggermente, ma era ancora innervosita dai medici e dalle espressioni sui loro volti.

Almeno, riuscì a raggiungere e afferrare una manica di un medico. Lui abbassò lo sguardo verso la mano che lo stava stringendo, sollevando la stoffa. Aveva il volto pallido, come se stesse guardando un fantasma. Poi, si rivolse al paramedico.

“Pensavo mi avesse detto che aveva le ossa rotte.”

Anche il paramedico guardò la mano di Kate.

“Lo erano” quello disse.

All’improvviso, l'uomo smise di camminare, come se fosse tanto stupito da non poter più procedere oltre. Lo lasciarono indietro, e infine sparì alla sua vista.

Poi, la barella svoltó e Kate chiuse gli occhi.

I medici si affaccendavamo intorno a lei, visibilmente ed inutilmente preoccupati, collegandola a diversi macchinari; tutti facevano un bip. Kate era punzecchiata e toccata di continuo. Ma, ad ogni minuto che passava, sembrava riacquistare la sensibilità  o il controllo su un'altra parte del corpo.

La ragazza provò a parlare, ma le parole le si bloccarono in gola. Allora, si tirò su e sentì una mascherina in plastica intorno alla bocca.

“Ehi, ehi, ehi” uno dei medici disse, provando ad allontanare la sua mano. “Ti aiuta a respirare. Lasciala lì dov’è.”

Fece come le fu detto.

“Aumentiamo la dose di propofol” uno dei medici disse ad un collega. “C’è ancora il rischio di un ematoma cerebrale. Un coma le darà migliori possibilità di ridurre i danni.”

“Le é stata già somministrata la dose massima” rispose l'altro.

“Allora dev’esserci stato un errore” il primo contestò. “Quel paramedico mi sembrava fuori di testa. Probabilmente, ha trascritto la cosa sbagliata. Non é possibile che questa ragazza abbia ricevuto la massima dose.”

“Bene, d’accordo, se lo dici tu.”

Kate sentì come un formicolio dove le era inserita la flebo nel braccio. Una strana sensazione avvolse il suo corpo, come quella sorta di stanchezza che si avverte durante un film noioso. Decisamente, non le sembrava di essere stata anestetizzata.

Ora i medici si guardavano tutti tra loro.

“Dev’esserci qualcosa che non va nella dose” il primo disse. “Accidenti, guardaci un attimo! L’ultima cosa che ci serve ora è che ci facciano di nuovo causa.”

Uno dei medici sparì, lasciando soltanto gli altri due.

Uno di loro si abbassò. Puntò una torcia in entrambe le pupille della paziente.

“Fai uso di droghe” le chiese.

Lei scosse la testa.

L’uomo non parve crederle.

“Perché se fai uso di qualcosa che possa interferire con il propofol, dobbiamo saperlo. Niente anfetamine?”

Kate scosse di nuovo la testa. Voleva disperatamente che le togliessero il tubo dalla gola, così da poter riprendere di nuovo a parlare.

I medici si guardarono tra di loro, assolutamente incerti sul da farsi. Proprio allora, un’altra persona si avvicinò al letto. Era una donna in uniforme.

“Abbiamo identificato la ragazza” disse. “C’era una carta d’identità nel suo zaino. Kate Roswell della San Marcos Senior High School. Il preside vi farà avere il numero dei genitori.”

I medici annuirono.

“O potete chiederlo a lei direttamente” uno rispose, facendo cenno nella direzione di Kate, che giaceva nel letto, ben sveglia, battendo le palpebre pazientemente.

La donna farfugliò.

“Mi avevano detto che le era stato indotto lo stato di coma.”

“Vero” l’altro medico intervenne.

I due la fissarono inebetiti, e sembravano completamente confusi.

“Può scusarci un momento?”

Si allontanarono insieme, storditi.

La donna si rivolse a Kate.

“Kate, riesci a sentirmi?” le chiese.

La ragazza annuì.

“E sei Kate Roswell, è corretto?”

Kate annuì di nuovo.

“Mi chiamo Brenda Masters, sono un’assistente sociale qui dell’ospedale. Qualcuno ti ha detto che cos’è accaduto?”

Kate scosse la testa. Ma non aveva bisogno che glielo dicessero. Ricordava ogni cosa. Quando era stata investita dal camper, che le aveva rotto tutte le ossa. Quando la vista le si era oscurata, e aveva sentito la morte avvicinarsi a lei. E Elijah. Elijah, con le zanne esposte, conficcate nel suo collo.

“Tipico dei medici” la donna disse. “Non pensano mai di parlare davvero con i pazienti.” Brenda occupò la sedia accanto a Kate. “Sei stata investita da un camper. Ti trovi al Santa Barbara Cottage Hospital. Starò accanto a te e ai tuoi genitori, durante il tuo recupero. Non preoccuparti, saranno qui molto presto.”

Brenda dette un colpetto sul braccio della giovane paziente.

Ma l’ultima cosa che Kate desiderava, in quel momento, era la sua famiglia. Loro avrebbero trovato un modo per criticarla, certamente. Avrebbero detto che era stata imprudente a non riparare i freni della sua bicicletta, o a correre a quella velocità giù dalla collina. Riusciva a immaginare sua madre, che la sgridava. C’era di peggio: magari avrebbe detto che Kate era in cerca di attenzioni, perché Madison sarebbe andata al college, e lei non aveva ricevuto una torta di compleanno. Un milione di pensieri le attraversarono la mente, e le lacrime luccicarono nei suoi occhi.

Brenda inarcò leggermente le sopracciglia. “Non vuoi che i tuoi genitori vengano qui?" chiese.

Kate scosse di nuovo la testa, e una delle lacrime scese lungo la guancia.

La donna sembrò preoccupata dalla rivelazione. Probabilmente, non comprendeva perché una diciassettenne, che era rimasta quasi uccisa in un incidente, non volesse la famiglia intorno a sé. Probabilmente, non aveva mai conosciuto nessuno come i Roswell.

“Hai fatto qualcosa che non avresti dovuto fare?” Brenda disse gentilmente. “Perché, se sei preoccupata che si arrabbino con te, sono certa che non sarà così. Vorranno soltanto sapere che stai bene.”

Kate scosse di nuovo la testa. Si sarebbero arrabbiati, sì, ma non per quello che aveva fatto. Era soltanto perché esisteva.

Le lacrime cominciarono a scenderle copiosamente.

“Dobbiamo informare i tuoi genitori” la donna disse. “Legalmente sei minorenne.” Poi, la sua voce si addolcì. “Kate, dovrò chiederti una cosa importante, e voglio che pensi bene alla risposta. Annuisci se sei d’accordo con quello che dico, e scuoti la testa in caso contrario. Kate, i tuoi genitori ti picchiano?”

Kate deglutì, la gola le faceva male, urtando il tubo. Quanto desiderava disperatamente annuire. Ma la sua vita non era segnata da abusi, non nel modo inteso dalla donna. Almeno, non pensava che lo fosse comunque. Ma abusare voleva dire solo fare ricorso a pugni e calci, o poteva concretarsi nel venire privati di cibo, nel subire un divieto senza motivo, nel venire ignorati il giorno del compleanno? Kate proprio non lo sapeva. E, sebbene fosse consapevole che il semplice annuire della sua testa, ora, avrebbe potuto scatenare una serie di eventi, forse persino vederla portata via da casa e condotta da persone che non la disprezzavano e volevano che frequentasse il college, c’era sempre Max a cui pensare. Non poteva fargli vivere un trauma simile, era solo un ragazzino.

Scosse allora la testa.

La donna annuì, apparentemente soddisfatta dalla risposta. Probabilmente, pensava che Kate fosse una sciocca adolescente fuori controllo. Che fosse andata alla ricerca del brivido, sfuggitole di mano, restando quasi uccisa, e stesse provando ad evitare di essere rimproverata.

“Li chiamerò io” la donna disse, alzandosi e sistemandosi la camicetta.

Se ne andò e Kate si rese conto di essere da sola per la prima volta. Il tubo nella sua gola era assolutamente esasperante. Le prudeva tantissimo. E voleva disperatamente essere in grado di parlare. Aveva bisogno di chiedere a qualcuno dove fosse Elijah. Ricordò di essere stata presa in braccio da lui. Perché non era andato con lei in ambulanza? Doveva essere stato lui a chiamarla.

Kate riuscì a tirarsi su, nel suo letto d’ospedale, riuscendo così finalmente a guardarsi intorno. Era pieno di persone addormentate. Si rese conto che erano tutte in coma, proprio come lei avrebbe dovuto essere. L’avevano soccorsa aspettandosi che fosse priva di sensi, sospettando un edema verbale a causa del trauma. Ma il suo corpo aveva completamente rigettato le medicine.

Anche le sue ossa erano guarite. Era quello che il medico aveva detto. Ogni osso nel braccio – ulna, radio, omero – si era rotto, ma, nonostante ciò, non sentiva alcun dolore. Infatti, le braccia stavano perfettamente bene. Poteva ruotare le mani e muovere le dita lungo il tubo e infine cominciò a tirare.

Il tubo cominciò a uscirle dalla gola. Era incredibilmente sgradevole, ma continuò a tirare, fino a quando non fu completamente fuori. Alla fine, riuscì a respirare normalmente da sola. Gettò il tubo a terra, felice di essersene liberata.

L'altra cosa che la irritava era la flebo nel braccio. Strappò via il cerotto che la teneva attaccata, ed estrasse l’ago. Apparve del sangue sulla pelle, e lei lo leccò istintivamente.

Senza tubi e fili, si sentì molto più a suo agio, in grado di valutare la situazione.

Il suo corpo sembrava diverso, ma non in senso negativo. Non provava alcun dolore.

L’unico elemento negativo, di cui divenne consapevole ora che il tubo era fuori dal suo corpo, era una sensazione assillante allo stomaco. Stava morendo di fame. Era così che ci sentiva dopo essere stati vicini alla morte?

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