Kitabı oku: «Schiava, Guerriera, Regina », sayfa 11

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CAPITOLO VENTUNO

Questa cosa non andrà a finire bene, pensava Ceres mentre percorreva la scala a chiocciola fuori dalla sua stanza, guidata dalla domestica. Con le mani sudate e il cuore che si rifiutava di battere ad un ritmo ragionevole, ogni pochi secondi doveva fermarsi e quasi girarsi verso la sua camera. Là dentro era al sicuro. Lì Tano non le avrebbe fatto visita e lei non si sarebbe odiata per aver accettato il suo invito ed essere sleale nei confronti di Rexus.

Si fermò in fondo alla rampa e sbirciò lungo il corridoio dove decine di colonne di marmo segnavano il passaggio. La domestica continuò ad avanzare. Il soffitto sembrava alto come le cime delle montagne, il pavimento era liscio come un lago in un giorno tranquillo e i dipinti sulle pareti raffiguravano i precedenti re, regine, elementi naturali e animali.

La damigella, ora a diversi passi davanti a lei, si girò e le fece segno.

“Coraggio, andiamo,” le disse. “O forse siete troppo dolorante?”

Era dolorante, sì, ma non era quello il motivo per cui non si muoveva. Ad ogni modo sapeva di dover fare questa cosa, quindi tirò indietro le spalle, fece un profondo respiro e avanzò.

Una volta arrivata al piano di sotto la damigella portò Ceres all’esterno e la guidò attraverso il cortile sul lato del palazzo.

Arrivarono a un edificio separato: la facciata della biblioteca si presentava con sei colonne di marmo. Davanti si trovava una fontana sulla quale svettava torreggiante una statua della regina. Il suo sguardo fissava Ceres dall’alto.

Anche qui mi sta guardando, pensò Ceres.

“C’è nient’altro che possa fare prima di andarmene?” disse la domestica con un sorriso.

Ceres scosse la testa e guardò la donna allontanarsi.

“Ceres?” udì una voce dietro di lei.

Si girò e vide Tano con una toga bianca avvolta attorno al corpo, i riccioli neri ben pettinati e ordinati. Anche se aveva un aspetto più formale del solito, gli donava. Ceres tentò di non farselo piacere troppo.

“Quasi non ti riconoscevo,” le disse.

“Sembro… non sembro me,” rispose lei torturandosi le mani.

“Sembri perfettamente te, solo un po’ più pulita,” le disse lui con una leggera espressione divertita in viso.

Si chinò verso di lei e inspirò.

“E hai anche un buon profumo,” aggiunse.

Di tutte le cose che poteva notare, pensò irritata, sebbene non capace di impedire al suo cuore di battere un po’ più piano.

“Prima no?” gli chiese sollevando un sopracciglio.

“Non tanto quanto le altre ragazze,” le disse.

“Beh, non abituartici. Nell’arena non profumerò di ragazza.”

Tano rise di cuore e questo rese Ceres ancora più irritata con lui.

“Andiamo?” le chiese porgendole il braccio.

Senza prenderlo, lei si mise a camminare e salì i gradini che portavano alla biblioteca. Lo sentì espirare sonoramente dietro di lei.

Entrando Ceres sussultò quando vide migliaia e migliaia di rotoli di pergamena infilati su scaffali di legno a ogni parete. Non aveva mai visto così tanti scritti nello stesso posto. L’altra biblioteca dove aveva studiato era molto più piccola. Oh, quanto le sarebbe piaciuto sedere in quella stanza per giorni e settimane e mesi, assorbendo tutta la conoscenza contenuta là dentro.

La stanza era calda, l’odore di legno e pergamena inondava l’aria umida e ai lati, vicino a tavoli di legno e tra colonne di marmo, sedevano studiosi vestiti con toghe, intenti a leggere e scrivere. Una silenziosa aria di riverenza aleggiava in quel luogo e Ceres vi si sentiva leggera e frastornata.

Al centro della biblioteca un uomo anziano stava seduto a un tavolo di marmo, piegato su un rotolo di pergamena, intento a leggere. Aveva la testa calva, il che rendeva le sue grandi orecchie ancora più pronunciate, e aveva penetranti occhi blu al di sopra di un naso lungo e curvo.

Sollevò lo sguardo e sorrise, e immediatamente Ceres capì che le sarebbe piaciuto.

Tano entrò dietro di lei e le mise una mano sulla schiena. Il calore si raccolse lì mentre lui la spingeva dolcemente avanti, verso l’anziano.

“Ceres, ti presento Cosma,” disse Tano. “È lo studioso di corte, tra le altre cose.”

“Onorata di conoscerla,” disse Ceres con un cenno della testa e un leggero inchino.

“L’onore è mio, mia cara,” rispose l’uomo mostrando un largo sorriso mentre le prendeva la mano.

“Quali altre cose?” chiese Ceres.

Tano mise una mano sulla spalla di Cosma e gli occhi gli si riempirono di tenerezza.

“Consigliere insegnante, amico, padre,” disse.

L’anziano ridacchiò e annuì.

“Padre, sì.”

Cosma arrotolò la pergamena che aveva davanti, ma sebbene Ceres ardesse dalla curiosità di sapere cosa ci fosse scritto dentro, non osò chiedere di leggere, pensando che non fosse una richiesta lecita.

“Non lo diresti mai, ma avresti dovuto vedere Tano quando è arrivato al castello,” disse con voce che pareva potersi spezzare in ogni secondo. “Era un tale piccoletto, magro e scheletrico, che nessuno avrebbe mai pensato che sarebbe cresciuto diventando grande e robusto come un dio.”

Ceres rise. Tano si portò dietro all’anziano e si diede un colpetto alle orecchie. Ceres annuì, capendo che Cosma era duro di udito.

“Tano magari te l’ha detto, ma ha perso i suoi genitori quando era appena un bambino. Erano delle così brave persone,” disse scuotendo la testa e piegando le labbra verso il basso.

“Mi spiace sentirlo,” disse Ceres guardando Tano, ma lui non disse niente.

L’anziano raccolse la pergamena, ma prima di riporla, la curiosità assalì Ceres e lei mise da parte l’esitazione.

“Posso leggerla?” chiese, forzando la voce ad essere più alta del solito in modo che Cosma potesse sentirla.

Tano sgranò gli occhi mostrandosi incredulo.

“Cosa c’è?” chiese Ceres sentendosi un po’ imbarazzata per la sua occhiata.

“Pensavo… davo per scontato che non sapessi leggere,” le disse.

“Beh, pensavi sbagliato,” ribatté lei. “Adoro studiare qualsiasi cosa mi capiti tra le mani.”

Cosma rise e le fece l’occhiolino.

“Anche se questa non è la biblioteca più grande di Delo, è la più vecchia e contiene gli scritti dei più grandi filosofi e di alcuni dei migliori studiosi del mondo,” disse Cosma. “Sei più che benvenuta a studiare tutto quello che vuoi, qui.”

“Grazie,” disse Ceres scorrendo la pergamena con gli occhi. “Potrei viverci in questo posto.”

“Aspetta,” disse Tano socchiudendo gli occhi, l’espressione piena di scetticismo. “Cos’è che hai studiato esattamente?”

“Matematica, astronomia, fisica, geometria, geografia, fisiologia e medicina, oltre ad altre cose,” disse Ceres.

Tano annuì meravigliato, e forse anche un po’ orgoglioso da quanto Ceres poté vedere.

“Tano, perché non fai fare alla cara ragazza un giro del resto della biblioteca, in modo che possiamo studiare al vostro ritorno?” chiese Cosma.

“Vorresti vederla?” le chiese Tano.

“Certo,” rispose Ceres con l’eccitazione che le cresceva dentro al solo pensiero.

Tano le offrì di nuovo il braccio, ma proprio come prima lei gli passò accanto e non lo prese. Lui ruotò gli occhi al cielo.

Prima la portò alla sala studio, poi in un salone da lettura e in uno per le riunioni, prima di mostrarle finalmente i giardini della biblioteca.

Camminarono in silenzio sul vialetto di pietra, tra statue di dei e dee, cespugli ben curati, colonne ricoperte d’edera e innumerevoli aiuole di fiori colorati. Una leggera brezza le accarezzava il volto e l’aria era carica dell’odore di rose.

Nella sua mente Ceres ricordò che c’era qualcosa che aveva programmato di dire a Tano, ma ora che era lì con lui, non le veniva in mente cosa fosse.

“Devo ammettere di essere rimasto piuttosto sorpreso quando hai iniziato a fare la lista delle cose che hai studiato,” le disse Tano. “Mi spiace non averti creduto all’inizio.”

“Beh, a tua difesa c’è da dire che molte persone comuni non hanno istruzione e la maggior parte della gente di corte pensa di sapere tutto di tutti, quindi come facevi a saperlo?” gli disse.

Lui ridacchiò per quel commento beffardo.

“Sono il primo ad ammettere di essere ignorante su molte cose,” le disse.

Lei lo guardò di lato. Stava fingendo di essere umile? Difficile a dirsi.

“Come hai imparato?” le chiese intrecciando le proprie mani dietro alla schiena mentre camminavano.

“Il migliore amico di mio padre era uno studioso e mi lasciava sgattaiolare nella biblioteca a leggere. E molte volte stava anche seduto insieme a me e mi faceva da insegnante,” rispose.

“Sono felice che là fuori ci siano degli uomini ragionevoli che incoraggiano le donne a studiare,” disse.

Ceres lo guardò di nuovo, cercando di capire se fosse sincero nel suo commento o no, e pensando che poteva anche non essere come sembrava.

“Cosma è uno di quegli uomini. Se ti fa piacere, posso chiedergli di continuare la tua istruzione.”

Ceres fu incapace di reprimere un sorriso da orecchio a orecchio.

“Mi piacerebbe. Mi piacerebbe tantissimo,” rispose.

Camminarono ancora un po’ e arrivarono a un semicerchio di colonne di marmo. Tano la invitò a sedersi sulla panca di pietra e dopo che si fu accomodata si mise vicino a lei. Quando vide la città e il mare sotto di loro, Ceres sospirò: era così bello.

“Non avevo capito che i tuoi genitori fossero morti quando eri piccolo,” disse.

Tano guardò verso la città arricciando un poco il naso.

“Non mi ricordo di loro, anche se ho sentito un po’ di storie che mi ha raccontato Cosma.”

Fece una pausa e spinse una mano verso la sua, lasciando che le loro rosee dita si sfiorassero sulla panca.

Ceres non potò fare a meno di notare che il suo stomaco si aggrovigliava.

“Mi chiedo spesso come fossero, e soprattutto come sarebbe avere una madre amorevole,” disse.

“Come sono morti?” chiese Ceres sottovoce.

“Non è sicuro, ma Cosma pensa che qualcuno li abbia assassinati.”

“Ma è orribile!” esclamò Ceres mettendo senza pensare una mano sulla sua.

Rendendosi conto di ciò che aveva appena fatto, stava per tirarla via, ma Tano la afferrò e la tenne stretta.

Rimasero così seduti per un po’ di tempo che le parve un’eternità, i loro cuori che battevano con forza, il respiro interrotto.

Non doveva guardarlo negli occhi, si disse, perché sapeva che se l’avesse fatto sarebbe successo qualcosa. Qualcosa di terribile. Qualcosa di meraviglioso.

Lui le mise una mano sotto al mento e glielo sollevò in modo da non consentirle di guardare da nessun’altra parte se non nei suoi occhi.

E tutt’a un tratto fu come se tutta l’aria fosse svanita attorno a lei e si sentì calda, più calda che mai.

Gli occhi scuri di Tano si posarono sulle sue labbra e una qualche forza invisibile la attirò a lui, strappandola dalla sua risoluzione di stare alla larga, trascinandola via da Rexus e da tutto ciò che aveva sempre amato.

Con un morbido sorriso Tano sollevò una mano e le accarezzò la guancia e Ceres non riuscì più a distogliere lo sguardo. Tano si chinò in avanti e con le labbra incontrò la sua gola morbida.

Ceres trattenne uno spiazzato respiro mentre portava le mani in mezzo ai suoi folti riccioli neri. Trovò le sue labbra, calde e morbide, e vi appoggiò le proprie, lentamente, sentendo i brividi scorrerle dentro. Tutto ciò che c’era prima ora non c’era più.

“Tano!” gridò una voce femminile riportandola alla realtà.

Girò la testa e vide Stefania lì in piedi, le labbra serrate, le lacrime agli occhi.

Tano le lanciò uno sguardo duro.

“Il re vuole vederti,” disse Stefania con tono secco.

“Non può aspettare?” chiese lui.

“No, si tratta di una questione urgente,” disse Stefania.

Tano espirò sconsolato, con la delusione negli occhi. Si alzò in piedi e si chinò verso Ceres.

“Alla prossima volta,” le disse e marciò impettito verso la biblioteca.

Sentendosi piuttosto imbarazzata, Ceres si alzò in piedi e stava per andarsene quando Stefania le si parò davanti con occhi infuriati.

“Devi startene alla larga da Tano, hai capito? Solo perché sei vestita come una di corte, non significa che tu appartenga a questo ambiente. Non sei altro che una paesana con sangue comune che ti scorre nelle vene.”

“Io…” iniziò a dire Ceres, ma lei la interruppe.

“So che piaci a Tano, ma presto si stancherà come ha sempre fatto con la gente comune. E non appena gli avrai dato ciò che vuole, ti getterà fuori dal palazzo come fa con tutte le ragazze.”

Ceres non credette a Stefania neanche per un secondo.

“Se ha così tante altre ragazze, perché vuoi sposarlo?” le chiese.

“Non devo dare spiegazioni a una scellerata come te. Stai lontano dal mio futuro marito o troverò un modo di farti scomparire, hai capito?”

Stefania guardò verso la biblioteca, ma poi si rigirò puntando gli occhi su Ceres.

“E giusto perché tu lo sappia,” disse, “dirò alla regina tutto quello che ho visto.”

CAPITOLO VENTIDUE

Tano camminava nervosamente avanti e indietro fuori dalla porta di Ceres, le mani sudate, la gola secca, l’armatura troppo stretta e calda. Niente gli sembrava andare nel modo giusto. Niente era giusto. Anche se sapeva di non avere altra scelta che accettare gli ordini di suo zio, sapeva che Ceres non avrebbe capito e che sarebbe rimasta ferita e probabilmente l’avrebbe odiato per questo. E la cosa peggiore era che avrebbe avuto il diritto di farlo. Anche lui si odiava per aver acconsentito a fare come suo zio aveva comandato, e desiderava ci fosse un qualche modo per uscire dall’incubo di quella situazione complicata.

Tano si asciugò il sudore che gli affiorava sulla fronte e imprecò silenziosamente.

Era da idioti camminare lì avanti e indietro come un ubriacone, lo sapeva, perché il re gli aveva detto di partire immediatamente, quindi non c’era tempo. Ma Ceres meritava la verità da lui, anche se questo avrebbe causato un’enorme frattura fra loro. Anche se in questo modo si sarebbe avverata la sua più grande paura: che lei non l’avrebbe voluto rivedere mai più.

Mai più.

Strizzò gli occhi mentre l’orrore di quel pensiero prendeva posto in lui. E poi si rese conto che c’era un altro motivo per cui era lì. Una grande parte di sé aveva bisogno di rivederla, in caso fosse rimasto ucciso.

Non avrebbe dovuto pensare a questioni sulle quali non aveva il controllo e si rimproverava per questo.

Strinse i denti e bussò alla porta. Non appena la nuova damigella aprì, entrò.

Quando Ceres lo vide impallidì.

“Grazie per aver liberato Anka e per avermi concesso di averla come damigella,” gli disse.

Lui diede un’occhiata alla ragazza e annuì.

“Certo. Ceres, posso avere una parola con te?” le chiese.

Tano notò che le spalle di Ceres si irrigidivano e un’espressione turbata negli occhi gli diede conferma che qualcosa non andava.

“Certamente,” disse Ceres.

“Magari possiamo fare una passeggiata,” le propose.

Andarono nel corridoio e salirono le scale fino al tetto, dove una calda brezza le soffiò nei capelli. Da lì Tano poteva vedere l’intera capitale, le case costruite quasi una sull’altra, sentendo anche i tumulti tra le strade.

Si fermò sulla veranda e si girò a guardare Ceres. Era così bella, pensò, l’abito bianco gonfiato dal vento, i capelli biondi che ondeggiavano. Ma non era la sua bellezza che gliela faceva adorare così tanto. Era la sua sete di vita e conoscenza, e la passione che aveva per la gente e le cose che amava.

Fece un respiro profondo e la guardò negli occhi prima di parlare.

“Re Claudio ha ordinato all’esercito del castello di annientare la ribellione,” le disse.

Le labbra di Ceres si serrarono e lei distolse lo sguardo portando gli occhi verso la città.

“Era di questo che parlava il messaggio?” gli chiese.

“Sì.”

“E dato che indossi la tua armatura, suppongo che tu sarai uno di quelli che attuerà gli ordini del re,” continuò.

Non voleva risponderle, le parole gli sembravano come sciroppo di melassa in gola.

“Vorrei non doverlo fare, ma non ho scelta, Ceres,” le rispose.

“Una persona ha sempre una scelta.”

La sua voce era piatta, ma la sentì anche fortemente trattenuta e capì con certezza che avrebbe voluto con tutta se stessa gridargli contro.

“Come puoi dire che ho una scelta? Non hai idea di come sia vivere sotto a un re, i suoi occhi che ti osservano di continuo, la minaccia della morte sempre incombente dietro l’angolo.”

“Ci sono i miei fratelli là fuori!” gridò Ceres con le lacrime che le sgorgavano dagli occhi. “Il mio amico Rexus. Li ucciderai se li vedrai? Massacrerai proprio coloro che amo?”

Il petto di Tano fu pervaso da un sordo dolore nel vederla arrabbiata, mentre tutto ciò che lui desiderava era farla sorridere e tenerla al sicuro.

“Mi rendo conto che sei arrabbiata…” le disse.

“Perché sono la mia gente!” gridò. “Sono anche la tua gente, Tano. Non vedi che stai combattendo per un re corrotto, per l’oppressione? È questo quello che vuoi veramente?”

Serrando il pugno, Tano rimase in silenzio.

“Combatterai esattamente contro ciò da cui tu stesso stai cercando di fuggire. Non lo vedi?” gli disse.

Sapeva che lei aveva ragione, ma doveva farlo altrimenti il re non avrebbe avuto remore nel gettarli entrambi di nuovo in prigione, come aveva minacciato di fare quando lui aveva cercato di obiettare.

Strinse il parapetto con tale forza che le nocche gli si colorarono di bianco.

“Devo fare ciò che non voglio per mantenere le cose che desidero di più.”

Lei rimase rigida come una tavola, i suoi bellissimi occhi verde smeraldo che si allargavano, la bocca aperta nello stupore.

“Cosa potresti desiderare più della libertà per te e per il tuo popolo?” gli chiese.

“Te!” rispose lui.

Gli occhi di Ceres si fecero combattuti e le lacrime iniziarono a scendere. Espirò sonoramente e guardò in basso stringendosi le braccia attorno al busto come a volersi proteggere in qualche modo il cuore.

“Ora devo andare. Volevo solo informarti di dove andavo, prima di scomparire,” le disse.

“Non andare. Ti prego,” sussurrò Ceres, le mani che le cadevano flosce ai fianchi, le lacrime che le scendevano lungo le guance.

“Mi spiace, Ceres. Devo.”

Il suo volto assunse le mille sfumature della tristezza e Ceres lanciò un grido.

“Se lo farai, non ti parlerò mai più,” gli disse con voce tremante e non del tutto sicura. “Questa è… questa è una promessa!”

La guardò correre via, e sebbene volesse più di ogni altra cosa seguirla e stringerla tra le braccia, baciarla teneramente, si trovò impossibilitato a muoversi. Rimase fermo per un momento, percorso da rabbia e vergogna.

Per salvare se stesso, stava per rinunciare a ciò che amava.

CAPITOLO VENTITRÉ

Tano cavalcava diretto verso il generale Draco, passando da una tenda all’altra, vicino a decine di migliaia di soldati dell’Impero disseminati sul monte Alva. Non faceva nulla per nascondere il risentimento che gli si leggeva negli occhi. Il malvagio generale sosteneva sempre ogni cosa brutta e sbagliata che ci fosse nell’Impero. In effetti odiava quell’uomo corrotto tanto quanto suo zio, forse di più. Dopotutto si diceva che il generale Draco fosse colui che aveva ucciso i suoi genitori.

Tano alla fine arrivò e smontò da cavallo camminando sull’erba bruciata verso il generale dai capelli argentati. L’uomo di mezz’età si trovava davanti alla sua tenda, il mantello rosso che sventolava al vento, una fascia legata attorno alle spalle muscolose, al di sopra dell’armatura. Tano aveva udito che era stato ferito il giorno prima quando piazza Roccianera era stata invasa dalla ribellione. Se solo quella freccia avesse colpito quel suo cuore nero.

“Avanti, mio nuovo colonnello,” disse il generale Draco.

Tano non voleva quel titolo: il re l’aveva costretto ad accettarlo. E ora che l’Impero stava tra lui e Ceres, creando una frattura che avrebbe potuto distruggere ogni possibilità di poter mai stare con lei, lo detestava ancora di più. Ad ogni modo teneva alla vita di Ceres e alla sua e avrebbe onorato quel titolo fino a che la ribellione non fosse stata debellata.

Tano seguì il generale dentro la tenda, dove si portarono in piedi attorno al massiccio tavolo di legno per la pianificazione delle strategie nel mezzo. Sopra di esso era aperta una mappa di Delo con dei segnalini strategici posizionati sopra.

“Tuo zio parla molto bene delle tue doti di combattimento e strategia. Spero che sopravvivrai alla tua reputazione.” Il generale parlava in modo brusco e affrettato.

Tano non disse nulla.

“La ribellione ci è sfuggita di mano e dobbiamo reprimerla oggi,” disse il generale Draco.

“I ribelli hanno attaccato la piazza della fontana oggi, come sospettavamo che avrebbero fatto, e in questo preciso istante i soldati dell’Impero li stanno spingendo tutti fuori dalla piazza, verso nord. Quando uscirai da questa tenda, guiderai un gruppo di centoventi uomini al versante settentrionale della piazza, proprio qui.”

Il generale indicò sulla mappa.

“Catturerai o ucciderai i capi della ribellione e li porterai al campo vivi o morti.”

Il cuore di Tano sbuffò perché sapeva che chiunque avesse portato in vita, sarebbe stato torturato fino alla morte. Sarebbe stato più misericordioso ucciderli tutti, pensò, anche se non voleva fare neppure quello.

“Questa missione non deve fallire, e data la grande raccomandazione del re, ti richiedo di portare a termine questo compito,” disse il generale.

“Capisco,” disse Tano.

“E in caso tu abbia bisogno di una motivazione, tuo zio mi ha detto di informarti che se non avrai successo, farà buttare Ceres in prigione e la userà come esca nelle prossime Uccisioni.”

*

Con centoventi soldati dell’Impero e quattro carri di armi al seguito, Tano arrivò a circa un chilometro dalla piazza della fontana, nella strada dove i soldati dell’Impero avrebbero fatto deviare i ribelli. Ordinò ai suoi uomini di nascondere le armi nelle case abbandonate, di preparare trappole sulle strade, di portare dei calderoni in cima ai tetti.

Tano si arrampicò su un tetto insieme a due decine di soldati, mentre gli altri si nascondevano dentro le case dietro ai balconi chiusi in attesa del passaggio dei rivoluzionari. Lui rimase lì a camminare avanti e indietro, aspettando, odiandosi sempre più a ogni minuto che passava.

Erano passati appena cinque minuti e Tano udì i primi zoccoli di cavalli che battevano contro il selciato. Ancora teso e combattuto per la sua missione, detestando come lo stessero usando a mo’ di pedina nelle mani del re, incendiò la punta di una freccia e aspettò che i rivoluzionari arrivassero al galoppo da dietro l’angolo. Non poteva ribellarsi apertamente davanti al re, lo sapeva, eppure poteva trovare un modo per diminuire i danni nei confronti dei ribelli, soprattutto quelli più vicini a Ceres.

Nel giro di pochi secondi quattro uomini a cavallo sfrecciarono sotto di loro, gli stendardi blu che sventolavano al vento. Prima che potessero passare, furono colpiti dalle frecce degli altri soldati dell’Impero e caddero feriti in mezzo alla strada.

La freccia di Tano era ancora nell’arco. Il sudore gli gocciolava lungo la guancia.

Rapidamente i ribelli vennero acciuffati da otto soldati dell’Impero e gettati su un carro di schiavi per essere portati al campo e interrogati.

Non era giusto, pensò Tano. Sapeva di non avere altra scelta che massacrarli.

Oppure poteva fare altro? Poteva salvare quegli uomini e donne che aveva l’ordine di attaccare?

Venne avanti poi un gruppo di diciannove persone e proprio quando passarono vicino a Tano, i soldati dell’Impero rovesciarono i calderoni inondando i rivoluzionari di olio bollente. Le grida spezzarono il cuore di Tano e lui dovette distogliere lo sguardo da quei corpi che si dimenavano sulla strada. Quando l’olio si fu raffreddato, tutti e diciannove vennero buttati sul carro per essere portati al campo.

Proprio quando i soldati dell’Impero ebbero finito di ripulire la strada, nascondendo le prove dell’attacco, un altro piccolo gruppo di cavalieri sopraggiunse al galoppo verso di loro.

“Rexus!” sentì gridare Tano a uno degli uomini.

Immediatamente ricordò che Ceres aveva fatto quel nome quando avevano parlato sul tetto del palazzo, e osservò con attenzione i rivoluzionari.

Un uomo biondo e muscoloso fece girare il cavallo e lo portò al lato della strada, agitando le braccia.

Dietro al piccolo gruppo c’erano un mucchio di rivoluzionari, ma prima che arrivassero al punto dell’attacco, Tano spense la fiamma sulla sua freccia, saltò giù dal tetto e si portò in un vicolo sdraiandosi in attesa che Rexus passasse.

Prima che Rexus gli fosse abbastanza vicino, un nugolo di soldati dell’Impero uscì di corsa dalle case e iniziò a massacrare i rivoluzionari.

Tano vide che Rexus, sorpreso dall’attacco a sorpresa, ma più veloce della luce, prese una freccia dopo l’altra dalla sua faretra abbattendo i nemici e uccidendone uno a ogni colpo.

Quando ebbe esaurito le frecce, Rexus smontò da cavallo e prese la spada, abbattendo soldati dell’Impero a destra e a manca con una velocità e una precisione da combattente.

Tano sfrecciò fuori dal vicolo e si buttò su Rexus, la spada alta, fingendo di volerlo attaccare. Voleva raggiungere il giovane prima che chiunque altro avesse la possibilità di ucciderlo.

Gli sgattaiolò alle spalle e gli avvolse un braccio forte come il ferro attorno al collo, tenendogli con una mano la bocca e trascinandolo nell’oscurità del vicolo.

Ma Rexus era forte e riuscì a liberarsi dalla presa di Tano, sguainando la spada.

Tano tenne le mani tese davanti a sé e lasciò cadere la spada a terra.

“Non intendo farti del male!” gridò ritraendosi sempre più nell’ombra, sperando che Rexus l’avrebbe seguito.

Rexus cercò di colpirlo con una forza tale da farlo saltare indietro. Tano temette di aver commesso un errore e che quella fosse la sua ultima ora. Rexus si avventò su di lui e ruotò, facendo girare la spada come un tornado, fendendo l’aria e facendola sibilare.

“Ceres mi ha detto che sei suo amico!” disse Tano. “Voglio aiutarti!”

Rexus si fermò un momento tenendo la spada immobile.

“È una trappola,” disse.

“No. Era preoccupata per te. Sapeva che avrei combattuto e ha parlato dei suoi fratelli. E di te.”

Rexus esitò.

“Resta qui e non verrai ucciso,” disse Tano.

“Non lascerò i miei uomini là fuori a morire!” ringhiò Rexus.

Certo che non l’avrebbe fatto, Tano avrebbe dovuto saperlo. Ma stava facendo questa cosa al volo, senza un piano premeditato.

Veloce come un lampo, Tano prese una freccia dalla faretra e colpì la manica di Rexus. La freccia andò a conficcarsi nel muro dietro di lui, immobilizzandolo.

Quel diversivo diede a Tano il tempo di scattare dietro a Rexus e colpirlo in testa con l’elsa della spada.

Rexus cadde a terra privo di conoscenza e Tano tirò un sospiro di sollievo. Non sarebbe probabilmente stato capace di salvare tutti, ma almeno aveva tratto in salvo la vita di un amico di Ceres.

Tano tornò sul tetto e guardò verso la strada. Molti soldati dell’Impero erano caduti, molti più di quanti avrebbe pensato. Vide la possibilità di salvare i rivoluzionari, ma di fare in modo che ai suoi uomini apparisse la migliore decisione. Nessuno lo avrebbe biasimato per essersi ritirato se valutava che i suoi uomini venivano massacrati e che stavano perdendo.

“Soldati dell’Impero, ritiratevi!” gridò. “Ritiratevi all’istante!”

Alcuni dei soldati dell’Impero alzarono lo sguardo con occhi interrogativi, ma Tano sapeva che avrebbero seguito il suo ordine. Erano allenati a obbedire a qualsiasi comando.

I soldati sul tetto scesero uno dietro l’altro, dirigendosi verso i carri, e anche i soldati che si battevano contro i rivoluzionari nelle strade e dentro le case si ritirarono verso i carri man mano che finivano il nemico.

Vedendo che i suoi uomini erano al sicuro, Tano stava per unirsi a loro, ma un debole rumore alle sue spalle colse la sua attenzione. Guardò indietro e vide un giovane rivoluzionario, con la spada in una mano e la lancia nell’altra.

Tano sguainò la spada e fece un passo verso l’uomo.

“Non voglio farti del male,” gli disse.

Gridando l’uomo si gettò su di lui, la punta della lancia indirizzata verso il suo cuore.

Tano ruotò su se stesso e riuscì a levare la lancia di mano al suo avversario. Il giovane tirò un colpo, ma lo mancò e prima che potesse ritrarre il braccio, Tano già gliel’aveva ferito.

“Non intendo ucciderti!” ripeté Tano facendo un cauto passo indietro. “Vattene e vivrai.”

“Qualsiasi cosa detta dalla bocca di un soldato dell’Impero è una menzogna!” gridò il giovane.

Il ragazzo lanciò un grido, strinse la mandibola e in brevissimo tempo era già di nuovo addosso a Tano per colpirlo.

“So che sei il principe Tano!” disse il giovane cercando di pugnalarlo.

“Giusto. E tu chi sei?” chiese Tano parando il colpo.

“Questo te lo dirò quando ti avrò trapassato con la mia spada,” gli rispose.

“Devo metterti in guardia che non ho ancora mai perso un duello.”

Il giovane alzò le sopracciglia, ma non c’era paura sul suo volto.

“C’è sempre una prima volta!” gridò.

Il ragazzo corse verso Tano e le loro spade si scontrarono: una forza di potere, lama contro lama. Spingendo con un ruggito, Tano lo allontanò da sé, ma il giovane gli era sempre addosso. Era forte e la sua energia era probabilmente alimentata da rabbia, furia e passione per la sua causa.

Il giovane fece per colpire Tano, ma lo mancò quando lui si spostò di lato.

Tano non voleva ucciderlo, ma pareva che il ragazzo non si sarebbe fermato fino a che uno di loro due fosse morto. Nella frazione di un secondo, Tano decise di tentare di sfuggirgli.

Però, prima che potesse levarsi dal duello, il ragazzo mirò verso il suo cuore e Tano si spostò mentre lui si lanciava in avanti.

Inciampò e cadde e la lama gli finì nel suo stesso addome.

Il giovane cadde al suolo sbuffando, e togliendosi la spada dallo stomaco, gridò.

Tano fece un paio di passi verso il nemico.

“Uccidimi,” disse il ragazzo con la paura negli occhi.

Tano lo guardò per un momento sentendosi sopraffatto dalla tristezza. Fece scivolare la spada nel fodero e si girò per andarsene.

“Sto morendo,” sbuffò il ragazzo.

Tano si sentì oppresso dalla tristezza per lui. Scosse la testa.

“Sì,” confermò, vedendo la gravità della ferita e rendendosi conto che per lui non si poteva fare nulla.

“Non ti ho detto il mio nome,” sussultò il ragazzo.

Tano annuì, in attesa.

“Allora dimmelo,” disse, “e ti assicuro che farò sapere che sei morto in modo onorevole.”

“Mi chiamo,” ansimò, “Nesos.”

Tano lo guardò con orrore. Nesos. Il fratello di Ceres.

E mentre Nesos si accasciava morto, Tano capì che la sua vita non sarebbe mai più stata la stessa.