Kitabı oku: «Un’Impresa da Eroi», sayfa 12
Un falco si trovava appollaiato sulla sua testa, una creatura dall’aspetto particolare, con il corpo che brillava d’argento ed una linea nera sulla fronte, tra gli occhi. Si piegò, prese un occhio di Elden. Si voltò verso Thor, tenendo l’occhio nel becco.
Thor voleva distogliere lo sguardo ma non poteva. Appena si rese conto che Elden era morto, improvvisamente l’intero bosco prese vita. Da ogni parte vennero fuori, correndo, un esercito di Goralli. Enormi, con addosso solo dei perizomi, con immensi petti nerboruti, tre nasi disposti a triangolo sui loro volti e due lunge zanne ricurve. Sibilavano e ringhiavano, correndo proprio verso di lui. Era un rumore terrificante e Thor non aveva un posto dove andare. Si abbassò e allungò la mano per afferrare la sua spada, ma guardando in basso si accorse che era sparita.
Urlò.
Si alzò tirandosi su a sedere, respirando affannosamente, guardando ansiosamente in ogni direzione. Tutt’attorno a lui era silenzio, un silenzio reale e vivo, non il silenzio del suo sogno.
Accanto a lui, nelle prime luci dell’alba, Reece, O’Connor ed Erec dormivano stesi a terra, vicino alla braci morenti del fuoco. Per terra c’era anche un falcone che saltellava. Si voltò e alzò la testa verso Thor. Era grande, argentato e fiero, con una linea nera che gli correva lungo la fronte, e lo guardava dritto negli occhi, poi emise un verso stridulo. Il suono lo fece tremare: era lo stesso falcone del sogno.
Allora comprese che quell’uccello era un messaggio e il suo sogno non era stato un semplice sogno. C’era qualcosa che non andava. Lo percepiva, una leggera vibrazione alla schiena che gli scorreva fino alle braccia.
Si alzò velocemente in piedi e si guardò in giro, chiedendosi cosa potesse essere. Non sentì nulla di strano, e niente sembrava fuori posto: il ponte era ancora lì e i soldati erano là sopra al loro posto.
Cosa c’è che non va? si domandò.
E poi capì cos’era. Mancava qualcuno. Elden.
In un primo momento Thor si chiese se per caso li avesse lasciati lì per attraversare il ponte raggiungendo l’altra parte del Canyon. Magari provava vergogna per aver perso la spada e se ne era andato definitivamente.
Ma poi Thor guardò verso la foresta e vide tracce fresche nel muschio: e le orme conducevano in direzione del sentiero sulla rugiada del mattino. Erano senza dubbio di Elden. Elden non se n’era andato ma era ritornato nella foresta. Da solo. Forse per fare i suoi bisogni. O forse, capì Thor con orrore, per cercare di recuperare la sua spada.
Era una mossa stupida, andarsene da solo in quel modo, e questo provava quanto Elden fosse disperato. Thor percepì subito che c’era un grande pericolo. C’era il ballo la vita di Elden.
Il falcone emise ancora il suo stridulo verso in quel momento, come a confermare i pensieri di Thor. Poi si alzò sulle zampe e si librò in volo, virando proprio verso il volto di Thor. Thor abbassò la testa e le sue zampe lo mancarono per un pelo, poi si alzò in aria e volò via.
Thor scattò in azione. Senza pensare, senza neanche considerare ciò che stava facendo, partì di corsa verso il bosco, seguendo le impronte.
Thor non smise di provare paura, mente correva, addentrandosi sempre più nelle Terre Selvagge. Se si fosse fermato a pensare alla follia di ciò che stava facendo, forse si sarebbe immobilizzato e si sarebbe lasciato pervadere dal panico. Invece reagì. Sentiva la pressante necessità di aiutare Elden. Corse e corse – solo – addentrandosi sempre più nel bosco, alla leggera luce dell’alba.
“Elden!” gridò.
Non poteva spiegarlo, ma in qualche modo percepiva che Elden stava per morire. Forse non avrebbe dovuto preoccuparsene, pensando a come Elden lo aveva trattato, ma non poteva farne a meno. Se lui si fosse trovato in quella situazione, Elden non sarebbe certo venuto a salvarlo. Era folle mettere a repentaglio la propria vita per qualcuno che non aveva la minima cura per lui, e che anzi sarebbe stato felice di vederlo morire. Ma non riusciva a farne a meno. Non aveva mia sentito una sensazione del genere prima d’ora: i suoi sensi gli stavano gridando di reagire, soprattutto contro qualcosa che lui non conosceva per niente. Stava in qualche modo cambiando e non capiva come. Sentiva come se il suo corpo fosse controllato da un qualche potere nuovo e misterioso che lo faceva sentire a disagio, fuori controllo. Stava perdendo la testa? Stava reagendo in maniera eccessiva? Avrebbe dovuto tornare indietro?
Ma non lo fece. Lasciò che i suoi piedi lo guidassero e non cedette alla paura o ai dubbi. Continuò a correre fino a che i polmoni quasi gli esplosero.
Thor svoltò e ciò che vide lo fece rimanere di pietra. Rimase lì, cercando di riprendere fiato e tentando di rimetter insieme l’immagine di fronte a lui, che aveva dell’incredibile. Era quanto bastava per suscitare il terrore anche nel più valoroso guerriero.
Lì c’era Elden, con in mano la sua spada corta, che guardava una creatura diversa da ogni cosa Thor avesse mai visto. Era orribile. Torreggiava su entrambi, alta quasi nove piedi e larga quanto quattro uomini. Teneva in alto le sue braccia muscolose e rosse, con mani dotate di tre lunghe dita simili a unghie e una testa come quella di un demone, con quattro corna, una lunga mandibola e un’ampia fronte. Aveva due grandi occhi gialli e zanne arcuate. Si rizzò all’indietro ed emise un verso stridulo.
Accanto a lui uno spesso albero, vecchio di secoli, si spezzò a metà a quel suono.
Elden stava lì, paralizzato dalla paura. Lasciò cadere la spada e il suolo attorno a lui divenne umido.
La creatura sbavava e ringhiava e fece un passo verso Elden.
Anche Thor era pervaso dalla paura, ma diversamente da Elden, non ne era pietrificato. Per un qualche motivo la paura lo rafforzava. Acuiva i suoi sensi e lo faceva sentire più vivo. Gli donava una visione profonda, gli permetteva di concentrarsi totalmente sulla creatura davanti a lui, sulla sua posizione rispetto ad Elden, sulla sua grandezza, larghezza e velocità. Su ogni suo movimento. Gli permetteva anche di concentrarsi sulla posizione del suo stesso corpo, sulle sue stesse armi.
Thor si lanciò in azione. Si buttò in avanti, tra Elden e la bestia. La bestia ringhiò, il suo alito era così caldo che Thor poteva avvertirlo anche da lontano. Il suono gli fece venire la pelle d’oca e gli fece desiderare di girarsi e tornare indietro. Ma sentiva nella sua mente la voce di Erec che gli diceva di essere forte. Di non avere paura. Di conservare la serenità. E si impose di tenere duro.
Thor sollevò in alto la sua spada, conficcandola nelle costole della bestia, con l’intento di colpirle il cuore.
La bestia gridò di dolore, con il sangue che colava sulla mano di Thor mentre lui spingeva la spada sempre più a fondo, fino all’elsa.
Ma, con grande sorpresa di Thor, non morì. La bestia sembrava invincibile.
Senza perdere un attimo la bestia girò su se stessa e colpì Thor con tale forza che egli sentì le costole incrinarsi. Thor volò attraverso la radura, andando a sbattere contro un albero prima di cadere a terra. Rimase steso lì, sentiva di avere un grande mal di testa.
Thor sollevò lo sguardo, stupito e confuso, con il mondo che ruotava attorno a lui. La bestia afferrò la spada e la estrasse dal proprio stomaco. La spada sembrava minuscula tra i suoi artigli, come uno stuzzicadenti, e la bestia la scagliò lontano: volò tra gli alberi, tagliando i rami, e scomparve nel bosco.
Portò la sua attenzione totalmente su Thor e iniziò a dirigersi verso di lui.
Elden se ne stava lì, ancora paralizzato dalla paura. Ma mentre la bestia attaccava Thor, all’improvviso Elden scattò in azione. Attaccò la bestia da dietro e saltò sulla sua schiena. Rallentò la bestia quanto bastava perché Thor si mettesse seduto. La bestia, furiosa, portò indietro le braccia e lanciò Elden. Anche lui volò attraverso la radura, andò a sbattere contro un albero e si afflosciò a terra.
La bestia, ancora sanguinante e ansimante, riportò la sua attenzione su Thor. Ringhiò e allargò le fauci avvicinandosi a lui.
Thor era a corto di possibilità. La sua spada non c’era più, e non c’era nulla tra lui e il mostro. Il mostro si tuffò verso di lui e all’ultimo momento Thor rotolò via dalla traiettoria. Colpì l’albero dove Thor si trovava con una tale forza che lo sradicò.
La bestia sollevò le zampe e le riportò in basso cercando di colpire la testa di Thor. Ancora una volta Thor rotolò in salvo e la bestia lasciò un’impronta dove prima si trovava la testa del giovane.
Thor si rimise in piedi, inserì una pietra nella sua fionda e tirò.
Colpì il mostro tra gli occhi, il colpo più violento che avesse mai scagliato, e la creatura barcollò indietro. Thor era certo di averla uccisa.
Ma con suo stupore la bestia non si fermò.
Thor fece del suo meglio per richiamare il potere, qualsiasi fosse il potere che possedeva. Attaccò la bestia, saltando in avanti e andando a sbatterle contro, con lo scopo di fermarla e buttarla a terra con una forza sovrumana.
Ma con suo orrore questa volta il suo potere non andò a segno. Era un’altra persona. Un ragazzo fragile accanto a quella bestia mastodontica.
La bestia si limitò ad allungare una zampa verso il basso, afferò Thor per la vita e lo sollevò alto sopra la sua testa. Thor si sentì così privo di speranze, penzolante in alto nell’aria, e poi venne scagliato. Si trovò a volare come un missile attraverso la radura e andò a sbattere violentemente contro un albero.
Rimase steso lì, scioccato, con la testa che gli scoppiava e le costole spezzate. La bestia corse verso di lui e capì che questa volta era finita. Sollevò il suo piede rosso e muscoloso, preparandosi a portarlo dritto sulla testa di Thor. Thor si preparò a morire.
Poi, per una qualche ragione, la bestia si immobilizzò a mezz’aria. Thor sbatté le palpebre, cercando di capire perché.
La bestia allungò le mani a stringersi la gola, e Thor notò la punta di una freccia che spuntava da lì. Un attimo dopo, la bestia crollò a terra, morta.
Erec apparve, correndo, seguito da Reece e O’Connor. Thor vide che Erec guardava verso di lui e chiedeva se andava tutto bene. Lui voleva rispondere, più di ogni altra cosa. Ma le parole non venivano fuori. Un attimo dopo gli occhi gli si chiusero e il suo mondo fu pervaso dall’oscurità.
CAPITOLO DICIOTTO
Thor aprì lentamente gli occhi, inizialmente stordito, cercando di capire dove si trovava. Era steso sulla paglia e per un attimo pensò di essere di nuovo nelle caserme. Si sollevò su un gomito, in allerta, cercando gli altri.
Si trovava in un posto diverso. Dall’aspetto sembrava una stanza di pietra molto elaborata. Sembrava che si trovasse in un castello. Un castello reale.
Prima che potesse capire completamente una grande porta di quercia si aprì ed entrò Reece. In lontananza Thor poteva sentire il rumore sommesso di una folla.
“Finalmente è vivo,” annunciò Reece con un sorriso, affrettandosi verso di lui e afferrando la mano di Thor tirandolo un piedi.
Thor si portò una mano alla testa per placare il terribile dolore che avvertiva lì.
“Dai, andiamo, tutti ti aspettano,” gli fece fretta Reece, strattonandolo.
“Dove sono? Cos’è successo?”
“Siamo di nuovo alla Corte del Re e tu stai per essere festeggiato come l’eroe del giorno!” disse allegramente Reece, mentre si dirigevano alla porta.
“Eroe? Cosa intendi dire? E… come ci sono arrivato qui?” chiese, tentando di ricordare.
“Quella bestia ti ha messo al tappeto. Sei rimasto senza conoscenza per un bel po’. Abbiamo dovuto trasportarti attraverso il ponte sul Canyon. Piuttosto plateale. Non proprio il modo in cui mi aspettavo che tornassi dall’altra parte!” disse con una risata.
Camminarono lungo i corridoi del castello, e mentre procedevano, Thor poté vedere ogni genere di persona – donne, uomini, scudieri, guardie, cavalieri – che lo guardavano, come se fossero stati lì ad aspettare che si svegliasse. Vide anche che nei loro occhi c’era qualcoasa di nuovo, qualcosa di simile al rispetto. Era la prima volta che lo scorgeva. Fino a quel momento la maggior parte della gente l’aveva guardato con una sorta di disprezzo, mentre ora lo guardavano come fosse uno di loro.
“Cos’è successo esattamente?” Thor scandagliò il suo cervello, cercando di ricordare.
“Non ricordi proprio niente?” chiese Reece.
Thor provò a pensare.
“Ricordo che correvo nel bosco. Che ho combatutto con quella bestia. E poi…” Non riusciva a ricordare.
“Hai salvato al vita di Elden,” disse Reece. “Sei corso senza paura nel bosco, da solo. Non so perché tu abbia deciso di sprecare così tanta energia per salvare la vita di quell’impertinente. Ma l’hai fatto. Il Re è molto, molto contento di te. Non perché gli interessi di Elden. Ma gli interessa moltissimo dell’audacia. Vuole festeggiare. È importante per lui celebrare storie come queste, che servano di ispirazione agli altri. E che ben si riflettono sul Re e sulla Legione. Vuole festeggiare. Sei qui perché ha intenzione di ricompensarti.”
“Ricompensarmi?” chiese Thor, sbalordito. “Ma io non ho fatto niente!”
“Hai salvato la vita di Elden.”
“Ho solo reagito. Ho solo seguito un impulso naturale.”
“Ed è proprio per questo che il Re vuole ricompensarti.”
Thor era imbarazzato. Non pensava che le sue azioni meritassero una ricompensa. Del resto, se non fosse stato per Erec, ora Thor sarebbe morto. Thor ci pensò e il suo cuore si riempì nuovamente di gratitudine per Erec. Sperava di poterlo ripagare un giorno.
“E il nostro servizio di pattugliamento?” chiese Thor. “Non l’abbiamo portato a termine.”
Reece pose una mano rassicurente sulla sua spalla.
“Amico mio, hai salvato la vita di un ragazzo. Un membro della Legione. Questo è più importante del nostro pattugliamento.” Reece rise. “Più che sufficiente per un primo tranquillo servizio di pattugliamento!” aggiunse.
Giunsero al termine di un altro corridoio e due guardie aprirono una porta dinnanzi a loro: Thor sbatté le palpebre e si ritrovò nella sala reale. Dovevano esserci centinaia di cavalieri in quella stanza dal soffitto alto come una cattedrale, decorata di vetrate colorate, con armi ed armature appese ovunque sui muri come trofei. Il Salone delle Armi. Era il luogo in cui si incontravano tutti i più grandi guerrieri, gli uomini dell’Argento. Il cuore di Thor batteva a mille mentre passava in rassegna le pareti, tutte le famose armi, le armature di cavalieri eroici e leggendari. Thor aveva sentito spesso parlare di quel luogo. Aveva sognato di poterlo vedere lui stesso un giorno. Normalmente gli scudieri non erano ammessi lì: non vi poteva accedere nessuno che non fosse membro dell’Argento.
Cosa ancora più sorprendente, quando entrò i cavalieri si voltarono, da ogni parte, a guardarlo – guardare lui. E i loro sguardi dimostravano ammirazione. Thor non aveva mai visto così tanti cavalieri tutti insieme in una stanza, e non si era mai sentito così ben accetto. Era come entrare in un sogno. Soprattutto dato che pochi minuti prima era ancora addormentato.
Reece aveva probabilmente notato la faccia esterrefatta di Thor.
“I migliori dell’Argento sono qui riuniti per onorarti.”
Thor si sentì colmo di orgoglio ed incredulità. “Onorarmi? Ma non ho fatto niente.”
“Sbagliato,” disse una voce.
Thor si voltò e sentì una mano pesante sulla spalla. Era Erec che lo guardava sorridendo.
“Hai dimostrato audacia, onore e coraggio, ben oltre quanto ci si aspettasse da te. Hai quasi dato la tua vita per salvare uno dei tuoi compagni. È questo quello che cerchiamo nella Legione, ed è questo quello che cerchiamo nell’Argento.”
“Tu mi hai salvato la vita,” disse Thor ad Erec. “Se non fosse stato per te, quella bestia mi avrebbe ucciso. Non so come ringraziarti.”
Erec rispose con un sorriso.
“Lo hai gà fatto,” rispose. “Non ricordi al torneo? Penso che ora siamo pari.”
Thor avanzò lungo la corsia che conduceva al trono di Re MacGil, all’estremità del salone, con Reece da una parte ed Erec dall’altra. Sentiva centinaia di occhi puntati su di lui e tutto sembrava un sogno.
In piedi attorno al Re vi erano decine di consiglieri, insieme al suo figlio primogenito, Kendrick. Mentre Thor si avvicinava il suo cuore si gonfiava di orgoglio. Non poteva credere che il Re gli avesse concesso udienza di nuovo e che così tanti uomini di rielivo fossero lì a guardare.
Raggiunsero il trono del re, MacGil si alzò e un silenzio muto calò nella stanza. L’espressione grave di MacGil si aprì in un ampio sorriso mentre faceva tre passi in avanti e, con grande sorpresa di Thor, lo abbracciò.
Un gridò di esultazione eruppe nella stanza.
Il re si ritrasse, tenne Thor saldamente per le spalle e gli sorrise.
“Hai ben servito la Legione,” disse.
Un servitore porse al re un calice che il Re sollevò. Con voce forte disse: “AL CORAGGIO!”
“AL CORAGGIO!” risposero in coro le centinaia di uomini nella stanza. Seguì un mormorio carico di entusiasmo, poi di nuovo calò il silenzio.
“In onore della tua impresa,” gridò il Re, “oggi ti conferisco un grande dono.”
Il Re fece un gesto ed un servitore avanzò, con indosso un lungo guanto di metallo nero, sul quale poggiava un meraviglioso falcone. Questo si voltò a guardare Thor, come se lo conoscesse.
Thor rimase senza fiato. Era lo stesso preciso falcone del suo sogno, con il suo manto argentato e quella linea nera sulla testa.
“Il falcone è il simbolo del nostro regno e della nostra famiglia Reale,” tuonò MacGil. “È un uccello da preda, simbolo di orgoglio e coraggio. Ed è inoltre un uccello abile e scaltro. È leale e fiero e si libra al di sopra di tutti gli altri animali. È anche una creatura sacra. Si dice che chi possieda un falcone ne sia a sua volta posseduto. Ti guiderà in tutti i tuoi percorsi. Ti lascerà, ma tornerà sempre indietro. Ed ora è tuo.”
Il falconiere fece un passo avanti, rivestì la mano ed il polso di Thor con un pesante guanto di maglia metallica e poi vi posò sopra il rapace. Thor era elettrizzato con quel falcone sul braccio. Non riusciva neanche a muoversi. Era sorpreso dal suo peso, che rendeva difficile sorreggerlo mentre si agitava di continuo sul suo polso. Sentiva gli artigli che affondavano nella maglia metallica, anche se fortunatamente ne sentiva solo la pressione, essendo protetto dal guanto. L’uccello si voltò e lo fissò, poi emise un suono acuto. Thor lo guardava fisso negli occhi e percepiva una sorta di connessione mistica con quell’animale. Seppe da subito che sarebbe stato con lui per sempre.
“E come la chiamerai?” chiese il Re, rompenso il denso silenzio che permeava la stanza.
Thor spremette le meningi, la mente ancora troppo rintronata per poter lavorare a dovere.
Cercò di pensare velocemente. Richiamò alla mente tutti i nomi dei famosi guerrieri del regno. Si voltò a scrutare le pareti e vide una serie di targhe commemorative con i nomi di tutte le battaglie e di tutti i luoghi del regno. Gli occhi gli si fermarono su un luogo in particolare. Era un luogo dell’Anello dove non era mai stato, ma che aveva sempre sentito descrivere come un posto mistico e pieno di energia. Gli sembrò il nome giusto.
“La chiamerò Estofele,” disse Thor.
“Estofele!” gli fece eco la folla compiaciuta.
Il falcone emise un verso, quasi volesse rispondere.
Improvvisamente Estofele sbatté le ali e si alzò alta in volo, raggiungendo il soffitto e uscendo da una finestra aperta. Thor la guardò andarsene.
“Non ti preoccupare,” disse il falconiere, “tornerà sempre da te.”
Thor si voltò e guardò il Re. Non aveva mai ricevuto un dono in vita sua, tantomeno uno di questo lignaggio. Non aveva idea di cosa dire, di come ringraziarlo. Era sopraffatto da mille emozioni.
“Mio signore,” disse, abbassando il capo. “Non so come ringraziarla.”
“Lo hai già fatto,” disse MacGil.
La folla esultò e la tensione che pervadeva la stanza venne così spezzata. Si instaurò una conversazione animata tra gli uomini e talmente tanti cavalieri si avvicinarono a Thor che lui non sapeva più da che parte girarsi.
“Questo è Agold, della Provincia dell’Est,” disse Reece, presentandogliene uno.
“E questo è Kamera, delle Paludi Basse… E questo è Basikold, del Forte del Nord…”
Presto in nomi divennero un amalgama caotico. Thor era confuso. Stentava a credere che tutti quei cavalieri volessero conoscerlo. Non si era mai sentito così benvoluto od onorato in vita sua, e aveva la sensazione che un giorno come quello non si sarebbe mai ripetuto. Per la prima volta in vita sua provava un sentimento di autostima.
E non riusciva a smettere di pensare ad Estofele.
Mentre Thor si girava in ogni direzione, salutando persone i cui nomi volavano via, nomi che riusciva a stento a ricordare, un messaggero lo raggiunse facendosi strada tra i cavalieri. Portava un piccolo rotolo che mise in mano a Thor.
Thor lo srotolò e lesse la calligrafia elegante e delicata:
Incontriamoci nel cortile sul retro. Dietro al cancello.
Thor poteva sentire un profumo delicato provenire dal rotolo rosa e rimase perplesso nel cercare di capire da chi potesse provenire. Non vi era alcuna firma.
Reece si chino sopra di lui, leggendo da sopra la sua spalla, poi rise.
“Sembra che mia sorella si sia presa una cotta per te,” disse, sorridendo. “Io ci andrei, se fossi in te. Odia che la sia faccia aspettare.”
Thor si sentì avvampare.
“Al cortile sul retro si arriva da quei cancelli. Muoviti. È famosa per cambiare idea repentinamente,” disse Reece guardandolo con un sorriso. “E mi piacerebbe un sacco averti nella mia famiglia.”